sabato 21 dicembre 2013

LA MELA AVVELENATA DELLA APPLE: UN OPERAIO DI 15 ANNI MUORE DI LAVORO A SHANGHAI



Venerdì 13 Dicembre 2013
La mela di Apple continua ad essere un frutto avvelenato per chi lavora per produrre gli oggetti elettronici più cool del pianeta. L’ultima vittima è Shi Zaokun, un giovane operaio quindicenne della Pegatron, azienda con sede a Shanghai che produce iPhone5.
Shi Zaokun lavorava fino a 80 ore a settimana, con documenti falsi che la Pegatron gli aveva procurato per aggirare la legge che proibisce il lavoro minorile.
Ovviamente sia Pegatron che Apple smentiscono categoricamente che ci sia una correlazione tra la morte del giovane (ultimo di ben cinque episodi negli ultimi mesi) e le condizioni di lavoro. Ma l’evidenza ci suggerisce il contrario.
E così, dopo la Foxconn, anche la Pegatron ci dimostra quanto dietro il design affascinante e il bianco abbagliante di Apple si nasconda una pozza di sangue sempre più profonda.

 

CINA, TURNI MASSACRANTI: MUORE A 15 ANNI IN FABBRICA DI IPHONE

Shanghai
Ha lavorato fino alla morte. Aveva 15 anni, si chiamava Shi Zaokun e ha perso la vita con una polmonite dopo un mese di turni massacranti per produrre iPhone 5 presso la Pegatron, azienda taiwanese con sede a Shanghai che produce per la Apple.
La Pegatron nega qualsiasi legame tra la morte del ragazzo e il lavoro presso la fabbrica, ma China Labor Watch, l’organizzazione che si occupa dei diritti dei lavoratori, sostiene invece che sarebbero state proprio le difficili condizioni di lavoro, turni anche di 12 ore consecutive per sei giorni alla settimana, a farlo ammalare.
Secondo le accuse inoltre, la Pegatron, per poter far lavorare Shi avrebbe falsificato i suoi documenti, facendo risultare che avesse 20 anni e non 15 e aggirare il divieto di assumere minorenni. La legge cinese, e le policy di Apple prevedono che gli operai debbano lavorare per non più di 60 ore a settimana mentre, a quanto sostengono gli attivisti di China Labor Watch, gli ingressi e le uscite dimostrano che il giovane ne lavorava sempre quasi 80 a settimana.
Dopo la Foxconn, altro importante fornitore della Apple in Cina, dunque anche Pegatron è finita nell’occhio del ciclone. Negli ultimi mesi sono stati cinque gli operai della Pegatron morti. Apple ha intanto inviato un team di suoi medici esperti per valutare la situazione e individuare le eventuali anomalie ma i primi accertamenti non hanno portato a nulla.
“Non abbiamo trovato prove di collegamento tra le morti e le condizioni di lavoro nella fabbrica” - si legge in un comunicato della Apple - “ma ci rendiamo conto che questo non è di conforto per la famiglia che ha perso il proprio caro. Abbiamo un team di lavoro alla Pegatron che serve proprio a garantire che operino secondo i nostri elevati standard”.

Per approfondire:

SFRUTTAMENTO E RESISTENZA DEGLI OPERAI DELLE FABBRICHE CINESI FOXCONN

LA CINA È VICINA! LOTTE OPERAIE NEL CUORE DELL’OFFICINA DEL MONDO
Questo ottobre verrà in Italia un compagno tedesco che ha curato un libro molto interessante sul capitalismo cinese: “ISlaves. Sfruttamento e resistenza nelle fabbriche cinesi della Foxconn”.
Il libro, che sta riscuotendo molto interesse perché basato su una conoscenza diretta della realtà cinese, è stato presentato nelle maggiori città europee e non solo: abbiamo dunque pensato di proporre anche qui da noi un ciclo di iniziative. Per avviare il dibattito, abbiamo messo insieme una piccola antologia di scritti utili a conoscere, fuori dalle rappresentazioni mediatiche o ideologiche, la complessa realtà sociale cinese, e la coraggiosa lotta di questi operai contro lo sfruttamento globale. In queste righe cerchiamo di spiegare perché questa conoscenza può essere utile anche alle nostre lotte. Buona lettura!
Non c’è lavoratore in Italia e in Europa che in qualche modo non abbia a che fare con la Cina.
Per esempio attraverso le merci “Made in China”, così a buon mercato da essere a portata del proprio misero salario. O perché ha perso il proprio posto di lavoro, delocalizzato in Cina, così che il padrone possa pagare salari ancor più miseri (secondo un recente studio della CGIA di Mestre, reperibile all’indirizzo http://www.cgiamestre.com/2013/03/la-crisi-ha-fermato-la-fuga-delle-nostre-aziende/ le imprese italiane che hanno delocalizzato in Cina sono 1.103, anche se non è chiaro l’arco temporale di questa misurazione). O magari perché il suo padrone è proprio una qualche azienda cinese che ha investito in Italia (un quadro veloce degli IDE cinesi in Italia si può trovare all’indirizzo http://www.firstonline.info/a/2012/11/08/i-cinesi-in-italia-storie-dimprese-una-presenza-se/024093cc-5919-4d2f-8685-94501874ebca).
Altre volte, invece, il lavoratore italiano ed europeo ha direttamente a che fare con il lavoratore cinese, ma lo teme o lo disprezza, perché spaventato dalla competizione al ribasso nelle condizioni di lavoro che comporta la presenza di tali lavoratori vulnerabili ed esposti al peggior sfruttamento. D’altra parte, la condizione di clandestinità, l’obbligo di onorare il proprio debito di viaggio, l’isolamento linguistico, rendono difficilissimo al lavoratore cinese resistere a quello stesso sfruttamento e sostituire alla competizione la solidarietà.
C’è da dire che, almeno in Italia, la condizione dei lavoratori migranti cinesi si differenzia da quella di molti altri migranti, in quanto questi lavoratori lavorano per lo più in aziende di altri cinesi, magari proprio quelli a cui devono il debito, in condizioni di pressoché totale invisibilità e servaggio. Non c’è quindi concorrenza con i lavoratori autoctoni per lo stesso posto di lavoro, né sono oggetto diretto della Bossi-Fini. La pressione competitiva operata dal loro sfruttamento si esercita piuttosto nel rischio di fallimento delle aziende autoctone che non spremono allo stesso modo la propria manodopera, mentre la clandestinizzazione operata dalle nostre leggi repressive crea le condizioni dello strapotere dei propri aguzzini. Nella recente inchiesta reperibile all’indirizzo http://www.thepostinternazionale.it/mondo/italia/schiavi-cinesi-in-italia si può trovare un rapido schizzo delle loro condizioni.
Anche nella sfera pubblica la Cina impone la sua presenza, innanzitutto come gigante economico la cui crescente competitività nel mercato mondiale obbliga ad un eguale incremento di competitività i paesi europei. Processo, questo, acuito dalla crisi economica globale, tanto che molte delle trasformazioni istituzionali e legislative di questi ultimi anni di manovre “lacrime e sangue” (dai tagli alla spesa pubblica alle riforme del lavoro e delle pensioni, dall’ipotesi di unione bancaria ai processi di centralizzazione delle decisioni economiche) non rappresentano altro la traduzione politica delle trasformazioni economico-sociali dovute all’impatto sul mercato mondiale di questa ed altre “economie emergenti”.
Pure quando la Cina viene presentata come “opportunità”, nella forma di partner commerciale o di potenziale investitore da attrarre, è chiaro chi intende beneficiare di questa occasione. A segnalarlo bastano le parole dell’ex-premier Monti, quando, facendo leva sulle presunte esigenze degli investitori cinesi, giustificava le manovre del governo che andavano verso l’abolizione dell’articolo 18: “I cinesi hanno detto chiaramente che la rigidità del nostro mercato del lavoro è uno dei fattori che finora li ha disincentivati dall’investire in Italia” (fonte agichina24.it). A ricordarci che il benessere di cui parlano si erge su uno sfruttamento a ritmi “cinesi”.
Minaccia e opportunità, paura e speranza, immagini e sentimenti molteplici e divergenti, quanto divergenti e molteplici sono gli interessi dei gruppi sociali investiti dalle trasformazioni prodotte dall’ascesa del gigante asiatico. La borghesia italiana ed europea più internazionalizzata, il grande capitale cosmopolita, annusa le occasioni di affari di questo nuovo grande mercato, ma può vedere contemporaneamente altri affari compromessi dalla competizione con gli altri grandi capitalisti cinesi; i piccoli e medi padroncini nostrani rischiano di soccombere all’artiglieria pesante delle merci cinesi a basso prezzo, ma possono anche ridurre i costi spostando almeno parte della produzione verso est, e la paura che i propri equivalenti cinesi li freghino sfruttando i propri connazionali si accompagna alla speranza di poter essere loro stessi a sfruttare questa manodopera.
Per non parlare delle conseguenze indirette dell’ascesa del Grande Dragone su parametri come il prezzo delle materie prime, la direzione dei flussi finanziari, il corso dei cambi, il clima e l’ambiente, ecc., che contribuiscono a scomporre e ricomporre un quadro di interessi in continua evoluzione. Tutte queste rappresentazioni restituiscono un’immagine monolitica di una Cina che con il suo irrompere nella scena del sistema capitalistico globale impone necessari, inevitabili, adattamenti. Così come da noi sono pensabili, e si mostrano, sempre e solo divergenze componibili nel quadro di un proclamato interesse generale che non ammette l’esistenza di un autentico, inconciliabile, antagonismo – così all’estero non si può che vedere un oggetto coerente, che pur nella sua mutevolezza e dinamicità si mantiene uguale a sé stesso ed è privo della possibilità di un autentico mutamento.
Le fratture interne alla società cinese sembrano rimanere sempre armonizzabili: non scalfiscono la raffigurazione unitaria proiettata dall’urgenza di farci i conti della nostra altrettanto unita società.
Sulla scia del più puro corporativismo, infatti, il paradigma della “Società Armoniosa” (come le classi dirigenti cinesi amano presentare il loro sistema), dichiara e ricerca a tutti i costi la conciliabilità tra capitale e lavoro, mistificando l’incompatibilità radicale tra chi produce e chi profitta della fatica altrui, trasfigurandola nella forma del compromesso tra “sviluppo ed eguaglianza”, del bilanciamento tra “equità e modernizzazione”, ecc.
Non è un caso che la retorica della “società armoniosa” prenda piede con la presidenza di Hu Jintao ad inizio degli anni 2000, in contemporanea con l’emergere di una nuova composizione della classe operaia e delle sue lotte, nel tentativo di cooptarne e sedarne gli elementi più destabilizzanti (elemento, questo delle lotte operaie, paradossalmente assente in molte delle analisi di chi individua nella Cina un riferimento per i percorsi di rottura dell’attuale ordine capitalistico mondiale).
Sono proprio le lotte di questa classe operaia al centro di quella che da alcuni è definita “l’officina del mondo”, e che anche in virtù di queste lotte rischia di perdere questo primato, a essere oggetto dei materiali che pubblichiamo in occasione del ciclo italiano di presentazione dei testi raccolti nel libro “ISlaves. Sfruttamento e resistenza nelle fabbriche cinesi della Foxconn”. Lotte che hanno manifestato una drammatica accelerazione negli ultimi anni di recessione globale, portando a considerevoli conquiste salariali e sindacali.
Anche qui, come mostrano bene i testi che abbiamo raccolto, gli effetti di queste conquiste sull’economia globale e quindi sui lavoratori di tutto il mondo possono essere molteplici e contraddittori. Detto questo, la sola esistenza di questi lavoratori nell’atto della lotta svela che quelle che sembravano irresistibili forze economiche cieche a cui non si può che adattarsi o soccombere, sono in realtà il frutto di uno sfruttamento a cui ci si può ribellare.
Far proprio questo insegnamento e contribuire nel nostro piccolo a gettare le basi perché ci si possa realmente appropriare di queste forza comune, superando ciò che la frammenta, è il motivo della pubblicazione di questi testi, nonché lo scopo della nostra iniziativa.

COMUNICATO STAMPA SU VIAREGGIO E FIBRONIT




Invio il Comunicato Stampa su Viareggio e Fibronit.
Tutte ammesse le parti civili per il processo di Viareggio comprese Medicina Democratica e RLS di FS.
Saluti
Gino Carpentiero

COMUNICATO STAMPA:
STRAGE FERROVIARIA DI VIAREGGIO: CHI NON VUOLE CHE VENGA FATTA GIUSTIZIA?
Il Tribunale di Lucca nell’udienza contro i 33 imputati della Strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno del 2009, nella quale sono morte 32 persone, si è pronunciato sulla “esclusione delle parti civili”, richieste a gran voce dai difensori, in particolare da quelli di Mauro Moretti, AD della FS.
Quasi tutte le richieste sono state respinte, per cui oltre alle Istituzioni, i Sindacati, l’INAIL, anche Medicina Democratica e quasi tutti i Rappresentanti dei Lavoratori della Sicurezza, sono stati pienamente accolti.
Al seguito di ciò ancora i difensori degli imputati non hanno trovato di meglio che chiedere la nullità del collegio giudicante tanto per fare ricominciare tutto da capo, se dovesse essere accolta tale eccezione. Ci sembra di capire che gli imputati siano pienamente coscienti della grande mobilitazione che si radicata a Viareggio: un segnale evidente per tutto il territorio nazionale.
Dal Vajont ad oggi sono innumerevoli le stragi che si sono succedute in Italia. Nella gran parte dei casi sono state attribuite al destino, alla natura, o simili. In verità le responsabilità sono storicamente precise, a volte, anche, in molti casi, giuridicamente accertate. Tutto ciò non basta, i responsabile per anni hanno continuato a difendersi e ad essere difesi, mentre non si è tratto alcun insegnamento da questi tragici e criminali fatti: alla prevenzione nei luoghi di lavoro e nel territorio si continua a pensare per poco o per nulla.
Un’altra strage del profitto è quella dell’amianto. Tanto per ricordare che qualche giorno fa, il 29 novembre, ancora una volta, Medicina Democratica e l’AIEA (Associazione Italiana Esposti amianto), difesi dall’avvocato Laura Mara, è stata riconosciuta parte civile davanti al tribunale di Pavia che giudica i reati per i morti da amianto commessi dai responsabili della Fibronit di Broni per il periodo considerato.
E’ ORA CHE TUTTE LE REALTA’ CHE CHIEDONO GIUSTIZIA SI CONFRONTINO E SI UNISCANO.

Milano, 9 dicembre 2013
MEDICINA DEMOCRATICA
MOVIMENTO DI LOTTA PER LA SALUTE
via dei Carracci, 2 20149 Milano

Amianto 21 morti all'Alfa di Arese: chiesto il processo per Cantarella



L'ex amministratore delegato della Fiat sotto inchiesta a Milano insieme con i vertici dell'azienda fra gli anni Ottanta e Novanta. L'accusa a loro carico è di omicidio colposo. Sette in tutto gli indagati
Paolo Cantarella, ex amministratore delegato della Fiat, rischia di essere processato per omicidio colposo nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Milano su ex operai dello stabilimento di Arese morti per amianto. Il procuratore aggiunto Nicola Cerrato e il pm Maurizio Ascione hanno chiesto
nei giorni scorsi il rinvio a giudizio di Cantarella e altri sei indagati, tutti ex manager di Fiat, per 21 decessi legati all'esposizione all'amianto negli anni Ottanta e Novanta. Cantarella ricopre attualmente la carica di consigliere di Finmeccanica.

Cantarella è coinvolto nell'inchiesta in qualità di presidente di Alfa Lancia spa e di Alfa Industriale e di amministratore delegato di Fiat Auto spa tra il 1991 e il 1996. Rispondono in concorso per lo stesso reato i vari vertici del gruppo che si sono succeduti in quegli anni: Corrado Innocenti, ex ad Alfa Romeo spa; Piero Fusaro, ex presidente di Lancia Industriale spa ed ex ad di Lancia Industriale spa; Luigi Francione, ex presidente Alfa Lancia spa; Giorgio Garuzzo, ex presidente Fiat Auto spa; Vincenzo Moro, ex ad Alfa Romeo, e Giovan Battista Razelli, ex ad Alfa Lancia Industriale.

L'avvocato Giovannandrea Anfora, che rappresenta Cantarella, Fusaro e Francione, fa sapere in una nota che "già nel corso delle indagini preliminari sono state presentate adeguate argomentazioni tese a dimostrare l'infondatezza delle contestazioni". In particolare, si legge nel comunicato, "è già stato evidenziato che nelle lavorazioni dello stabilimento di Arese non era previsto alcun utilizzo di materiali
contenenti amianto, così come è già stato pure adeguatamente dimostrato come comunque negli anni oggetto di accertamento giudiziario fosse inesistente alcun fattore di rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori".

In occasione della prossima udienza preliminare - conclude il legale - "della quale peraltro non abbiamo ancora avuto formale comunicazione, siamo certi che tali argomentazioni potranno essere ulteriormente riproposte e meglio considerate ai fini della giusta decisione sulla insussistenza delle accuse".
(19 dicembre 2013)

Amianto all'Alfa «Processate l'ex ad della Fiat Cantarella»

Luca Fazzo - Ven, 20/12/2013 - 07:15
Non se la possono cavare, dice la Procura della Repubblica, sostenendo che l'amianto era in quegli anni un nemico sconosciuto, un materiale la cui terribile pericolosità si sarebbe scoperta solo successivamente. Perché le indagini del pm Maurizio Ascione hanno scoperto che anche l'Alfa Romeo, come buona parte delle aziende italiane finite in questi anni sotto inchiesta, era in grado di conoscere le insidie nascoste nella sostanza impiegata per coibentare e isolare. Ma i manager non fecero nulla: così gli operai si ammalarono e morirono. Nella fabbrica simbolo dell'industria a Milano - e lo stesso accadeva nell'altra fabbrica-simbolo, la Pirelli - lavorare nelle linee significava rischiare la pelle.
Adesso la Procura chiede che finiscano sotto processo per omicidio colposo i dirigenti dell'epoca dell'Alfa. In testa al gruppo l'amministratore delegato della Fiat Paolo Cantarella e l'ex amministratore delegato dell'Alfa Romeo Corrado Innocenti. E insieme a loro Piero Fusaro, Luigi Francione, Giorgio
Garuzzo, Vincenzo Moro e Giovanni Battista Razelli, tutti top manager del gruppo del Biscione o della Fiat, che aveva assorbito Alfa .
Nel fascicolo, ventuno storie di operai morti, quasi tutti per mesotelioma, ad anni di distanza dal periodo trascorso ad Arese. In base alle indagini del pm Ascione, non ci sono dubbi che i tumori fossero la conseguenza diretta dell'esposizione all'amianto. L'avvocato di Cantarella, Giovannandrea Anfora, ieri ribatte che «nelle lavorazioni dello stabilimento di Arese non era previsto alcun utilizzo di materiali contenenti amianto, così come è già stato pure dimostrato come fosse inesistente alcun fattore
di rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori».

Processo Michelin, dal reparto Z era meglio stare alla larga

”Al processo contro Michelin sfilano altri testimoni della pubblica accusa che raccontano delle condizioni di lavoro tra gli anni Settanta e Ottanta: “guanti sottili e nessuna mascherina. La gomma si lavorava con le mani” ALESSANDRIA
– C'erano reparti, lo Z, “in cui c'era roba da cui era meglio passare lontano” alla Michelin tra gli anni Settanta e Ottanta. E' il racconto dei cinque testimoni che ieri hanno reso le testimonianze davanti al
tribunale di Alessandria, nel corso del processo contro cinque dirigenti Michelin, accusati di lesioni personali e omicidio colposo.
In undici hanno testimoniato fino ad oggi, in undici hanno avuto problemi di salute, patologie alla vescica. Starà al giudice stabilire se c'è una connessione con l'ambiente di lavoro e le sostanze usate nelle lavorazioni. I racconti che si susseguono sono simili tra loro: “usavamo guanti sottili in pelle e nessuna mascherina”.
Ai reparti di Tm e Cx si lavorava il materiale “a mano”, linee a freddo o a caldo. Quando”il materiale usciva dalla pressa, usciva del vapore”. Vapore acqueo? Se “la gomma era calda si usavano guantoni più spessi, imbottiti”, ma di mascherine neppure a parlarne. Su alcune linee la temperatura delle gomme “arrivava anche a 90 o 100 gradi”, forse meno, “saranno stati 70”.
All'inizio, nei primi anni 70, non c'erano neppure gli aspiratori, introdotti solo successivamente. “Usavate anche altre sostanze?” è una delle domande del pubblico ministero. “Si, eptano, la pasta platinì, il clorotene”.
“Avevate idea di cosa fossero di preciso? La composizione?” chiede l'avvocato di parte civile? “No, le chiamavamo così e basta”.
La difesa insiste sulla storia lavorativa degli operai prima o dopo Michelin: qualcuno dice di aver fatto l'imbianchino, altri il falegname.
Un altro ancora ha lavorato in altre aziende metalmeccaniche della provincia. E tutti fumavano, o fumano ancora. Si torna in aula a febbraio, il 4, con altri testimoni

Ilva Taranto Convegno nazionale 11 gennaio - a padron Riva il processo lo facciamo noi !


a fronte della indecente sentenza della cassazione che annulla sequestro:8,1 miliardi cifra stimata  equivalente alle somme che nel corso degli anni la società avrebbe risparmiato non adeguando gli impianti  'generando malattia e morte'


11 gennaio convegno di protesta a taranto
organizza rete nazionale  per sicurezza e salute sui posti di lavoro e territorio
info
bastamortesullavoro@gmail.com
347-1102638


comunicato invito

è convocato un convegno sul processo a riva e soci  del 2014 con l'avvocato dei processi tyssen ed eternit a torino, avv Bonetto -sostenitore rete nazionale sicurezza  e salute sui posti di lavoro e sul territorio.
 -per  protestare con dati di fatto contro la sentenza della cassa
integrazione

-per riportare un bilancio dell'esperienza vincente dei processi Tyssen-Eternit
 -per una piattaforma e un metodo  della costituzione associata come parte civile, gratuita e di massa, degli operai,lavoratori e cittadini
 il convegno aperto a tutti si terrà sabato 11 gennaio 2014 dalle ore 9.30
alle 13 presso sala palazzo di città o biblioteca comunale - da confermare

a cura rete nazionale salute e sicurezza sui posti di lavoro e territorio
sede taranto
bastamortesullavoro@gmail.com
347-1102638

20 dicembre 2013



La Corte di Cassazione ha stabilito che i beni della
holding Riva Fire, società proprietaria di Ilva spa, non andavano
sequestrati e ha annullato senza rinvio il decreto di sequestro confermato
dal riesame nel giugno scorso dal tribunale del riesame di Taranto.La stima
di oltre 8 miliardi era stata formulata dai
custodi giudiziari Barbara Valenzano, Emanuela Laterza, Claudio Lofrumento e
Mario Tagarelli come il costo totale degli interventi necessari al
ripristino funzionale degli impianti dell'area a caldo per un possibile
risanamento ambientale. La società Riva Fire, secondo quanto ricostruito
dagli inquirenti, avrebbe ottenuto negli anni un notevole vantaggio
economico attraverso quella che i magistrati definiscono una "consapevole
omissione" degli interventi nell'Ilva per la protezione e salvaguardia
dell'incolumità
dell'ambiente, degli operai e dei cittadini di Taranto. In sostanza 8,1
miliardi erano i soldi che secondo l'accusa i Riva avrebbero risparmiato
evitando di ammodernare gli impianti della fabbrica che secondo i periti del
tribunale, oggi "genera malattia e morte". , il gip Todisco aveva
autorizzato il sequestro di denaro, conti
correnti, quote societarie nella disponibilità della società Riva Fire, per
le violazioni ambientali alla legge 231/01 che sancisce la responsabilità
giuridica delle imprese per i reati commessi dai propri dirigenti. In realtà
finora, gli uomini della Guardia di finanza erano riusciti a individuare
solo due miliardi rispetto agli otto richiesti. Dal sequestro sarebbero
dovuti rimanere fuori i beni e le finanze riconducibili alla società di Ilva
spa poiché il gip Todisco aveva infatti chiarito che i beni della società
potevano essere aggrediti solo nel caso in cui non siano strettamente
indispensabili all'esercizio dell'attività produttiva nello stabilimento di
Taranto. L'accusa nei confronti di Emilio, Nicola e Fabio Riva è di
associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento
di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.

martedì 17 dicembre 2013

In solidarietà con Riccardo Antonini licenziato da FF.SS e con tutti operai e delegati RLS perseguitati



la rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e territorio solidarizza
bastamortesullavoro@gmail.com

.....Il caso di Riccardo è sicuramente il più grave e il più odioso in quanto a Riccardo viene imputato di aver svolto lavoro di consulenza per i familiari delle vittime della strage di Viareggio del 29 giugno 2009.

Anche però altri casi di arroganza del potere... sono noti: i casi di Pietro Mirabelli , RLS Cavet, che non trovando più un lavoro pulito in Italia, in quanto discriminato e isolato dallo stesso sindacato cui era iscritto, fu costretto a emigrare in Svizzera dove ha trovato la morte in un infortunio sul lavoro; quello di Aldo Mancuso, operatore ASL, discriminato, isolato ed emarginato dopo che gli erano state arbitrariamente sottratte le funzioni di Ufficiale di Polizia Giudiziaria.

Politici travestiti da tecnici  (Moretti nel caso di Riccardo, Marroni nel caso di Aldo)  e purtroppo anche  Magistrati che lavorano con pregiudizi che impediscono loro una vera serenità di giudizio : questo accomuna il caso di Riccardo e quello di Aldo: il primo si è visto in Primo grado confermare il licenziamento e il secondo è stato condannato per abuso di ufficio (sentenza politica che non si regge minimamente a livello tenico).

 nel processo svizzero per la morte di Pietro....la Giustizia di Classe svizzera vuole mandare impuniti i reali responsabili aziendali, condannando un operaio, un preposto e un ingegnere.

          Per concludere: non lasciamo solo chi ha l’unico “torto” di fare proprio dovere. I buoni avvocati sono importanti e fondamentali, ma  va creata una rete di solidarietà, per evitare il killeraggio di tecnici, RLS ,
operatori  da parte del Potere.

                                            Gino Carpentiero

Riccardo Antonini è tecnico della manutenzione alle dipendenze di Rete Ferroviaria Italiana. Viene licenziato dalla sua azienda, imputata assieme ad altri 42 soggetti nel processo per la strage di Viareggio del 29 giugno 2009, perché presta la propria opera di consulente di parte per i famigliari delle vittime, mette cioè a disposizione del dibattito giudiziario il proprio sapere. Il datore di lavoro motiva il provvedimento con l’incompatibilità dell’incarico da parte del dipendente (conflitto di interessi). Per l’azienda sarebbe invece possibile eliminare, in forza del potere datoriale, una voce scomoda davanti al giudice, ovvero sarebbe legittimata a difendersi fuori piuttosto che nel processo. La sentenza di primo grado del tribunale di Lucca, che ha confermato il licenziamento, offre lo spunto per l’analisi della trasformazione della giurisprudenza sull’articolo 2105 del codice civile ovvero l’obbligo di fedeltà aziendale. Recepito ed enfatizzato in tutti i CCNL, esso viene utilizzato sempre più spesso come bavaglio ai diritti di critica, di informazione, di pubblica utilità ed a doveri civili e morali. Esso è parte della stretta gerarchica che sempre più, a cominciare dall’ambito del lavoro, pervade la vita dei cittadini nella società attuale. Un potere di cogenza impalpabile, sistemico e tuttavia realissimo, che condiziona nel profondo le relazioni umane. La violazione dell’art.2105 come una nuova Lesa Maestà.

LUNEDI 16 DICEMBRE 2013 ore 17.00

presso la sede CUB Toscana

in via Guelfa 148r, Firenze

INCONTRO/ASSEMBLEA PUBBLICA con Riccardo Antonini


Un gruppo di legali offrirà un commento tecnico
alla sentenza Antonini secondo il tema dell’iniziativa:
hanno dato disponibilità gli avvocati Filippo Antonini, Elisa Bonciani, Marco Boni, Gabriele Dalle Luche, Guido Mainetti, Ezio Menzione, Cesare Pucci e, per il Centro Studi Diritti e Lavoro, Andrea Ranfagni.

seguirà dibattito tra i presenti circa le contromisure
che i lavoratori possono intraprendere

tutti sono invitati a partecipare

lunedì 16 dicembre 2013

Strage Viareggio, la Corte dei Conti su Rfi: “Sicurezza, tagliati 70 milioni in 3 anni”

Strage Viareggio, la Corte dei Conti su Rfi: “Sicurezza, tagliati 70 milioni in 3 anni”

I magistrati contabili nella relazione di fine 2010 sul bilancio: "Progressiva diminuzione di stanziamenti per le tecnologie". Ferrovie: "Negli stessi anni maxi-piano di investimenti per 5 miliardi". Ma l'agenzia nazionale a primavera ha lanciato l'allarme: "Preoccupante è la carenza manutentiva"

Strage di Viareggio
C’è una cifra: 70 milioni di euro, spicciolo più spicciolo meno. Un periodo di tempo: il triennio 2006-2009. E un documento della Corte dei Conti che immortala il crollo degli investimenti per le tecnologie che dovrebbero migliorare la sicurezza sulla rete ferroviaria, in quei tre anni. Fino a quando viene raggiunta la cifra più bassa, proprio nel 2009. Proprio quell’anno, nella notte tra il 29 e il 30 giugno, a Viareggio un treno merci deraglia alla stazione, da un carro cisterna fuoriesce gpl e gas, fuoco e fumo uccidono 32 persone: un’intera strada viene rasa al suolo.
La fonte è la relazione di fine 2010 dei magistrati contabili sulla gestione finanziaria della Rete ferroviaria italiana spa gestore dell’infrastruttura, mentre Trenitalia gestisce i convogli e le attività di trasporto e fa parte con la prima della holding Ferrovie dello Stato. L’analisi dei conti è relativa agli anni 2008-2009. Vengono riportati gli investimenti del 2008 (3,4 miliardi) e del 2009 (3 miliardi), relativi principalmente allo sviluppo e alla manutenzione straordinaria dell’infrastruttura ferroviaria. Il volume di spesa destinato agli “investimenti in ricerca e sviluppo” nel 2008 e nel 2009 è stato rispettivamente di 29,97 e 25,38 milioni di euro. Briciole rispetto ai 133,66 del 2006 e anche ai 64,43 milioni del 2007.
Ma soffermiamoci sul dettaglio delle singole voci. Al punto “Tecnologie per la sicurezza” si nota una progressiva diminuzione di stanziamenti. Nel 2006 sono 85,66 milioni. Nel 2007 41,33. Nel 2008 crollano a 17,22. Si arriva al 2009, quando i milioni si riducono a 16,03. In quattro anni sono spariti 69,63 milioni per le tecnologie che devono migliorare la sicurezza. Tanto che la stessa Corte dei Conti segnala “una notevole riduzione delle risorse destinate alla finalità istituzionale, che si riflette in modo particolare sulle tecnologie per la sicurezza”. Anche nelle voci “Diagnostica innovativa” e “Studi e sperimentazioni di nuovi componenti” si registrano importanti diminuzioni di investimenti. Il grosso di quei tre miliardi del 2009 se ne va altrove. Anche qui il volume di spesa è inferiore rispetto agli anni passati, ma Rfi riesce comunque a stanziare 2 miliardi e 609 milioni di euro, con un decremento di 506 milioni rispetto all’esercizio precedente. Dove vanno a finire questi due miliardi e più? Un miliardo e 16 milioni nei grandi progetti infrastrutturali. Un altro miliardo e 595 milioni nelle attività di mantenimento in efficienza dell’infrastruttura e per interventi sul territorio. Infine, la Corte registra che al termine del 2009 “il progetto Rete Av (alta velocità, ndr) ha raggiunto un avanzamento contabile complessivo prossimo al 90%”.
Il documento è stato depositato durante l’udienza preliminare del processo sul disastro di Viareggio iniziato a metà novembre a Lucca. Tra i 33 imputati, che devono rispondere alle accuse di disastro ferroviario colposo, incendio colposo e omicidio e lesioni colpose plurime, ci sono i vertici e funzionari delle società del gruppo Fs e delle ditte proprietarie del carro e di quelle che lo revisionarono e montarono. Tra questi gli amministratori delegati di Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, di Rfi Michele Mario Elia e di Trenitalia Vincenzo Soprano.
Secondo l’avvocato Gabriele Dalle Luche, difensore di parte civile per conto dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dipendenti del gruppo, furono proprio le scelte aziendali di tutte le imprese coinvolte nel disastro ferroviario a compromettere gli standard di sicurezza. “Quanto accaduto a Viareggio nel giugno 2009 non può attribuirsi ad una fatalità o al caso – spiega il legale -, ma a condotte di reato, quali sono quelle attribuite agli imputati, poste in essere in violazione delle normative vigenti in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, che solo per un caso non ha coinvolto gli stessi macchinisti alla guida del treno merci, altri lavoratori del settore ferroviario o passeggeri”. “Inoltre – continua Dalle Luche – ci chiediamo perché non sono stati adottati quei miglioramenti tecnici/scientifici già normalmente disponibili sul mercato e utilizzati in altri Paesi, ad esempio il dispositivo di rilevamento immediato di deragliamento, detto antisvio, che se presente sul carro deragliato avrebbe evitato quanto accaduto”. 
Ma Ferrovie dello Stato spiega: “Negli stessi anni, oltre alle attività di ricerca e sviluppo indicati, è stato completato il più importante piano di investimenti in tecnologie della sicurezza sulla rete ferroviaria della storia delle ferrovie, implementando sistemi di sicurezza per la marcia del treno quali Sistema Controllo Marcia Treno su 16.700 km di linee, il sistema di telecomunicazioni proprietario elusivamente dedicato al traffico ferroviario su 10mila km di linee, ed, infine, il sistema Ertms sulle linee AV (600 km) che entravano in funzione proprio in quegli anni. Tale piano, avviato agli inizi degli anni 2000 per un valore complessivo di investimenti pari a 5 miliardi di euro, è stato attuato nella misura del 90% alla fine del 2009, di cui complessivi 2,3 miliardi di euro proprio nel quadriennio citato 2006-2009.”
Ma dal 2009 e da quel crollo degli investimenti per la sicurezza in Rfi riportata dalla Corte dei Conti, i soldi continuano a diminuire. Nel bilancio 2012 di Rfi, l’ultimo disponibile, si legge: “Il volume di spesa consuntivato per investimenti in sviluppi tecnologici innovativi e stato pari a 7,89 milioni di euro”. Nel 2009 era stato di 25,38 milioni di euro. Al 31 dicembre 2012 la società ha invece investito in “Tecnologie per la sicurezza” 5,88 milioni di euro, circa dieci milioni in meno rispetto a quattro anni fa. Crollano anche i soldi stanziati per la “Diagnostica innovativa”, 0,15 milioni e gli “Studi e sperimentazioni su nuovi componenti e sistemi”, 1,86 milioni.
La politica, poi, ci mette del suo. A settembre 2013 il governo Letta, per finanziare parte dell’Imu cancellata nel 2013, ha sottratto 300 milioni di euro al “finanziamento concesso al Gestore dell’infrastruttura ferroviaria nazionale a copertura degli investimenti relativi alla rete tradizionale, compresi quelli per manutenzione straordinaria” previsti nella Finanziaria 2006. Nonostante i 108 incidenti ferroviari avvenuti nel 2012, lo stesso numero del 2011, il più alto dal 2008. Il 39% causato da “difetti nell’esecuzione della manutenzione e alle problematiche connesse ai contesti manutentivi” dei binari o dei convogli. Gli investimenti previsti per la rete dal piano industriale 2011-2015 si fermano a 20 miliardi.
Eppure nell’aprile scorso, l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria aveva lanciato l’allarme. Presentando la relazione su “L’andamento della sicurezza delle ferrovie per l’anno 2012”, il direttore Alberto Chiovelli aveva avvertito: “Il dato preoccupante è la carenza manutentiva“. Non è un caso che l’80% dei deragliamenti avvenuti nel 2012 sia dovuto a “problematiche nella manutenzione dell’infrastruttura”.

venerdì 13 dicembre 2013

Strage Viareggio: Sabato 14 dicembre ore 11.00 a Lucca presentazione del libro: “Viareggio. Una strage annunciata”


Invito di partecipazione

29 giugno 2009, strage ferroviaria
di Viareggio:
32 Vittime, feriti gravissimi,
una zona della città distrutta …


Sabato 14 dicembre ore 11.00
alla Libreria “Lucca libri”, via Garibaldi 54 - Lucca

Presentazione del libro: Viareggio.
Una strage annunciata
(edizioni “Becco giallo

Partecipano:

- Gianfranco Maffei, autore del libro

- Daniela Rombi, presidente dell’Associazione
dei familiari delle Vittime “Il mondo che vorrei”

- Riccardo Antonini, ferroviere licenziato


Lucca, 06.12.2013
6° anniversario della strage
operaia alla Thyssen Krupp

mercoledì 11 dicembre 2013

“Pane e amianto”. Un romanzo dalla cronaca di Bari minacciata dalla Fibronit







Mercoledì 11 dicembre alle ore 18.00, presso la sala consiliare del Comune di Bari, il giornalista Giuseppe Armenise, presenta Pane e amianto, ispirato ai fatti di cronaca che a Bari hanno avuto per protagonista la Fibronit


di Antonello Fiore

Dai dati raccolti in quasi venti anni di cronache e dal confronto aperto e costruttivo con un gruppo di giovani studenti attenti alle tematiche ambientali e di amministratori sensibili e vogliosi di riscattare una città assopita, nasce un romanzo con centro la storia di un percorso d’amore, di denuncia, di dolore, di morte, ma alla fine di crescita e riscatto civile capace di affermarsi nonostante le vittime designate involontariamente costrette a respirare la fibra utilizzata per più di mezzo secolo una fabbrica d’amianto. Solo che le vittime non sono gli operi della vecchia Fibronit ormai dismessa nel 1985 e i cittadini di tre popolosi quartieri di Bari cresciuti attorno alla “fabbrica miniera di amianto” ma l’intera città, visto che la “fabbrica miniera di amianto” ha stoccato nel suo sottosuolo tutti gli scarti di lavorazione in un’epoca dove i controlli non garantivano la salute di nessuno.

E’ questo, in estrema sintesi, il filo conduttore di Pane e amianto (Poesis editrice), prima fatica letteraria del giornalista Giuseppe Armenise, da sempre attento alle tematiche ambientali. Il libro, che verrà presentato mercoledì 11 dicembre alle ore 18.00, presso la sala consiliare del Comune di Bari, sarà seguito da una tavola rotonda con la partecipazione di Nichi Vendola, Onofrio Introna, Michele Emiliano, Maria Maugeri, Giuseppe Gofferdo. Sotto la lente di ingrandimento di politici ed esperti ci saranno questi ultimi venti anni hanno visto impegnati società civile e amministratori per impedire un disastro ambientale e socio sanitario annunciato: inquinamento diffuso da fibre di amianto. Su questo Ambient&Ambienti ha rivolto alcune domande a Giuseppe Armenise.

Da qualche anno aumentano i libri che trattano di temi ambientali e della salute dei cittadini. Sono aumentati i casi d’inquinamento o è maturata una diversa coscienza che ispira gli autori?

«E’ aumentata la cassa di risonanza mediatica. Negli ultimi due anni, a casi come quelli dell’Ilva di Taranto e dell’Eternit di Casale Monferrato sono state dedicate paginate di giornale per settimane e settimane ininterrottamente più per le inchieste su grandi potentati (politici ed economici) e sui nomi eccellenti finiti nell’occhio del ciclone giudiziario che per l’emergenza igienico-sanitaria e ambientale in sé. Il sistema dell’editoria ha evidentemente annusato l’aria che tira e ha aperto le porte a parole quali ecomafia e amianto. Io credo che la sensibilità ai temi ambientali, invece, vada coltivata come tema prioritario e non mediato. Nel mio romanzo Pane e amianto parlo del caso della Fibronit di Bari, che dalla grancassa dell’informazione nazionale non è stato neanche sfiorato. Eppure è a Bari che è stata emessa, nel 2005, la prima sentenza in Italia per l’omicidio colposo di dodici ex operai morti a causa dell’amianto.E sempre a Bari, non altrove, è stato dimostrato il nesso di causalità tra l’esposizione all’amianto e il decesso per mesotelioma pleurico, il tumore dell’amianto, di una donna che non ha mai lavorato alla Fibronit, ma abitava lì vicino. Purtroppo (o per fortuna) nel caso della Fibronit, azienda dichiarata fallita da anni, non c’era da chiedere risarcimenti milionari, né da indagare politici di peso.

Una sorta di cinico federalismo del dolore ha, di fatto, classificato morti di serie A e morti di serie B a seconda che si parlasse di Piemonte o Puglia. E dunque si può dire che la sensibilità ai temi ambientali è aumentata? Per Bari, almeno nei quindici anni che hanno preceduto la messa in sicurezza della Fibronit, sicuramente sì. Ma ora tira di nuovo un’aria da deriva pericolosamente revisionista. Tra i tanti motivi che mi hanno spinto a scrivere il romanzo c’era la necessità di non dimenticare. Spero che la sensibilità sui temi ambientali possa far argine anche dove invece continua a fare notizia solo il sensazionalismo».

 Ieri come oggi ogni fabbrica che tratta materiale potenzialmente inquinante rappresenta la sopravvivenza per gli operai e le loro famiglie e una minaccia indesiderata per gli abitanti prossimi alla fabbrica. Come conciliare questi due aspetti?

«Nelle imprese in cui il rispetto dell’ambiente e le certificazioni ambientali sono giustamente considerati elementi di valore aggiunto dei prodotti industriali, non solo si vende di più, i lavoratori rendono di più e inevitabilmente è maggiore il livello di accettazione sociale delle fabbriche. Anche in questo esiste una sperequazione tra Nord e Sud Italia. I grandi gruppi industriali hanno sfruttato la debolezza del tessuto economico meridionale per trasferirvi cicli di produzione già vecchi al momento del loro avvio. Ora non si riesce più a liberarsene.

Il problema è che si parla tanto di energia verde, ma in realtà non esiste una svolta decisa del governo nazionale verso politiche di sostenibilità. Servono scelte coraggiose e una riconsiderazione del quadro di sviluppo industriale».

 Quando ha creduto che i dati raccolti per le cronache sul caso della Fibronit di Bari potevano diventare un romanzo?

 «Quando ho capito, raccogliendo il racconto dei congiunti dei morti, che la cronaca stava lasciando inesorabilmente lo spazio alla necessità di entrare in sintonia con queste persone. Gli articoli di giornale lasciavano sempre qualcosa fuori dalla loro stesura. A poco a poco l’accumulo di tutta quest’umanità dolente è divenuto tale da non poterlo più trattenere dentro».

 Pane e amianto nasce dalla sua esperienza diretta di giovane giornalista che ha creduto a un gruppo di giovani idealisti che ben e realisticamente descrive nel romanzo. Quale forza ha animato i quasi venti anni di cronaca di una “fabbrica della morte”?

«L’idealismo di quei giovani laureandi e la consapevolezza che giorno per giorno stavano acquisendo sempre più credito ai miei occhi. Questo credito era conquistato non già attraverso la rivendicazione e la protesta sterile, ma con dati di fatto e un’autorevolezza scientifica nel trattare il caso, che li rendeva inappuntabili».

 A chi ha dedicato il suo primo romanzo?

Beh, è ben evidenziato all’inizio del libro: alla mia straordinaria compagna di vita, mia moglie Laura, e ai miei due splendidi figli Domi (Domenico) e Gabri (Gabriele).

11 gennaio Convegno nazionale a Taranto

unirsi contro i padroni assassini, lo stato dei padroni,il governo dei padroni 
11 gennaio convegno nazionale a Taranto
da Prato a TARANTO

unirsi e alzare il tiro della lotta contro i padroni assassini, lo stato dei padroni, il governo dei padroni

unirsi e rafforzarsi per il sindacato di classe in fabbrica - strumento essenziale e decisivo per contrastare all'origine  la logica del capitale che uccide

organizzare ovunque la rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e sul territorio per dare battaglia in ogni luogo e in tutti campi contro le morti sul lavoro/dalavoro/da inquinamento

per la prospettiva di una rivoluzione politica e sociale che affermi il primato della vita degli operai e cittadini
 
11 gennaio ore 10
convegno nazionale a taranto
luogo da comunicare nei prossimi giorni

info-adesioni bastamortesullavoro@gmail.com
 

Rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e sul territorio

martedì 10 dicembre 2013

10.12.2013 - Comunicato ex familiari e lavoratori ThyssenKrupp Torino


GIU LE MANI DALLE EX AREE THYSSENKRUPP - ILVA

NO A SPECULAZIONI EDILIZIO-URBANISTICHE

IL COMUNE ONORI E RISPETTI LA VOLONTA' DELLE FAMIGLIE DELLE SETTE VITTIME DELLA STRAGE DEL 6 DICEMBRE 2007 E DEGLI EX LAVORATORI TK

In coincidenza con il Sesto Anniversario della strage del 6 dicembre del 2007, che vide perire in modo così orrendo i nostri compagni di lavoro Antonio, Angelo, Roberto, Bruno, Rocco, Rosario e Giuseppe, noi famigliari ed ex-Lavoratori chiediamo al Cumune di Torino, in particolare al Sindaco e al Consiglio Comunale di NON DIMENTICARE ciò che é successo in quella maledetta notte e mantenere viva la memoria della più grande ferita inferta alla città dopo i rastrellamenti e i bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Città e cittadini, un’intera comunità che tanto rimasero colpiti e segnati in quei giorni di lutto e cordoglio e che in modo naturale e solidale si strinsero in un abbraccio collettivo attorno alle famiglie dei sette operai e ai lavoratori TK che in quei giorni drammatici oltre che veder perdere la vita dei loro compagni e rischiare essi stessi la vita, avevano visto attuarsi lo sciagurato piano industriale della direzione aziendale TK di chiudere senza alcun preavviso il sito produttivo di Torino. Senza che per altro il Comune (l'allora Amministrazione Chiamparino) facesse nulla per impedirlo.

Per noi mantenere viva la memoria ed il ricordo dei nostri compagni di lavoro non vuol dire solo commemorarli, una volta l’anno, in un doveroso e pur importante “momento istituzionale”, attraverso la celebrazione della messa e il saluto del Sindaco e delle Autorità, come si è appena rinnovato venerdì scorso al Cimitero Monumentale. Per noi ricordare ed onorare ciò che è successo vuol dire anche e soprattutto far diventare “Patrimonio Collettivo” il fatto che nella nostra città culla del lavoro, in particolare dell’industria e nel segno della tradizione e della storia operaia, non accadano più stragi sul lavoro e siano riattualizzati valori come la dignità del lavoro ed il rispetto della salute e della vita dei lavoratori, ma anche dei cittadini che vivono nei pressi degli insediamenti produttivi rimasti in Città, proprio come ha ricordato nel suo ultimo discorso il Sindaco Fassino.

Una città che in più di un secolo è radicalmente cambiata e si è trasformata, pur tra enormi sacrifici e notevoli travagli socio-economici, e dopo alcuni decenni è passata dall'essere universalmente riconosciuta come la Città dell’Auto, simbolo del lavoro operaio e manifatturiero all'odierna “Moderna Città dei Servizi e del Turismo Europeo”: in sintesi la Torino Olimpica e degli eventi mediatici, che in questo scenario si è trasformata anche sul piano urbanistico con massicci interventi di riqualificazione attraverso il cambio di destinazioni d’uso di enormi ex-aree industriali. Milioni di metri quadri spesso “donati” ai privati, che vi hanno speculato costruendoci residenze private e supermercati, con rivalutazioni fondiarie rilevanti e perdita, per la Città, di importanti Aree che sarebbero dovute essere trasformate e destinate ad un miglior utilizzo per tutta la comunità con finalità sociali.

Come Ass. Legami d’Acciaio e come ex lavoratori e quindi semplici cittadini torinesi invitiamo il Sindaco, l’Assessore all'Urbanistica e tutto il Consiglio Comunale affinché la variante urbanistica (ex 221), che prevede un cambio di destinazione urbanistica diverso dai fini industriali-produttivi previsti, venga discussa con le modalità e l’iter più corretto ed idoneo della variante strutturale e non come si sta tentando di fare, cioè velocizzando inspiegabilmente la discussione prima in Commissione e poi in Consiglio con una “variante semplice” che non terrebbe in debita considerazione la complessità, i numeri ingenti in ballo (metri quadri, SLP, ecc...) ma soprattutto le doverose bonifiche (che dovrebbero essere poste a carico della ThyssenKrupp e non del Comune; e quindi gravare su noi cittadini) e le relative criticità ambientali.

Area che è stata investita per circa 60 anni da attività industriali siderurgiche molto inquinanti, con il loro relativo impatto protrattosi per decenni anche a livello infrastrutturale, con cunicoli e/o gallerie sotto la superficie dei capannoni. Inoltre non bisogna sottovalutare l’altissimo rischio di esondabilità presente in tutta l’area a valle del Parco della Pellerina, come dimostrato nei fatti con l’alluvione dell’ottobre del 2000, che vide i nostri reparti di lavoro completamente invasi e gravemente danneggiati dalle acque della Dora Riparia.

Quindi chiediamo all’Amministrazione Comunale e a chi ne ricopre le responsabilità di soprassedere e valutare bene il destino di quelle Aree, di tenere bene in conto degli elementi di discussione accennati sui rischi e sulle ricadute ambientali (prima di cospargerci il capo di cenere o inutili recriminazioni su danni a cose o a persone che sarebbero a rischio alluvione), di considerare per le stesse cose dette e delle promesse fatte negli anni da questa e dalla precedente Amministrazione.

Per noi questo vorrebbe dire veramente Ricordo e Memoria per ciò che è successo, e non solo commemorare la data del 6 dicembre, un rito collettivo che appare anche solo in parte routine e retorica con cui lavarsi la coscienza. Il solo ricordo non aiuterà a migliorare la città e la vita quotidiana dei suoi cittadini.

Legami d’Acciaio non ha la presunzione né proposte specifiche da avanzare per la riqualificazione dell’Area, certamente non nel merito tecnico. Questo non compete a noi. L’unica cosa di cui siamo certi è che l’area così com’è non può restare, va restituita alla Città con un riutilizzo in termini di superfici a maggioranza con finalità pubbliche e siamo altrettanto convinti che sull’area non debbano esserci “svendite”, come già successo, a privati o amici degli amici che le usino a fini speculativi. Se non sono state vendute in sordina nel frattempo le ex aree ci risultano appartenere alla Fintecna o meglio l’immobiliare CimiMontubi S.p.A., almeno per le aree ex-ILVA.

Legami d’Acciaio esorta l’Amministrazione, il Sindaco, il Consiglio a confrontarsi con la cittadinanza, i comitati di cittadini nati o esistenti da anni in quelle Aree, che si stanno impegnando a valorizzare anche con progetti e proposte per il riutilizzo dei milioni di metri quadri di questo pezzo importante di accesso alla città (varco Ovest). Ragionare tutti insieme, anche con noi famigliari ed ex-lavoratori, non solo per salvaguardare la memoria un pezzo di Storia della città, di ciò che era, ma soprattutto per ciò che riguarda il proprio futuro di moderna città solidale e sostenibile e del volto che Torino dovrà per forza di cose ricostruirsi, dopo la pesantissima fase di dismissione e delocalizzazione industriale di numerosi siti produttivi dovuti alla crisi degli ultimi anni.

Torino potrà superare questa crisi solo se verrà rilanciato il LAVORO: per esempio realizzando i lavori di bonifica dell'ex area Thyssen assumendo tra i numerosi cassintegrati e disoccupati.

Tra questi pure alcuni ex lavoratori ThyssenKrupp a cui Fassino ha promesso un lavoro, mai giunto. Francamente sia questa che la passata Amministrazione hanno usato molto la vicenda a fini mediatici ma poi in concretamente non hanno fatto niente di niente sia sul versante del miglioramento della sicurezza e della salubrità dei luoghi di lavoro, sia per quanto riguarda l'occupazione (ai minimi storici e peggio che nel resto d'Italia). L'ex Sindaco Chiamparino è stato premiato per la sua politica “rivolta ai cittadini” con la nomina ai vertici della Fondazione San Paolo. Piero Fassino invece preferisce investire sulla militarizzazione della Val Susa e l'inutile progetto T.A.V. (Treno a vapore), la svendita ai privati delle ex società municipalizzate, il taglio dei servizi (taglio ai percorsi G.T.T., ridimensionamento del servizio e del numero degli asili, peggioramento delle condizioni di studio, nessuna manutenzione agli edifici scolastici), appaltare scale mobili e ascensori per le stazioni di Porta Nuova e Porta Susa proprio a quei criminali della ThyssenKrupp. Proprio una bella mossa che rivela grande sensibilità da parte dell'Amministrazione! Ecco come si è concesso di recuperare gli oltre 36 milioni di euro che Thyssen ha dovuto risarcire a tutte le Parti Civili. Alla fine dopo la strage la ThyssenKrupp ci ha pure guadagnato: 7 morti, nessuno in galera, nessun colpevole, nessuna bonifica, introiti dalla cessione dell'area e anche proventi per i lavori nelle due stazioni ferroviarie torinesi. Il Comune di Torino: una manna per i padroni!?

Sindaco Fassino: possibile che non si rende conto che Torino sta morendo? E neanche tanto lentamente. Forse lei è troppo impegnato a seguire le questioni che riguardano il suo Partito ma la nella città in cui vivono 890 mila persone e che Lei amministra chiudono i negozi, nei mercati i banchi scompaiono, la Metro è pressoché deserta, i giovani non trovano lavoro, sempre più persone chiedono aiuto per arrivare a fine mese, la gente ruba per fame, gli spazi di aggregazione sono messi in discussione, sempre più tasse e meno servizi offerti ai cittadini. Ci manca solo uno scempio urbanistico di fronte al più grande e bel parco di Torino e siamo apposto! Ma noi siamo sempre ottimisti e propositivi. Ecco alcune misure che può attuare fin da subito: mantenere la promessa fatta agli ex lavoratori ThyssenKrupp di un posto di lavoro sicuro e dignitoso; abbandonare il folle progetto TAV e destinare i soldi a cose più utili; potenziare il trasporto pubblico anche nelle ore notturne; aprire musei e mostre oltre gli orari attuali, ristrutture le scuole che cadono a pezzi (le suggerisce niente il nome di Vito Scafidi?) e tante altre cose ancora.

In ultimo, caro Sindaco, la finisca di trincerarsi dietro questa puerile scusa che mancano i soldi per fare le cose. Nessuno la accuserà di infrangere il Patto di stabilità se userà l'influenza, l'autorevolezza e i mezzi di cui dispone per realizzare anche solo metà della metà delle cose che abbiamo proposto! Noi non vogliamo far crescere i nostri bambini in una città dove ci capita sempre più spesso di vedere anziani (e non) rovistare nei cassonetti della spazzatura! Non ci meritiamo questo e non vogliamo che la Città prima capitale d'Italia, culla del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, Medaglia d'Oro della Resistenza (Lei lo sa bene, suo padre era un Partigiano) e del Movimento Operaio diventi una città vuota, sterile, indifferente e cinica proprio come chi fa profitti sulle spalle dei lavoratori. Altrimenti non si stupisca dei fischi e delle contestazioni che accompagnano sempre più spesso le sue (sempre minori, a dire il vero...) apparizioni pubbliche.

Sempre pronti a discutere e confrontarsi.

Torino, 10 dicembre 2013                                                                        
 Familiari ed ex Lavoratori ThyssenKrupp Torino

lunedì 9 dicembre 2013

PROCESSO SOLVAY: UDIENZA DEL 9 DICEMBRE


L'udienza odierna - che inizia alle ore 9:45 in un'aula affollata, e sarà l'ultima prima della pausa per le feste del solstizio d'inverno - prevede l'ascolto degli altri due ct del pm e di uno delle parti civili.
Il primo della serie è il professor Adriano Fiorucci, ricercatore di geologia applicata del Politecnico di Torino; prima ancora, però, dell'esposizione dei contenuti del lavoro del ct, interviene l'avvocato Dario Bolognesi.
Questi eccepisce - ai sensi dell'articolo 178, lettera C, del cpp - la nullità di una parte delle sue valutazioni; il motivo è semplicissimo: tutto nasce dal fatto che, una parte delle rilevazioni su cui si basano, sarebbe stata effettuata in epoca antecedente al momento in cui le difese sono state edotte dell'esistenza dell'attività in questione.
Il pm, dal canto suo, si oppone all'eccezione perché tale richiesta avrebbe dovuto essere formulata entro la prima udienza preliminare: non essendo pervenuta entro tale data, la situazione è stata sanata da una sorta di silenzio-assenso.
La Corte si ritira per decidere in merito a questa questione; rientra in aula dopo circa quaranta minuti per leggere il dispositivo dell'ordinanza: in base a questo le eccezioni presentate vengono accolte, e viene dichiarata nulla la parte della consulenza eccepita.
A seguire comincia l'interrogatorio del pm Riccardo Ghio dal quale emerge la presenza nelle acque di falda di una serie di sostanze acide - quale l'acido cloridrico - e di solventi in grado di sciogliere il terreno argilloso, e quindi potenzialmente passibili di trasformare la falda stessa in modo da annullare la separazione tra la parte superficiale e quella profonda.
La seconda deposizione è quella della professoressa Ilaria Butera, ordinaria di idraulica presso il Politecnico di Torino; l'importanza del suo intervento risiede nel fatto che - ad integrazione della consulenza precedente - precisa che, negli anni che interessano il procedimento, la parte profonda della falda era 'semi confinata' rispetto a quella superficiale: da questa esisteva una certa quantità di passaggio di liquidi inquinanti che contaminavano così anche la parte profonda della stessa.
Terminata l'audizione dei ct del pm, il terzo è il dottor Giancarlo Ugazio, consulente di alcune parti civili difese dagli avvocati Giuseppe Lanzavecchia e Vittorio Spallasso; questi esplicita alla Corte gli effetti sulla salute umana delle varie sostanze tossico-nocive rinvenute nelle acque di falda e citate all'interno della consulenza del dottor Giorgio Gilli: in particolare si sofferma sull'alta tossicità del cromo esavalente che, se anche non immediatamente mortale, non aiuta certamente la salute di chi ne viene a contatto, anche per bocca.
Alle ore 12:00, esaurita la lista dei consulenti previsti, la presidente Sandra Casacci sospende definitivamente la seduta, rinviandola a mercoledì quindici gennaio: in quell'occasione verranno ascoltati i ct dell'avvocato Laura Mara, quelli del ministero dell'Ambiente, ed almeno i primi due delle difese.
Alessandria, 09 dicembre 2013

Stefano Ghio - Rete sicurezza Alessandria/Genova
http://pennatagliente.wordpress.com

giovedì 5 dicembre 2013

Tirreno Power Savona - emissioni mortali


Savona - Sarebbe compreso in una forbice tra 470 e 490 l’aumento dei casi di mortalità in seguito alle emissioni di Tirreno Power.
Ma non solo. Nelle zone a maggior ricaduta degli effetti nocivi della centrale, ci sarebbe stato un aumento dei ricoveri sia nelle persone adulte sia in quelle in giovane età, che si aggira sul migliaio di casi.
È una delle conclusioni a cui sono arrivati i periti nominati dalla procura nella consulenza depositata
nei mesi scorsi e che prende a riferimento il periodo tra il 2000 e il 2007. Un lavoro che è già stato illustrato al direttore dello stabilimento vadese quindici giorni fa nel corso dell’interrogatorio davanti al procuratore Francantonio Granero e al sostituto Chiara Maria Paolucci e che entro il fine settimana dovrebbe diventare di pubblico dominio con la consegna al Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando
(l’unica amministrazione ad averlo richiesto), ma anche alle difese dei tre indagati del voluminoso dossier.
Ma le sorprese dell’accurato lavoro tecnico si annunciano piuttosto clamorose. A cominciare dalle cause prese in esame per l’incremento della mortalità.
I consulenti dell’accusa infatti hanno tralasciato gli aspetti tumorali (difficili da imputare con esclusività alla centrale a carbone) concentrandosi sulle malattie cardiovascolari e respiratorie. Un colpo di scena inatteso, ma che gli esperti avrebbero spiegato con la maggior facilità ad individuare le possibili cause.
Il lavoro dei periti è stato piuttosto capillare a cominciare dallo studio sui licheni che ha permesso di stabilire le zone della provincia a minore o maggiore ricaduta degli effetti della centrale. E in questa fase è stato possibile accertare, per esempio, come la frazione di San Genesio sia quella maggiormente a rischio per la salute pubblica. Un primato finora sconosciuto e che indubbiamente non lascia tranquilli chi in quella frazione a ridosso delle ciminiere tanto contestate dagli ambientalisti cui vive. Ma è proprio da questi elementi che i tecnici sono poi potuti arrivare alla conclusione dell’aumento nella mortalità piuttosto elevato. L’incremento, riferito al periodo preso in esame, ha infatti come parametro di riferimento le aree a minore ricaduta rispetto a San Genesio per esempio
Ed è proprio su queste basi che il procuratore Francantonio Granero ha aperto il fascicolo per disastro ambientale, reato contestato a tre manager dell’azienda.
Elementi che due mesi fa avevano spinto lo stesso magistrato ad evidenziare come «ci sia stato un danno per la salute pubblica». Contestazioni che l’azienda ha sempre rispedito al mittente evidenziando come i dati e i monitoraggi abbiano sempre mostrato la buona qualità dell’aria nell’area vadese. Più complicato invece per gli inquirenti dimostrare il nesso causale tra l’inquinamento e i casi di morte. Non a caso il fascicolo per omicidio colposo è rimasto a carico di ignoti.
Che qualcosa non sia andato per il verso giusto in quel periodo specifico preso in esame starebbero a dimostrarlo le centinaia di documenti acquisiti la scorsa settimana dai carabinieri del Noe di Genova in
missione con la procura nei palazzi romani del ministero, Ispra e Ippc, ossia nella trafila degli organismi incaricati di controllare e vigilare sull’autorizzazione integrata ambientale. Ma il lavoro non sembra essersi ancora concluso. I blitz al di fuori della cittadella giudiziaria dovrebbero ripetersi a breve.

Genova, corteo lavoratori ex amianto


I lavoratori e i pensionati di Fincantieri, Ilva, Ansaldo, in strada per chiedere il riconoscimento delle indennità  revocate da Inail  
Il corteo dei lavoratori a De Ferrari (bussalino)  Alcune centinaia di lavoratori e pensionati delle aziende genovesi interessate alla legge sull' amianto (Ansaldo, Fincantieri, Ilva), protestano per strada a Genova per chiedere il riconoscimento dei benefici previdenziali per l'esposizione all'amianto revocati dall'Inail a seguito di un'inchiesta della procura. Si sono poi diretti  in Prefettura dove è in programma un incontro con il prefetto.
Ex lavoratori in corteo a Genova: "L'amianto uccide, basta polveroni" "Basta coi polveroni, abbiamo già respirato le polveri di amianto" è scritto su uno striscione. In Prefettura sono stati portatia nche i cartelloni che indicano l'incidenza del mesotelioma pleurico sui lavoratori, causato dall'inalazione di polveri di amianto durante le lavorazioni.

Michelin -inferno e paradiso

Nuova udienza, ieri, in tribunale per il processo che vede imputati ex
dirigenti Michelin per lesioni personale e omicidio colposo. Gli ex
dipendenti parlano delle condizioni di lavoro: “un inferno”
ALESSANDRIA –
Ci dovevano essere dei reparti “inferno” ed altri più simili al paradiso
nello stabilimento Michelin di Spinetta Marengo tra gli anni '70 e '90.
O almeno questa è l'impressione che se ne trae dalle testimonianze degli ex
dipendenti, chiamati a raccontare “la fabbrica” dal pubblico
ministero.
Ieri mattina, davanti al giudice del tribunale di Alessandria, sono stati
ascoltati tre nuovi testimoni.Tutti affetti da patologie che potrebbero
essere imputabili al lavoro
Raccontano del reparto mescole (ocottura), delle presse che emanavano un
calore insopportabile.  Ha 83 anni il testimone che lo afferma e dimostra di
avere una buona
memoria. Secondo quanto racconta, l'anno successivo al suo ingresso in
stabilimento, nel '73, le condizioni di lavoro migliorano, viene messo un
sistema di aerazione ed automatizzate delle linee. Poi fu trasferito “ai
lordi”, e “lì si stava bene, faceva meno caldo.
Il secondo testimone dice di esserci stato poco in Michelin, tre anni, dal
'72 al 75. Ricorda però che “anche se la polvere non si vedeva, come uscivi
dal reparto ti accorgevi di essere nero per la sporcizia”. La doccia a fine
turno “era obbligatoria”.
Ci ha lavorato quasi una vita, dal '72 al '94, in Michelin il terzo
testimone. Sul banco arriva con la bombola per l'ossigeno e ogni tanto
di deve fermare per ritrovare il fiato. Più di 20 anni, tutti nel reparto Z.
“misuravo io stesso la temperatura, costante, tra i 25 e i 28 gradi.
Un caldo insopportabile”. Per non parlare, poi, della “puzza”. Gli ambienti
“erano sporchi, polvere ovunque. Sono
migliorati un po' quando dopo aver fatto sciopero abbiamo ottenuto la
macchina spazzatrice ad acqua”. E' lui che parla di “reparti inferno”,
senza troppi giri di parole. Ricorda tutto, parla delle sue patologie
(“cinque, croniche”) come di vecchie medaglie, dopo una vita di lavoro.
La prossima udienza il 19 dicembre

PROCESSO SOLVAY. UDIENZA DEL 25 NOVEMBRE


Dopo una difficoltosa produzione di documenti da parte degli avvocati Dario Bolognesi e Luca Santa Maria - la Corte li acquisisce essendone stata "convinta per stanchezza", in quanto avrebbe preferito procedere in tal senso solo dopo che fossero stati epurati da quelli in precedenza già consegnatele - inizia l'audizione dei testimoni previsti per la giornata di oggi.
Il primo della lista è Maurizio Maria Lodone, sedicente esperto di sicurezza a livello europeo per la Solvay: questi, evidentemente ben istruito da chi conduce l'interrogatorio, martella insistentemente sulla questione della presenza del cromo nelle rilevazioni nei pozzi nel corso dei decenni precedenti l'anno di acquisizione dello stabilimento di Spinetta Marengo da parte della Solvay Solexis.
Menziona addirittura, nel tentativo - in questo aiutato dal terzo teste della giornata, l'ufficiale di Polizia Giudiziaria (in servizio presso il servizio di igiene ambientale dell'Arpa Alessandria) Aldo Boveri, che aggiunge l'informazione secondo la quale nelle acque di cui si parla sarebbero stati presenti anche solventi clorurati e solventi aromatici - di dimostrare che sia la sola Ausimont la responsabile dell'avvelenamento della falda sottostante l'azienda, una relazione del 1946 del professor Conti dell'Università di Genova secondo la quale l'apparizione del cromo era riconducibile ad almeno quattro anni prima.
Peccato che il suo scarso livello di competenze sarà successivamente messo in evidenza dalle risposte che egli non darà alle domande che gli verranno poste dall'avvocatessa della difesa Guarracino.
Detto del fatto che il quarto, e ultimo, testimone della giornata - il presidente dell'Amag, dal 2001 al 2008, Luigi Inverso - non aggiunge nulla di essenziale a quanto emerso sinora, resta da occuparsi dell'audizione dell'europarlamentare, ex Lega Nord, Oreste Rossi.
Costui - nella sua qualità di perito chimico (ha iniziato la facoltà di Farmacia, ma non ha concluso il corso di studi) - spiega alla Corte gli effetti devastanti dell'inquinamento da acido cloridrico, che lui asserisce di aver sempre notato, in particolare sulle piante e sulle costruzioni presenti nell'abitato di Spinetta Marengo: parla come un vero esperto, ma la sua scarsa conoscenza del tema viene evidenziata dalla sua titubanza nel rispondere alle domande dell'avvocato di parte civile Giuseppe Lanzavecchia.
Alle ore 13:30, esaurita la lista dei testimoni presenti - avrebbero dovuto essere sei, in totale, ma Verri e Piemonti non si sono presentati nonostante siano stati raggiunti dai decreti di citazione, per cui le difese rinunciano ad ascoltarli - la presidente Sandra Casacci sospende definitivamente la seduta, rinviandola a mercoledì quattro dicembre; in quell'occasione verrà ascoltato l'ultimo teste della difesa Guarracino, il signor Cebrero, e due dei consulenti presenti nella lista del pm Riccardo Ghio: i signori Aspes e Fiorucci.
Alessandria, 25 novembre 2013

Stefano Ghio - Rete sicurezza Alessandria/Genova
http://pennatagliente.wordpress.com

mercoledì 4 dicembre 2013

PROCESSO SOLVAY: UDIENZA DEL 4 DICEMBRE


L'udienza odierna inizia alle ore 9:45 con l'audizione dell'ultimo testimone della difesa: Alessandro Cebrero, responsabile del servizio gestione manutenzione dello stabilimento di Spinetta Marengo fino al 2008, interrogato dall'avvocato Cammarata della difesa Guarracino.
Questi non aggiunge molto alle conoscenze della Corte; l'unico ulteriore dato di un qualche interesse sembra essere l'affermazione secondo la quale le spese per l'attività di sua competenza - da quando il sito è stato acquistato dalla Solvay - sono sostanzialmente raddoppiate rispetto al periodo precedente, passando da 6-7 milioni di Euro annui a 14-15, arrivando così a rappresentare circa il dieci per cento del totale degli investimenti.
A seguire tocca al primo consulente tecnico (ct) del pm: il professor Giorgio Gigli, ordinario di igiene presso l'Università di Torino.
Questi - interpellato per verificare i potenziali effetti, sulla popolazione, della sua esposizione alle sostanze cancerogene, e tossico-nocive, presenti nelle acque della falda sottostante lo stabilimento - afferma che la rilevazione di elevatissimi livelli di cromo esavalente, solventi clorurati, cloroformio, tetracloroetilene, ed altre sostanze, portano ad un aumento esponenziale dei rischi, di contrarre patologie acute o croniche correlate alle sostanze presenti, rispetto ai valori accettabili (esiste, purtroppo, un rischio fisiologico che necessariamente rientra nella normalità delle cose).
Penso sia utile segnalare il controinterrogatorio molto aggressivo da parte degli avvocati Pulitanò, Santa Maria, ed Arcigni, volto a screditare il ct: talmente aggressivo da costringere la presidente Sandra Casacci ad interromperlo perché "le considerazioni degli avvocati della difesa sono da farsi nella fase successiva della discussione, non nel corso del dibattimento"; mi prema però precisare che il Gigli, prima dell'intervento della Corte, stava tenendo bene testa ai tre legali su citati.
Per terza depone l'unica testimone della lista dell'avvocato Laura Mara - legale di Medicina Democratica - la signora Franca Savoldelli; costei è una ex residente di Spinetta Marengo, dal 1956 al 2004: quell'anno è emigrata, a seguito di alcune informazioni ricevute dal figlio, nel comune di Gamalero.
Costui, all'epoca dei fatti dipendente della Solvay, le spiegò che l'azienda aveva interrato - nel corso dei decenni precedenti - una gran quantità di fusti contenenti cromo nel suolo sottostante lo stabilimento, e che probabilmente questa sostanza era penetrata nel terreno fino alla falda acquifera, contaminandola.
Appare interessante precisare che - nel medesimo periodo - lo stesso, insieme con altre due persone, presentò un esposto in tal senso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria, e questo gli valse (come accadde anche agli altri) il licenziamento.
Infine, sembra di una qualche utilità precisare che la Savoldelli dal 2009 è in cura farmacologica a causa dell'insorgenza di una forma tumorale ricollegabile con l'assunzione dell'acqua 'potabile' di Spinetta Marengo.
Per concludere si assiste all'esposizione della consulenza tecnica, sempre per conto del pm Riccardo Ghio, del dottor Pierfrancesco Aspes.
Costui, attualmente in quiescenza, è stato un tecnico incaricato di effettuare le analisi sulle acque prelevate dai carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico in quindici cascine ubicate attorno al sito produttivo.
Questi precisa chiaramente come il cromo, durante le sue rilevazioni, fosse sostanzialmente nella norma: 'in compenso', però erano altissime le concentrazioni di composti idrogenati la cui presenza indicava chiaramente la pesante contaminazione delle acque.
Alle ore 13:20, concluse le audizioni e depositate le relazioni dei due ct, la presidente sospende definitivamente la seduta e la rinvia a lunedì nove dicembre; nell'occasione verranno ascoltati gli altri due ct presenti nella lista del pm: i signori Marcucci e Butera.
Alessandria, 04 dicembre 2013

Stefano Ghio - Rete sicurezza Alessandria/Genova
http://pennatagliente.wordpress.com