giovedì 30 gennaio 2014

Alla LDD in lotta Magazzino di Trezzo: incidente sul lavoro, grave un operaio di 36 anni



30 gennaio 2014 Incidente sul lavoro: grave un operaio di 36 anni
Ieri mercoledì 29/01/2014 alle ore 11:53 una pattuglia della Polizia Locale
di Trezzo sull'Adda, su richiesta del Servizio 118 interveniva in Viale
Lombardia al civico n. 80 presso il capannone/deposito della Società LDD SPA
per la segnalazione di un infortunio sul lavoro.
Mentre giungeva sul posto atterrava anche l'elisoccorso, che prestava le
prime cure all'infortunato, un uomo 36 anni residente ad Aversa e dipendente
di una cooperativa sociale operante all'interno del deposito. Le condizioni
dell'uomo sono apparse subito gravi ed è stato immediatamente trasportato
presso l'ospedale San Raffaele di Milano.
Gli agenti della Polizia Locale coordinati dal Comandante Sara Bosatelli
procedevano a effettuare tutti gli accertamenti del caso e a effettuare una
prima ricostruzione dell'accaduto.
Sul posto sono state rinvenute prove e tracce utili che contribuiranno a
fare chiarezza sulla dinamica.
L'incidente risulta essere avvenuto all'interno del capannone, dove un
autocarro - per cause ancora in corso di accertamento - ha investito l'uomo
mentre era intento a fornire indicazioni proprio all'autista del mezzo. Il
ferito è stato subito soccorso da un collega che accortosi dell'incidente ha
assistito l'uomo fino all'arrivo dell'autoambulanza e dell'elicottero del
118.
In luogo giungeva personale della ASL MI2 della sede di Trezzo sull'Adda,
che coordinato dal Dr. Mario Modica accertava le condizioni di sicurezza sul
luogo dell'infortunio. Congiuntamente all'ASL MI2 venivano effettuati i
rilievi fotografici e planimetrici sul teatro dell'incidente.
Le condizioni dell'infortunato al momento sono gravi e la prognosi rimane
riservata. Molta l'apprensione tra i colleghi di lavoro che hanno seguito il
ferito all'ospedale e stanno attendendo notizie dai sanitari.

Raffaele Guariniello inaugura il corso di formazione "Amianti"

Il 28 gennaio ad Alessandria la lezione del magistrato-simbolo del processo
Eternit, per presentare il nuovo corso del Dipartimento di Scienze e
Innovazione Tecnologica di Alessandria
ALESSANDRIA - Il corso di formazione "Amianti. Metodi di determinazione,
normativa, analisi del rischio e gestione da esposizione" - organizzato
dall'Università
del Piemonte Orientale con la collaborazione della Città di Casale
Monferrato, dell'ASL di Alessandria, del Centro Sanitario Amianto e il
patrocinio della Regione Piemonte, dell'ANCI Piemonte e dell'Ordine degli
Architetti di Novara - esordirà ufficialmente oggi, martedì 28 gennaio
presso il Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica di Alessandria.
La prima lezione sarà affidata al docente d'eccezione Raffaele Guariniello,
magistrato piemontese che è stato tra gli artefici della storica sentenza di
condanna in primo grado pronunciata dal Tribunale di Torino nel febbraio
2012 a carico dei vertici di Eternit. La lezione inaugurale, dal titolo "La
giurisprudenza sull'amianto", farà parte della cerimonia di inaugurazione
del Corso che - con inizio alle 14 presso l'aula magna del Dipartimento di
Viale Teresa Michel 11 - prevede anche gli interventi del rettore Cesare
Emanuel, del direttore del Dipartimento Graziella Berta, dell'assessore
regionale alla sanità Ugo Cavallera, del sindaco di Casale Monferrato
Giorgio Demezzi, del direttore generale di ASL AL Paolo Marforio e
dell'onorevole Renato Balduzzi.

Il corso "Amianti" mira a implementare le attività di prevenzione che vanno
poste in essere attraverso soluzioni che vedono coinvolte attività di tipo
sanitario, ambientale, giuridico-amministrative, organizzative, economiche e
socio-culturali. La direzione scientifica di Amianti è affidata alla
professoressa Caterina Rinaudo (DiSIT UPO) e al dottor Massimo D'Angelo
(Centro Sanitario Amianto). Al momento sono 64 gli iscritti al corso e le
iscrizioni sul portale rimarranno aperte sino al 20 gennaio 2014. Il corso
si svolgerà interamente presso il Dipartimento di Scienze e innovazione
tecnologica, ad Alessandria. Per dare al maggior numero di persone possibile
l'opportunità di seguire le lezioni verranno utilizzate tecnologie avanzate
per garantire la diretta streaming di tutti gli interventi, la fruizione in
streaming on-demand delle registrazioni del corso e l'attivazione della Web
conference per consentire l'interazione con i docenti anche a chi non fosse
presente in aula. L'obiettivo del corso - 6 giornate per un totale di 20 ore
di formazione in materie giuridiche, economiche e tecnico-scientifiche dal
28 gennaio al 7 marzo 2014 - è quello di dare una formazione completa e
aggiornata al personale che opera nei Comuni (amministratori, personale
amministrativo e degli uffici tecnici), ma anche a liberi professionisti e
diplomati, sulle tematiche inerenti l'amianto e la gestione del rischio a
esso correlato al fine dare ai partecipanti le competenze necessarie per la
gestione degli Sportelli Informativi Amianto. La lezione del sostituto
procuratore Raffaele Guariniello è aperta al pubblico. Per informazioni sul
corso e sull'evento inaugurale è possibile contattare lo 0161 261528 oppure
scrivere una e-mail a progetti.didattica@unipmn.it
Ecco il programma completo:

28 gennaio 2014 - 14.00-18.00

Presentazione del corso. Intervengono Cesare Emanuel, Graziella Berta, Ugo
Cavallera, Giorgio Demezzi, Paolo Marforio, Renato Balduzzi.

Prima lezione

Raffaele Guariniello - "La giurisprudenza sull'amianto"

Fasi minerali definiti "amianto" e metodi di determinazione (1 ora)
Le patologie amianto correlate (1 ora)
Gli Enti preposti alla tutela della salute ambientale e umana: i
Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali e L'Agenzia
Regionale per la Protezione dell'Ambiente: Attività, Funzioni, Ruolo (1 ora)

7 febbraio 2014 - 9.30-13.30

La normativa sull'amianto: Legge 257/92, Decreto Ministeriale 6 settembre
1994, Decreto Ministeriale 14 maggio 1996) (2 ore).
La gestione delle segnalazioni/esposti e la valutazione dello stato delle
coperture in cemento amianto (D. G. R. 18 dicembre 2012, n. 40-5094) (2 ore)

14 febbraio 2014 - 9.30-13.30

La rimozione di modeste quantità di amianto in matrice cementizia o
resinoide (1ora)
I rifiuti contenenti amianto ed il conferimento in discarica (1 ora)
Principi normativi e interventi di verifica nei cantieri con rimozione di
amianto (2 ore)

21 febbraio 2014 - 9.30-13.30

Il sistema di gestione delle problematiche inerenti l'amianto in Piemonte:
strutture, funzioni, attività (1ora)
Gli sportelli informativi amianto nei Comuni: gli obiettivi, la funzione, le
attività (1 ora)
Valutazione del rischio da esposizione ad amianto (1 ora)
La gestione del rischio: la tutela della salute della popolazione e dei
lavoratori rispetto alle fibre di amianto (1 ora)

28 febbraio 2014 - 9.30-13.30

Il censimento dei materiali e manufatti contenenti amianto (1 ora)
Metodi di bonifica per manufatti contenenti amianto in matrice compatta e
friabile (2 ore)
L'amianto in matrice minerale: l'impatto ambientale e le misure per la
gestione del rischio (1ora)

7 marzo 2014 - 9.30-13.30

Tavola rotonda multidisciplinare di confronto tra i partecipanti e tutti i
docenti del corso (2 ore)
28/01/2014
Redazione - redazione@alessandrianews.it

Osio Sopra(BG). Tre operai feriti in una esplosione in fabbrica

Tre operai sono rimasti feriti in una esplosione si è verificata questa
mattina dopo le 8 allo stabilimento della Siad di Osio Sopra (Bergamo). I tre operai sono rimasti feriti, fortunatamente in modo non grave. Secondo una prima ricostruzione, i tre operai sono stati investiti dallo scoppio improvviso di una bombola carica di un gas. Subito soccorsi sono stati trasportati con le ambulanze al nuovo ospedale Papa Giovanni di Bergamo. Le loro condizioni - al momento - non paiono destare preoccupazione.

AMIANTO: COMUNICATO STAMPA PROCESSO PIRELLI



Invio il comunicato stampa predisposto dal “Comitato per la salute nei luoghi di lavoro e sul territorio” di Sesto San Giovanni, formato prevalentemente da ex lavoratori Breda e Pirelli, difeso dall’avvocato Laura Mara come AIEA e MD
Saluti
Fulvio Aurora

Inviamo per conoscenza, un comunicato stampa del nostro Comitato sull’udienza che si è tenuta oggi del processo contro i dirigenti della Pirelli di Milano.
Cordiali saluti.
Per il Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio.
Michele Michelino michele.mi@inwind.it

MORTI PER AMIANTO ALLA PIRELLI: SENTITI OGGI COME TESTIMONI ALTRI 8 LAVORATORI. IL PROCESSO CONTRO I DIRIGENTI PIRELLI CONTINUA E GLI OPERAI CONTINUANO A MORIRE.

Oggi 24 gennaio 2014 si è svolta un’altra udienza del 1° processo (giudice dottor Martorelli) che vede sul banco degli accusati 11 dirigenti della Pirelli di viale Sarca e via Ripamonti a Milano, accusati della morte di 24 operai.
Alle ore 9,30 è cominciato nell’aula 6 del 3° piano del Palazzo di Giustizia di Milano l’interrogatorio dei 10 lavoratori chiamati a testimoniare: solo 8 erano presenti perchè nel frattempo due sono deceduti.
Il primo degli 8 ex lavoratori (classe 1943) chiamati dal PM dottor Maurizio Ascione a descrivere le condizioni di lavoro nella fabbrica quando lavorava (dal 1972 al 1984) e le sostanze usate nel processo di produzione, ha descritto le condizioni di lavoro del reparto cinturati pesanti (gomme) e, a precise domande sull’amianto ha affermato: “Eravamo circondati dall’amianto, l’amianto era presente su tutte le lavorazioni a caldo sui macchinari, sui tubi e l’azienda non ci ha mai informato sui rischi che correvamo. Lavoravamo in locali polverosi (nerofumo, ecc.) e ho visto che i manutentori senza mezzi di protezione individuali coibentavano i tubi con le mani”. Alla domanda del PM se avesse contratto malattie, ha risposto: “Sì, ho un tumore alla prostata, uno alla vescica e mi hanno tolto un polmone”.
Il secondo teste, un operaio manutentore elettricista classe 1946 in servizio dal 1968 al 1998, a domande del PM e degli avvocati ha risposto: “l’azienda era piena di amianto, nessuno ci ha informato sui rischi e c’erano reparti infernali come la sala mescole”. Alla domanda del PM se avesse problemi di salute, ha risposto: “Ho un tumore al rene”.
Il terzo teste, classe 1930 in Pirelli dal 1968 al 1985, lavoratore addetto alla mensa e al reparto cinturato ha ribadito che sull’amianto non era stata data “nessuna informazione sui rischi e che gli ambienti di lavoro erano sempre insalubri”.
Il quarto teste, operaio manutentore delle caldaie dal 1952 al 1984, ha dichiarato che l’amianto era “ovunque nelle gallerie dove lavorava”
Il quinto teste, operaio del reparto cavi, classe 1938, addetto alle trafile PVC e vulcanizzazione, ha detto che “l’amianto era nei cavi intrecciati e nell’ambiente”. Alla domanda del PM su eventuali malattie ha risposto: “Ho un tumore al rene e uno alla vescica”.
Il sesto teste, operaio del reparto vulcanizzazione gomme classe 1937 ha dichiarato “si lavorava con la carcassa della gomma riempita d’amianto e c’era nebbia in reparto per la polvere. I capi non davano mascherine, le ventole non aspiravano” e alla rituale domanda del PM ha risposto: “Sono stato operato alla vescica”.
Il settimo teste, operaio del reparto mescole dal 1973 al 1981, classe 1924, ha detto “non ci davano nessuna informazione sui rischi e non c’erano mascherine”.
L’ottavo teste, assistente di produzione alla copertura delle gomme, dipendente Pirelli dal 1969 al 1989, ha dichiarato che dopo aver visto tutti i suoi amici andati in pensione morire poco dopo, anche lui subito dopo la pensione ha avuto “tumori alla vescica e al rene”.
Crediamo che la pura sintesi delle testimonianze esprima chiaramente cosa significa la ricerca del massimo profitto da parte d’industriali e dirigenti senza scrupoli, coperti da istituzioni complici e da politici e sindacalisti sul libro paga dei padroni, che ha portato alla morte decine di migliaia di persone.
Lo sfruttamento degli esseri umani è un crimine contro l’umanità. Chi non rispetta la salute dei lavoratori e dei cittadini, condannandoli a morte per risparmiare sulle misure di sicurezza, è un criminale e come tale va perseguito.

Sesto San Giovanni, 24 gennaio 2014
COMITATO PER LA DIFESA DELLA SALUTE NEI LUOGHI DI LAVORO E NEL TERRITORIO
via Magenta, 88 20099 Sesto San Giovanni (MI)
c/o Centro Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”
telefono e fax 02 26 22 40 99
cellulare 335 78 50 799

5 Febbraio, udienza di appello per reintegro di Sandro Giuliani


MERCOLEDI’ 5 FEBBRAIO ore 9,30
PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
 via Varisco, ingresso piazzale Clodio
 
Si svolgerà l’udienza di appello per revocare l’assurdo licenziamento, disposto il 21 gennaio 2011, del nostro collega Sandro Giuliani, dopo che in primo grado il giudice ha negato il reintegro.
Partecipiamo numerosi per testimoniare la nostra solidarietà!

Per informazioni Giuseppe Carroccia 335 7400 252

COMITATO PER IL REINTEGRO DI SANDRO GIULIANI

5 Febbraio, udienza di appello per reintegro di Sandro Giuliani

MERCOLEDI’ 5 FEBBRAIO ore 9,30
PRESSO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA

 via Varisco, ingresso piazzale Clodio

    Si svolgerà l’udienza di appello per revocare l’assurdo licenziamento, disposto il 21 gennaio 2011, del nostro collega Sandro Giuliani,
 dopo che in primo grado il giudice ha negato il reintegro.
      Partecipiamo numerosi
per testimoniare la nostra solidarietà!


Per informazioni Giuseppe Carroccia 335 7400 252


COMITATO PER IL REINTEGRO DI SANDRO GIULIANI
- See more at: http://viceversa-news.blogspot.it/2014/01/5-febbraio-udienza-di-appello-per.html#sthash.mMAy5DsO.dpuf

5 Febbraio, udienza di appello per reintegro di Sandro Giuliani

MERCOLEDI’ 5 FEBBRAIO ore 9,30
PRESSO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA

 via Varisco, ingresso piazzale Clodio

    Si svolgerà l’udienza di appello per revocare l’assurdo licenziamento, disposto il 21 gennaio 2011, del nostro collega Sandro Giuliani,
 dopo che in primo grado il giudice ha negato il reintegro.
      Partecipiamo numerosi
per testimoniare la nostra solidarietà!


Per informazioni Giuseppe Carroccia 335 7400 252


COMITATO PER IL REINTEGRO DI SANDRO GIULIANI
- See more at: http://viceversa-news.blogspot.it/2014/01/5-febbraio-udienza-di-appello-per.html#sthash.mMAy5DsO.dpuf

PROCESSO SOLVAY: UDIENZA DEL 29 GENNAIO


L'udienza odierna si apre alle ore 9:50: prevede le ultime schermaglie tra le parti ed i consulenti tecnici delle difese Solvay, che si avvalgono anche di un grande dispiegamento di monitor per illustrare le proprie valutazioni in merito ai quesiti di cui sono stati investiti.
Non si conoscono bene le competenze dei ct in questione, anche se vengono sbandierate ad ogni pie' sospinto: evidentemente, però, non sono delle più granitiche, visto che le difese degli imputati sono costrette - durante il controinterrogatorio del pm Riccardo Ghio, e degli avvocati di parte civile - ad interrompere a più riprese le domande delle parti, in modo da cercare di togliere dall'impaccio il loro consulente in evidenti difficoltà.
Mi preme segnalare una simpatica iniziativa degli attivisti locali di Medicina Democratica, costantemente presenti a tutte le udienze: si presentano in aula con due bottiglie - dal rispettivo contenuto di 1,50 litri e 0,50 litri - di "Acqua Minerale Innaturale d.o.c. 'Solvay' Spinetta Marengo - Cromo Esavalente e Solventi Clorurati oltre i limiti di legge".
Con la seduta odierna si conclude la fase dibattimentale del procedimento; lunedì dieci febbraio - in occasione della prossima udienza - avrà inizio, con la prima parte della requisitoria del pm, la discussione: al termine di questa ci sarà la sentenza della Corte di Assise presieduta dalla dottoressa Sandra Casacci.
Alessandria, 29 gennaio 2014

Stefano Ghio - Rete sicurezza Alessandria/Genova
http://pennatagliente.wordpress.com

martedì 28 gennaio 2014

ENI DI GELA - IL REPARTO KILLER UCCIDE ANCORA

Il "Reparto Killer" uccide ancora, muore Salvatore Mili "padre esemplare che ha combattuto con grande dignità"
 

Lun, 27/01/2014 - 14:42

Rosa Battaglia

Si è spento nella
notte dopo una
lunga battaglia
Salvatore Mili, 67
anni, ex dipendente
del reparto
Clorosoda dello
stabilimento Eni
di Gela. L'uomo
era ricoverato da
qualche giorno
nel reparto
Hospice del
Vittorio Emanuele

di Gela. Soltanto
qualche giorno fa,
il figlio Orazio,
 scriveva sulla
sua pagina Facebook:
"L'Ex Impianto
Cloro Soda continua
a fare vittime, ma
dov'è la Giustizia?
Come mai si
da Giustizia alla
carrozzeria delle macchine e non si da Giustizia ai nostri padri che hanno
sofferto per portare a casa un pezzo di pane pagato con la vita stessa?
Continuo a stare vicino a mio papà agonizzante e mi viene voglia di gridare
al mondo intero che dei killer ci hanno tolto la serenità , il mio pensiero va a tutte
le famiglie di ex operai a tutti quei bimbi morti in tenera età e a tutti quei giovani
 che continuano a lottare per la vita . Gela di certo non meriti questo. Sei stato
 un grande papà che ha combattuto con dignità esemplare questa lunga battaglia"
Salvatore Mili aveva denunciato l'esposizione a mani nude a elementi
pericolosissimi durante i turni di lavoro.
Intanto la Procura di Gela ha avanzato la richiesta di incidente probatorio
per indagare sulle dodici morti sospette legate al "Reparto Killer" rompendo
definitivamente il silenzio che, in questi anni, ha accompagnato la vicenda
legata al Clorosoda. È il segnale che lo Stato è presente e che vuole fare
chiarezza una volta per tutte sul nesso di causalità che lega le attività che si
svolgevano all’interno dell’impianto e le tante patologie tumorali che hanno
falcidiato in questi anni gli operai che hanno lavorato lì dentro.
La città tutta, il primo cittadino Angelo Fasulo, chiedono giustizia sulle
 morti avvenute, sostegno per le loro famiglie ed i tanti altri operai che
in questi anni hanno contratto patologie tumorali: è fondamentale che
i responsabili di questa tragedia, una volta individuati, paghino per ciò che
hanno fatto.
Nella giornata della memoria, oggi 27 Gennaio, Gela conta un'altra morte
in quella che sarà la sua personalissima memoria storica e civile per
una battaglia con cui soltanto adesso inizia a fare i conti.



Esposto USI e Rsu Usi di Zètema per salute e sicurezza al Museo della Civiltà Romana...

COMUNICATO RADIO STAMPA - PER PUBBLICAZIONE E DIFFUSIONE, grazie

Roma, 27 gennaio 2014
"Tutelare la salute e la sicurezza di chi lavora, della cittadinanza produce fastidio per chi governa, finchè la salute e la sicurezza non sono un bene da tutelare ma sono ancora considerati un costo da sopportare"
In merito all'Esposto segnalazione di Unione Sindacale Italiana per il Museo della Civiltà Romana:
Si precisa che su esposto segnalazione denuncia dell'Unione Sindacale Italiana e della
RSU interna della società Zètema, in materia di salute e sicurezza a tutela di lavoratrici e lavoratori e della cittadinanza che visita i siti museali, l'Ispettorato del lavoro di Roma ha fatto sopralluoghi al Museo della Civiltà Romana e al Planetario, riscontrando la veridicità e attendibilità di quanto segnalato ed esposto dal sindacato autoganizzato USI, che aveva in più occasioni fatto anche molte segnalazioni interne in materia ai vertici aziendali e comunali.
Gli Ispettori del lavoro hanno dato al Comune e alle società che gestiscono le attività museali dei termini di prescrizione per lavori di adeguamento e messa a norma, che solo in parte sono stati iniziati, ma che non hanno risolto nè eliminato i fattori di rischio e pericolo segnalati dall'USI, che è in prima fila sulle iniziative su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e sui territori, facendo parte sia del "Comitato 5 aprile" di Roma che è nodo locale della RETE NAZIONALE SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO E SUI TERRITORI.
Al termine della fase preliminare e per garantire una prima fase di messa a norma, la Sovrintendenza capitolina di Roma Capitale e la stessa Zètema hanno predisposto la chiusura parziale di alcune sale del Museo della Civiltà Romana e altre misure la cui incisività ed effettività sarà costantemente monitorata non solo dagli organismi di vigilanza preposti, ma dalla stessa Unione Sindacale Italiana, che ritiene la prevenzione, l'attenzione e l'intervento per l'eliminazione dei fattori di rischio e pericolo o almeno la sua sostanziale riduzione un elemento importante per evitare che si sottovaluti il problema e si debba poi commentare incidenti sul lavoro con feriti, morti sul lavoro o danni agli utenti e alle strutture pubbliche.
La preoccupazione dell'Usi e delle rappresentanze interne nei posti di lavoro è che tale provvedimento per il Museo della Civiltà Romana, sia solo una misura parziale e insufficiente, che non elimina la questione e dia solo un segnale di facciata che sposta la questione nel tempo, mentre per Usi le questioni relative alla salute di chi lavora, alla sicurezza per utenti, visitatori e cittadinanza e sicurezza degli edifici come di siti lavorativi e produttivi, necessiti di un intervento pianificato, programmato nel tempo e con attenzione più alla fase di prevenzione, informazione e formazione per i vari rishci e pericoli, con valutazione dei costi e dei benefici complessivi, piuttosto  che di intervento successivo quando i danni si sono provocati.
Per l'Unione Sindacale Italiana come per la stessa rete nazionale per la salute e la sicurezza, la salute non è una merce e la sicurezza non può essere considerata un costo da sopportare, ma sono interessi e beni collettivi da tutelare in modo pieno ed efficace.
L'USI esprime la sua solidarietà alla collega, in servizio presso il Museo della Civiltà Romana e dipendente di Zètema, associata al sindacato autorganizzato, che venerdì scorso è stata fatta oggetto di intimidazioni e aggressione da parte di funzionarie comunali, che in modo sbagliato e inesatto l'avevano ritenuta "colpevole" di aver chiesto all'Usi di intervenire segnalando le molte inadempienze in materia di sicurezza e salute sul lavoro, riscontrate poi dai Serizi Ipsettivi del Lavoro dopo intervento ufficiale del sidnacato autorganizzato.
La lavoratrice ha avuto una prognosi di 5 giorni dal pronto soccorso ospedaliero al quale si è recata, fatto questo che getta una ulteriore ombra sul fatto che i diritti di chi lavora anche di poter svolgere un lavoro in sicurezza e in condizioni di serenità e salute, sono messi a rischio se si rompe il muro di omertà e si effettua un adempimento che è dovere di ogni dipendente segnalare quando se ne viene a conoscenza, come è espressamente previsto dalle norme italiane ed europee su sicurezza e salute eni
luoghi di lavoro. La pressione e le attività sindacali anche per la piena tutela su questa materia svolte dall'Unione Sindacale Italiana, proseguiranno come del resto quelle della stessa rete nazionale,
che ha seguito i principali processi e situazioni a livello nazionale (Thyssenkrupp, Umbria Olii, ILVA di Taranto, Eternit, Molfetta, Trani, Ravenna, Cantieri Navali di Palermo, Genova e tanti altri), fino a che
non sarà garantita la piena ed efficace tutela e applicazione delle norme per chi lavora e chi fruisce dei servizi e attività, su sicurezza e salute.

Unione Sindacale Italiana segreteria intercategoriale e mail usiait1@virgilio.it, blog www.unionesindacaleitaliana.blogspot.com                  


Riportiamo qui sotto, un articolo pubblicato su "Il Messaggero", che riprende solo alcune parziali e meno attendibili notizie, con dichiarazioni di funzionari cgil, sindacato che non ha fatto alcun atto ufficiale concreto...

Chiude il museo della Civiltà Romana: sale interdette per violazioni alle norme sulla sicurezza
di Laura Larcan


Pensare che sul famoso portale Tripadvisor, tanti viaggiatori hanno
commentato che il suo patrimonio è «assolutamente da non perdere»
Invece, ancora tre giorni e poi il Museo della Civiltà Romana chiuderà. Dal
28 gennaio la Sovrintendenza capitolina ha disposto «una interdizione» delle
sale fino a data da definirsi. Mercoledì mattina gli ispettori del Ministero
del Lavoro si sono presentati all’ingresso su largo Agnelli per verificare
lo stato degli adeguamenti richiesti, secondo le prescrizioni normative, nel
corso dell’ultimo sopralluogo compiuto a fine ottobre.

Sul posto sono arrivati subito il direttore del museo, nonché
sovrintendente ad interim Claudio Parisi Presicce, e l’Assessore alla
Cultura Flavia Barca (entrata da una porta di servizio). La ricognizione ha
confermato le «inadempienze». Gli ispettori hanno così verbalizzato che le
violazioni riscontrate nei mesi scorsi non sono state sanate, ad eccezione
dei correttivi al Planetario (tra uscite d’emergenza e segnaletica).
Risultato, chiusura del Museo (tranne la sala del plastico) e apertura del
Planetario. E c’è già chi scommette che si sia intervenuti per favorire solo
il Planetario (visto che fa i numeri) a scapito del museo.

«Sarà una interdizione parziale, che va intesa come un segnale di attenzione
verso questa struttura che si porta dietro da anni grandi problemi - dice la
Barca - Inizieremo i lavori di adeguamento e nel frattempo le sale aperte
saranno visitabili gratis». Certo, la chiusura in extremis del museo aiuta
anche a risolvere lo spettro della denuncia penale che pende sulla direzione
in mancanza di adeguamento alle norme: le «porte chiuse», infatti, bloccano
l’iter del procedimento.

LA DENUNCIA
La preoccupazione rimane alta: «Le nostre sollecitazioni sono rimaste
inascoltate - dichiara Natale Di Cola segretario della Cgil Funzione
pubblica di Roma e Lazio - Il direttore Parisi Presicce e l'assessore Barca,
a cui abbiamo scritto più volte, non ci hanno incontrato. Oggi, al loro
posto, parlano gli ispettori che obbligano al rispetto della legge chi quel
posto fino ad ora lo ha gestito con troppa leggerezza. Non vorremmo che
questo modo di agire, senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali,
insieme ai consistenti tagli già annunciati al settore cultura,
costituiscano le basi della politica di questa nuova amministrazione».
Intanto, da martedì, via al trasloco del personale. E bye bye ai colossali
calchi della Colonna Traiana.
Venerdì 24 Gennaio 2014 - 08:56

Due progetti di respiro mondiale nella lotta all'amianto

La presentazione avverrà martedì 28 gennaio nella sala 5 dell'Università del Piemonte
Orientale - sede di Casale
CASALE MONFERRATO - Martedì 28 gennaio, alle 10, nella sala 5
dell'Università del Piemonte Orientale . sede di Casale, in via Oliviero
Cappello 5, si tiene la presentazione di due progetti di respiro
internazionale promossi dall'Associazione familiari vittime amianto - Afeva,
presieduta da Romana Blasotti Pavesi. Il primo vede la collaborazione di
diverse associazioni (l'inglese Ban Asbestos, Abrava Belgio,  Abrea Brasile)
che hanno deciso di dotarsi di uno strumento informatico e moderno nella
lotta all'amianto. I principali documenti,  informazioni e novità relative
allamianto verranno dislocati geograficamente in un mappamondo interattivo e
per ogni stato o argomento verranno redatte schede riassuntive sul modello
di wikipedia. Ogni cittadino potrà quindi consultare le leggi nazionali,
trovare sulla mappa i centri di trattamen to delle malattie amianto
correlate, capire dove si trovano nel mondo le  principali fonti di
inquinamento.

Il secondo progetto è una borsa di studio, assegnata dalla Fondazione Goria
e Crt  nell'ambito del "Master dei talenti della società civile", un
programma che tutti gli anni mette a disposizione risorse per progetti di
studio innovativi svolti da giovani under 35 con la collaborazione
scientifica ell'Università di Torino. La ricerca, che è stata vinta e sarà
realizzata da Alessandro Pugno ed è confinanziata da Ceims (Centro di
eccellenza dipartimentale per il management sanitario - Università del
Piemonte Orientale) e si intitola "Il ruolo sociale delle associazione di
vittime dell'amianto. analisi comparata delle situazioni nazionali" e vede,
in particolare, l'analisi delle condizioni storico sociali che hanno portato
alla  nascita di Afeva in Italia e di Andeva in Francia.
27/01/2014
A.Z. - redazione@alessandrianews.it

lunedì 27 gennaio 2014

Spresal Alessandria: “Fra crisi economica e aumento infortuni c’è un legame diretto”

Uno dei filoni di approfondimento più importanti di AlessandriaNews.it nel 2014 sarà quello dedicato al lavoro, declinato nelle sue mille sfaccettature. Abbiamo scelto di iniziare andando a incontrare lo Spresal, il servizio dell’Asl AL che ha come obiettivo quello di svolgere attività di prevenzione, formazione e controllo per scongiurare gli incidenti in ambito professionale (che paiono tragicamente inarrestabili, anche in questo nuovo anno). Il direttore Marina Ruvolo (nella foto) e i tecnici Marcello Libener e Gianluca Penna ci aiutano a fare il punto sulla situazione.

Qual è la situazione in provincia di Alessandria?
Come Spresal abbiamo da tempo avviato un monitoraggio. Tenere traccia degli incidenti appena avvenuti non è semplice perché a seguito di una segnalazione viene aperto un fascicolo ma fino alla chiusura delle indagini non può essere ufficialmente conteggiato. Secondo i dati del 2009 gli infortuni denunciati in provincia sono stati 7230. Di questi la porzione maggiore è avvenuta nei comparti dei servizi, delle costruzioni e della Metalmeccanica
Il nostro servizio, che da qualche anno è diventato provinciale, si occupa di svolgere attività di prevenzione e di vigilanza sul territorio. Formiamo chi si occupa di sicurezza nelle aziende e svolgiamo anche un’attività di tipo sanzionatorio quando vengono accertate responsabilità e ci sono situazioni da sanare. Diciamo che il territorio provinciale in fatto di problematiche è abbastanza omogeneo, con l’eccezione di Casale Monferrato che ha sua specificità legata all’amianto.

Partiamo dalla prevenzione: cosa viene fatto concretamente per contrastare lo stillicidio di incidenti, a volte tragicamente mortali, sul nostro territorio?
Noi riceviamo indicazioni regionali, su input nazionali e concentriamo le nostre energie in particolare sull’attività edilizia e quella agricola. Ogni anno ci viene assegnata una certa quantità di aziende da monitorare alla quale aggiungiamo altri controlli svolti per nostra iniziativa o su segnalazione, ad esempio dei sindacati. Ovviamente svolgiamo maggiori attività laddove statisticamente in numero di infortuni è maggiore e le conseguenze sono più gravi. La prevenzione è una parte centrale della nostra attività, alla quale si affiancano altri servizi, più di carattere amministrativo, come l’autorizzazione di nuovi progetti edilizi, interventi da svolgere nei luoghi interrati e, ovviamente, l’attività di intervento sul campo quando purtroppo si verifica un incidente.

Come avviene l’attività di formazione?
Noi non facciamo formazione direttamente in azienda ma ci rivolgiamo a chi, in ambito professionale, avrà poi la responsabilità della sicurezza: datori di lavoro e responsabili dei servizi di protezione in particolare. Questa attività viene svolta in sinergia con i sindacati, le associazioni di categoria e gli ordini professionali.

Come avviene invece l’attività di vigilanza?
Lo Stato ci indica quali sono i rischi maggiormente da monitorare: la caduta di un lavoratore dall’alto, il rischio elettrico, la caduta di gravi e il rischio di investimento. Le nostre azioni si basano sull’imporre al datore di lavoro di fare tutto il possibile per scongiurare che si verifichino imprudenze. Lo stesso avviene per il comparto agricolo, con particolare attenzione ai macchinari che statisticamente portano i problemi maggiori, cioè il trattore, l’albero cardanico, il motocoltivatore e lo spargiconcime.

Come scegliete dove andare ad effettuare i controlli?
Per le aziende agricole la Regione ci fornisce elenchi che derivano da una serie di calcoli (per esempio sulla dimensione delle aziende e sulla distribuzione nel territorio). A questi noi aggiungiamo ulteriori controlli quanto pensiamo esistano esigenze specifiche. Per l’edilizia le tipologie di intervento sono stanzialmente due: la prima si ha quando, girando, troviamo un cantiere evidentemente privo dei mezzi adeguati di protezione. In quel caso il nostro intervento è immediato. L’altra possibilità di scegliere dove effettuare i controlli sulla base di notifiche preliminari: per alcune tipologie di lavori da svolgere è infatti necessaria una comunicazione di inizio lavoro. La vigilanza in edilizia viene fatta congiuntamente con la direzione provinciale del lavoro (circa il 20% dei controlli effettuati rispetto al totale). Ci sono poi altri enti con i quali collaboriamo, come l’Inail, i Vigili del Fuoco e l’Inps, oltre all’Arpa.

Secondo la vostra esperienza ci sono più rischi in una grande azienda o in una piccola?
Nella realtà di Alessandria ci sono due grosse aziende che di per sé hanno lavorazioni importanti e meritano attenzione, ma proprio le aziende più grandi sono quelle che hanno una struttura di tutela dei lavoratori più evoluta. Dalla nostra esperienza l’organizzazione e la codificazione di procedure fanno davvero la differenza. I rischi maggiori sono forse nelle piccole realtà, specie se legate a forme di lavoro nero.

Come incide la crisi economica sul pericolo di infortuni?
In diversi modi: prima di tutto le aziende che vanno più in difficoltà sono quelle che affrontano più spese per la sicurezza dei lavoratori, ricevendo una concorrenza sleale dalle altre. In più dove esiste il lavoro nero ovviamente è più difficile effettuare controlli mirati. In tempo di recessione il primo settore nel quale si taglia è proprio quello antiinfortunistico.

Quante persone lavorano allo Spresal?
Abbiamo a disposizione 14 tecnici della prevenzione (distribuiti su tutto il territorio provinciale), 5 medici e 6 amministrativi, più un’infermiera professionale.

Come avviene concretamente il vostro intervento sul campo?
La tempestività è fondantamentale. La legge impone di chiamare le forze dell’ordine, il 118 e lo Spresal in caso di incidente. Noi cerchiamo di arrivare sul posto entro 30 minuti. A questi interventi aggiungiamo gli approfondimenti che ci vengono richiesti dalla Procura sui fascicoli che aperti. A parità di tipologia di infortunio le conseguenze su una persona possono essere diverse: per esempio uno shock elettrico può essere mortale per qualcuno e da codice giallo per qualcun altro. Il punto, per comprendere cos’è successo, è quello di fare presto. Il rischio, altrimenti, è che la scena di un incidente venga alterata, non per forza volontariamente: può capitare di dover spostare una scala o un attrezzo per soccorrere qualcuno, e già questo cambia il quadro della situazione. Quando avviene un incidente si ascoltano i testimoni e lo si cerca di fare il più tempestivamente possibile. Anche in questo caso a distanza di tempo i ricordi cambiano e possono intervenire alcune manipolazioni, per esempio da parte del datore di lavoro. Non sono rari i casi in cui, la prima cosa che ci viene riferita dall’infortunato è proprio la paura di perdere la propria occupazione.

Avete sentore di situazioni in cui un infortunio non venga denunciato, per esempio facendolo passare come semplice malattia grazie a qualche medico compiacente?
Una percezione precisa di pratiche sommerse di questo tipo non l’abbiamo. Diciamo però che, pur non avendo riscontrato un’evidenza diretta della cosa, ci sono giunte voci in proposito. Non crediamo comunque siano fenomeni frequenti. Qualche lavoratore comunque ci ha parlato della cosa. In questo caso l’ente più titolato per intervenire è probabilmente l’Inail.

Di chi è colpa quando avviene un incidente?
Ovviamente dipende da caso a caso. Per la nostra esperienza, quasi sempre ci sono responsabilità del datore di lavoro. Non basta aver detto una cosa al lavoratore per scagionarsi. Se certi dispositivi di sicurezza non vengono adottati in maniera corretta la responsabilità è sempre e comunque anche di chi dovrebbe vigilare sul loro utilizzo.

Cosa succede quando viene accertata una responsabilità?

Viene fatto un verbale in relazione alle violazioni ai vari articoli del decreto legislativo 2008 relativo agli infortuni sul lavoro e vengono indicate delle prescrizioni precise da seguire. Tutto il materiale viene poi viene inviato alla Procura della Repubblica. In passato quando venivano rilevate delle violazioni tutto era considerato penale, mentre oggi non è più così. Con un decreto dal 1994 inftti viene concesso a chi ha violato un determinato articolo di ottemperare alle prescrizioni e di pagare una sanzione per sanare la propria posizione, trasformando il reato in un illecito amministrativo.
Questo però per quanto riguarda solo il decreto 81  Se un lavoratore si fa male e supera i 40 giorni di prognosi la situazione non è sanabile, così come in caso di morte ovviamente. Sotto i 40 giorni l’irregolarità può essere sanata, a meno di querela da parte dell’infortunato, se l’infortunio è compreso fra 30 e 40 giorni. Sotto una prognosi di 30 giorni si può procedere per via amministrativa.

Non si tratta di una norma peggiorativa rispetto al passato?
Non proprio perché il meccanismo della prescrizione agisce bene sulla prevenzione. Quando si verifica un infortunio il nostro intervento si compie per accertare quanto successo e fare in modo che non si ripeta più. Con i nuovi strumenti a disposizione possiamo dare alcune prescrizioni da seguire, che possono essere anche piuttosto ingenti da un punto di vista economico, e il datore di lavoro è costretto ad adeguarsi, riducendo il rischio per il futuro. In passato veniva assegnata una semplice diffida, senza un controllo a posteriori sulle effettive opere messe in atto in adeguarsi. Ora invece il controllo è sistematico e la Procura è sempre avvertita di ogni passaggio. Per i casi più gravi ovviamente il reato non è invece sanabile per via amministrativa.
27/01/2014

Prato una strage dimenticata

comunicato:
Prato non è stata una strage "cinese": i 7 operai sono stati uccisi dalla catena del profitto dei padroni della moda italiana protetti dalle istituzioni

Gli operai cinesi della fabbrica tessile "Teresa Moda" a Prato sono morti per gli enormi profitti dei marchi grandi e piccoli del "made in Italy", garantiti dalla catena del subappalto con salari da fame, lavoro nero, orari e ritmi elevatissimi e nessuna assistenza.
Questi operai vivevano l'intera giornata nel luogo in cui lavoravano. Segregati, stipati in loculi di cartongesso dove riposare, con le finestre sbarrate e oscurate. E quì sono morti per la totale assenza di sicurezza.
I politicanti, lo Stato italiano, con la complicità di quello cinese e del suo consolato di Firenze, coprono le responsabilità degli italianissimi marchi, i confederali e le istituzioni non fanno niente, mentre si
diffonde, al contrario, il razzismo dall'alto che vuole scaricare la responsabilità di questa condizione schiavistica sugli stessi operai orientali.
Sono quattro gli indagati per disastro colposo, omicidio colposo plurimo, omissione dolosa di tutela e sfruttamento di manodopera clandestina. Però i criminali, ad ora, sono solo i padroni e i loro aguzzini cinesi.
Nell'inchiesta vogliamo che emergono le responsabilità dei padroni assassini italiani, dal proprietario del capannone ai padroni dei marchi italiani, per i cui profitti sono morti bruciati i 7 operai immigrati!
Come per gli operai della Thyssen, dell’Ilva, dei lavoratori e della popolazioni uccisi dall’Eternit, la Rete nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro e sui territori fa appello alla mobilitazione per organizzare una nuova iniziativa nazionale a Prato


giovedì 23 gennaio 2014

Solvay: ma quale "bonifica"......

Solvay annuncia in pompa magna un secondo "piano di bonifica" ma non di bonifica definitiva si tratta, al più di una provvisoria messa in sicurezza.
L’elefante Solvay ha partorito il topolino, ma giornali hanno abboccato e dedicato titoloni al presunto “piano”. Invece il colosso belga assolutamente non ha convinto Medicina democratica con il suo progetto tutto teorico di presunta bonifica del cromo esavalente innaffiando qua e là sui terreni
ditionito di sodio a sua volta peraltro tossico. Tanto meno soddisfa la fantomatica bonifica del cocktail di altri 20 veleni tossici e cancerogeni che da un’area vastissima colano in falda: solventi clorurati, cloroformio, tetrafluoretilene, arsenico, nichel, clorofluorocarburi, solfati, ddt, cobalto, mercurio, selenio, vanadio, piombo, cadmio, solventi aromatici eccetera. Per questi inquinanti Solvay osa definire “bonifica” una già fallimentare cosiddetta “barriera idraulica”. In realtà succhiare tramite pozzi e lavare una immensa falda sotterranea sarebbe una pretesa folle ed è una truffa chiamarla bonifica. Fa ridere poi la presunta bonifica dei metalli pesanti tramite felci che li assorbirebbero dalle radici per trasferirli nel fogliame, poi sfalciato ed inviato a smaltimento. Dunque tutti gli interventi di Solvay si alternano all’insegna della precarietà, definita bonifica. Così è anche per le discariche tossico cancerogene che
vengono definite bonificate perché riammucchiate e ricoperte con teloni.
Ridicolo. Dubitiamo che un professore ordinario di chimica all’università di Alessandria, Domenico Osella, si esponga a definire tutto ciò come “bonifica” piuttosto che provvisoria “messa in sicurezza”. Infine va rimarcato che Solvay per questi parziali e discutibili tentativi di messa in sicurezza chiede autorizzazione delle autorità, come fosse una certificazione di bonifica. A questa assurda pretesa la risposta degli Enti non può che essere sempre la stessa: Solvay non ha bisogno di autorizzazioni
preventive, faccia ciò che ritiene di suo dovere, gli Enti valuteranno a posteriori i risultati. Ma già ora essi possono leggere che abbiamo già scientificamente smontato pezzo per pezzo il presunto “piano di bonifica”. Noi dimostriamo che la vera bonifica si può fare solo eliminando i veleni dai terreni che percolano in falda: così si salva la salute, l’ambiente e l’occupazione.

Le storie parallele delle bombe ecologiche Solvay di Pescara e Alessandria.
Al pari di Spinetta Marengo, Bussi è una delle aree più inquinate d’Europa.
La bonifica, che dovrebbe pagare Solvay, è lontana e anche la messa in
sicurezza è inesistente o inefficace.
Costa troppo migliorare l'impianto a biomasse
Il Comitato “Vivere a Predosa” non ha ancora ricevuto risposta dalla
ditta Cavanna alla richiesta di modifiche all’impianto biomasse per ridurre
le emissioni inquinanti (ossido di azoto) e i rumori. Resta dunque attivo il
ricorso al Tar che sarà discusso l’8 maggio.

martedì 21 gennaio 2014

Amianto, morto caporeparto delle officine Grandi riparazioni di Bologna

Valter Nerozzi, 65 anni, si era scoperto il tumore poco più di un anno fa: è una delle oltre duecento vittime dell'amianto usato sui treni, cominciato a smaltire negli anni Settanta. La denuncia della Filt Cgil
di Bologna


*BOLOGNA* - E' morto, con un mesotelioma pleurico, un caporeparto tecnico delle Officine Grandi Riparazioni di Bologna che, esposto all'amianto, si era scoperto il tumore poco più di un anno fa. Dopo 37 anni di lavoro in azienda, Valter Nerozzi, 65 anni compiuti il 7 gennaio, è una delle oltre 200 vittime in Ogr dell'amianto usato sui treni, cominciato a smaltire negli anni Settanta, bandito in Italia dal
1992, ma ancora prodotto in diversi Paesi, come in Canada, anche se dal 2005 c'è la Giornata mondiale delle vittime dell'amianto, che ricorre il 28 aprile.
** <https://www.facebook.com/repubblica.bologna>**
<https://twitter.com/rep_bologna>

Nerozzi - racconta Silvano De Matteo, coordinatore regionale dei ferrovieri Filt Cgil - ha lavorato fino a Natale, poi stava troppo male: il 30 dicembre è entrato in ospedale al Sant'Orsola di Bologna e domenica è morto in un /hospice /a Casalecchio, dove oggi sono stati celebrati i funerali. Nello stesso reparto al Sant'Orsola resta in fin di vita un suo collega di lavoro alle Ogr.

Spesso passano molti anni prima della diagnosi ma, a quel punto, è difficile superare l'anno di vita. E non c'è una tutela univoca. Il sindacato tira un pò le fila: "Ancora non sono riconosciuti - spiega De
Matteo - i benefici previdenziali del lavoro esposto all'amianto in Ogr.
Per i deceduti, e alla diagnosi, scatta l'indennizzo, ma chi non è ancora ammalato non ha alcun riconoscimento: ora abbiamo vinto cinque cause pilota e siamo pronti con un'altra trentina. L'esposizione all'amianto deve essere riconosciuta, non si può aspettare che ci si ammali, all'ultimo".

Per le Ogr di Bologna la dismissione è rinviata a fine 2016 e oggi i 330 dipendenti, e i circa 150 lavoratori dell'indotto trovano ancora ogni tanto piccole quantità di amianto, occultato in qualche vecchio magazzino o in qualche materiale acquistato all'estero dove ancora non è vietato.

PROCESSO AI DIRIGENTI DELLA FRANCO TOSI




Questo e' stato possibile anche con l'iniziativa di Medicina Democratica e del Centro per la Salute “Giulio Maccacaro” di Castellanza come ricorda il Manifesto di oggi.
Saluti
Marco Caldiroli

* * * * *

A seguire la notizia riportata da Il Manifesto relative al processo dei dirigenti della Franco Tosi storica azienda di Legnano ora in crisi, che produceva turbine.
Otto dirigenti sono stati rinviati a giudizio con le accuse di omicidio colposo e lesioni colpose in relazione ad oltre 30 casi di operai morti per mesotelioma o che si sono ammalati dopo aver lavorato tra gli anni Settanta e i primi anni Novanta nella storica fabbrica dell'hinterland milanese in cui, secondo l'accusa, hanno respirato fibre di amianto senza adeguate misure di sicurezza.
Lo ha stabilito il GUP di Milano Luigi Gargiulo, accogliendo la richiesta del PM Maurizio Ascione.
Tra gli imputati figura Giampiero Pesenti, attuale presidente del gruppo Italcementi, ma imputato nella veste di componente del comitato esecutivo dell'azienda dal marzo '73 all'aprile '80.
Il processo si aprirà il prossimo 20 marzo davanti ai giudici della quinta sezione penale. Gli ex dirigenti della Tosi sono accusati di avere violato le norme per la "prevenzione di infortuni sul lavoro e malattie professionali".
Silvia Cortesi sylvyacort@gmail.com
Associazione Italiana Esposti Amianto Paderno Dugnano

* * * * *

STRAGE BIANCA. DALLA PHILIPS ALLA FIAT, DALLA PIRELLI ALL’ILVA: LA GRANDE INDUSTRIA SOTTO ACCUSA PER LE MORTI OPERAIE
Mentre a Torino i giudici d’appello confermano le responsabilità di due ex dirigenti della Philips per le morti nello stabilimento di Alpignano, a Milano otto ex manager della Franco Tosi vanno a processo per i 33 operai uccisi dal mesotelioma pleurico, lo spietato tumore provocato dalle fibre di amianto. La decisione del GUP Luigi Gargiulo chiude una inchiesta che ha riguardato quasi vent’anni di lavoro quotidiano nella storica fabbrica di turbine, dai ’70 fino al 1992, quando, con criminale ritardo rispetto alle già comprovate evidenze ascientifiche, l’amianto fu messo al bando.
Gli ex dirigenti della Franco Tosi, accusa il PM Maurizio Ascione, hanno violato le norme per la prevenzione di infortuni sul lavoro e malattie processionali. Gli imputati, fra i quali l’attuale numero uno di Italcementi, Giampiero Pesenti, si difendono: “Il materiale c’era solo nei disposi-tivi di protezione personale per i lavoratori impegnati nei processi di fusione metallurgica”. Al di là di quanto emergerà al dibattimento, la Franco Tosi si aggiunge a una lunga lista di aziende. Nomi di rilievo come Ilva, Pirelli, Fiat-Alfa Romeo, Anic-Enichem, Olivetti e Philips. Tutte sotto inchiesta, o già a processo, per non aver messo in pratica adeguati dispositivi di sicurezza con-tro il rischio mortale provocato dalle fibre e dalla polvere di amianto. Spesso senza neppure informare i lavoratori.
Solo la determinazione di associazioni come Medicina Democratica, in parallelo al gran lavoro di magistrati come Beniamino Deidda e Raffaele Guariniello, ha permesso di fare luce su una “strage bianca” di dimensioni terribili. A causa dell’amianto muoiono duemila persone l’anno, stima ricavata dall’Inail sulla base dei dati del Registro nazionale dei mesoteliomi. Nel periodo 1993–2008 sono stati diagnosticati 15.845 casi, con altrettante diagnosi di tumore polmonare e prognosi infausta. Per giunta il numero delle patologie è andato crescendo negli ultimi cinque anni, e si stabilizzerà solo dal 2015.
I PM allievi di Deidda e Guariniello fanno del loro meglio. A dicembre si è chiuso a Torino, con quattro condanne, il processo per i 14 morti e le malattie operaie nelle storiche Ferriere: “A loro va il nostro pensiero” - li ha ricordati Federico Bellomo della Fiom - “viste le ragioni, riconosciute dal tribunale, di quanti hanno lottato per la salute e la sicurezza in quel luogo, a iniziare da chi vi lavorava e che in molti casi ha pagato con la vita”. A Milano è in corso un processo contro la Pirelli (e un altro è in arrivo) per la contaminazione di 24 operai, in stabilimenti dove l’amianto era anche nel talco usato in alcune lavorazioni e nella mensa. Delle 24 “parti lese” solo quattro sono ancora vive. “Non abbiamo mai usato mascherine” – ha raccontato al giudice Antonio Dinetta — “e nessuno ci ha mai parlato dei pericoli derivanti dall’amianto”.
Un altro processo si sta svolgendo a Taranto per le vittime all’Italsider-Ilva (31 morti da mesote-lioma e altri tumori da sostanze tossiche), e a Ravenna sono prossimi al rinvio a giudizio una ventina di ex dirigenti del polo chimicoo Anic-Enichem (75 fra lavoratori e loro familiari morti per amianto). Sempre a Milano è stato chiesto il processo dell’ex AD Paolo Cantarella e altri sei manager Fiat dell’epoca per 21 vittime da amianto all’Alfa Romeo di Arese, e nel torinese si sta indagando anche sulla Olivetti nel periodo 1978–92, quando era guidata da Carlo De Benedetti.
Secondo una stima del CNR, nella penisola esistono ancora 2,5 miliardi di metri quadrati di coperture realizzate con materiali contenenti amianto, circa 32 milioni di tonnellate.
E le prime vittime già segnalate nel settore delle ristrutturazioni edilizie non finiscono ancora nella cartina del Registro dei mesoteliomi, dove compaiono solo i disastri più eclatanti. Perfino la magistratura fa fatica: all’indomani del vittorioso processo per la strage all’Eternit di Casale Monferrato, Raffaele Guariniello ricordava a La Stampa: “Di indagini e processi se ne fanno pochini. Un collega di una delle aree più martoriate mi ha confidato: non ci segnalano i casi. Poi ha aggiunto: per fortuna, se lo facessero non sapremmo come fare”.
Riccardo Chiari - il manifesto

lunedì 20 gennaio 2014

Amianto: info sul maxiprocesso ai padroni dell'Enichem di Ravenna

Confederali ed AUSL non devono avere alcun titolo ad essere riconosciuti come parte civile per la loro complicità con i dirigenti dell'Enichem sotto processo.

Rete sicurezza sul lavoro e sui territori-nodo di Ravenna



PROCESSO AMIANTO RAVENNA
Mercoledì 11 dicembre e sabato 21 dicembre al tribunale di Ravenna si sono svolte le prime due udienze preliminari per l’inchiesta Amianto al petrolchimico di Ravenna per gli anni 1957-1985. 
Gli anni presi in considerazione dalla procura sono quelli in cui, secondo le indagini coordinate dal PM Roberto Ceroni, c’è stata una netta mancanza di considerazione della tutela dei lavoratori da parte delle aziende, mentre dal 1985 al 1992 (anno in cui è stato messo fuori legge l’amianto) si è avuto, sempre secondo la procura, un diverso approccio da parte aziendale nella considerazione e nell’utilizzo dell’amianto. 
L’indagine del PM Ceroni ha seguito il modello investigativo del pool di Raffaele Guariniello, utilizzate nei procedimenti Eternit in piemonte. 
Come imputati ci sono dirigenti ed amministratori delle varie società dell’ENI che si sono succedute al petrolchimico ravennate ed ora raccolte presso l’unica società SYNDIAL (società del gruppo ENI che riunifica aziende ed impianti dismessi del gruppo). 
C’è da notare che i 22 imputati “fisici” hanno tra i 71 ed i 92 anni, quindi in caso di condanna sono tutti ben coperti dall’età per scongiurare l’apertura dei cancelli del carcere. Aggiungiamo il fatto che per le accuse a loro ascritte (omicidio colposo, lesioni colpose e disastro colposo) incombe il rischio prescrizione, visto che il processo è partito a quasi trent’anni dai fatti contestati. 
Il GIP Piervittorio Farinelli ha ammesso come parti civili tutti i malati ed i parenti dei lavoratori deceduti, CGIL, CISL, UIL, INAIL, AUSL, LEGAMBIENTE NAZIONALE e l’associazione ESPOSTI AMIANTO. 
Il processo di Ravenna, come sottolineato da Vito Totire (presidente dell’associazione ESPOSTI AMIANTO), si apre con un ritardo storico notevole, ma come sottolineato sempre da Totire, ci sono realtà nazionali dove le indagini non sono nemmeno partite, processi dove si è arrivati all’assoluzione perché secondo i giudici il fatto non sussiste (Brindisi) ed altri con esiti ben differenti (Porto Marghera e Casal Monferrato). 
Il problema amianto è tuttora attuale, perché nonostante sia bandito dal 1992 è ancora ben presente in tantissimi luoghi di lavoro e non sempre le bonifiche vengono effettuate, quindi servirebbe un coordinamento nazionale per accertare l’eliminazione della presenza di amianto e le regolari procedure di bonifica e smaltimento. 
La prossima udienza, sempre in preliminare, sarà per il 6 febbraio 2014 a cui saremo presenti e forniremo notizie circa l’evolversi del processo.

Napoli- protesta contro i padroni criminali dei rifiuti presso sede Confindustria


domenica 19 gennaio 2014

Isochimica di Avellino: 80 operai contaminati dall’amianto

Isochimica, i medici: «Ottanta operai contaminati dall’amianto. Dentro di loro un killer pronto ad entrare in azione»
Lo studio del dottor Polverino conferma le accuse dei lavoratori.
Nasce il comitato unico degli ex lavoratori di Avellino e Salerno

Avellino – «Il cento per cento degli operai salernitani dell’Isochimica di Avellino, che si sono sottoposti ai nostri accertamenti medici, sono risultati contaminati dall’amianto». Lo ha detto, nella sede dell’Ordine dei medici e degli odontoiatri della provincia di Salerno, il professor Mario Polverino, direttore del Polo pneumologico dell’ospedale “Scarlato” di Scafati, nel corso della presentazione dello studio da lui condotto in due anni. Parole che pesano come macigni sul futuro degli ex lavoratori. Parole che confermano quanto annunciato da altri esperti negli scorsi mesi dopo screening condotti anche sugli operai irpini. Quadri clinici seriamente compromessi, secondo gli esperti salernitani, che potrebbero ulteriormente complicarsi se i diretti interessati dovessero continuare ad essere impegnati in lavori “difficili”, come fabbriche o aziende in cui si è a contatto con ulteriori sostanze. Parole che pesano come macigni sul futuro degli ex lavoratori. Parole che confermano quanto annunciato da altri esperti negli scorsi mesi dopo screening condotti anche sugli operai irpini. Quadri clinici seriamente compromessi, secondo gli esperti salernitani, che potrebbero ulteriormente complicarsi se i diretti interessati dovessero continuare ad essere impegnati in lavori “difficili”, come fabbriche o aziende in cui si è a contatto con ulteriori sostanze. «L’amianto – ha spiegato – è pericoloso per la salute poiché le fibre che lo compongono, oltre mille volte più sottili di un capello umano, possono essere inalate e danneggiare le cellule mesoteliali, provocando, in alcuni casi, il cancro. Se si depositano nei polmoni, queste piccole fibre possono dare origine a varie malattie, come l’asbestosi o il tumore, come appunto il mesotelioma. É fondamentale che i lavoratori vengano controllati e monitorati per tutta la vita. All’interno del loro organismo hanno un killer pronto ad entrare in azione. É importante ricordare – ha ribadito Polverino – che vi può essere una latenza temporale particolarmente elevata, dai 15 ai 45 anni e che il rischio non diminuisce una volta eliminata completamente l’esposizione, ma rimane costante per tutta la vita». I dati non riguardano la totalità dei lavoratori, bensì solo di un’ottantina. Alcuni, frattanto, erano già morti, mentre altri non è stato possibile rintracciarli o si sono dimostrati irreperibili perché avevano paura di affrontare questa verità sulla propria salute. Ci sono, poi, tutta una serie di fattori di rischio che possono aumentare la percentuale di malattia. Infatti, un soggetto fumatore che in quel periodo è entrato in contatto con l’amianto, ha il 60 per cento di probabilità in più di ammalarsi rispetto ai suoi colleghi non fumatori. Durante l’incontro si è parlato anche della bonifica el sito di Borgo Ferrovia “dove – ha spiegato Carlo Sessa, operaio irpino presente all’incontro con una delegazione di ex colleghi – sorge anche un asilo nido e un campetto di calcio”, della possibilità di avviare uno stesso screening sul territorio avellinese e della modifica della Legge 257 del ’92. «Se altrove ci sono state omissioni da parte dei medici, non troveranno certo la solidarietà del nostro Ordine – ha rimarcato il presidente Bruno Ravera -». Intanto martedì tornerà a riunirsi il comitato degli ex lavoratori della fabbrica dei veleni di Salerno e Avellino. «Queste nuove dichiarazioni rese da uno dei massimi esperti fanno davvero tremare le gambe – spiega Carlo Sessa -. Sappiamo di essere con buona probabilità dei condannati a una morte precoce. Ci auguriamo che parta presto il processo, perchè chi ha sbagliato paghi, soprattutto quanti hanno saputo e mentito. Mentre i nostri politici, sindacati e referenti devono solo provare vergogna nel vedere che questa è l’ulteriore conferma che avrebbero dovuto fare molto di più».
- See more at: http://avellino.ottopagine.net/2014/01/19/isochimica-i-medici-ottanta-operai-contaminati-dallamianto-dentro-di-loro-un-killer-pronto-ad-entrare-in-azione/#sthash.aid215AS.dpuf

Valutazione del Convegno di Taranto e piano di lavoro della Rete

IL SIGNIFICATO POLITICO DEL PROCESSO ILVA

Il lavoro generale della Rete nazionale in questo anno.


Il Convegno tenutosi oggi riguarda il più grande processo che ci sia mai stato nel nostro paese e riguarda la più grande fabbrica nel nostro paese, tra l'altro una fabbrica ancora in attività, con una classe operaia ancora tutta al lavoro.
Questo processo si fa in una città abbastanza grande, non “morta” ma viva, sede anche della Base Nato nel Mediterraneo e di tante altre fabbriche.
Esso sarà di fatto la “madre” di tutti i processi; somiglia a quelli dell'Eternit, della Thyssen, di Marghera, ma è qualcosa di più.
Si tratterà quindi di una battaglia nazionale, strategica nella guerra di classe contro il capitale, che colpisce al cuore il suo sistema, a partire dalla condizione operaia.
La Rete è il centro di proiezione nazionale di questa battaglia e agisce da fronte di tutte le forze che si possono unire contro il capitalismo che uccide, tramite la Rete possiamo unire esperienze molto importanti. Le energie che vogliamo attivare sono quelle che ci sono sul campo, non contano chi sono ma la funzione che svolgono e che ci troviamo sulla stessa strada.

La sicurezza e la salute del lavoro è l'anello debole del sistema imperialista a livello mondiale, vediamo anche l'esplosione che c'è stata in Giappone, gli scontri in Vietnam in cui 8 operai che lottavano per la sicurezza sono morti, ciò che succede in Bangladesh, in Pakistan, ecc.
E nella crisi le condizioni di sicurezza possono solo peggiorare. Nella fase di crisi è proprio sulla condizione operaia e sulla sicurezza sui posti di lavoro che il capitalismo mostra tutta la sua irriformabilità, e la sicurezza diventa nervo scoperto del sistema capitalista. Il capitalismo che uccide rappresenta il cuore di questo sistema che deve essere abbattuto.

Il processo contro l'Ilva per i morti sul lavoro e per il profitto ha come obiettivo la “rivolta”, dimostrare che il Tribunale va attaccato. E questo gli operai e le masse lo vedranno con la loro esperienza: questo processo non darà nulla. Anche altri processi hanno già dimostrato che si può ammazzare e non pagare nulla.
Vogliamo forti sanzioni in questo processo ma per noi la vera sanzione è la rivolta.
Solo la rivoluzione può risolvere il problema. La Rete lo rivendica apertamente e usa anche i processi per dimostrarlo. Vogliamo il processo contro padron Riva non per seminare illusioni, ma per maturare questa consapevolezza attraverso l'esperienza diretta.
In questa società o c'è il primato del padrone o il primato degli operai. Ogni cosa in questo sistema di classe è legato ai rapporti di forza. 
Vogliamo impegnarci a fondo nei processi non per illuderci di avere giustizia, ma per dimostrare la legittimità di un'altra giustizia e la necessità della conquista del potere politico per imporla.
Tutti i soggetti e associazioni che si trovano su questa strada diventano interlocutori di questo percorso, e la Rete è lo strumento per unire tutte le forze necessarie in questa battaglia. 
Il Convegno di oggi è un buonissimo segnale: per la partecipazione di forze locali che prima ci hanno osteggiato; perchè ha portato la linea chiara della giustizia e risarcimenti per tutti; perchè ha affermato la strada del “processo popolare” che vive nella forma della costituzione di parte civile, non a recuperare soldi, ma per agire come “giuria popolare in nome del popolo italiano” per una giustizia reale.
La giustizia reale è contraria alla giustizia formale.
Dobbiamo portare un “reparto” selezionato in Tribunale come tipologia dei settori di lavoratori, di masse popolari uccise e ammalate.

Noi non siamo perchè si costituiscano parte civile i sindacato confederali, la Fiom, che da corresponsabili della situazione a cui si è arrivati vorrebbero passare per “vittime”.
Ma riteniamo che anche i sindacati di base, come l'Usb, non abbiamo diritto a costituirsi come parte civile, perchè non c'erano in fabbrica e non hanno svolto negli anni all'Ilva un ruolo di lotta contro l'attacco alla sicurezza e alla salute di padron Riva.

Se noi riusciamo, se faremo questo processo con uno stile di combattimento, il processo Ilva farà epoca e avrà una proiezione anche internazionale. Ma per questo la bandiera rossa del proletariato deve apparire.
Le sedute del processo vedranno calare a Taranto tutte le televisioni, giornali. Ci saranno vari momenti in cui dovremo sfruttare questa situazione per fare iniziative nazionali.
Si tratta di un programma di lavoro dei prossimi 3 anni, perchè la previsione minima che si fa anche in tribunale. Va preparata una campagna politica di spiegazione, di informazione, di organizzazione di forze.

Vi sono state nella storia delle Rete altre vicende esemplari, e anche oggi dobbiamo vedere quali battaglie sostenere, indipendentemente se la Rete è presente in quelle realtà. Alla Thyssen noi non c'eravamo eppure abbiamo costruito una manifestazione tutta organizzata da Taranto e ha contribuito fortemente alla nascita dell'associazione “Legami d'acciaio”. E' chiaro che ci vuole una forza sul territorio, ma è importante l'azione d'avanguardia della Rete.
Prato per esempio oggi è la nostra battaglia! Prato non è meno importante dell'Ilva perchè è un flash chiaro di ciò che il sistema capitalista è e quali sono le sue caratteristiche di fondo.
Noi dobbiamo fare una manifestazione a Prato e dobbiamo trovare lì degli interlocutori. Noi non abbiamo il problema di stabilire un rapporto con la comunità cinese, che copre e convive con questa realtà; noi difendiamo gli operai cinesi dentro la comunità cinese che è divisa in classi.

Sintonizzati col processo di Taranto sono le vicende della Thyssen e dell'Eternit, che abbiamo portato ad esempio, per il tipo di condanna, per la partecipazione, per la linea portata degli operai e familiari, per la presenza dei gruppi rivoluzionari che è bene che ci siano perchè la borghesia deve avere paura - la Rete non è per le brave persone ma per creare nelle situazioni di parte civile una situazione rivoltosa; i processi vanno avanti se i padroni si prendono paura (vedi Thyssen).
Questi due processi hanno influenza sul processo Ilva. Il 24 aprile il verdetto sarà rovesciato sulla Thyssen, sostenendo che la colpa è quasi esclusivamente degli operai. Questo avrà conseguenza sul processo di Taranto. Anche per Eternit si persegue un ridimensionamento tappa dopo tappa.
La Rete sarà presente a Roma il 24 aprile, come in occasione del processo Eternit.

Stiamo seguendo altri processi (Solvay, processo a Ravenna contro l'occupazione dell'agenzia Intempo, ecc.).
Il resto del lavoro della Rete è quello di prima.
I governi hanno proceduto nella linea di smantellamento dei vincoli di sicurezza nelle fabbriche (vedi, decreto “mille proroghe”, quello sulle “semplificazioni”, ecc.). Quindi la lotta contro il governo resta la nostra parola d'ordine.

In fabbrica la situazione è andata nettamente indietro, degli Rls non si sente parlare più, ma dove vi sono le forze occorre fare battaglie su questo, stabilendo un rapporto tra battaglia locale e nazionale. Quando la Rete affronta un problema in un posto di lavoro, serve per affrontare il problema della sicurezza in quello come nelle grandi fabbriche come l'Ilva, e oggi dobbiamo utilizzare le piccole battaglie locali per parlare dell'Ilva, perchè è sulle battaglie importanti ed emblematiche che vive la Rete.
In alcune città la Rete ci deve stare per forza; in altre zone in cui non ci siamo ma ci sono altre realtà, la Rete non deve sostituirsi ma appoggiare le altre realtà; in alcune città come Napoli realtà di compagni, collettivi universitari si sono mobilitate per la Rete, e a Napoli porteremo il processo Taranto come battaglia del secolo...

Quindi, quest'anno la Rete deve:
lanciare il processo di Taranto,
seguire i processi Thyssen ed Eternit,
intervenire sulla vicenda Prato.

Il Convegno di oggi ci dà lo stimolo necessario. Quest'anno la battaglia Ilva è al processo non ai cancelli. Gli operai dell'Ilva contano qualcosa se entrano nel processo, perchè qui si giocano le sorti dell'Ilva.

RETE NAZIONALE PER LA SICUREZZA E LA SALUTE SUI POSTI DI LAVORO E SUI TERRITORI

bastamortesullavoro@gmail.com

11.1.2014

Convegno della Rete a Taranto: pubblichiamo il resoconto

CONVEGNO DI TARANTO DELLA RETE NAZIONALE PER LA SICUREZZA E LA SALUTE SUI POSTI DI LAVORO E TERRITORI DEL 11 GENNAIO 2014.

All'apertura, il Convegno è stato dedicato all'ultimo operaio morto di tumore all'Ilva, Stefano Delli Ponti, leggendo un pezzo di una lettera di un lavoratore dell'Istituto tumori di Milano che l'aveva recentemente conosciuto. Un lungo applauso ha salutato Stefano e la sua famiglia.



Nell'introduzione il compagno responsabile per Taranto della Rete nazionale ha detto che la Rete è nata proprio sulla base delle tragedie delle morti sul lavoro all'Ilva, ricordando poi le iniziative più significative, sia come manifestazioni nazionali (a Torino per la Thyssen, a Taranto per l'Ilva, a Roma, ecc.), sia la presenza attiva della Rete ai processi più importanti, Eternit, Thyssen, ecc.

Questo Convegno oggi a Taranto è a fronte della chiusura delle indagini da parte della magistratura e delle imputazioni alla famiglia Riva e a decine e decine di responsabili, corresponsabili, e ha lo scopo di organizzare la partecipazione popolare a questa fase della lotta contro l'Ilva di padron Riva. Questa città ha bisogno di ottenere giustizia, risarcimenti, cambiamenti reali.



E' seguito il lungo intervento dell'Avv. Di Torino, Sergio Bonetto. All'inizio ha parlato della complessità della vicenda che si apre con questo processo Ilva, per le potenziali dimensioni del processo (50 imputati + 3 società), per le violazioni che coprono quasi il 50% di tutto il codice penale, per la vasta tipologia dei reati, che mostrano un mondo di illegalità diffusa vissuto per decenni a Taranto. Tutta questa drammatica storia di morti, inquinamento, danni alle persone, è certo difficile trasformarla in un processo, ma questo si prepara ad essere il più grande processo, di rilevanza anche internazionale.

Nel processo Eternit che vogliamo prendere a riferimento – ha proseguito Bonetto - le proporzioni erano decisamente più piccole, si trattava di soli 2 imputati e un solo agente inquinante, un numero individuato di persone vittime, e quindi un quadro specifico e limitato di reati, la magistratura poi aveva individuato un'area critica precisa intorno alla fabbrica in cui l'inquinamento di amianto aveva fatto malati e morti. Ma già per questo processo vi erano decine di migliaia di atti.

All'Ilva, l'inquinamento ha mille sfaccettature, non è stata individuata una precisa e limitata area critica, c'è anche un vasto profilo corruttivo su tutta la vicenda... Un processo che rischia di incartarsi per le sue dimensioni.

Quindi occorre un ragionamento serio sul processo e questo tipo di assemblee servono a questo. Occorre fare informazione, occorre gente, esperti che ci aiutino.

All'Eternit la sentenza è stata per disastro doloso, cioè di omissione volontaria di misure di sicurezza sul lavoro. Non potendo ricostruire la storia di ogni singola persona, si è affrontato il problema in termini generali. A maggior ragione all'Ilva non si può affrontare caso per caso.

Paradossalmente gli imputati vorrebbero invece che si analizzasse caso per caso per allungare i tempi del processo. Quindi su questo la scelta, la decisione dei giudici è essenziale, e su questo pesa quello che facciamo noi.

E' necessario poi il coordinamento delle parti civili. Se arrivano centinaia di avvocati, ognuno per rappresentare alcune parti civili, si rischia di affossare il processo. Ognuno non può montarsi la testa. La strada è coordinarsi – anche tra coloro che non la pensa come noi.

All'Eternit nonostante ad un certo punto i giudici abbiano contingentato i tempi di intervento degli avvocati e nonostante la programmazione ravvicinata delle udienze, ci sono voluti 2 anni.

Quindi, noi dobbiamo incidere sulle modalità di gestione di questo processo.

Altro aspetto che viene dall'esperienza Eternit. Noi vogliamo che il processo accolga le parti civili anche di lavoratori e abitanti che non si sono ancora ammalati o che non si ammaleranno mai, perchè, come all'Eternit, deve essere contestato il “reato di pericolo”. Lo Stato dice: “nessuno deve mettere a rischio la vita e la salute degli altri”; quindi non deve essere punito solo chi provoca malattia e morte, ma anche chi mette a rischio. Questo principio è stato affermato per la prima volta nel processo Eternit ed è un'opportunità enorme per Taranto per affrontare il processo Ilva.

Non si tratta solo di una questione di risarcimento per chi è stato colpito ma del fatto che il rischio non ci sia più.

La Procura di Taranto ha fatto un buon lavoro con il sequestro dei soldi. Questo è importante perchè a Torino c'è stata una buona condanna ma i padroni non escono ancora un centesimo e se ne stanno nascosti in Svizzera. Il nostro lavoro deve essere indirizzato affinchè i soldi di Riva siano utilizzati per mettere a norma l'Ilva e bonificare la città per evitare la continuazione del rischio.

Poi l'avv. Bonetto ha sollecitato a vigilare. Cercare di impedire – ha detto – coloro che puntano solo in maniera avida ai risarcimenti, e tra gli avvocati ci sarà chi solleciterà ad andare in questa direzione; non illudere nessuno sulla questione dei risarcimenti, non può essere questo il nostro unico obiettivo ma il risanamento della fabbrica e della città.

All'Eternit i padroni sono stati condannati a risarcire tutti, lavoratori morti, malati o sani, familiari, allo stesso modo, con 30mila euro a testa (poi chi ha patologie dimostrate, documentabili può fare la causa civile per il risarcimento di tutte le spese, i danni, ecc.). A Casale Monferrato potenzialmente tutti i 20mila abitanti avevano diritto ai 30mila euro. A Taranto, con circa 250mila abitanti sarebbe enorme dire questo, ma l'impostazione generale deve essere questa.

Quindi l'avvocato ha chiarito anche la complessità e l'impegno necessario da subito per risolvere gli aspetti tecnici: avere tutti gli atti della Procura (che saranno migliaia e migliaia), studiarli, schedarli, dividerci il lavoro, ecc.

Ma soprattutto Bonetto, in conclusione, ha posto l'accento e ha richiamato l'attenzione sulla assoluta necessità di garantire una forte presenza fisica alle udienze. Non dobbiamo permettere al Tribunale di decidere per conto suo a fronte di una nostra scarsa presenza. Anche qui ha fatto l'esempio delle udienze Eternit in cui ad ogni udienza erano presenti 150/200 persone, grazie ad un lavoro anche pratico di organizzazione pure del trasporto da parte delle associazioni dei familiari. Le presenze servono a fare pressione sull'andamento del processo.



Dopo questo lungo, articolato intervento dell'Avv. Bonetto, sono iniziati gli interventi (ne ricordiamo alcuni), non prima però che il rappresentante della Rete nazionale per la sicurezza abbia sottolineato con forza che occorre concepire questo processo come una guerra, dove non ci sono solo i Riva indagati ma tutto un sistema industriale/politico.



Alcuni interventi hanno sottolineato che il processo Ilva deve fare giurisprudenza non solo per il nostro paese ma anche a livello internazionale, e l'importanza della presenza di massa in questo processo e del coordinamento delle forze, come fattori determinanti e elementi di forza.

Attualmente, invece – come ha detto il presidente dell'Ass. “12 Giugno” che il giorno prima aveva partecipato all'udienza di un altro importante processo in corso, quello contro le centinaia di operai Ilva morti per amianto – al Tribunale a questi processi si è in pochi, e gli avvocati possono tranquillamente offendere i morti e ammalati come se gli operai si siano voluti ammalare e morire. A Taranto vi sono solo 200 morti per amianto risarciti dall'Inail mentre ci sono 2000 ammalati.

Poi, denunciando, i tempi lunghissimi di questi processi, ha ribadito che ci vogliono “corsie preferenziali”, l'eliminazione della prescrizione per questi reati, ma su questo l'impegno assunto dal parlamento è rimasto incompiuto, nonostante vi siano dei disegni di legge. Ha concluso facendo un appello a che con l'apertura di questo processo contro l'Ilva ci sia quella mobilitazione che finora non si è riusciti a fare.

Anche altri interventi hanno denunciato come le Istituzioni sia nazionali che locali si siano dimenticati di Taranto, mentre il governo sforna l'ennesimo decreto “salva Riva” e ora”salva Bondi”. Un esponente di “Cittadinanza attiva” poi entrando nel merito dell'utilizzo dei fondi che si riuscirà a far pagare ai Riva ha detto che devono essere destinati per la rinascita della città, del mar piccolo... alternativa alla produzione d'acciaio.

L'operaio dell'Ilva, Battista, anche in rappresentanza dei lavoratori del comitato liberi e pensanti, ha denunciato come proprio lo Stato stia cercando di impedire che Riva paghi, citando la recente sentenza della Cassazione che ha restituito ai Riva i soldi sequestrati dalla magistratura di Taranto; anche questo processo che si apre vedrà tanti avvoltoi pronti a bloccare, speculare. Quindi ha fatto una dura denuncia di quanto sta accadendo dentro l'Ilva, in termini di continuazione delle violazioni alla sicurezza e salute; nell'area a caldo invece che bloccare gli impianti inquinanti c'è un aumento della produzione con conseguenti recenti incidenti, anche nelle altre aree vi sono impianti obsoleti che dovrebbero essere immediatamente chiusi. Non si tratta solo dell'area a caldo ma dovrebbe essere chiuso tutto lo stabilimento. Ora siamo “sotto controllo dello Stato” per tre anni ma all'Ilva si continua ad inquinare nello stesso modo e lo Stato è direttamente responsabile di quanto sta accadendo in questa città. Sulle indagini di “ambiente svenduto” ha detto che dovevano essere molto più estese: come mai non c'è un sindacalista, un giornalista indagato? Ma ha anche sottolineato l'assenza di una forte risposta della gente a fronte dei decreti salva-Ilva. Poi parlando del processo ha detto che questo sarà molto difficile, i sindacati, in particolare la Fiom, si costituiranno parte civile, speculando sui morti.

Sul problema del processo, delle indagini è reintervenuto l'Avv. Bonetto sollecitando a non dire che “il problema è un altro”, perchè in questo modo non affrontiamo mai il problema presente. Ora il processo si fa. C'è una parte della gente che vuole impegnarsi e contribuire a portare un pezzo di verità processuale. Noi dobbiamo lavorare affinchè ci si avvicini alla verità storica il più possibile.

Ora non ci incartiamo sul fatto se l'Ilva deve o non deve chiudere. Non è questo il tema di questa fase processuale. Rispetto agli “avvoltoi”, si combattono spiegando innanzitutto alla gente, agli operai, agli abitanti dei Tamburi. Occorre fiducia nella gente, gli avvocati da soli non ce la possono fare. Se da questo processo Riva ne esce che non conta niente già è un buon risultato. Vediamo questo processo come opportunità per cambiare le cose; non sappiamo ora che futuro avrà Taranto, ma occorre provarci.

Il rappresentante dell'Associazione Esposti Amianto e di Medicina Democratica – venuto con altri da Matera – dopo aver raccontato la loro esperienza allo stabilimento Enichem di Pisticci, alla multifibre di Acerra, dove grazie alla denuncia di familiari di operai morti di amianto (307 su 2000) si è aperta un indagine epidemiologica, ha fatto una cruda analisi delle conseguenze mortali dell'uso dell'amianto, denunciando come le forze sociali che dovrebbero tutelare i lavoratori se ne stanno da parte. Anche da questo emerge la necessità della creazione di associazioni e di creare “eventi”. Parlando della loro esperienza, ha raccontato che si sono rivolti ai medici di base perchè vadano a fondo alle condizioni di vita e di lavoro dei propri pazienti, non facendolo questi medici sono passibili di denunce. Su questo vanno sensibilizzati anche i medici di Taranto, chiedere uno studio epidemiologico sui cittadini dei Tamburi, sorveglianza sanitaria.

Quindi sulla necessità della partecipazione ha sollecitato a fare “corpo unico”. Infine, nel fare un confronto tra i dati Ilva prima e dopo Riva, ha detto che è l'industria di Stato che deve tornare, perchè nel mondo moderno non possiamo dire che senza industria si può andare avanti.

Caliolo, moglie di uno degli operai, Mingolla, morto nel 2006 all'Ilva ha fatto un intervento emozionante,  ricordando i momenti difficili vissuti durante il processo per la morte del marito, ma nello stesso tempo ricordando il suo percorso e il suo impegno nella Rete nazionale per la sicurezza, un impegno che le ha dato forza e ha colmato il vuoto che viene dopo una tragica perdita. Parlando dei processi, ha detto che i familiari sono soli, non vengono sostenuti, alle udienze, a parte rappresentanti della Rete e dell'Ass. “12 Giugno”, non c'era nessuno, a fronte di una politica di avvocati dell'azienda, dell'azione dei magistrati che uccide una seconda volta. Questa situazione ha portato anche lei a momenti di crisi, di distacco dall'impegno della Rete, ma poi ha ripreso con forza. Ha deciso di andare fino in fondo al processo, benchè tanti le dicessero di abbandonare il processo penale e puntare solo ai risarcimenti. Concludendo, ha lanciato un forte appello: c'è una realtà di Taranto che non si rassegna, e la partecipazione è essenziale per dare messaggi diversi. Non possiamo rassegnarci che mai nulla cambierà. Non possiamo far finta di niente. Dobbiamo provarci.

A questo intervento si è legato il rappresentante della Rete per ribadire che il processo contro Riva e soci è una guerra ed è a questa guerra che bisogna partecipare, partendo dal fatto che “Taranto non è morta” e questo è testimoniato dai vari momenti di manifestazione/proteste che vi sono stati, dal 2 agosto del 2012 ad altre manifestazioni di massa, anche ad alcune, benchè poche, iniziative di protesta all'Ilva. Non dare battaglia è come se abbiamo già perso in partenza.

Qui ha riportato gli esempi in positivo delle vittorie processuali già ottenute dallo Slai cobas per il sindacato di classe contro Riva, in particolare nel processo ex Nuova Siet dove Riva ha avuto la più alta condanna, benchè poi per l'azione anche di corruzione dei giudici di appello buona parte dei reati siano andati in prescrizione, ma è comunque rimasto il risarcimento agli operai.

Rispetto alla partecipazione al processo, ha detto che non basta un appello, occorre trovare le forme organizzate per far partecipare operai, familiari, cittadini; ha ripreso l'esperienza positiva dell'Associazione 12 Giugno che per anni ha fatto diventare i processi degli eventi.

Anche in questo processo del 2014 dimostreremo che non è vero che Taranto è assente. Questo lavoro – ha detto – è una strada obbligata: non possiamo denunciare tutto e poi non vincere alcune battaglie. L'Avv. Bonetto è qui perchè abbiamo bisogno di una esperienza vincente. Nel processo Ilva dobbiamo affermare un principio di giustizia e di risarcimento. A questo serve l'associazione di parte civile in forma coordinata. Le tappe dopo questa assemblea sono per unirsi su questa via.

Il processo a Riva è un processo storico al sistema capitalista. Per noi, finchè non c'è un sindacalista in questa inchiesta questo processo non può finire (e qui ha ricordato il processo in corso per la morte dell'operaio Di Leo che per la prima volta, frutto della denuncia/testimonianza dello Slai cobas, sono inquisiti anche 3 RLS); ma ora questo processo deve cominciare.

Il processo certo non è una manifestazione ma una forma specifica della battaglia, le cose dette sulla difficoltà della partecipazione della gente, non devono però diventare per noi un ostacolo.

La rappresentante dello Slai cobas di Taranto ha aggiunto che la questione delle parti civili è importante in termini politici, necessaria anche per contrastare l'azione dello Stato: la magistratura fa una cosa buona a Taranto ma poi la Cassazione la smonta... questo “gioco” deve trovare la giusta risposta; la costituzione di parte civile significa mettere non un passo ma centinaia di pesanti passi in questa battaglia. Dobbiamo, poi, noi unire al fatto tecnico-legale e alla presenza fisica alle udienze, la nostra azione forte di denuncia, di lotta generale contro Riva ma anche contro governi, Stato, sindacati confederali chiaramente corresponsabili di aver fatto arrivare a questa situazione; noi dobbiamo cercare di impedire l'oscenità di sindacati, anche di una Fiom, che si presentano come parte civile al processo. Per questo nel processo è necessario che si senta la voce degli operai, la voce della classe che viene sfruttata e uccisa.

Altro aspetto importante è la questione del coordinamento delle forze. A Taranto vi sono varie realtà che portano avanti aspetti di questa battaglia, ma ci sono momenti, come questo del processo, in cui queste realtà si devono unire, questo costituisce un arricchimento non un rinunciare alle proprie battaglie. Mettiamo fine ai protagonismi. Il coordinamento, la formazione di un coordinamento ad hoc per la costituzione di parte civile (es. a Torino, Legami d'acciaio), è un messaggio politico, di fiducia, di cambiamento, di fine dei personalismi anche in fabbrica.

Anche l'Avv. Bonetto ha ribadito la necessità del coordinamento, perchè, ha detto, tante parti civili ognuna per conto proprio costituiscono un pericolo per i difensori, e verrebbe usato dagli avocati degli imputati per ostacolare l'andamento del processo.



Il Convegno si è concluso ribadendo:

l'avvio della costituzione di parte civile di operai Ilva, lavoratori degli appalti, lavoratori delle aziende vicine area Ilva (Cimitero, Pasquinelli...), abitati dei Tamburi e altri quartieri inquinati;

risarcimento per tutti, sia malati che sani;

coordinamento sulle linee espresse dall'Avv. Bonetto, prima raccogliendo le adesioni e poi formalizzando la forma associata;

l'organizzazione di parte civile è di massa e gratuita – stabiliremo solo una quota associativa; all'avvocato/i daremo solo il rimborso spese;

dobbiamo tener conto dei tempi, per presentare le parti civili alla udienza preliminare;

dobbiamo trovare e costruire un gruppo di esperti/tecnici.



Durante tutto il Convegno si sono compilate le schede (indicate dall'Avv. Bonetto) per la costituzione di parte civile – raccogliendo già un centinaio di adesioni, tra operai Ilva, operai cimiteriali, pasquinelli, abitanti dei tamburi, ecc.

Taranto - 11 gennaio 2014