lunedì 30 giugno 2014

Al processo Ilva Taranto non siamo partiti bene - necessaria la mobilitazione nazionale verso il 16 settembre


Il Gup Vilma Gilli revoca i domiciliari a 4 ex fiduciari di Riva. Questa giudice il 19 scorso fa macroscopici "errori" e non fa partire il processo, ma sa usare il codice quando deve liberare gli uomini di Riva




TARANTO - Il gup del Tribunale di Taranto Vilma Gilli, titolare del fascicolo legato all'inchiesta sull'Ilva "Ambiente svenduto", ha revocato gli arresti domiciliari nei confronti di Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino ed Enrico Bessone, funzionari del Siderurgico accusati di aver fatto parte della "struttura ombra" che rispondeva direttamente alla famiglia Riva riguardo alla gestione dello stabilimento finito nell'occhio del ciclone con l'inchiesta per disastro ambientale.
Per gli imputati (tra le 49 persone fisiche, oltre a tre società che rischiano il processo), è stato disposto l'obbligo di dimora. Gli ex fiduciari dell'Ilva, difesi dagli avvocati Egidio Albanese, Franz Pesare e Luca Sirotti, furono arrestati il 6 settembre 2013 e successivamente ottennero i domiciliari su disposizione del Tribunale del riesame, che annullò contestualmente la misura cautelare (domiciliari) nei confronti di Lanfranco Legnani, indicato come "direttore ombra" dello stabilimento siderurgico.            


COMUNICATO DELLA RETE NAZIONALE PER LA SICUREZZA E LA SALUTE SUI POSTI DI LAVORO E TERRITORI


La Rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e territori ha tenuto nel pomeriggio del 19 giugno la sua riunione, presenti i rappresentanti di Palermo e Milano e i compagni di Taranto, per valutare la
prima udienza preliminare del processo Ilva.
Si è espresso un giudizio molto positivo sul presidio organizzato nei pressi della caserma dei vigili del fuoco dove si è tenuta l'udienza preliminare. È stato l'unico presidio che non ha accettato l'intimidazione realizzata dalla famiglia Riva e dei suoi complici verso il processo e la città, con l'istanza per trasferire il processo a Potenza perchè le circostanze ambientali non permetterebbero un giudizio sereno a Taranto.
Un'intimidazione che tutti hanno di fatto accettato mettendo la sordina alla loro presenza al processo.
La Rete invece sostiene che al processo devono partecipare operai, lavoratori e cittadini colpiti dai crimini dei padroni dell'Ilva, sia con la costituzione associata e autonoma come parti civili, sia con un presidio permanente al tribunale, perchè si senta forte e chiaro che ciò che si giudica qui è la catena di morti sul lavoro, da lavoro e inquinamento, non perchè le fabbriche siano nocive, ma perchè nocivo è il capitale e il
profitto, che le rendono mortali.
La Rete ha portato uno striscione, che è lo stesso che è stato al processo della Thyssen-Krupp dell'Eternit, di Paderno Dugnano, di Ravenna, per far sentire il suo sostegno solidale agli operai, ai familiari, ai cittadini che si costituiscono parti civili.
Naturalmente, tutta l'attività della Rete a Taranto è stata supportata dallo Slai cobas per il sindacato di classe dell'Ilva e dai rappresentanti dei precari, Disoccupati Organizzati, che hanno voluto far sentire la loro presenza per affermare anche in questa occasione che vogliono lavoro, non morti sul lavoro e da lavoro.
L'udienza si è conclusa con un aggiornamento al 16 settembre, dato chec'erano notifiche agli imputati da perfezionare, e perciò non si è riusciti ancora a formalizzare la costituzione di tutte le parti civili al processo.
La Rete rinnova il suo appello a tutte le realtà a fare di questo processo una tappa importante della battaglia per la salute e sicurezza sui posti di lavoro e territorio.

Il 16 settembre, mentre si terrà la prossima udienza preliminare, la Rete organizzerà presidi ai tribunali e altri luoghi sensibili di questa battaglia in tutta Italia.

La Rete contribuisce al processo con l'incarico all'avv. Bonetto di coordinare il pool di legali che cura la costituzione di parte civile autorganizzata e associata di operai ILVA, cittadini dei tamburi e operatori del Cimitero.

Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e territorio
bastamortesullavoro@gmail.com
20 giugno 2014
3471102638

martedì 3 giugno 2014

Isochimica Avellino - Amianto, la strage dimenticata



Quindici operai morti, almeno 150 malati e un intero quartiere a rischio avvelenamento. È il tragico bilancio portato alla luce dall'inchiesta sull'Isochimica, l'azienda di Avellino dove negli anni '80 i lavoratori erano assunti per rimuovere a mani nude la fibra killer dai treni. Perché oltre allo scandalo Eternit in Italia ci sono ancora centinaia di siti da bonificare e migliaia di persone che rischiano di essere contaminate
AVELLINO - La fabbrica della morte è chiusa da quasi trent'anni, ma continua ad uccidere. Il killer fantasma è nell'aria, ogni giorno gli abitanti di borgo Ferrovia, quartiere popolare di Avellino, respirano i veleni che arrivano da quel mostro chiamato "Isochimica", l'opificio dove negli anni '80 venivano scoibentate le carrozze ferroviarie, quasi tremila in sei anni. Si lavorava a mani nude, senza mascherine, inconsapevoli dei pericoli. Almeno 20mila tonnellate di amianto sarebbero state sotterrate nel piazzale della fabbrica, altre scorie sono state chiuse in cubi di cemento oppure sistemate in sacchi neri e sversate nelle acque del fiume Sabato o addirittura nel mare della costiera amalfitana. L'hanno rivelato gli ex operai ai magistrati. "Ma mentre tutto ciò accadeva dov'erano i cittadini?", si chiede il procuratore della Repubblica di Avellino, Rosario Cantelmo, che paragona l'Isochimica all'Eternit di Casale Monferrato, all'Ilva di Taranto a alla Thyssen Krupp.

"Dovremo andare via da qui", dice Gabriella Testa, alla guida del comitato di mamme di borgo Ferrovia che si battono per la bonifica del sito. L'Arpac, l'agenzia regionale per l'ambiente della Campania, ha accertato che ci sono 27 fibre di amianto per litro d'aria nella zona, stando alle raccomandazioni dell'Oms non ce ne dovrebbe essere nemmeno una. Il biologo Carlo Caramelli, garante del Tribunale per i diritti del malato, ha chiesto al prefetto di far evacuare il rione. "Perché Renzi non viene a visitare la scuola elementare che è a cento metri dalla fabbrica?", ha chiesto polemicamente Carlo Sibilia, l'avellinese arrivato in Parlamento con il Movimento 5 Stelle. C'è già stato lo screening sui bambini della scuola, il pediatra dell'Asl di Avellino, Felice Nunziata, che ha guidato l'equipe per le analisi, ha ammesso: "Qui non farei vivere mio figlio, la bonifica è urgente".

Ma è ancora tutto fermo: il Comune non ha i soldi, la Regione prende tempo. Eppure il procuratore Cantelmo, dopo aver messo sotto inchiesta il titolare dell'Isochimica, Elio Graziano, imprenditore protagonista negli anni '80 dello scandalo "lenzuola d'oro", l'ex giunta comunale e perfino il curatore fallimentare, ha cercato di imprimere un'accelerazione nominando custodi giudiziari dell'impianto il sindaco, Paolo Foti, e il governatore regionale, Stefano Caldoro.

Dopo anni di omissioni e indifferenza almeno qualcosa si muove. Ma la svolta non c'è stata. Resta il conto dei morti, una lunga scia di lutti e dolore: l'amianto ha già ucciso 15 ex operai ed un lavoratore che con l'Isochimica non c'entrava nulla. Si chiamava Vittorio Esposito, lucidava i pavimenti della stazione ferroviaria dove si scoibentavano le carrozze ferroviarie direttamente sui binari evitando di portarle in fabbrica. Anche sua moglie, la vedova Rosetta Capobianco che lavava le tute del marito impregnate di amianto, si è ammalata ai polmoni, ma continua a battersi per il risanamento del quartiere. E ora da qualche mese la Procura indaga su altri 23 decessi, nuovi casi sospetti tra ex operai, familiari e cittadini di cui sono state sequestrate cartelle cliniche e certificati di morte.

Si fanno i conti. All'Isochimica lavoravano 333 operai, almeno 150 sono già risultati ammalati. "Ormai ci sentiamo dei morti che camminano", confessa Carlo Sessa, uno degli ex operai che ha visto morire i compagni di lavoro: da tempo chiede inutilmente aiuto a tutti i partiti per la battaglia del prepensionamento degli ex dipendenti della fabbrica dei veleni. Ma la politica è rimasta ancora indifferente. E il futuro fa paura. Mario Polverino, direttore del polo pneumologico dell'ospedale "Scarlato" di Scafati, ha scoperto che gli 80 operai dell'Isochimica provenienti dal Salernitano sono stati tutti contaminati dalle fibre killer. "Il picco delle malattie derivanti dall'amianto si avrà intorno al 2020, quindi tutti gli ex operai e i cittadini sono a rischio", conferma Polverino che ha paragonato l'Isochimica alla miniera di crocidolite, l'amianto blu, di Wittenoom Gorge nel Western Australia dove a distanza di 45 anni dall'esposizione, le persone che abitavano nei dintorni della cava continuavano ad ammalarsi e a morire fino a far diventare il villaggio una città fantasma.  Ma Borgo Ferrovia ora vuole vivere. Anche se la lotta contro i veleni non è ancora finita.  

La Spoon River dell'Irpinia
C'è un'altra morte sospetta legata alla fabbrica dei veleni su cui indaga la Procura di Avellino. Lui si chiamava Vito Cotrufo: fu ucciso nel 1987 da un tumore ai polmoni, l'Isochimica era ancora in piena attività. Sarebbe stata chiusa solo due anni dopo dal pretore di Firenze, Beniamino Deidda che indagava sui morti delle grandi officine toscane dove le carrozze ferroviarie tornavano dalla fabbrica irpina, ripulite male dall'amianto.

Nelle carte della Procura di Avellino ci sono poi i nomi dei decessi più recenti: Umberto De Fabrizio, Vittorio Matarazzo, Luigi Maiello, Alberto Olivieri e altri dodici ex lavoratori Isochimica, stroncati da malattie all'apparato respiratorio causate dall'amianto.

Parallela a queste si è consumata poi la tragedia di Pasquale Soricelli, che nel 2011 dopo aver scoperto di essere affetto da una grave malattia per le fibre killer si tolse la vita. Una targa da qualche anno ricorda il sacrificio di questi lavoratori davanti alla fabbrica.

Graziano: una storia di tangenti, calcio e veleni
Chissà se oggi il titolare dell'Isochimica, l'ormai 82enne Elio Graziano, che sconta da condannato ai domiciliari le sue pene nell'abitazione di contrada Scrofeta alla periferia di Avellino, pensa mai al disastro che ha lasciato alle sue spalle. "Ho sempre solo fatto del bene", ripete ancora oggi al suo avvocato, il penalista Alberico Villani. Tornerà un uomo libero solo il 19 ottobre del 2017, quando finirà il conto delle sentenze che l'hanno colpito per corruzione e omicidio colposo. Ma con lui la giustizia non ha ancora chiuso i conti.

Lo chiamavano "Papà Elio" perché lui, da presidente dell'Avellino ai tempi della serie A, elargiva con grande generosità, come un buon padre di famiglia, banconote da centomila lire a tifosi e operai che lo acclamavano. Era un imprenditore rampante Graziano, che dopo l'Isochimica aprì un altro stabilimento industriale a Fisciano (Salerno) per la produzione del detersivo "Dyal", marchio che sponsorizzava le magliette dell'Avellino. Anche nel piazzale di quella fabbrica sarebbe stato smaltito l'amianto.

Il patron arrivava allo stadio "Partenio" in elicottero prima delle partite e prometteva premi favolosi ai calciatori. Da presidente portò l'Avellino guidato in panchina da Luis Vinicio a sfiorare la qualificazione all'allora Coppa Uefa, lanciando campioni che avrebbero fatto le fortune della Juventus come Tacconi, Favero e Vignola. L'anno dopo, nel campionato '87-'88, ci fu però la retrocessione in B e l'esplosione dello scandalo delle "lenzuola d'oro", storia di mazzette pagate da Graziano ai vertici delle Ferrovie per le forniture di biancheria sui treni notturni. Vicenda che costò la poltrona all'allora presidente delle Fs Ludovico Ligato.

Per l'industriale iniziò così la parabola discendente che non è ancora finita. Perché c'è anche lui tra i 24 iscritti nel registro degli indagati nell'inchiesta della Procura sulla morte di quanti sono stati uccisi dall'amianto dell'Isochimica.

lunedì 26 maggio 2014

Condanne per i responsabili di 30 anni di morti da amianto all'Ilva Taranto

TARANTO - Ventisette condanne, una sola assoluzione di un ex dirigente dell'Italsider. Pene da 9 anni e mezzo a 4 anni. Risarcimenti e provvisionali per svariati milioni di euro. E' questo il verdetto della sentenza pronunciata questa mattina a mezzogiorno dal Tribunale di Taranto. Le pene più alte sono state inflitte agli ex manager della vecchia Italsider pubblica alla quale subentrò il gruppo Riva. Tra questi, Giovanbattista Spallanzani, condannato a 9 anni.

Il tribunale ha comminato sei anni di reclusione all'ex presidente dell'Ilva Fabio Riva e all'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, coinvolti anche nell'inchiesta per disastro ambientale che approda, il 19 maggio prossimo, all'udienza preliminare. Dichiarato il non doversi procedere nei confronti di Emilio Riva, morto lo scorso mese, per il quale il pm aveva chiesto la condanna a 4 anni e mezzo di carcere.

Il procedimento ha acceso i riflettori sulla morte di quindici lavoratori della grande fabbrica uccisi dal cancro provocato dall'esposizione alle fibre d'amianto.

Imputati i vertici aziendali dell'Italsider pubblica e dell'Ilva privata. L'unico assolto è un ex manager di nazionalità giapponese.

A fine febbraio il pubblico ministero, Raffaele Graziano, aveva avanzato le richieste di condanna per tutti gli imputati alla sbarra.

La sentenza di condanna dei padroni di Stato e privati all'Italsider-ILVA TARANTO non ci restituisce i morti e non deve attenuare denuncia e mobilitazione, nè bisogna nascondere come si è arrivati ad essa


La Rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e sul
territorio si unisce alla soddisfazione per la sentenza contro i padroni di Stato dell'italsider e RIVA  - ma naturalmente teme e denuncia il fatto che queste sentenze non abbiano poi seguito in esecuzione e risarcimenti nei successivi gradi di giudizio - vedi il rischio corso attualmente per la
sentenza Eternit di Torino.
Serve ancora e di più la mobilitazione dal basso di operai, familiari, cittadini


Rete nazionale
bastamortesullavoro@gmail.com




Lo slai cobas per il sindacato di classe di taranto a fronte della sentenza amianto - dice chiaro che molti di quelli che oggi salgono sul carro della sentenza - sindacati e alcune associazioni - quando gli operai morivano tacevano e nullafacevano.
Questa inchiesta nelle mani del giudice Pesiri - oggi morto - ottenne la
massima collaborazione e sostegno con atti concreti solo ed esclusivamente
dei coordinatori dello slai cobas per il sindacato di classe di taranto e del
responsabile dell'associazione familiari 12 giugno

Oggi la sentenza rende merito a questo lavoro - anche se questo viene
taciuto.

slai cobas per il sindacato di classe taranto
slai cobasta@gmail.com

lunedì 19 maggio 2014

Taranto morte e rabbia all'Ilva e ai Tamburi

Ilva- Tamburi un funerale di dolore e rabbia! 'siamo sempre ad applaudire uno di noi quando esce in una bara dalla chiesa, alla fine l'ultimo si batterà le mani da solo"
grande partecipazione rabbia, dolore e denuncia di operai, familiari e quartiere Tamburi al funerale di Nicola Carcante
 

parlano gli operai ILVA
'siamo sempre ad applaudire uno di noi quando esce in una bara dalla chiesa, alla fine l'ultimo si batterà le mani da solo"
"la verità ..è che alcuni di noi non hanno ancora fatto gli accertamenti perchè hanno paura di ricevere brutte notizie "
"alla visita annuale ..il medico ci ha fatto qualche palpazione, ci ha toccato il collo con le dita per sentire se avevamo dei noduli. secondo te questo è sufficiente?"
"la verità è che quell'officina prima era un deposito di bramme ed è stata riadattata per diventare un reparto carpenteria e, sopratutto si trova quindi tutte le emissioni degli impianti,quando c'è lo scirocco
arrivano da noi"


Ilva, folla ai funerali dell'operaio. Il parroco: "Siamo stati illusi"



Nicola Darcante, 39 anni, malato alla tiroide come altri suoi colleghi dello stesso reparto. Di tumore era morto anche il suocero ...... Centinaia di persone hanno ascoltato l'omelia di don Angelo, nella chiesa 'Gesù divin Lavoratore' del rione Tamburi di Taranto durante i funerali di Nicola Darcante, di 39 anni, operaio che lavorava nel reparto officina centrale di manutenzione-carpenteria dell'Ilva, morto giovedì notte per un carcinoma alla tiroide.  risurrezione. Anche il nostro quartiere deve risorgere".


Un altro operaio Ilva morto di tumore, ma per Bondi non c'è nulla da bonificare

L'altra notte è morto l'operaio dell'Ilva Nicola Darcante. Lavorava all'ex Pla1, l'officina dove almeno 13 sono ammalati di tumore. Aveva 39 anni.
Per questo operaio, come per Stefano Delliponti, gli operai avevano firmato per dare una parte del loro salario a Nicola per curarsi.
Ma come è successo per Stefano, anche per Nicola purtroppo la solidarietà operaianon è servita a farli continuare a vivere.
Ora altri 13 operai dello stesso reparto - quelli accertati... - rischiano di morire.
Nel rivolgere le condoglianze alla famiglia e ai compagni di lavoro, dobbiamo dire che purtroppo, per quanto lodevoli sono le iniziative, non è una grande raccolta di firme e soldi che può contrastare questo rischio.
All'Ilva continua, nonostante parole e promesse la morte, il pericolo di malattia, morte,e di infortuni.
A questo il rimedio è l'opposizione costante agli impianti e reparti nocivi, denunciareogni minimo rischio; pretendere dagli Enti che i controllori controllino, andarli a "strappare"dai loro comodi uffici; come andare a prendere e trascinare nei reparti quegli Rsu e Rls Ilvache col loro immobilismo (o, a volte, anche complicità) favoriscono lo stato di cose esistenti...
Che dire di fronte a questa altra vita strappata ai familiari del cinismo arrogante di Bondi e dei suoi legali
che hanno chiesto che Taranto non sia considerata zona da bonificare!?
Una cosa vergognosa! che appare logica da chi quando si è insediato ha dettoche la colpa dei tumori a Taranto sono le sigarette...!
Ma questi è l'amministratoredelegato di RIVA, divenuto per iniziativa del governo e del parlamento commissario governativo!
Abbiamo chiesto subito che Bondi non fosse insediato, abbiamo chiamato inutilmente operai e cittadini a protestare contro questo.
Bondi, sta usando i ricatti di cui è esperto, non per fare bonifiche - che dalle dichiarazioni dei suoi legali è evidente che non vuole fare perchè ritiene non necessario fare, ma per una ristrutturazione e ammodernamento con esuberi, per riconsegnare la fabbrica ai RIVA o altri padroni che continueranno a fare profitti sulla pelle dei lavoratori e della città!

Facciamo appello a una immediata mobilitazione della fabbrica e della città!
Facciamo sì una grande catena di solidarietà operaia, ma per unire tutti i reparti, per fermarsi!
E una catena che unisca fabbrica e città per imporre la tutela della vita, della salute e del lavoro

16.5.14
SLAI COBAS per il sindacato di classe Ilva - Taranto
v. Rintone, 22 Taranto - slaicobasta@gmail.com -
 3475301704 - T/F 0994792086

venerdì 9 maggio 2014

Ravenna la Rete a processo: “Da processare è la precarietà che uccide, non chi la combatte”.

Oggi si è tenuta la seconda udienza del processo a Ravenna contro la Rete con la testimonianza di un agente digos e quella di Casadio, legale rappresentante della Cooperativa portuale, già condannato per la morte sul lavoro dell'operaio Vertullo a un anno di reclusione, 30 giorni di arresto (che non ha mai fatto) e mille euro, ma il teste non si è presentato e non ha nemmeno ritenuto necessario fornire una giustificazione per l'assenza. Dopo solo tre quarti d'ora l'udienza era già finita.
Fuori il Tribunale il presidio della Rete con striscioni  “Basta morti sul lavoro” e “Da processare è la precarietà che uccide, non chi la combatte”, "Basta stragi sul lavoro, lavoriamo per vivere, non per
morire", quest'ultimo è stato portato anche a Roma in occasione del presidio davanti alla Cassazione
per la sentenza Thyssenkrupp.




I Tribunali dei padroni sono un terreno di lotta di classe per affermare il primato della vita degli operai contro il profitto che invece li uccide nei luoghi di lavoro, linea che stiamo tenendo nei processi a livello nazionale, dalla Thyssen, all'Eternit a quello che si aprirà a giugno a Taranto contro tutto il sistema Riva.
A Ravenna, tra le altre lotte, la Rete ha mantenuto i riflettori accesi sulla morte sul lavoro del giovane operaio Luca Vertullo, mandato a morire dall'agenzia interinale Intempo, schiacciato da un rimorchio al suo primo giorno di lavoro, denunciando un processo-farsa che non ha fatto giustizia, l'abbandono dei famigliari da parte delle istituzioni (il fratello di Luca è ancora disoccupato), la presenza all'interno del Porto di una agenzia della morte mentre, invece, si doveva creare una postazione fissa dell'ispettorato del lavoro, il ruolo dei confederali come nuovi caporali, i controlli inesistenti.
La strage dei 13 operai della Mecnavi al Porto nell'87 non ha proprio insegnato nulla: anzi, quello che era illegale, il caporalato, è diventato legale per legge! Invece che più sicurezza per gli operai è scattata la rappresaglia padronale contro la Rete!
Inoltre ogni governo non ha fatto altro che estendere e rafforzare la precarietà che espone sempre più
al rischio sicurezza.
Riportiamo stralci dal Bollettino della Rete n°3 che riporta gli interventi al Convegno nazionale della Rete contro la precarietà che uccide organizzato a Ravenna nel 2010:
"Luca era stato assunto da un'agenzia di lavoro interinale, l'Intempo, che ha la sua sede al Porto di
Ravenna. Intempo è partecipata al 51% dalla Comport, società che è stata fondata dalle Compagnie e delle imprese portuali più importanti d'Italia. Gli altri soci sono Meliorbanca (14%), il
Gruppo Gorla (10%) ed Obiettivo Lavoro (25%). Tra i membri del cda di Intempo anche Roberto Rubboli, presidente della Compagnia portuale, con lui tra gli altri anche Mario Sommariva, ex segretario nazionale della Filt Cgil . A Ravenna, invece, nella Intempo lavora l'ex segretario provinciale dello stesso sindacato. Dalla dichiarazione al processo di un sindacalista CGIL: i giovani neoassunti sono stati addestrati con metodi all’avanguardia in Italia. A MARGHERA è morto anche Dennis Zanon dell'Intempo.
Ci sembra veramente alta la responsabilità di questa agenzia interinale che, invece che essere chiusa per legge già dopo la morte di Luca, ha continuato e continua ad affittare lavoratori.
Prendiamo dall'articolo di Micromega (“Camalli a rischio vita”) a firma del giornalista Marco Preve,
uscito dopo la morte sul lavoro di Luca: «Vertullo», dice la direttrice dell'Intempo, Valori,
«aveva ricevuto una formazione adeguata.
L’investimento sulla sicurezza è anche uno dei principali input che provengono dalla parte di
proprietà che fa capo alla Compagnia». La direttrice di Intempo tiene poi a rimarcare che «per le norme che regolano la nostra attività, ahimè, noi non possiamo assumere alcuna responsabilità se non farci attestare dall’azienda che rispetta le norme di sicurezza. Come agenzia non possiamo essere responsabili di quanto avviene sulla sicurezza, lo dicono le leggi. La responsabilità non può che essere della società utilizzatrice, io devo verificare che esista un piano antinfortuni e me lo faccio mettere per iscritto, devo controllare che i lavoratori abbiano le dotazioni, ma poi non posso interferire».
Il fatto è che il cliente cui Intempo ha chiesto di poter verificare il rispetto delle norme è anche uno
dei suoi padroni: la Compagnia Portuale. Chi vende e chi compra la manodopera è la stessa persona. “Intempo nacque per sbarrare il passo alla possibile concorrenza delle cooperative”- dice Bruno Rossi del direttivo nazionale della Filt, uno dei leader della Compagnia Portuale di Genova. Un tempo si diceva che il portuale che non lavorava, che non era chiamato, veniva pagato "dalla merce", cioè dagli armatori che versavano un extra. Con la riforma però è cambiato tutto, e adesso questo costo è sostenuto dallo Stato attraverso la cassa integrazione. Ma è un meccanismo che blocca il turnover nelle Compagnie che, se assumono, come qualsiasi altra impresa rischiano di perdere il diritto agli ammortizzatori». La cura, secondo Rossi non può che essere radicale: «Cancellare le Compagnie. Adottare il modello spagnolo e del Nord Europa, con un albo dei lavoratori portuali, riuniti in sindacato, ma gestiti dall'Autorità portuale senza intermediazioni, senza, lo ripeto, il caporalato camuffato da interinale».
...Un morto sul lavoro e nessun colpevole?
Eppure dalle motivazioni della sentenza si deduce chiaramente la catena di comando e di responsabilità che hanno portato a quella morte. "Una cosa "assurda", dice un giovane collega di Luca che ha testimoniato al processo. Assurdo significa del tutto incomprensibile, in realtà una spiegazione, purtroppo, esiste -riprendendo la sentenza del GUP e la requisitoria del PM-:
" la vera e principale causa dell'evento mortale in esame è riferibile a regole economiche non scritte, ma pur cogenti, che costringevano (e purtroppo costringono) i portuali a lavorare con ritmi velocissimi (da qui il soprannumero degli operai, la contemporanea gestione di due incarichi, la velocità di esecuzione, l'omessa verifica dei carichi o il mancato rispetto delle regole cautelari). Sono tuttavia proprio l'imprudenza e lo scarso rispetto di regole generati da tale ottica meramente intesa a
un aumento di produttività ad assumere rilievo penale, laddove la situazione, oggettivamente molto pericolosa e prevedibilmente rischiosa, avrebbe imposto sia un maggiore controllo e più precise
disposizioni concrete...mandare 9 stivatori, di cui 4 al primo giorno di lavoro in quel luogo, comportava una ridotta capacità di controllo delle disposizioni di sicurezza che
per contro dovevano essere ben più attentamente e scrupolosamente applicate".
In altri termini: quando la logica del profitto annienta la vita umana. In senso tecnico-giuridico
luca e' stato ucciso.

Nelle motivazioni dell'ultima sentenza: “su questo evento hanno inciso condotte umane gravemente colpose, ascrivibili a diversi soggetti”.
Questa è la situazione che ha determinato l’ultimo omicidio bianco! L’orribile omicidio bianco rivela
che per i padroni del Porto la sicurezza è un ostacolo a finire il lavoro nei tempi richiesti.....
La lotta continua e verranno realizzate nuove iniziative per fare noi un vero processo popolare ai padroni assassini.
L'udienza sarà aggiornata al 26 settembre alle 11.


Rete nazionale sicurezza sul lavoro e nei territori-nodo di Ravenna

sabato 3 maggio 2014

Matera: manifestazione studentesca, "STORIE DI LAVORO E DI MORTE – DIALOGHI D’AMIANTO"”

WORLD DAY AMYANT 2014

Sabato 3 maggio alle ore 18,30 – in piazza Vittorio Veneto a Matera
Si terrà la manifestazione con gli studenti delle Scuole Medie Superiori


“STORIE DI LAVORO E DI MORTE – DIALOGHI D’AMIANTO”





In occasione della IX Giornata Mondiale delle vittime dell’amianto, la Sezione Val Basento – Basilicata dell'A.I.E.A. - Associazione Italiana Esposti Amianto in collaborazione con il Circolo di Matera di Legambiente, il comitato “No Inceneritore Matera - Mento sul cemento”, “Profumo di svolta” e con la partecipazione degli studenti della Scuola secondaria di secondo grado della Provincia di Matera, organizza la manifestazione “STORIE DI LAVORO E DI MORTE – DIALOGHI D’AMIANTO”.


L’iniziativa che ha ottenuto il gratuito patrocinio della Regione Basilicata, della Provincia di Matera, dell’Assessorato all’Ambiente del Comune di Matera si svolgerà con la partecipazione degli studenti dei Licei e degli Istituti tecnico – professionali della provincia di Matera.


La manifestazione, “STORIE DI LAVORO E DI MORTE – DIALOGHI D’AMIANTO”, si pone l’obiettivo di offrire una maggiore consapevolezza dei danni arrecati al Territorio  regionale dalle sostanze tossiche, nocive e cancerogene come le fibre Killer dell’amianto.


In piazza Vittorio Veneto, sabato 3 maggio 2014 alle ore 18,30 a Matera, gli studenti porteranno all’attenzione della cittadinanza presente, rappresentando in forma scenica, le storie di alcuni lavoratori dell’area industriale della Val Basento che sono deceduti a seguito dell’esposizione all’amianto sul luogo di lavoro. Saranno altresì rese note le storie delle consorti e dei figli di questi lavoratori, ammalatisi di cancro o deceduti anch’essi per esposizione indiretta all’amianto.


La manifestazione in memoria delle Vittime dell’amianto e che vuole offrire sostegno morale ai loro familiari, vuole essere un momento costruttivo e di dialogo per diffondere informazioni sulla pericolosità della presenza dell’amianto nell’ambiente.


All’iniziativa è legato un concorso destinato agli studenti della Scuola secondaria di secondo grado della provincia di Matera, che prevede l’assegnazione di due premi in buoni acquisto (che potranno essere spesi per l’acquisto di libri, articoli sportivi, o anche in negozi specializzati di musica ed arte): il primo premio consiste in un buono acquisto da 250 euro e il secondo consiste in un buono acquisto da 150 euro.


Il bando del concorso e il modulo di adesione, si possono scaricare sia dal sito di AIEA VBA che dal sito AIEA nazionale:


http://www.associazioneespostiamiantovalbasento.it/

http://www.associazioneitalianaespostiamianto.org/


Sabato 3 maggio
alle ore 18,30 – in piazza Vittorio Veneto


Vi attendiamo per testimoniare la vicinanza nostra e della Scuola alle famiglie delle vittime dell’amianto

mario