sabato 29 dicembre 2012

Strage di Viareggio: lettera di Daniela Rombi


Dal “Corriere della Sera” al nostro infinito dolore!
Giovedì 27 dicembre, a pag. 9 del “Corriere della Sera”: “ … è partito, forte come non mai, il pressing nei confronti di Moretti. 
Il massimo per il Pd sarebbe avere in lista l’Ad delle Fs. Ma se ciò non fosse possibile, il Pd non dispera di poter avere Moretti nella compagine governativa. Per lui sarebbe già pronta la poltrona oggi occupata da Passera: quella di super ministro dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture. Ma si tratta di un'impresa difficile: i vertici del Pd non sono ancora riusciti a strappare un sì all'Ad delle Fs".
Il cav. Moretti, indagato da sempre per la strage di Viareggio del 29 giugno 2009 e dal 18 dicembre 2012 imputato per la stessa, è diventato piatto prelibato per il Partito democratico .  Finalmente, anche il Partito "democratico" non vede l'ora di avere nel (suo) governo un imputato per la strage di Viareggio, un imputato che familiari e cittadini di Viareggio ritengono uno dei massimi responsabili delle 32 vittime e dei feriti gravissimi che per tutta la vita avranno addosso i segni di quella tragica notte. La realtà, troppo spesso, riesce a superare, di gran lunga, la fantasia! 
Credevo che il Pd fosse il partito più vicino alla gente comune, a fianco dei lavoratori che non arrivano a fine del mese, il partito che per anni ho votato "credendo" che fosse la soluzione ai tanti problemi del nostro paese e adesso leggo che avrebbe piacere a candidare l’imputato Moretti. Un Amministratore delegato che ha sulla coscienza la morte di mia figlia Emanuela e di altre 31 persone (mamme, papà, fratelli, sorelle, nipoti, figli …).
Voi (del Pd) non vi rendete conto di cosa stiamo parlando! Ma posso aiutarvi: provate a pensare, ad immedesimarvi per pochi minuti che al Natale appena trascorso (il 4° per noi) alla vostra tavola vi sia il posto vuoto, di vostro figlio, di vostro nipotino, di vostra madre o di vostra sorella ... Ma voglio aiutarvi ancora: prima del pranzo del santo Natale siete andati al cimitero a trovarli, a salutarli, a portar loro un fiore; sono tutti lì, tutti insieme, voi andate a trovare vostro figlio ma siete a trovarli tutti! Ecco, provate ad immaginare ma, se Dio vuole, non ci riuscirete mai, perché mai potrete minimamente avvicinarvi al nostro dolore che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto ci martella nel corpo e nell’anima.

E Lei, dottor Bersani, pensa addirittura che avere tra le proprie fila il cav. Moretti sia il massimo? O addirittura di portarlo in Parlamento o averlo ministro delle Infrastrutture? 
Ho ancora impresso il ricordo di quando, l’8 settembre 2011, venne a Viareggio il dott. Matteo Mauri, per convincerci a non essere presenti alla festa del Pd a Genova dove, il giorno successivo, era stato invitato il dottor Moretti a parlare di trasporti … Oppure, quando il Mauri è venuto a Viareggio la primavera scorsa per proporci (come contentino?) un Convegno sulla “sicurezza in ferrovia” che per la presenza stessa del sig. Moretti non avremmo potuto accettare perché noi familiari non siederemo a fianco di chi riteniamo responsabile della morte dei nostri cari. Oppure, quando avete organizzato il dibattito “Sistema dei trasporti e sviluppo sostenibile” il 21 settembre scorso alla Festa nazionale del Turismo a Milano Marittima con l’intervento dell’Ad delle Fs Moretti.
Una costante questa, di mettere dovunque il dottor Moretti, anche alla festa del Turismo.
Non funziona così, perlomeno per noi, persone semplici e normali, proprio non funziona così! Arrivederci, grazie per l’attenzione e ….. auguri!


28 dicembre 2012                                                                 Daniela Rombi
                                                                      Presidente dell’Associazione “Il Mondo che Vorrei”
                                                              familiari delle vittime della strage di Viareggio del 29 giugno 2009

venerdì 28 dicembre 2012

Incendio in un'azienda bergamasca,due vigili del fuoco rimangono feriti

Il più grave ha ustioni alla gamba per essere entrato in contatto con l'acido solforico in una fabbrica di batterie per auto dove i pompieri stavano domando le fiamme. Il secondo ferito è già stato dimesso

Incendio in un'azienda bergamasca due vigili del fuoco rimangono feriti

Un vigile del fuoco di 38 anni, in servizio a Bergamo, è stato ricoverato al reparto di Chirurgia plastica dell'ospedale 'Papa Giovanni XXIII' per ustioni di secondo e terzo grado alla gamba destra: durante lo spegnimento di un incendio è infatti entrato in contatto con dell'acido solforico. L'episodio martedì notte a Romano di Lombardia (Bergamo), dove sei squadre dei pompieri di Bergamo hanno dovuto domare le fiamme che hanno avvolto una fabbrica di batterie, la Exide: il fuoco ha avvolto quattro cisterne in vetroresina contenenti 40 mila litri di acido solforico.

L'uomo è stato soccorso dai compagni e trasportato in ospedale con l'ambulanza del 118. Problemi anche per un vigile del fuoco di 34 anni, di Romano, che ha inalato i vapori di acido dopo essersi tolto la mascherina alla fine dell'intervento. Anch'egli, portato in ospedale, a Treviglio è stato dimesso qualche ora dopo.

Grave incidente sul lavoro all'Auchan, ferito un addetto alla manutenzione

CESANO BOSCONE

Grave incidente sul lavoro all'Aucha. Ferito un addetto alla manutenzione


L'operaio, di una ditta esterna, è rimasto incastrato in un forno

MILANO -- Grave incidente sul lavoro, giovedì, all'Auchan di Cesano
Boscone. Un operaio di 25 anni, dipendente di una ditta esterna
all'ipermercato, è rimasto gravemente ferito mentre stava effettuando la
manutenzione a uno dei carrelli forno nel reparto di panificazione.
L'uomo, che al momento dell'incidente si trovava da solo nel locale in
cui ci sono i forni, è stato immediatamente soccorso dal personale del
supermercato, che ha attivato tutte le procedure di sicurezza.

L'INCIDENTE-- La dinamica dell'incidente è in via di accertamento.
Tuttavia, secondo una prima ricostruzione degli inquirenti, l'uomo
sarebbe rimasto incastrato mentre eseguiva la manutenzione del forno e
questo gli avrebbe procurato uno schiacciamento alla parte superiore del
corpo. Nonostante i soccorsi immediati, le sue condizioni sono apparse
subito molto gravi e il 118 ha inviato sul posto un'ambulanza e
l'elisoccorso che ha portato il venticinquenne all'ospedale Humanitas,
dove è tuttora ricoverato in prognosi riservata. Sull'episodio indaga la
polizia locale di Cesano Boscone.

Giovanna Maria Fagnani*27 dicembre 2012

Raffineria di Milazzo: diffida del Comitato tecnico regionale

giovedì 27 dicembre 2012
Il Comitato tecnico regionale diffida la Raffineria di Milazzo

Gli studi della società non hanno soddisfatto il Comitato tecnico regionale che ha richiesto tempo più stretti per agire. Delibera del Comitato tecnico regionale blocca gli aumenti di produttività in attesa della documentazione

PALERMO – Secondo capitolo dell'istruttoria del Comitato tecnico regionale (Ctr) a proposito del rapporto di sicurezza (aggiornamento 2010) della Raffineria di Milazzo, così come previsto dalla normativa europea Seveso II per gli stabilimenti a rischio incidente rilevante (Rir) che hanno l'obbligo di presentazione del rapporto di sicurezza sulla base dell'articolo 8 del D.L.vo. 334/99. Il Ctr, che evidentemente non è stato pienamente soddisfatto dalla risposta dell'azienda in riferimento alle prescrizioni richieste dalla delibera del 17 maggio scorso dove si richiedevano studi approfonditi e un crono programma di lavori da realizzare, ha diffidato la Ram a produrre documentazione adeguata sui progetti per la messa in sicurezza delle criticità entro due mesi. Intanto blocco assoluto in merito ad aumenti di produttive o modifiche che accrescano il rischio.

Il Ctr ha trasmesso il documento alla Raffineria e agli organi competenti lo scorso 7 dicembre. Il riferimento corre alla delibera del 17 maggio con la quale si prescriveva la presentazione degli studi richiesti nel verbale del gruppo di lavoro del 15 e 16 maggio scorso, e in seguito il crono programma
dei lavori. La delibera spiega che parte delle richieste riportate nel documento del maggio scorso non sono state adeguatamente ottemperate e diffida il gestore a produrre entro 60 giorni la documentazione in merito agli studi per l'estensione del sistema di rilevazione gas infiammabili, del sistema perimetrale di rilevazione H2S (idrogeno solforato, sostanza inquinante che ad alte concentrazioni viene classificata come veleno) e dell'adeguamento dei sistemi di anti incendio. Il quarto punto richiede “il crono programma con la descrizione delle varie fasi – si legge sul documento - a supporto delle indicazioni temporali per la sua attuazione”. Una precisazione perché “i
tempi indicati nel crono programma presentato, benché deficitario degli studi di dettaglio – si legge sulla nota – sono eccessivamente dilatati nel tempo e pertanto non accettabili”.

La conclusione è decisiva. “Si precisa inoltre che, in considerazione di quanto emerso, non potranno essere prese in considerazione nuove proposte di modifiche di impianti che prevedano incrementi del preesistente livello di rischio e/o modifiche comportanti aumenti di produttività ai fini dell'esercizio che interferiscono con l'esistente, fino a quando non saranno completati i lavori” che fanno riferimento ai punti precedentemente espressi.
L'ultima freccia viene scoccata in merito allo studio presentato dalla società lo scorso 31 luglio e relativo all'”Installazione di nuovi sistemi automatici di rilevazione di fiamma”, che il comitato ha ritenuto basarsi su termini temporali “troppo dilatati nel tempo”. Retrodatata quindi la scadenza della
consegna dei lavori al 31 dicembre del 2013.

Netto il commento di Giuseppe Marano, consigliere comunale, da oltre un anno impegnato in prima linea nelle fila ambientaliste. “Se io fossi il sindaco di Milazzo – ha precisato – zona dichiarata ad alto rischio di crisi ambientale, chiederei la piena adozione delle prescrizioni come da delibera del Ctr a pena di chiusura impianti fino al soddisfacimento”. Per l'esponente politico milazzese si tratta di “un'azione necessaria per tutelare prioritariamente la salute e assicurare la sicurezza dei lavoratori che vivono quotidianamente l'impianto e anche dei cittadini”.

http://www.qds.it/11541-il-ctr-diffida-la-raffineria-di-milazzo.htm

CONTRO IL LICENZIAMENTO DI FABIO GAMBONE, DELEGATO CGIL!



Riporto a seguire quanto mi scrive Fabio Gambone, Delegato CGIL del Consorzio Comunico DEL Mugello in merito al suo licenziamento.
Si tratta di un vero e proprio atto discriminatorio nei confronti di un compagno che da anni si occupa della tutela dei lavoratori, anche per quanto riguarda i loro diritti a salute e sicurezza.
Quanto avvenuto a Fabio è l’ennesima dimostrazione del comportamento delle aziende nei confronti di quei RSU (e RLS) che, coerentemente al mandato dato loro dai lavoratori che li hanno eletti, segnalano le inadempienze contrattuali e legali relative alla tutela dei lavoratori, anche relativamente alla salvaguardia di salute e sicurezza.
Il modello adottato da Marchionne a Melfi, da Moretti contro De Angelis e Antonini e da altri ha fatto scuola!
Contro questo modello c’è stata lotta e solidarietà e i risultati si sono visti.
Come scrive Fabio “La lotta è solo all'inizio e la vinceremo”.
Vi terrò informato sulle iniziative di mobilitazione che si terranno a inizio gennaio contro il licenziamento di Fabio.
Intanto vi invito a diffondere!
Marco Spezia

----- Original Message -----
To:
Sent: Saturday, December 22, 2012 3:04 PM
Subject: comunicato stampa

Buongiorno a tutt*,
vi inoltro il comunicato della CGIL sul mio licenziamento che dovrebbe uscire sulla Nazione, stamani ho parlato con Lorenzo Verdi consigliere provinciale del PRC, che mi ha detto che riporterà la vicenda in commissione Lavoro dopo le feste; come già detto a Francesco del Comitato Anticrisi e a Piera di Libero Mugello, vi invito ad un incontro di preparazione alla mobilitazione da farsi ad inizio 2013, ricordandovi (come fa giustamente Belli della CGIL) che oltre al mio ci sono in ballo altri 4 licenziamenti ed una lunga serie di discorsi su igiene ambientale in Mugello, sistema degli appalti, fascismo padronale, Amministrazioni Comunali inefficaci, dignità dei lavoratori,.....
Ci risentiamo a breve se ci sono altre novità, per fissare l'incontro e ringrazio tutt* quell* che si sono fatti sentire per darmi la solidarietà.
La lotta è solo all'inizio e la vinceremo.
Un abbraccio.
Fabio

COMUNICATO STAMPA
A seguito dell'incontro sindacale del 17 dicembre scorso con i rappresentanti del Consorzio Comunico che gestisce il servizio di raccolta carta nel territorio del Mugello, in associazione temporanea di impresa con le cooperative ATI e Archimede, durante il quale ci è stata illustrata la volontà del consorzio di inoltrare le richieste di cassa integrazione guadagni in deroga per l'anno 2013  per solo 4 dei 5 lavoratori attualmente interessati su un organico complessivo di 9 operatori, gli stessi gestori ci comunicano la volontà di licenziare il nostro delegato aziendale Fabio Gambone.
La vicenda è iniziata a dicembre dello scorso anno quando, a fronte del nuovo appalto di Publiambiente, il Consorzio Comunico manifestò la volontà di procedere ad una riduzione dell'organico, poiché parte di esso era sprovvisto di patente C ed abilitazione CQC e quindi non idoneo a lavorare secondo le nuove disposizioni organizzative. Il tutto avvenne con un comunicazione “dalle sera alla mattina”.
Ci opponemmo e attivammo immediatamente un confronto sindacale e concordammo di ricorrere alla CIG in deroga con riduzione dell'orario lavorativo.
Contestualmente condividemmo la possibilità di riqualificare alcuni operatori che nel corso del 2012 avrebbero provato a conseguire la patente C.
Era evidente, già allora, che per qualcuno di questi lavoratori vi sarebbero state difficoltà, date, sia dallo scarso sostegno economico che il Consorzio metteva a disposizione, sia dal fatto che alcuni di loro sono soggetti svantaggiati.
A un anno di distanza, solo il nostro delegato, ha ottenuto il finanziamento dedicato ai cassintegrati e con quello stava intraprendendo le procedure per la patente.
Appare quindi alquanto curiosa la decisione del Consorzio, che in un anno non ha esperito alcun tentativo di ricollocazione su altri servizi per nessuno di loro, di licenziare proprio lui.
Abbiamo quindi contestato formalmente questa risoluzione preannunciando una vertenza legale per un licenziamento palesemente discriminatorio.
Inoltre il destino degli altri 4 lavoratori è comunque appeso al filo della CIG in deroga il cui finanziamento arriverà nella migliore delle ipotesi a giugno 2013.
La convocazione a tutti i membri dell'associazione di impresa è richiesta per il 27 dicembre.
A seguito decideremo se e quando proclamare stato di agitazione del personale e lo sciopero dei lavoratori.
Purtroppo questa è soltanto un'altra pagina drammatica relativa all'igiene ambientale in Mugello e al mal funzionamento di servizi appaltati al massimo ribasso, dove le amare conseguenze sono sempre a carico dei lavoratori più deboli e della cittadinanza e sarebbe semplicistico addossarne le responsabilità solo al Consorzio.
Chiediamo pertanto a tutte le forze politiche del territorio di porre la questione all'ordine del giorno nei consigli comunali e di sostenere la nostra vertenza.
Francesco Belli  346 74 59 797 
FP CGIL

Cancro al seno: se la causa è il lavoro notturno

Due ricerche, una danese e una francese, evidenziano come le donne che hanno svolto turni di notte abbiano una probabilità quattro volte maggiore di sviluppare il cancro del seno



Colpisce una donna su dieci nell’arco della vita. È il tumore più frequente nel sesso femminile, rappresentando il 25 per cento di tutte le neoplasie che affliggono le donne. Stiamo parlando del carcinoma mammario, il cancro del seno: la prima causa di mortalità per tumore delle donne (il 22 per cento di tutti i decessi oncologici). Una patologia molto grave se non individuata e curata per tempo: ogni anno in Italia si registrano 40 mila nuovi casi, con un aumento di circa il 2 per cento (in larga parte a causa dell’invecchiamento della popolazione). La malattia, dovuta alla moltiplicazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria che si trasformano in cellule maligne, non dà dolore e spesso neanche segno di sé (la presenza di noduli palpabili o visibili non è così comune), va quindi diagnosticata con la mammografia o, nelle donne più giovani, con una ecografia.

Ma quali sono i fattori di rischio? L’età, anzitutto: più dell’80 per cento dei casi riguardano donne sopra i 50 anni. Poi la familiarità, la predisposizione genetica, l’uso eccessivo di estrogeni, la prima gravidanza in età adulta, lo stile di vita (valenza negativa hanno l’obesità, il fumo, la mancanza di attività fisica). Evidenze scientifiche che arrivano da più parti, però, mostrano che è oggi possibile aggiungere un altro fattore di rischio: il lavoro notturno.

Nel 2001 le prime prove

Negli ultimi mesi, infatti, sono stati pubblicati due importanti studi (riportati in sintesi nella newsletter medico-legale dell’Inca Cgil, curata da Marco Bottazzi), uno danese e uno francese, che confermano questa correlazione. Un nesso già sottolineato nel 2010 dall’International agency for research on cancer, che aveva appunto classificato come “probabile cancerogeno” il lavoro che comporta alterazioni del ritmo circadiano (ossia la normale alternanza tra veglia e sonno). I due studi si concentrano, dunque, sul carcinoma mammario, arrivando alle medesime preoccupanti conclusioni.

La ricerca danese evidenzia come le donne che hanno svolto turni di notte hanno una probabilità quattro volte maggiore di sviluppare il cancro del seno di quelle che lavorano di giorno. Quella francese, oltre a confermare la medesima situazione (seppur con percentuali leggermente diverse), rileva anche come questo rischio sia ancora più accentuato fra le lavoratrici che hanno svolto lavoro notturno in epoca antecedente la prima gravidanza. Ma vediamo ora in dettaglio i singoli risultati.


 La ricerca danese
L’indagine riguarda 141 donne colpite da tumore del seno che hanno lavorato nell’esercito danese fra il 1990 e il 2003 (e che hanno sviluppato il cancro a partire dal 2005). Lo studio rivela che le donne impegnate in lavori notturni hanno un maggiore rischio del 40 per cento. Con un effetto cumulativo: le donne che lavorano almeno tre turni di notte a settimana per sei anni hanno il doppio del rischio di ammalarsi di quelle che lavorano solo uno o due notti a settimana. In generale, le maggiori evidenze sono state osservate nelle donne con cronotipo diurno (ossia che sono più attive nella prima parte della giornata) e turni di notte molto intensi.

La ricerca è stata realizzata da Johnni Hansen e Christina Funch Lassen dell’Institute of cancer epidemiology di Copenaghen, finanziata dal Danish cancer society e pubblicata nel maggio scorso nella rivista Occupational and Environmental Medicine. È stata conseguita mediante un questionario di 28 pagine (centrato su lavoro, famiglia, stili di vita, tempo libero, ma con domande anche sull’utilizzo dei contraccettivi, l’effettuazione di terapie ormonali, le modalità e i tempi di esposizione al sole), le risposte sono state poi confrontate con quelle fornite da 551 colleghe di pari età, anch’esse impegnate nelle forze armate, non affette da tumore del seno.

Lo studio smentisce anche un’ipotesi formulata in indagini precedenti, che legavano lo sviluppo del tumore alla minore esposizione alla luce solare delle lavoratrici notturne: i raggi del sole favoriscono livelli più alti di vitamina D, ed è dimostrata l’associazione tra la carenza di questa vitamina e l’aumentato rischio di cancro. Hansen e Funch Lassen hanno invece registrato che le lavoratrici notturne spendono all’aperto, quindi al sole, un tempo addirittura maggiore delle loro colleghe che lavorano di giorno. La spiegazione suggerita dai due epidemiologi, dunque, è di carattere biologico, legata cioè alle variazioni dei livelli ormonali a causa delle interruzioni dell’orologio “interno” del corpo. L’inversione del ritmo circadiano sopprime la produzione di melatonina pineale, un ormone che ha una funzione di protezione da alcune neoplasie, rallentando lo sviluppo delle cellule tumorali.

La melatonina normalmente aumenta di notte, al buio, mentre diminuisce se esposti alla luce artificiale, come appunto accade nel lavoro notturno, colpendo altri ormoni che influenzano la crescita delle cellule del seno. Le pazienti affetti da cancro del seno, infatti, tendono ad avere livelli più bassi di melatonina rispetto alle donne non malate. A dimostrazione che a fare la differenza è l’interruzione del ciclo circadiano e la mancata produzione di melatonina, concludono i due ricercatori, è il fatto che il rischio aumenta sensibilmente in chi lavora almeno tre notti alla settimana (cioè una quantità tale da alterare il ritmo sonno-veglia), mentre è meno determinante in chi lavora solo una o due notti alla settimana.

Lo studio francese

Anche questa ricerca conferma che il rischio di tumore del seno aumenta nelle donne che lavorano di notte. A questo risultato sono giunti gli esperti dell’Institut national de la santé et de la recherche médicale (Inserm) di Parigi, confrontando i percorsi professionali di 1.200 donne affette da tumore del seno nel periodo 2005-2008 con quelli di 1.300 non malate. Anche l’indagine francese, pubblicata sulla rivista International Journal of Cancer, si concentra sull’alternanza sonno-veglia (e sulle conseguenze della sua alterazione nelle lavoratrici notturne), sugli effetti anti-cancerogeni della melatonina, sulla modificazione del funzionamento dei geni dell’orologio biologico che controllano la proliferazione cellulare. I ricercatori dell’Inserm hanno accertato un rischio di tumore del seno nelle lavoratrici notturne di circa il 30 per cento maggiore rispetto alle altre lavoratrici.

Questo aumento del rischio è particolarmente significativo per le donne che hanno lavorato di notte per un periodo pari o superiore ai quattro anni, o per quelle che hanno effettuato turni lavorativi che prevedevano almeno tre notti alla settimana, alternando quindi periodi di lavoro diurno e notturno. “I rischi di cancro al seno legato al lavoro notturno – ha spiegato Pascal Guenel, direttore di ricerca dell’Inserm – sono pari ad altri fattori di rischio noti, come le mutazioni genetiche, i trattamenti ormonali o l’età avanzata della prima gravidanza”. La ricerca, infine, ha anche rivelato che l’associazione fra lavoro notturno e tumore del seno sembrerebbe più significativa fra le lavoratrici che hanno svolto lavoro di notte in epoca antecedente la prima gravidanza: in questo caso il rischio sale dal 30 al 50 per cento. Un risultato, ha ipotizzato Guenel, che potrebbe essere dovuto al fatto che “in questo caso le ghiandole mammarie sono ancora non completamente differenziate, dunque più vulnerabili e soggette a turbamenti”. In conclusione, il direttore di ricerca dell’Inserm ha ricordato che l’indagine “ha confermato i risultati di studi precedenti e pone il problema di prendere seriamente in considerazione il lavoro notturno nella gestione della salute pubblica, tanto più che il numero di donne che lavorano in orari atipici è in aumento”

giovedì 27 dicembre 2012

Raffineria di Milazzo, protesta di cittadini e lavoratori: «Qui un nuovo caso Ilva»


INQUINAMENTO INDUSTRIALE

Raffineria di Milazzo, protesta di cittadini e lavoratori: «Qui un nuovo caso Ilva»
Manifestazione degli ex lavoratori delle industrie dell’indotto davanti al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto

MESSINA– E’ un nuovo caso Ilva, ma i cittadini arrabbiati sperano che questa volta gli inquirenti intervengano prima che ci siano altri morti o persone malate per l’inquinamento ambientale. E’ la Raffineria di Milazzo che per i residenti rappresenta ormai una minaccia alla loro salute. Numerose le proteste, l’ultima oggi, lunedì 17 dicembre, davanti al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto da parte degli ex lavoratori della Raffineria e delle industrie dell’indotto che hanno riscontrato, dopo anni di lavoro, patologie gravi secondo loro legate al contatto con l’amianto e altri inquinanti. Con loro protestano anche diverse decine di cittadini di Milazzo e il presidente della commissione Ambiente del comune mamertino, Giuseppe Marano. Gli ex
dipendenti della Ram sono esasperati come spiega Giovanni Billa, esponente del comitato che afferma: “Questa libera manifestazione è un atto di protesta nei confronti di tutti coloro che vogliono disconoscere il serio e mortale problema dell'inquinamento industriale che miete vittime e crea problemi di salute più o
meno gravi ai cittadini di Milazzo, del suo hinterland e della valle del Mela. Se nelle varie sedi quali, Ministeri, Regioni, Provincie, Comuni, Tribunali, Procure, non si vedono o forse peggio ancora non si vogliono vedere i
documenti ambientali, che comprovano lo stato di salute dell’ambiente, e di conseguenza, quella dei cittadini, si commettono tutta una serie di reati contro l'umanità".
LE DENUNCE - "Molti di noi - prosegue - lottano ogni giorno contro malattie molto gravi causate proprio dal contatto con l’amianto e altri inquinanti e dobbiamo soffrire ancora di più perché i giudici non vogliono prendere in considerazione le istanze presentate dal nostro avvocato Maria Calderone.
Pretendiamo che siano analizzati i documenti sanitari forniti in corso di contraddittorio e ci chiediamo perché il tribunale non abbia ammesso come prova gli accertamenti di Contarp e Inail che attestano le esposizioni ad amianto oltre le 100 fibre. Vorremmo poi sapere perché non sono state chieste ispezioni o controlli ad Arpa, Comune, Provincia o Regione”. I lavoratori lamentano poi anche la superficialità dei Ctu nominati dalla procura di Barcellona e dicono: “Hanno cambiato nella forma e nella sostanza il quesito dei giudici non valutando alcune richieste e non mettendole nelle loro relazioni. Non hanno tra l’altro inserito nella documentazione gli effetti previsti nei progetti ‘Who Euro Ecet Rome’ e ‘Sentieri’ dell’organizzazione mondiale della Sanità che confermano il nesso causale tra malattie e inquinamento nei territori dove
sono presenti i siti delle raffinerie siciliane di Siracusa, Gela e Milazzo. I Ctu sono stati poi da noi denunciati".

UN’ALTRA ILVA - I lavoratori poi confrontano il loro caso con quello dell'Ilva e dicono: "Riteniamo che i decreti salva industrie sono amorali e rivelano doppiezza d’animo, indici di una società moderna malata che crede nel vile dio denaro sovrano su tutte le cose. Così abbiamo assistito nel caso dell’Ilva di Taranto al trionfo del denaro sulla salute pubblica, non volgiamo che anche qui accada lo stesso”. “A Milazzo – conclude Billa – molti lavoratori e cittadini si sono ammalati e un sinergismo tossico e complesso d’inquinanti di chiara derivazione industriale, fa mutare il Dna dei nostri bambini, come pubblicato nel mese di febbraio del 2012 in una rivista prestigiosa l'Epigenomics, ma ancora le nostre istituzioni non intervengono”. Dello stesso parere Giuseppe Marano che spiega: "L’Arpa regionale da mesi ha denunciato in modo chiaro
che le emissioni maleodoranti che ammorbano l’aria a Milazzo provengono dai cicli di lavorazione della raffineria. E l’Ufficio Speciale, il 13 luglio del 2012 ha fatto pubblicare un decreto sugli odori molesti dove erano previste delle prescrizioni. Ma anche in questo caso il sindaco di Milazzo non solo non ha spiegato ai cittadini le modalità di comportamento da adottare, ma non ha mai dato seguito alle loro denunce”.
MISURE DI SICUREZZA - “Visto questo stato di cose – prosegue Marano - noi ora pretendiamo che venga rivalutata la valutazione integrata ambientale (Aia) per la Raffineria di Milazzo, non vogliamo che si perdano posti di lavoro, ma che siano prese le opportune misure di sicurezza per rispettare ambiente e salute
dei cittadini. Anche perché da successivi ispezioni dell’Ispra sono state confermate altre problematiche all'interno dello stabilimento industriale e c’è stata anche una diffida del Ministero dell’Ambiente, però oggi non sappiamo se sono stati poi presi i provvedimenti necessari. Infine, ricordiamo che nel mese di maggio il Comitato tecnico regionale ambientale è entrato alla Raffineria e ha individuato numerose criticità dal punto di vista sismico e idrogeologico, ma non sappiamo ancora se sia iniziato l’adeguamento degli impianti”.

CROCETTA FIRMI PIANO RISANAMENTO AMBIENTALE - “Denunceremo alla Procura – conclude Marano - le omissioni da parte delle istituzioni locali affinché non ci siano altri morti e chiederemo poi al Predente della Regione Rosario Crocetta la firma dei piani di risanamento ambientale, senza i quali sarà
difficile intervenire per risolvere la situazione". Recentemente anche la Procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio per gli ex presidenti della Regione Cuffaro e Lombardo e sette ex assessori all’Ambiente per la mancata applicazione dei piani di risanamento e bonifica di questa una zona considerata a rischio ambientale.
Gianluca Rossellini
17 dicembre 2012

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/catania/notizie/cronaca/2012/17- dicembre-2012/raffineria-milazzo-protesta-cittadini-lavoratori-qui-nuovo-caso-
ilva-2113203569023.shtml

lunedì 24 dicembre 2012

PROCESSO MARLANE MARZOTTO, ULTIMA UDIENZA 2012




COMUNICATO STAMPA SLAI COBAS COSENZA 23.12.2012



Le festività natalizie interrompono il ciclo di udienze quindicinali del processo penale “Marlane Marzotto”, istruito presso il tribunale di Paola grazie alle lotte ultradecennali dello SLAI Cobas locale e nazionale. Ultima udienza del 2012 è stata quella di venerdì 21 dicembre, caratterizzata dall’ assenza di pubblico anche a causa del particolare periodo dell’anno; al nostro fianco Medicina Democratica, protagonista indiscussa delle lotte nazionali a tutela della salute. Alla sbarra tre dei dodici imputati, Lomonaco, Cristallino e Comegna, superstiti dei quindici dirigenti e tecnici iniziali rinviati a giudizio per omicidio colposo e disastro ambientale. L’udienza è stata caratterizzata da momenti poco edificanti, ad iniziare dall’audizione del primo teste fresco d’intervento per la riduzione della massa tumorale. L’ex operaio già addetto all’impianto di depurazione è stato sottoposto al fuoco incrociato degli avvocati della difesa, senza riguardo alcuno per l’irreversibilità del male e per le condizioni di criticità, essendo questi alla seconda prova dato che la prima era abortita per palese impossibilità a proseguire. La replica la si è avuta col secondo teste già tecnico addetto alla manutenzione degl’ impianti e anche questo con patologia irreversibile. E’ stata una vera e propria tortura senza che alcuno spendesse una parola in sua difesa. Gli è stato chiesto insistentemente di descrivere il suo calvario, le caratteristiche del linfoma alla spina dorsale, i cicli di chemioterapia ai quali è stato sottoposto, la descrizione dell’ambiente di lavoro e il numero di sigarette fumate nonchè il numero di bicchieri di vino consumati a pranzo e a cena: la logica conclusione è stata un pianto dirotto, mentre tra gli avvocati serpeggiavano stupidi risolini di commiserazione. Il presidente, sempre pronto a commentare la scarsa conoscenza dell’ italiano, non si è sprecato nel difendere il decoro delle persone chiamate a deporre, non lo ha fatto il PM e neppure gli avvocati dell’accusa: e ciò è molto triste. Dei convocati ben cinque erano assenti giustificati perché deceduti, potrà sembrare una nota di colore ma se le premesse sono queste… Ben diversa la deposizione della co- fondatrice dello SLAI Cobas locale e sottoscrittrice dalla prima ora di tutte le denunce alla Marzotto, determinata nel rispondere alle domande oziose avendo esse quale oggetto spesso il proprio coniuge già sentito. La “perla” è stata l’ennesima rettifica del presidente quando la teste ha riferito di aver denunciato “all’azienda” corretta dal nostro con “l’azienda” mettendo l’inciso sulle difficoltà linguistiche dei testi, ma suscitando almeno stavolta nei suoi confronti i commenti ironici del parterre. Prossime udienze fissate per l’11,
18 e 25 gennaio, ancora di venerdì e lo SLAI Cobas ci sarà, come sempre.

SLAI COBAS COSENZA 23.12.2012

CLAUDIO E FRANCESCO NON POSSONO ESSERE UCCISI UNA SECONDA VOLTA.

La morte di Claudio e Francesco non può essere archiviata. In questi giorni
Claudio e Francesco vengono uccisi una seconda volta.
Dapprima ci ha pensato Ferrante a sporcare la loro memoria ricordandoli in
comizi e messe da lui tenuti e presenziati; nelle messa questo squallido
maggiordomo del padrone ha unito il ricordo dei due operai al "pensiero
sofferente" per padron Riva e famiglia "privati della loro libertà".
E' inutile dire che in questi giorni anche istituzioni, stampa, ecc. nessuno
escluso, si sono ben guardati dal ricordarsi dei due operai morti.
Ma quel che è peggio è ciò che sta avvenendo di fatto in fabbrica.
Dopo la morte di Claudio e Francesco e la grande e coraggiosa lotta degli
operai del Mof e degli altri operai che l'hanno sostenuta per annullare 
l'accordo
del 2010 sul mono operatore nel reparto, e nonostante le promesse 
dell'azienda
e di Vendola che di questa lotta si sarebbe tenuto conto per modificare la
situazione al Mof, non è invece successo nulla. Si vuole far restare tutto
come prima e i sindacati, Fiom in testa, insistono che o al Mof si lavora
così o niente, e che l'accordo del 2010 è e resta valido.
Questa è la sostanza della cosa, tutto il resto sono fronzoli. Per loro
Claudio è morto invano, gli operai hanno sbagliato a lottare e non vanno
legittimati né come diritto di sciopero né come organizzazione sindacale.

Ma così non può e non deve essere! Costi quel che costi, questa storia non
può finire così!
Lo Slai cobas con precisione e serietà già nei giorni della lotta ha detto
chiaramente quello che l'azienda deve fare e gli operai devono fare. Non è
un problema di sigla sindacale o di semplice solidarietà, ma di serietà e
determinazione. O in questa fabbrica le cose si cambiano oppure non ci sarà
limite al peggio.
Per questo invitiamo a riprendere lo stato di agitazione anche e al massimo
subito dopo le feste, a riprendere seriamente il blocco del reparto, se 
l'accordo è ancora in piedi e se non viene radicalmente cambiata la situazione.
Non c'è solo il problema dell'accordo al Mof che deve saltare - la cosa vale
anche per i gruisti, per gli altri reparti - c'è anche la legge da
rispettare in quelle rarissime volte che essa tutela le condizioni del
lavoro in sicurezza. La sentenza del 5 novembre in Cassazione lo ha
ribadito, e questa deve essere fatta rispettare rigidamente all'Ilva per
mille ragioni che tutti sappiamo, e proprio in questa situazione in cui
sicurezza e messa a norma sono condizioni indispensabili non solo per la
tutela degli operai ma anche per la esistenza stessa della fabbrica.

Slai cobas per il sindacato di classe ILVA

Taranto via Rintone 22 - slaicobasta@gmail.com - T/F 0994792086 - 3475301704
(attivo anche in questo periodo di feste).

TA. 22.12.12

Atti assemblea nazionale Rete

comunicato


Saranno pronti a giorni gli atti con gli interventi dell'assemblea nazionale della rete nazionale per la sicurezza sul posto di lavoro tenutasi a Taranto il 7 dicembre 2012.
Ricordiamo che a gennaio in almeno 20 città italiane saranno organizzate assemblee promosse dalla Rete, ma  assolutamente aperte a tutti -sulla questione Ilva come su tutte le altre vicende che toccano sicurezza e salute in fabbrica e sul territorio, con la presenza di compagni di Taranto e di tutti coloro anche non aderenti finora alla rete che siano interessati
a costruire iniziative di vario genere nella prospettiva di una grossa manifestazione nazionale a Taranto - periodo previsto seconda metà di aprile.
Il nostro appello è rivolto in particolare a operai,lavoratori,rls,sindacati di base e di classe, organismi tematici e organismi popolari, ispettori del lavoro o dell'asl, avvocati, giuristi, medici, intellettuali, artisti ecc.. ma anche a tutte le forze politiche proletarie, comuniste, rivoluzionarie che siano impegnate o vogliano impegnarsi in questa battaglia.
Chiunque voglia organizzare o contribuire a realizzare queste assemblee sul territorio prenda subito contatto con la Rete sia al suo indirizzo nazionale sia a quelli locali dei compagni e forze impegnati nella Rete


bastamortesullavoro@gmail.com
23 dicembre 2012

MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO Governi Monti e Berlusconi HANNO FATTO AUMENTARE LE MORTI DEI LAVORATORI ANZIANI: Regioni quali Trentino Alto adige e Emilia Romagna che vantano una buona amministrazione peggio delle altre



Sono Carlo Soricelli curatore dell'Osservatorio Indipendente di Bologna
morti sul lavoro *http://cadutisullavoro.blogspot.com.* Ho aggiornato a
oggi i dati inerenti al numero totale di morti che non non migliorano se
non marginalmente, rispetto ad un ad un catastrofico 2011 e questo
nonostante la crisi che si è inasprita in modo drammatico. Sono le solite
categorie quali l'agricoltura e l'edilizia a pagare un prezzo elevatissimo
di sangue. Gli stranieri sono oltre il 10% sul totale delle morti e i
romeni da soli muoiono per oltre il 35% tra gli stranieri. Regioni prese ad
esempio nel paese per buona amministrazione quali il Trentino Alto Adige e
l'Emilia Romagna sono tra le peggiori per numero di morti in rapporto alla
popolazione, che è l'unico parametro valido per valutare l'andamento su
questo fronte di una regione e di una provincia. *Ma la cosa che
impressiona di più  è la morte per età delle vittime:* Mentre  l'*8%* delle
vittime hanno meno di *29 *anni, dai* **60 ai 69* anni i morti sui  luoghi
di lavoro sono  *l'11,4% e addirittura il 13,8% ha oltre 70 anni.*
L'Osservatorio può documentare che quest'anno rispetto agli anni passati la percentuale
degli ultra sessantenni morti sul lavoro sono aumentati notevolmente in
percentuale. *QUESTO COSA SIGNIFICA? CHE IL GOVERNO BERLUSCONI PRIMA E
QUELLO DI MONTI,  CON LE LORO RIFORME HANNO PROVOCATO UN'AUTENTICA
CARNEFICINA TRA GLI ANZIANI LAVORATORI E QUESTO PERCHE' NON HA TENUTO DI
NESSUN CONTO NELL'ALLUNGAMENTO DELL'ETA' DI CHI SVOLGE LAVORI PERICOLOSI
DOVE LA SALUTE DEV'ESSERE BUONA E  I RIFLESSI  SCATTANTI  

carlo soricelli*



venerdì 21 dicembre 2012

PROCESSO SOLVAY: UDIENZA DEL 19 DICEMBRE


 L'udienza odierna, l'ultima di quest'anno solare, si apre alle ore 9:45 e prevede l'intervento dell'avvocato Laura Mara, l'ultimo dei legali delle parti civili ad avere la possibilità di ribattere alle contestazioni delle difese degli imputati: non essendo stata ecepita la partecipazione di Medicina Democratica al processo, la bionda legale si concentra sulle persone fisiche.
Alle ore 10:15, terminato l'eloquio della Mara, la Corte si ritira in Camera di Consiglio per redarre il dispostitivo in base al quale verrano o meno ammesse le parti costitutite.
Il suo rientro avviene alle ore 12:35, ed il responso vede tutte le parti civili accettate, salvo tre: Codice Ambiente ed Anfana, in quanto il loro statuto fa un generico riferimento all'ambientalismo, e Solvay Speciality Polymeries Italy S.p.A. per non poter procedere contro se stessa, visto che i due imputati chiamati in causa da questa sono stati dirigenti dell'Ausimont, l'azienda che si è fusa con Sovay Solexis per dare vita all'attuale proprietà.
Esaurite le questioni relative alle parti civili, si passa ad esaminare le domande di ammissione del responsabile civile: tutte le parti concordano nel chiamare in causa la Solvay Speciality Polymeries Italy S.p.A.; soltanto il ministero dell'Ambiente, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, aggiunge ad essa la Edison S.p.A.
La Corte si riserva di decidere nella prossima udienza del 27 febbraio 2013.Genova, 19 dicembre 2012 Stefano Ghio - Proletari Comunisti Genovahttp://pennatagliente.wordpress.com

Viareggio: la Procura di Lucca chiede il rinvio a giudizio per 32 persone e 9 società. Tra questi anche l'ad di Fs Mauro Moretti.


Trasmesse oggi al Gup le richieste della Procura di Lucca per il rinvio a giudizio per 32 persone e 9 società, indagate nell'inchiesta sulla strage di Viareggio, Tra questi anche l'ad di Fs Mauro Moretti.
Viareggio, 20 dicembre 2009 - Un altro passo verso il processo per la strage ferroviaria di Viareggio, avvenuta come non dimenticheremo mai, la sera del 29 giugno 2009 e che ha causato la morte di 32 persone, il ferimento di altre centinaia di cittadini e la distruzione di un intero quartiere. Un evento tragico che ha messo in evidenza gravissime lacune nella sicurezza del trasporto ferroviario, italiano ed europeo, liberalizzato e privatizzato portando alla luce la rete di interessi composta della potente lobby politico industriale presente nel settore ferroviario su scala internazionale.
A PRIMAVERA IL PROCESSO - Dopo la conclusione di tutta la complessa fase delle indagini preliminari e dell'incidente probatorio, durata tre anni e mezzo, la procura di Lucca ha chiesto al Gup, il Giudice dell'udienza preliminare, il rinvio a giudizio per i soggetti ritenuti a vario titolo responsabili della strage. Quest'ultimo deve ora fissare la data per l'udienza nella quale si deciderà se le persone fisiche e le società coinvolte saranno processate. Da quel momento le posizioni di ciascun indagato potranno differenziarsi e percorrere strade diverse. Dal tribunale di Lucca si ipotizza che la prima udienza si svolgerà con ogni probabilità nella prossima primavera. La nostra rivista è presente al processo in qualità di parte lesa, sebbene Trenitalia abbia tentato invano, con una maldestra iniziativa intimitadoria, di tenerci fuori diffidando dal proseguire nell'incarico il nostro collega macchinista ed RLS, Filippo Cufari, individuato come nostro consulente di parte nella fase dell'incidente probatorio.
LE PERSONE INDAGATE - Mauro Moretti, amministratore delegato del Gruppo; Michele Mario Elia, amministratore delegato di Rfi; Vincenzo Soprano, amministratore delegato di Trenitalia; Gilberto Galloni, amministratore di Fs logistica; Mario Castaldo, direttore della Divisione Cargo di Fs; Calogero Di Venuta, responsabile Direzione compartimentale Firenze Movimento e infrastruttura, che all'epoca del disastro si era appena insediato; Angelo Pezzati, predecessore di Di Venuta. Emilio Maestrini, all'epoca del disastro era il responsabile della Direzione ingegneria, sicurezza e qualità di Trenitalia. Enzo Marzilli è a capo di una direzione tecnica di Rfi e responsabile del progetto Frecciarossa.
E ancora per RFI: Giorgio Di Marco, ex direzione tecnica; Mario Testa, direzione tecnica; Giovanni Costa, management direzione tecnica; Alvaro Fumi, responsabile dell'Istituto sperimentale di Rfi; Francesco Favo, direzione tecnica Rfi-Cesifer (Certificazione sicurezza imprese ferroviarie); Stefano Rossi, microstruttura materiali d'armamento Rfi; Giulio Margarita, all'epoca del disastro direzione tecnica Rfi. Oggi passato all'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria. Per le altre società del Gruppo, sono indagati: Salvatore Andronico, divisione logistica di Trenitalia; Giuseppe Farneti, sindaco revisore di Fs (bilancio 2007), e di Italferr (bilancio 2009). Alla Cima riparazioni appartengono Giuseppe Pacchioni, amministratore delegato e Paolo Pizzadini, tecnico Cima riparazioni. Tra gli indagati stranieri i dirigenti di Gatx Austria, Gatx Germania, Gatx Polonia, e Officina Jungenthal di Hannover: Johannes Mansbart, amministratore delegato Gatx Rail Europe e presidente Gatx Rail Germany; Peter Linowski, responsabile tecnico della Gatx Rail Germany; Roman Mayer, responsabile tecnico Gatx Rail Austria; Matthias Barth, Gatx Rail Poland; Rainer Kogelhaiede, manager Gatx Beteiligungs Gmbh Hannover; Andreas Carlsson, manager Jungenthal Waggon Gmbh di Hannover; Uwe Kriebel, officina Jungenthal di Hannover; Andreas Schroter, officina Jungenthal di Hannover; Joachim Lehamann, officina Jungenthal di Hannover. Indagati anche Daniele Gobbi Frattini, Massimo Vighini, Andreas Barth,Uwe Koennecke.
LE SOCIETA' INDAGATE - Sono indagate per le responsabilità amministrative, ai sensi della legge 231/2001, anche Gatx Austria, Gatx Germania, Gatx Company, Officina Jungenthal, Gruppo Ferrovie dello Stato,R.F.I., Trenitalia, FS Logistica e Cima Riparazioni. Rispetto a quanto emerso in fase di chiusura delle indagini prelimari, tra le società indagate si è aggiunta la  Gatx Company, holding che controlla Gatx, la proprietaria del vagone che deragliando il 29 giugno 2009 causò la morte di 32 persone.
LA PROCURA: SQUARCIO PROVOCATO DAL PICCHETTO. "Siamo convinti, cosi' come sostiene il nostro consulente, che lo squarcio sulla cisterna fu provocato da un picchetto». Lo ribadisce il procuratore di Lucca, Aldo Cicala, in merito alle richieste di rinvio a giudizio inoltrate al gup per 32 persone nell'ambito dell'inchiesta sulla strage di Viareggio. Adesso il giudice dovrà fissare la data dell'udienza preliminare. «Rispetto all'avviso chiusura indagini del giugno scorso - spiega Cicala - non ci sono cambiamenti. In questi mesi, nove indagati, tutti delle ditte tedesche, hanno chiesto di essere interrogati, ma la nostra ricostruzione resta la stessa. Per le richieste di rinvio a giudizio abbiamo dovuto attendere anche che l'avviso chiusura indagini, un atto piuttosto corposo, venisse tradotto in tedesco». Cicala conferma che la procura ha chiesto il rinvio a giudizio anche per l'Ad di Fs Mauro Moretti. Nell'avviso chiusura indagini era spiegato, tra l'altro, che in qualità di ad prima di Rfi - dal 2001 al 2006 - e poi di Fs, non avrebbe valutato i pericoli e i rischi del passaggio di treni carichi di sostanze pericolose da stazioni come quella di Viareggio (Lucca), circondata da case.
LE FERROVIE ATTACCANO I MAGISTRATI CHE LI ACCUSANO. Come già visto fare negli ultimi anni in Italia da altri personaggi 'potenti', il gruppo ferrovie Spa, con una nota sul rinvio a giudizio per Moretti, attacca la Procura di Lucca per il solo fatto che sia stato dato l'annuncio dell'invio della richiesta.  "A nome dei legali del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, prendiamo atto che in rete sono diffuse notizie e commenti circa la notifica di una richiesta di rinvio a giudizio per 32 indagati, tra i quali l'amministratore delegato, Mauro Moretti, per l'incidente di Viareggio. Prendiamo anche atto che la notifica ai diretti interessati o ai loro avvocati non è ancora avvenuta e che l'eco mediatica è più importante del rispetto delle regole". Dichiarazioni paradossali riguardo il rispetto delle regole - trattandossi di legittimo esercizio del diritto di cronaca su fatti gravissimi di interesse generale - da parte di chi possiede potentissimi strumenti di comunicazione e che finge di ignorare le regole della comunicazione: come se la notizia, in se, non rivestisse uno straordinario interesse per l'opinione pubblica e, soprattutto, per i familiari della  vittime in attesa della verità sulla morte di loro cari

Questione Ilva alla Camera Deputati. PeaceLink compare come fonte informativa


Ogg: Questione Ilva alla Camera Deputati. PeaceLink compare come fonte
informativa

La Camera, premesso che:
il decreto in esame, consente, per legge, la riapertura dell'impianto
siderurgico dell'Ilva, di fatto posto sotto sequestro con provvedimento dell'autorità giudiziaria per tutelare la salute dei cittadini e a seguito di acclarato «disastro ambientale», vincolando però la produzione al rispetto delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell'Autorizzazione integrata ambientale e al suo relativo cronoprogramma; l'Ilva è la più grande acciaieria d'Europa. Produce circa 10 milioni di tonnellate l'anno di acciaio (un terzo del fabbisogno di acciaio italiano) e dà lavoro a 12 mila lavoratori diretti (40 mila con l'indotto). Costruito nel 1961
quando l'allora Italsider era un'azienda pubblica, l'immenso stabilimento nel
1995 è stato ceduto al gruppo privato Riva, che in questi anni lo ha riportato a una gestione in profitto; nel 2010, secondo le perizie del tribunale e le dichiarazioni
dell'Ilva, sono state immesse nell'ambiente circostante 4.159 tonnellate di polveri, 11 mila di diossido d'azoto e anidride solforosa, tantissima anidride carbonica, e quantità di arsenico, cromo, cadmio, nichel, diossine, piombo e molti altri materiali;
l'azione della magistratura è scattata il 26 luglio 2012 con il sequestro
dell’«area a caldo» dello stabilimento, e proseguita il 26 novembre con quello delle «aree a freddo». Le accuse a carico dell'Ilva, dei suoi proprietari e dirigenti, sono di «disastro ambientale doloso e colposo». Secondo l'ordinanza del 26 luglio, l'azienda ha disperso «sostanze nocive nell'ambiente» provocando «malattia e morte». Pur conoscendo gli effetti delle emissioni, si è continuato a inquinare «con coscienza e volontà per la logica del profitto»;
attualmente sono 149, tra cittadini ed enti, i soggetti che hanno promosso una causa civile all'Ilva per i danni subiti dall'inquinamento e il conseguente deprezzamento subito da abitazioni e proprietà;
una stima dell'associazione ambientalista Peacelink, quantifica il danno
complessivo alla città e al suo ecosistema in sei miliardi di euro, che si andrebbero a sommare ai 700 milioni già chiesti dal comune;
a questo aggiungiamo le risorse necessarie – valutate in circa 3,5-4
miliardi di euro – per rispettare quanto richiesto dal provvedimento di riesame dell'Autorizzazione integrata ambientale del 26 ottobre scorso, in termini di disinquinamento, risanamento degli impianti e bonifica delle aree inquinate;
il provvedimento in esame prevede in realtà sanzioni deboli e troppo poco
«stringenti» per la proprietà dell'Ilva in caso di mancato rispetto delle prescrizioni imposte dall'AIA, e anche l'eventuale ricorso all'amministrazione straordinaria non è automatico, ma si prevede solamente che in caso di inadempienze, il Garante può eventualmente proporre «idonee misure, ivi compresa l'eventuale adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria». Insomma interventi troppo blandi, laddove sarebbe invece indispensabile imporre idonee misure affinché sia la famiglia Riva a farsi carico di tutte le spese necessarie per le bonifiche, e per mettere a norma la società Ilva;

impegna il Governo

ad attivare tutte le iniziative, anche di carattere legislativo, volte a
garantire che la proprietà dell'Ilva stanzi tutte le risorse necessarie alla bonifica delle aree, al risanamento ambientale e alla riqualificazione degli impianti degli stabilimenti di Taranto secondo le previste prescrizioni dell'Aia.
9/5617-AR/6.Zazzera, Vatinno, Cimadoro.
www.peacelink.it

Thyssen appello - udienza del 20-12


Thyssen, parla Guariniello
"Confermate quelle condanne"
La requisitoria del pm al processo d'appello per la strage dell'acciaieria:
"Non lo chiedo con entusiasmo, ma con convinzione"
di SARAH MARTINENGHI

Thyssen, parla Guariniello "Confermate quelle condanne"
La conferma delle condanne per i sei dirigenti della Thyssenkrupp è stata chiesta oggi dal procuratore Raffaele Guariniello e dalle sue sostitute Laura Longo e Francesca Traverso: "Non lo faccio con entusiasmo ma lo faccio con convinzione" ha detto Guariniello riferendosi alla sua abitudine di non chiedere mai condanne così alte. Il 15 aprile 2011 con l'accusa di omicidio volontario con dolo eventuale la Corte d'assise aveva inflitto 16  anni e mezzo di carcere all'amministratore delegato Harald Espenhahn, 13 anni e sei mesi a Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, mentre Daniele Moroni era stato condannato a 10 anni e 10 mesi. Mai in un processo per infortunio sul lavoro erano state inflitte pene così severe.

Oggi in aula l'accusa ha ribadito che la morte dei sette operai non è stata accidentale ma il frutto di una logica economica di mero risparmio. Se lo stabilimento avesse chiuso a settembre del 2007, se fossero stati messi gli impianti di rilevazione antincendio, se non ci fossero state le condizioni di abbandono, sporcizia e insicurezza, la tragedia della Thyssen non sarebbe capitata. Il processo riprende il 3 gennaio con l'unica parte civile rimasta, l'associazione Medicina Democratica. Poi la parola passerà alla difesa.



venerdì 14 dicembre 2012

Taranto - il racconto di Franca Caliolo



Per tutti questi anni Franca Caliolo, moglie dell'operaio, ha condotto una dura battaglia per raccontare la vicenda, mobilitare le coscienze, ha partecipato prima alla fondazione dell'associazione 12 giugno familiari vittime del lavoro dell'Ilva in seguito, ha contribuito ed è stata protagonista della fondazione della rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro, la quale ha organizzato diversi eventi per fare di questa morte una battaglia per la vita degli operai contro i profitti del capitale e di padron Riva, compreso una riuscita manifestazione nazionale a Taranto il 18 aprile 2009.
In questa occasione pubblichiamo ancora una volta, il racconto di Franca Caliolo, che rendono ben viva questa morte e un grido di rabbia e ribellione contro il capitale che uccide

Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro sede di Taranto
347-1102638

La svolta

di Francesca Caliolo

Il giorno in cui misi piede per la prima volta come operaio nel cantiere Ilva di Taranto, fui preso dallo sconforto, come mai mi era accaduto nella mia lunga esperienza lavorativa. Difficile arrivare alla fine di quella giornata.
Trovare quel lavoro non era stato facile: dopo mesi di mobilità e decine di domande inoltrate a ditte del settore, un contratto a due mesi mi aveva dato respiro. Conoscevo già il cantiere per averci lavorato in trasferta qualche anno prima.
Quella sensazione che avevo ora però, era di definitiva appartenenza a quel luogo e questo mi infondeva pessimismo per il futuro.
Dovevo avere un'espressione molto avvilita se, tornato a casa, mia moglie mi abbracciò forte dicendosi sicura che presto avrei trovato qualcosa di meglio.
Invece restai in quella ditta per due anni, passai in un'altra come caposquadra per altri due, per poi tornare alla prima divenendo vice-capocantiere circa tre anni dopo. Questo scatto di livello mi gratificò, gravandomi al tempo stesso di una grande responsabilità a causa di lavori molto impegnativi che eravamo chiamati a fare.
Ciò che restava immutato era il paesaggio.
Contro un cielo velato dai fumi, si stagliavano bizzarre architetture: come cattedrali futuriste consacrate alla grande economia, svettavano numerose ciminiere attorniate da condutture metalliche che percorrevano in lungo e in largo la città-cantiere, trasportando enormi quantità di gas, per arrivare ai potenti altiforni capaci di ridurre i metalli in lava incandescente.
A fumi e vapori si aggiungeva il 'polverino'come lo chiamavano qui, che si sollevava dalle nere colline di carbone dei parchi minerali, in una sorta di moderna rivisitazione dell'Inferno dantesco. Di tanto in tanto, paradossalmente,il tutto era avvolto dalle note dell'"Inno alla gioia" di Beethoven,  diffuse dagli altoparlanti per sottolineare il momento culmine della "colata". A questo scenario pian piano non ci feci più caso se non per il fatto che gradualmente contribuiva ad aggravare la mia allergia.
La prima estate che affrontai in Ilva fu una delle più calde in assoluto, toccò i 40°e a noi toccò ristrutturare un altoforno ancora caldo situato vicino a un altro in funzione, a 1.800°.  In seguito bisognò revisionare dei silos contenenti residui oleosi che impregnavano le nostre tute rendendole inutilizzabili; condutture buie e fuligginose che ci rendevano irriconoscibili come minatori a fine turno; strutture poste ad altezze irraggiungibili da chi non avesse una qualche capacità funambolica.
Difficile raccontare questo stato di cose a chi non conosceva quell'ambiente.
E infatti non lo raccontavo. Non lo raccontavo ai conoscenti, non lo raccontavo ai parenti. Non lo raccontavo agli storici amici insieme ai quali avevo condiviso battaglie sociali: col tempo le nostre vite erano cambiate, dal punto di vista del lavoro però, la mia vita era cambiata più delle loro.
Lavoratori per lo più"di concetto", li ritenevo teorici idealisti, lontani anni luce dal mondo cui accennavo loro con battute ironiche.
Mia moglie era l'unica a conoscere nei dettagli la mia realtà lavorativa.
Quasi ogni mattina mi chiamava per un rapido saluto che mi rincuorava e poi, una volta a casa, mi martellava di domande per conoscere tutto della mia giornata.
Benché restio a raccontare aspetti poco rassicuranti per lei, mi ritrovavo poi a farle un resoconto completo anche di dettagli tecnici. Questo suo modo di essermi vicina era parte integrante di una condivisione totale della nostra vita e aveva in effetti il potere di alleviare tante giornate difficili, così come mi aiutava il bellissimo, profondo legame con i nostri figli.
Ma anche al lavoro mi aiutavano i contatti umani. Ci tenevo a stabilire rapporti di amicizia prima che professionali; una risata, una battuta, qualche aneddoto ci faceva superare le giornate più pesanti. Avevo buoni rapporti con tutti o quasi e avevo rispetto per i superiori come per l'ultimo arrivato: in passato avevo subito troppe vessazioni solo per essermi opposto a delle ingiustizie da parte di capi tesi ad affermare il proprio ruolo, per non nutrire rispetto per chi avevo di fronte. Oltretutto lavoravo quasi sempre al fianco dei miei operai per condividere rischi e fatica.
Era nel periodo delle"fermate", vale a dire il blocco produttivo di un settore del cantiere che permetteva a noi di intervenire, che divenivo duro ed esigente, preoccupato che tutto andasse per il meglio.
Ad ogni modo, odiavo quel lavoro. Non lo lasciavo perché volevo mettere un po' di risparmi da parte per avviare una attività indipendente, magari nella ristorazione. Cosa non facile con una famiglia monoreddito e due figli in crescita. D'altro canto, per quanto ancora avrei potuto svolgere un lavoro così usurante con due vertebre schiacciate,un menisco lesionato e una tendinite al braccio destro? E comunque sognavo un lavoro che mi lasciasse più tempo per vivere insieme alla mia famiglia e programmare finalmente delle ferie in estate, seguire il calcio, la politica, fare passeggiate senza sentirmi stanco e stressato.
E se la stanchezza era dovuta alla manualità del lavoro, lo stress derivava dal carico di responsabilità per l'esecuzione tecnica secondo precisi parametri e tempi sempre troppo limitati, dettati da gare al ribasso, che ci imponevano turni impossibili, arrivando a volte a lavorare per 16 e addirittura 24 ore di seguito! Nel contempo bisognava fare attenzione che nessuno si facesse male e, a dire il vero, la frequenza degli incidenti in tutta l'Ilva non lasciava ben sperare.
A fine giornata pareva un bollettino di guerra, con incidenti di tutti i
tipi: ustioni, intossicazioni, fratture e, qualche volta si moriva anche. Le morti ci lasciavano attoniti a pensare all'esagerato tributo da pagare in cambio di un lavoro di per sé duro e alienante. Eroi, martiri del lavoro?
Nessuna medaglia, non funerali di stato.
E credo che nessuno di quegli uomini avesse voglia di immolarsi a un dio che chiedeva sacrifici in nome di interessi economici e non si prodigava ad attuare migliori misure di sicurezza, definendo"morti fisiologiche" quelle
2-3 che in media si verificavano per anno in un cantiere dove operavano circa 20.000 persone.
Ci sentivamo impotenti, rassegnate formiche al cospetto di un colosso; protestavamo e poi, dovendo continuare a lavorare, cercavamo di scongiurare la morte cercando di non pensarci.
D'altronde nella nostra ditta non era mai morto nessuno.
Sono passati ormai quasi nove anni dal mio ingresso in Ilva e sono ancora qui, alle prese con un'ennesima"fermata"che si presenta particolarmente complicata e che mi ha caricato di tensione già da qualche settimana.
Neppure questa pausa pasquale è servita a ricaricarmi, neppure la giornata di ieri passata in campagna respirando aria pura, cosa non comune per me.
Ho avuto da ridire con mia moglie anche prima di andare a dormire, col pretesto che non aveva sistemato bene la piega del lenzuolo. Lei ci è rimasta male perché era stanca, ma io ero nervoso e intrattabile e non ci siamo neppure dati la buonanotte. Più tardi appena avrò un po' di tempo la chiamerò per scusarmi, tanto ormai lo sa che se non termina la fermata non torno sereno.
E questo lavoro ci dà già delle noie, un'operazione che non va per il verso giusto, ci tocca smontare e rimontare.
Siamo a venti metri da terra per sostituire delle valvole di un enorme tubo che è stato svuotato, così ci hanno assicurato, del gas che trasportava.
Indossiamo maschere collegate a bombole d'aria perché potrebbero esserci residui di gas, non è la prima volta che torno a casa con nausea e mal di testa da scoppiare.
E infatti verso le dieci ho soccorso un ragazzo che si è sentito male.
Questo gas è inodore e insapore, perciò più insidioso; un paio di noi hanno il rilevatore ma ormai è certo che da qualche parte c'è una  perdita, comincio ad avere mal di testa.
Comunque noi siamo abituati ad operare così, né la ditta né l'Ilva si possono permettere di bloccare i lavori ogni volta che qualcosa non va, non gli conviene. A noi scegliere poi se ci conviene rischiare o non lavorare più.
Meno male almeno che i turni ora sono regolari, in fondo non è la prima volta che respiro questo maledetto gas, mi dà nausea,vertigini, mal di testa, ma una volta a casa mi riprendo, devo resistere fino ad allora.
Intanto il cellulare continua a squillare, sono quelli dell'altra squadra ed io per rispondere e richiamarli devo togliere la maschera, non posso ogni volta scavalcare questo tubo che ha 3m di diametro per raggiungere la postazione di sicurezza, perderei troppo tempo. Anche la scala di accesso è dall'altra parte, così mi allontano del massimo che mi è consentito.
Stiamo lavorando come forsennati, vorrei che Gabriele fosse qui e ci vedesse, capirebbe perché insisto tanto sul fatto che studi; ultimamente sono stato anche un po'duro con lui, ma non vorrei mai che si trovasse costretto un giorno a fare questo.
Ora non ce la faccio proprio più, mi sento mancare le forze.
Mi allontano verso l'ufficio, vorrei chiamare Franca ma si accorgerebbe che qualcosa non va, non voglio preoccuparla.
Nella mente mi scorrono delle immagini, mi rivedo ragazzino a bottega dal fabbro, durante le vacanze estive, mentre i miei amici giocano nel cortile dell'oratorio vicino. Ma io ho perso mio padre a nove mesi e son dovuto crescere in fretta. Mia madre, contadina, ha dovuto tirare su cinque figli da sola.
Con un diploma professionale, non ho trovato di meglio da fare che il muratore, stringendo i denti per la fatica eccessiva per un fisico esile come il mio. Qualche anno dopo sono diventato un bravo venditore di macchinari per falegnameria, con i cui proventi ho potuto costruire la mia casa.
Dopo nove anni il mercato ristagna, torno così alla condizione di operaio stavolta metalmeccanico, nel Petrolchimico di Brindisi. Dopo altri nove anni la ditta ci impone la condizione di trasferisti; non ce la faccio ad allontanarmi dalla mia famiglia e rifiuto, ritrovandomi così in mobilità.
Fino ad oggi ho trascorso quasi nove anni qui in Ilva e chissà, forse la mia vita avrà una nuova svolta.
Non cerco di dare un senso a questa mia vita di fatica e sacrifici. Il senso è già tutto negli affetti. D'altronde la felicità non è una condizione continua, se non nelle fiabe. Noi dobbiamo accontentarci delle piccole cose e vivere intensamente i momenti di felicità che ci capitano, come dice mia moglie, che sa restituirmi la gioia di vivere. Ora devo tornare al lavoro, non mi sento ancora bene.
Qualcuno mi sconsiglia di risalire, non ho un bell'aspetto, dice.
Non posso, siamo una squadra e io ne sono anche responsabile. Infatti i problemi non sono ancora risolti; insistiamo, ricominciano le telefonate.
Cambia il turno, mi sollecitano a lasciare ad altri il completamento del lavoro. Non posso, ci sono quasi riuscito, è un lavoro pericoloso, meglio completarlo.
Stasera a casa voglio abbracciare Franca,Gabriele e Roberta, dire loro quanto li amo, proporgli di fare una crociera, è tanto che ci penso e poi voglio cambiare lavoro, non ce la faccio più, sono stanco, stanco, così stanco che all'improvviso ho voglia di dormire, mi si chiudono gli occhi, squilla il cellulare, dormo.
Amore mio, è passato un anno da quando non ci sei più. Quante volte mi sono chiesta se non sentivi lo squillo della mia chiamata, se proprio in quel momento cadevi, se pensavi a noi.
Di quel giorno posso ricordare tutto, posso anche rivivere lo straziante dolore di una realtà dura da accettare, così dura da far crescere in un attimo i nostri ragazzi, proiettati improvvisamente davanti alla morte, quella del loro adorato papà.
Voglio credere che quel giorno il Signore ti abbia fatto cadere tra le sue braccia, per portarti a vivere una felicità mai provata prima.
Voglio credere che tu sia qui tra noi, che continui a proteggerci col tuo amore e la tua tenerezza.
Dev'essere così, altrimenti non saprei spiegarmi perché continuo ad amarti tanto e ad avere la forza di vivere senza di te.


        Franca Caliolo

Taranto - giustizia parziale per Franca Caliolo


Si è concluso il processo per la morte dell'operaio dell'indotto Antonino Mingolla

dalla cronaca della gazzetta del mezzogiorno

Si è chiuso con la condanna di tutti gli imputati, il processo di primo grado per la morte di Antonino Mingolla, 47enne operaio di Mesagne, dipendente della ditta Costruzioni metalliche tubolari (Cmt) deceduto sul lavoro il 18 aprile 2006 all'interno dello stabilimento Ilva. Il giudice del tribunale di Taranto, Massimo De Michele ha condannato i sei dirigenti finiti alla sbarra a pene comprese tra i due anni e due anni e sei mesi di reclusione. La pena maggiore è stata inflitta a Pietro Mantovani: per il titolare della ditta Smi sas, subappaltatrice della Cmt, il tribunale in composizione monocratica avrebbe riconosciuto una maggiore responsabilità condannandolo alla pena di due anni e sei mesi. Due anni di carcere, invece, sono stati inflitti ad Alfredo De Lucreziis, tecnico d'area energia manutenzione meccanica dell'Ilva, Antonio Assentato, capo cantiere della ditta Cmt, Angelo Lalinga, responsabile di produzione, distribuzione e trattamento acque, soffiaggio vapore, aria e gas dell'Ilva, Mario Abbattista, capo reparto energia, aria e gas dell'Ilva e Francesco Ventruto, responsabile del servizio di prevenzione e protezione rischi per la sicurezza e salute durante il lavoro.
Le condanne decise dal magistrato, infine, sono state superiori anche alle richieste formulate dal pubblico ministero. Durante la sua requisitoria, infatti, il sostituto procuratore della Repubblica Enrico Bruschi, aveva chiesto al tribunale la condanna di tutti gli imputati a una pena di un anno e otto mesi di carcere. Per tutti l'ipotesi di reato contestata dalla procura ionica era di cooperazione in omicidio colposo.
Quel 18 aprile 2006, Antonino Mingolla fu investito da una nube tossica mentre era impegnato assieme ad altri suoi tre colleghi nella sostituzione di una valvola alla rete gas «Afo» in prossimità della centrale elettrica Cet1, all'interno dello stabilimento siderurgico. Il tribunale, quindi, ha accolto la tesi accusatoria della procura della Repubblica secondo la quale la ditta Cmt avrebbe predisposto un generico piano per la sicurezza «senza che a monte ci fosse una valutazione dei rischi effettivamente connessi all'attività lavorativa e alla specifica definizione delle modalità operative più idonee». Inoltre, nel piano in questione «non vi è traccia dello stretto coinvolgimento dei lavoratori in un efficace processo conoscitivo dei rischi ai quali andavano esposti».
Mingolla e gli altri operai furono investiti da sostanze tossiche probabilmente sprigionate dalla tubazione a cui stavano lavorando: una vera e propria nube tossica inodore, insapore e incolore contenente una cospicua quantità di ossido di carbonio. I soccorsi furono immediati, ma l'operaio mesagnese morì poco dopo l'arrivo al pronto soccorso dell'ospedale «Santissima Annunziata».

nota della Rete

Antonino Mingolla è il marito di Franca Caliolo, una delle fondatrici dell'associazione dei familiari 12 giugno e successivamente della rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro. e oggi attiva nelle donne per taranto il 18 aprile 2009 la rete nazionale organizzò a Taranto una manifestazione nazionale di 5000 persone contro morti sul lavoro e inquinamento che ha anticipato tutta la battaglia odierna in corso, ma su posizioni nazionali e di classe e non localiste e interclassiste

rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro bastamortesullavoro@domeus.it
13 dicembre 2012


da repubblica

Operaio ucciso dal gas killer
condannati responsabili Ilva
"Mancanza totale di sicurezza". L'incidente mortale sull'Altoforno 1 nel 2006, costato la vita ad Antonio Mingolla. Due anni anche ai dirigenti della ditta appaltatrice di GIULIANO FOSCHINI

Operaio ucciso dal gas killer condannati responsabili Ilva


TARANTO - I responsabili dell'Ilva condannati con i dirigenti di una delle ditte appaltatrici a due anni per concorso in omicidio colposo, per la morte di un operaio, stroncato dal gas killer fuoriuscito dall'Altoforno 1:
Antonio Mingolla, ucciso nel 2006 a 46 anni dalle esalazioni che lo hanno investito mentre, in assenza di adeguate misure di sicurezza, lavorava all'interno dell'Ilva.

La sentenza è arrivata nel pomeriggio, e ad ascoltarla c'era anche la vedova Francesca Caliolo, parte civile nel processo e, da allora, rappresentante della Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro. Condannati per le gravi carenze sul fronte della sicurezza che sono costate la vita all'operaio, dipendente di una ditta esterna del siderurgico, sei tra uomini Ilva e responsabili dell'impresa dell'indotto. Tra loro nessun dirigente di primo piano. Il sistema delle deleghe a cascata li ha messi al riparo dalla giustizia.

Condannati per il reato di concorso in omicidio colposo Alfredo De Lucreziis, tecnico d'area energia manutenzione meccanica dell'Ilva; Antonio Assentato, capo cantiere della ditta Cmt; Piero Mantovani, titolare della società "Smi sas", ditta subappaltatrice della Cmt; Angelo Lalinga, responsabile di produzione, distrubuzione e trattamento acque, soffiaggio vapore aria e gas dell'Ilva; Mario Abbattista, capo reparto energia, aria e gas dell'Ilva; e Francesco Ventruto, responsabile del servizio di prevenzione e protezione rischi per la sicurezza e salute durante il lavoro.

L'operaio, il giorno dell'incidente, stava smontando una grossa valvola, quando fu ucciso da un gas potentissimo, nell'area dell'Altoforno 1, la centrale elettrica chiusa nei giorni scorsi per manutenzione, come primo passa nell'adeguamento dettato dalla nuova Aia. Antonio Mingolla, padre di due figli, di Mesagne, morì fulminato dal gas, incolore e inodore, ad altissima concentrazione tossica, fuoriuscito dalla conduttura alla quale stava lavorando. L'operaio, dipendente della società appaltatrice tarantina C.m.t., stava operando con un collega su una passerella posizionata a venti metri d'altezza. Ha respirato quel potente veleno, chiamato in gergo "gas povero da altoforno", che lo ha ucciso praticamente sul colpo.

Per tentare di salvarlo due colleghi rischiarono la vita. Le indagini hanno chiarito che la fatalità giocò un ruolo marginale quel giorno. Le relazioni dei periti e degli ispettori del lavoro hanno tracciato uno spaccato inquietante. Sintomatica l'assenza in un luogo a rischio di una bomboletta da almeno due litri, che avrebbe potuto salvare la vita all'operaio consentendogli di fuggire dall'ambiente saturo di monossido di carbonio. Ma di quelle procedure c'erano labili tracce sul manuale in dotazione agli operai, nel quale però campeggiava la scritta: "L'umorismo migliora l'ambiente di lavoro".

Ilva - niente dissequestro e grave reazione aziendale





Il gip del tribunale di Taranto, che ha respinto l'istanza dell'Ilva di reimmissione nel possesso dei prodotti finiti e semilavorati sequestrati il 26 novembre scorso. L'istanza era stata presentata una settimana fa dall'Ilva alla procura sulla base del decreto legge varato il 3 dicembre.

Secondo il gip che ha recepito il parere negativo dei pm il provvedimento governativo non ha effetto retroattivo: "Il divieto di retroattività della legge - scrive il gip - è fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell'ordinamento". La dottoressa Todisco, citando l'articolo 3 del decreto legislativo, rileva che "la norma impone di escludere radicalmente che si sia voluto attribuire efficacia retroattiva alla disposizione". Per questo motivo il giudice non ha concesso il dissequestro: sotto chiave rimangono 1 milione e 700mila tonnelate di coils, tubi e bramme per un valore stimato in quasi 1 miliardo di euro. Il sequestro è scattato perchè quell'acciaio era ritenuto provento dell'attività degli impianti dell'area a caldo dopo i sigilli scattati lo scorso 26 novembre per l'emissione di veleni industriali.
La decisione ha scatenato l'immediata reazione delll'Ilva, con una nota, annuncia: andranno a casa con effetto immediato quasi 4000 operai. "A seguito del rigetto odierno da parte del Gip della richiesta di Ilva dell'applicazione del decreto legge 207  del 3 12 2012, Ilva comunica  le drammatiche conseguenze che tale decisione comporta per i livelli occupazionali e per la situazione economica dell'azienda - scrive l'azienda del gruppo Riva - Da ora e a cascata  per le prossime settimane  circa 1.400 dipendenti, appartenenti prevalentemente alle aree della laminazione a freddo, tubifici e servizi correlati, rimarranno senza lavoro. Il numero di questi lavoratori si andrà a sommare ai  1.200 dipendenti già attualmente in cassa Integrazione per le cause già note quali la situazione di mercato e le conseguenze del tornado che ha investito lo stabilimento di Taranto lo scorso 28 novembre". Il riferimento immediato, dunque,
è a 2600 dipendenti.
"Ma si fermeranno - prosegue la nota dell'Ilva - poi a catena gli impianti Ilva di Novi Ligure, Genova Racconigi e Salerno, dell'Hellenic Steel di Salonicco, della Tunisacier di Tunisi e di diversi stabilimenti presenti in Francia, nonchè tutti i centri di servizio Ilva, quali Torino, Milano e Padova, nonchè gli impianti marittimi di Marghera e Genova. Tutto ciò comporterà, in attesa di ricostituire la scorta minima per la ripresa dei processi produttivi,  una ricaduta occupazionale che coinvolgerà un totale di circa 2500 addetti. Le ripercussioni maggiori si avranno a Genova e Novi Ligure dove nell'arco di pochi giorni da oggi, saranno coinvolte circa 1.500 persone (1.000 su Genova e 500 su Novi Ligure)". E' così che la  minaccia si allunga su un totale di circa 4000 addetti.

"Naturalmente - conclude l'Ilva - l'azienda ricorrerà al Tribunale del Riesame confidando cha la situazione possa essere sbloccata al più presto, per evitare oltre al danno derivante dalla mancata consegna dei prodotti già ordinati e non rimpiazzabili in alcun modo, anche il danno relativo all'eventuale smaltimento di tali prodotti che, l'azienda ricorda, sono prodotti deteriorabili".

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lo Slai cobas per il sindacato di classe fa appello agli operai di tutti gli stabilimenti Ilva a respingere la decisione  dell'azienda e a riaffermare
che lavoro e salute si difendono e si impongono con la lotta per la messa  a norma dell'ilva di Taranto con gli operai in fabbrica e i padroni in galera
vanno respinti i tentativi dell'azienda di mettere gli operai contro le esigenze di salute dei cittadini di Taranto, ma anche quelli in corso di mettere i cittadini contro gli operai che lottano per il posto di lavoro


slai cobas per il sindacato di classe
slaicobasta@libero.it
347-5301704




15 dicembre
lo slai -Cobas Ilva e provinciale Taranto appoggiano i cittadini e i lavoratori che manifestano sabato contro il decreto Monti-Clini .
 Un decreto dittatoriale che riconsegna la fabbrica a padron Riva, imponendo il lavoro forzato sotto padronRiva , per fargli fare ancora profitti, invece che il 'lavoro sicuro', che vogliono operai e cittadini di Taranto ma non vi aderisce perchè questa lotta per essere vincente richiede -in fabbrica l'unità operaia per il sindacato di classe nelle mani degli operai, alternativo ai sindacati confederali filoRiva -nei quartieri, a partire dai tamburi,  l'unità operai-masse popolari  in una lotta continua e generale contro tutti i padroni, tutti i governi e lo Stato dei padroni
- per una fabbrica aperta, senza morti sul lavoro e messa a norma e per una città, risanata da tumori e inquinamento con bonifiche che diano il lavoro ai disoccupati slai cobas per il sindacato di classe taranto
347-5301704