giovedì 21 novembre 2013

MORATORIA DISCARICHE AMIANTO domenica 24 novembre siamo a Brescia

Proseguono le iniziative per costruire una mobilitazione il più ampia possibile sulla moratoria delle discariche di amianto. Dopo Cremona, Bergamo e Pavia, domenica 24 novembre, alle ore 15.30, saremo a Brescia presso la Sala civica - via Rizzi, 4/A - Sanpolino (l'incontro è organizzato dal Comitato spontaneo contro le nocività - bresciacontrolenocivita.wordpress.com - https://www.facebook.com/#!/events/159838094225197/)

Non è più un tabu invocare la moratoria quando si parla di discariche di rifiuti urbani e di inceneritori ed è necessario ora e subito una moratoria anche per le discariche di amianto, non solo per tutelare la nostra salute ed il nostro territorio, ma anche per scongiurare il pericolo di infiltrazioni mafiose e n’dranghetiste nella gestione dello smaltimento del rifiuto amianto.
Noi diciamo NO al consumo di suolo, NO all’utilizzo di cave dismesse e vecchie miniere per stoccare l’amianto, NO a logiche di mercato per smaltire l’amianto.
Noi diciamo SI alla ricerca sulle nuove tecnologie di modificazione della fibra di amianto e conseguente riciclo, SI ai controlli ambientali fatti da enti terzi indipendenti, SI alla piena partecipazione dei cittadini a tutti i processi decisionali

Per sapere di più sulla nostra lotta per la moratoria delle discariche di amianto:

Per aderire
compila il form sul nostro blog http://cittadinicontroamianto.blogspot.com/
o vai su facebook https://www.facebook.com/#!/moratoriadiscaricheamianto?fref=ts
Per approfondire
vai a http://cittadinicontroamianto.blogspot.it/2013/06/aderisci-anche-tu-alla-moratoria-delle.html
Per leggere la trascrizione della nostra audizione alla Commissione Ambiente del Consiglio regionale lombardo
vai a http://www.consiglio.regione.lombardia.it/c/document_library/get_file?uuid=e844737a-64d9-479c-b360-69e67f8b8316&groupId=38960

Cittadini contro l'amiantoCittadini contro l'amianto

nodiscaricadiamianto@yahoo.it  - 3389875898 -

Novi ligure All'Ilva morì giovane operaio due patteggiano e due assolti

Due patteggiamenti e due assoluzioni: si chiude così il processo di primo
grado incentrato sulla ricostruzione dell'infortunio mortale avvenuto
all'Ilva di Novi il 7 giugno 2012. Era rimasto ucciso, travolto dal muletto su cui
stava lavorando, il giovane operaio Pasquale La Rocca, 31 anni, di Lerma,
capoturno del reparto spedizioni, sposato e padre di una bambina di 9 mesi

Furono mandati a giudizio quattro dirigenti dello stabilimento di Novi.



Hanno patteggiato un anno di reclusione Paolo Viganò e Vincenzo Marasco; in
rito abbreviato sono invece stati assolti «per non aver commesso il fatto»
Orlando Rotondi, per il quale il pm Marcella Bosco aveva proposto un anno di
pena, e Antonio Rizzo, di cui il pubblico ministero aveva chiesto la
condanna a dieci mesi.



La disgrazia era avvenuta intorno alle 10 di sera e la notizia si era
diffusa non in maniera ufficiale, ma con passaparola; i lavoratori in turno
avevano subito incrociato le braccia.

Comunicato sulla strage ferroviaria di Viareggio

Lunedì 25/11 ore 21.00 alla scuola Lenci al Varignano riunione sulle prossime iniziative.
Mercoledì 27/11 ore 09.30 al polo fieristico di Lucca riprende il processo.
E' auspicabile organizzare la propria presenza.
Venerdì 29 ore 23.30, come 29 del mese, appuntamento alla Casina dei ricordi.
 
 
Sulla strage ferroviaria di Viareggio
Lo Stato c’è e si vede …
mi può uccidere, ma non strazi quei corpi come uno sciacallo fa con i suoi cadaveri. Mia moglie e i miei figli non lo meritano
Così scrive, il 14 novembre, Marco Piagentini, marito di Stefania e padre di Luca e Lorenzo, presidente onorario dell’Associazione dei familiari delle Vittime “Il Mondo che vorrei”, al presidente del Consiglio Letta. Marco, ustionato nella strage ferroviaria del 29 giugno 2009, oltre ad aver perso moglie e due bambini rimarrà permanentemente ferito tutta la vita. Un ustionato grave mai sarà ex-ustionato.
Lo Stato alla prima udienza del processo, il 13 novembre, non si è costituito parte civile. Sta trattando un consistente risarcimento (?!) sulla pelle bruciata di 32 suoi cittadini tra cui bambini, ragazze, giovani. Sta (s)vendendo la propria gioventù.
Lo Stato ha rinominato Mauro Moretti Amministratore delegato delle ferrovie dello Stato italiane (Fsi). Prima ha cestinato 10.000 firme raccolte a Viareggio per le sue dimissioni, poi lo ha riconfermato nel giugno 2010 ad un anno dalla strage ed infine lo ha rinominato il 9 agosto scorso, quando era stato rinviato a giudizio con l’accusa di essere responsabile dell’immane tragedia avvenuta nella stazione di Viareggio.
Lo Stato, più volte, ha blindato e spintonato i familiari delle Vittime, fino a strappargli di mano le foto dei propri cari. Fatti avvenuti a Roma Tiburtina, a Firenze, a Roma Termini, a Genova, a Montecitorio … E’ tutto documentato per chi non è stato presente.
Lo Stato ha recentemente tagliato centinaia di milioni di euro per la sicurezza e la manutenzione in ferrovia. Ha nominato cavaliere l’ing. Moretti e l’ing. Elia, Ad di Rfi anch’esso rinviato a giudizio per la strage ferroviaria.
Uomini di Stato, dal presidente Napolitano al presidente Letta, dal ministro Lupi al ministro Saccomanni, per citarne alcuni, fino ad oggi, mai si sono degnati di dare una risposta alla richiesta dei familiari di essere ricevuti.
Dobbiamo continuare … per mostrare quanto vigliacco (come scrive Marco) sia stato lo Stato in questi 53 mesi.
Con la rinomina di Moretti, lo Stato si è reso complice di una politica di abbandono sulla "sicurezza" in ferrovia; una politica che subordina beni inalienabili come la salute e la vita a logiche di mercato, di competitività, di profitto. Come potevano presidenza del Consiglio, ministeri dell’Ambiente e degli Interni, costituirsi parte civile nel processo sulla strage ferroviaria?! Si può inequivocabilmente affermare che sono stati ineccepibilmente coerenti e … complici.
Così lo Stato è salito, a pieno titolo, sul banco degli imputati della strage del 29 giugno 2009 uccidendo per l’ennesima volta le 32 Vittime e offendendo ancora feriti e familiari.

19 novembre 2013 - Associazione il “Mondo che vorrei”
- Assemblea 29 giugno

Strage Viareggio: Marco Piagentini scrive a Letta

Lettera di Marco Piagentini, presidente onorario dell'Associazione delle Vittime della strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009, al presidente del Consiglio Letta dopo che lo Stato non si è costituito parte civile al processo iniziato il 13 novembre scorso a Lucca.
La prossima udienza si tiene mercoledì 27 novembre ore 09.30 al polo fieristico (ex Bertolli) a Lucca in località Sorbano del Giudice.
Ovvio ripetere l'importanza della presenza al processo di quanti/e sono disponibili ed ovvia la necessità di far circolare questa lettera.
 
Al Presidente del Consiglio Enrico Letta

Viareggio, 14 novembre 2013

Caro Presidente,

Se voleva ferirmi più di quella tragica sera, forse oggi ci è riuscito.
Non ci si può sedere in un'aula di tribunale, con il dolore che ti sfonda lo stomaco, pur con il rispetto e il dovuto decoro, aspettando una giustizia con la G maiuscola, per poi sentire che il tuo Stato ti volta le spalle. E per cosa? Per soldi? No, non lo accetto. Se Lei si togliesse un attimo la tonaca della carica che riveste e guardasse il mondo con gli occhi dei suoi figli, forse capirebbe l'atto insulso e vigliacco che ha fatto.
Stefania madre di tre figli, 39 anni, UCCISA dopo tre giorni di agonia, Lorenzo 2 anni... due anni, Presidente... UCCISO dopo aver sofferto per 2 giorni, e Luca.. 5 anni... BRUCIATO VIVO. E sa dove erano quella sera? Nella propria casa.
Si informi su cosa succede ad un corpo avvolto dal fuoco e quali pene deve attraversare. Se vuole mi può uccidere, ma non strazi quei corpi come uno sciacallo fa con i suoi cadaveri. Mia moglie e i miei figli non lo meritano, erano innocenti, eppure...ogni volta nel chiedere, con dignità e rispetto, Giustizia e Verità, ricevo un pugno nello stomaco.
Caro Presidente, guardi i suoi bambini e da padre e uomo mi risponda... PERCHÉ? È la domanda che mi fa mio figlio Leonardo e alla quale non riesco a rispondere. Non pretendo che lo faccia Lei; ciò che Le chiedo è di non voltarci le spalle, non se ne lavi le mani. Si comporti da uomo, cambi questo ulteriore scempio, ci ripensi; perché un errore può essere commesso, ma rimediare a un errore tornando sui propri passi, dimostra una coscienza. Già, la coscienza che in questo atto vile non si è vista.

Marco Piagentini
Presidente onorario dell'Associazione "Il mondo che vorrei"

per Lorena Coletti, per le mogli, le sorelle, le figlie, le madri degli operai morti sul lavoro, anche per queste donne diciamo Sciopero delle donne!

Perché la lotta delle donne non può transigere dalla lotta al sistema capitalistico che le opprime 2 volte, che ne uccide gli affetti, la vita, l'amore, il sogno e la speranza in una giustizia terrena.
Con queste donne, con il loro cuore e la loro rabbia sciopereremo il 25 novembre
sciopereremo per ricordare anche il loro dolore
 

luigia, per il mfpr


Sono Lorena Coletti sorella di una vittima della strage della Umbria Olii.
Vorrei lasciare alcune dichiarazioni riguardo la sentenza: mio fratello è morto in un'attimo! E'
partito la mattina alle 7 e alle 13 non c' era più. Insieme a lui morirono anche 3 colleghi di
lavoro e Manili, il titolare della ditta appaltatrice. Ora vorrei puntualizzare che se lui avesse
saputo del pericolo non sarebbe salito insieme a loro sul silos ne tanto meno avrebbe mandato i suoi
operai a fare quei lavori, sarebbe stato come avergli dato morte sicura. Sono passati sette anni
dalla tragedia e ancora noi familiari stiamo aspettando che si faccia giustizia e invece chi è
colpevole se ne sta libero non è una cosa bella, ne per noi ne per l' Italia. Poi mi chiedo quando
tempo dobbiamo aspettare e quanti anni devono passare ancora. Loro non ci sono più e ancora si parla
di Giorgio Del Papa come se fosse un martire.
Un' ultima cosa, credo nella giustizia divina, so che la morte c'è per tutti e che noi tutti
dobbiamo fare i conti con Dio. Cosa racconterà Giorgio Del Papa a quando gli dirà dei 4 morti della
Umbria Olii?

il 25 novembre è anniversario della morte di mio fratello ,i miei messaggi le mie parole sono poche
da dire non ho la forza di parlare e di scrrive chiedo solo hai politici all' opinione pubblica di
non dimenticarsi mai dei morti di campello sul clitunno.

giustizia per loro perr i loro familiari per le loro mogli e figli solo questo vorrei non si puo'
attribuire la colpa a questi uomini morti per lavoro vi prego aiutatemi

Lorena Coletti


Il 10/11/2013 13.50, bastamortesullavoro ha scritto:
>
>
> non c'è giustizia nei tribunali per le vittime dei padroni assassini
> mettiamoci in RETE, per fare molto molto di più
>
> rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro
> bastamortesullavoro@gmail.com
>
> Umbria Olii, pena ridotta in appello per l'amministratore delegato
> 2 OkNotizie Stampa
>
>
> Pena ridotta in Corte d'appello di Perugia per l'ex amministratore re della
> Umbria Olii, Giorgio Del Papa. I giudici hanno comminato 5 anni e 4 mesi di
> reclusione per l'omicidio colposo plurimo di Giuseppe Coletti, Vladimi
> Todhe, Tullio Mottini e Maurizio Manili da sette anni e mezzo formulati dal
> tribunale di Spoleto tre anni fa. I quattro operai che persero la vita
> nell'incidente sul lavoro avvenuto il 25 novembre 2006. Le vittime sono il
> titolare e i dipendenti della ditta di manutenzione che stava eseguendo
> lavori su uno dei silos dove era stoccato l'olio che, a causa di una
> scintilla, e' esploso generando un incendio. La sentenza e' arrivata dopo
> due ore e mezza di camera di consiglio. La corte d'appello ha riformato
> parzialmente la sentenza di primo grado cancellando la mancata "prevenzione
> per omissione dolosa mezzi prevenzione".
>
> I giudici hanno abbassato di un terzo i risarcimenti per le famiglie delle
> vittime: si parla di poco meno di 200mila euro ma ancora le cifre non sono
> ufficiali. C'è un passaggio della sentenza che addirittura attribuirebbe una
> piccola parte di colpe all'azienda addetta alla manutenzione. Colpa per
> concorso. Ci sarà ricorso in Cassazione sia della difesa che dell'accusa.

PROCESSO DI VIAREGGIO: REPORT DA FULVIO AURORA DI MEDICINA DEMOCRATICA

Da: Fulvio Aurora fulvio.aurora@virgilio.it
A:
Inviato: giovedì 14 novembre 2013 17:17
Oggetto: PROCESSO DI VIAREGGIO

Ero presente alla manifestazione che ha preceduto l’inizio del dibattimento al Tribunale di Lucca (un salone della fiera di Lucca attrezzato appositamente a causa del numero delle parti in causa: avvocati, parti civili, pubblico, forze di sicurezza).
E’ li che si celebra il processo contro gli imputati rinviati a giudizio per la strage di Viareggio con 32 morti.
I fatti più rilevanti:
-         ci sono 42 imputati che devono rispondere di avere causato la strage con i morti e danni ambientali annessi;
-         ci sono 72 parti civili vittime che diventano qualche centinaio se si considerano anche i parenti;
-         ci sono ancora diverse parti civili fra istituzioni, sindacati e associazioni (Regione Toscana, Comune di Viareggio, CGIL, ORSA, CUB, RLS delle FS, Medicina Democratica, ed altri).
I fatti più negativi:
-         il primo è la rinuncia di costituzione di parte civile da parte della Presidenza del Consiglio, del ministero degli Interni e del Ministero dell’Ambiente (fatto gravissimo che denota l’indifferenza delle più importanti istituzioni di fronte ai morti e al disastro ambientale): certo è che l’Amministratore Delegato di FS Mauro Moretti è stato rinominato tale, con un rinvio a giudizio sulle spalle;
-         il secondo e stato posto dal giudice che ha vietato le riprese audio video del processo in aula nonostante la richiesta, pur limitata, del PM di concedere un’unica ripresa posta in luogo che non avrebbe comportato alcun disturbo: perché evitare di usare i più diffusi mezzi di informazione in una situazione di estrema necessità di informazione e di necessaria trasparenza degli atti?
Infine le difese degli imputati e dei responsabili civili hanno respinto nuove richieste di parte civili da parte di altri enti collettivi e hanno richiesto di mettere in discussione per togliere dal processo anche quelle, come Medicina Democratica, già riconosciute all’Udienza Preliminare: la risposta del giudice si avrà alla successiva udienza del 27 novembre.

CGIL PADOVA: CONDANNATA PER MOBBING

Il tribunale ha condannato la Cgil, nello specifico la Filcams-Cgil (il sindacato di categoria del commercio) ed il suo ex segretario Andrea Donegà, per “mobbing” nei confronti della dipendente Vally Benato, in Fifta-Cgil dal 1978 e responsabile, dal 1996, dell’ufficio vertenze della Filcams nella sede di via Longhin. Il giudice del lavoro, Barbara Bortot, ha deciso che alla Benato sia risarcito un importo pari a 35.339,40 euro, più le spese processuali, che assommano a 6.510 euro, per i “danni patiti” dalla ricorrente. In più ha intimato alla Filcams e a Donegà di rifondere alla vincitrice del ricorso i 1.230 euro di spese mediche che aveva sostenuto, a suo tempo, per curarsi dalla patologia da cui era affetta. Ossia dalla sindrome ansiosa depressiva, come, d’altronde, accertato dalla perizia medico legale disposta dal magistrato durante l’istruttoria.
In tutto, interessi compresi, Cgil e Donegà dovranno sborsare circa 43mila euro. In pratica il giudice Bortot, nel depositare la sentenza nella cancelleria del tribunale il 28 settembre scorso, ha riconosciuto all’ex coordinatrice dell’ufficio vertenza della Camera del Lavoro, sia i danni biologici che morali, così come, in passato, è stato sentenziato più volte dalle sezioni unite della Corte di Cassazione in casi simili. Questa storia è tutta interna alla Cgil, che è stato il primo sindacato a Padova a promuovere le cause per mobbing ai lavoratori dipendenti ed in particolare alle donne nel periodo in cui, in via Longhin, la Filcams era guidata da Andrea Donegà e l’ufficio vertenze dalla Bennato.
Come hanno testimoniato davanti al giudice alcuni colleghi di lavoro, tra cui anche Diana Pellizza (ora in pensione) e Massimo Andolfo, (oggi in forza alla Cgil di Vicenza), tra i due si sono subito verificate numerose liti verbali, che, in genere, evidenziavano un modo diverso di vivere e lavorare nel sindacato. Fatto sta che le “baruffe” tra i due finiscono anche alla Commissione Regionale di Garanzia della Cgil, che sanziona Donegà con un richiamo scritto e sposta la Benato ad altro incarico. Il tutto sembra cadere nel dimenticatoio nel momento in cui il segretario della Filcams viene spostato nella segreteria provinciale della Fiom, guidata da Antonio Silvestri e viene sostituito dall’attuale segretaria della Cgil Commercio, Cecilia De Pantz.
Ed invece, tra la sorpresa generale di tutti i dirigenti della Cgil, Vally Benato, nell’ottobre del 2006, presenta ricorso in Tribunale, per “mobbing” attraverso lo studio legale dell’avvocato Carniello. Nel suo ricorso la Benato presenta anche una serie di certificati medici, in cui notifica al tribunale di essere caduta in depressione proprio a causa del comportamento “mobbizzante” di Donegà.
Significativi sono alcuni passaggi della sentenza per capire i motivi che hanno spinto la Bortot a dare ragione alla Benato. In pratica il giudice ha ritenuto fondato il ricorso perché “la reazione di Donegà, dettata dall’inesperienza e dalla volontà di voler gestire la sua organizzazione con criteri personali, sarebbe stata spropositata ed intimidatoria” e nel momento in cui riconosce che la ricorrente “è stata, progressivamente, emarginata e, quindi, estromessa dall’ufficio in virtù di un disegno persecutorio posto in essere dal segretario della Filcams e nell’indifferenza totale del direttivo di categoria”.

Felice Paduano
16 ottobre 2012

PROCESSO SOLVAY: UDIENZA DEL 20 NOVEMBRE


Nonostante il fatto che tutti i decreti di citazione, dei testimoni previsti per la giornata di oggi, siano stati regolarmente notificati, sono soltanto tre di essi coloro che sono presenti in corso Crimea, ad Alessandria.
Il primo a rilasciare la propria deposizione è Francesco Vicidomini, ex direttore del dipartimento provinciale alessandrino dell'Arpa Piemonte dal 1997 al 2005; in sostanza si tratta del predecessore del dottor Maffiotti.
Il procedere dell'interrogatorio è un rosario di "non so, non ricordo" che fa visibilmente alterare l'avvocato Santa Maria il quale si riduce, in più occasioni, a proporre quesiti in maniera suggestiva - "lei ricorda i dati dalle tale rilevazione o di tal altra?", che per inciso dovrebbero essere poste al responsabile del progetto, non ad un organismo politico - suscitando la reazione stizzita della presidente Sandra Casacci che valuta queste domande inammissibili in quanto si tratta di dati oggetto di precedente produzione da parte degli avvocati delle varie parti.
Inoltre la Corte stigmatizza il comportamento del legale che, nel momento in cui le risposte del testimone non prendono una piega a lui gradita, cerca di interromperlo: "le risposte del teste sono estremamente interessanti, quindi gli deve essere consentito di esporle nella loro interezza: altrimenti è solo una perdita di tempo, e se ne è già perso troppo; non intendo perdere ancora nemmeno un minuto".
A seguire tocca al geologo dottor Piero Russenigo, dipendente dell'Arpa Piemonte dal 1997 ad oggi; in questo caso l'avvocato Santa Maria conduce l'interrogatorio in maniera assai diversa rispetto al precedente: chiede al teste di "non entrare troppo nei dettagli" del suo lavoro svolto negli ultimi anni del secolo scorso, in relazione alle analisi dei pozzi - in particolare il numero due, che risultava pesantemente inquinato - che attingevano acqua dalla falda sottostante lo stabilimento.
Anche in questo caso la difesa martella in particolare - come già era accaduto nel corso dell'ultima seduta - sulla questione della presenza di una certa concentrazione di "cromo totale", nel tentativo di scaricare la responsabilità dell'avvelenamento del sito tutto sulla Ausimont; occorre ricordare, ancora una volta, come il cromo sia soltanto una delle tante sostanze tossico-nocive presenti nelle acque: quindi il tentativo di auto assolversi da qualunque responsabilità non potrà che risultare infruttuoso.
Le domande tecniche, alle quali non aveva risposto il Vicidomini, vengono poste al terzo ed ultimo teste della giornata: l'ex responsabile dei laboratori di analisi dell'Arpa, la dottoressa Giuseppina Pavese.
L'importanza della sua deposizione risiede nel fatto che la stessa chiarisca definitivamente il fatto che le analisi che stabiliscono che le concentrazioni, di sostanze estranee presenti nelle acque, rientrano nei parametri stabiliti dall'Asl non significa affatto che queste siano potabili: tale valutazione deve essere effettuata dall'autorità sanitaria competente, non dall'organo politico che si occupa delle rilevazioni.
Alle ore 13:20, avendo esaurito la lista dei testimoni ed a seguito della discussione con le parti delle questioni procedurali per il prosieguo del dibattimento, la Corte sospende definitivamente la seduta, e la rinvia a lunedì venticinque novembre.
Alessandria, 20 novembre 2013

Stefano Ghio - Rete sicurezza Alessandria/Genova
http://pennatagliente.wordpress.com

giovedì 14 novembre 2013

Dalla Sicilia per la giornata nazionale di mobilitazione contro le morti sul lavoro


14 Novembre: comunicato da Palermo

Comunicato stampa

Palermo, 13 novembre 2013


Basta morti sul lavoro!

14 novembre giornata nazionale di mobilitazione


È di qualche giorno fa l'ultimo morto sul lavoro in Sicilia (un muratore di 37 anni), che purtroppo si aggiunge ai circa 40 dall'inizio dell'anno solo nella nostra isola: sono già oltre 500 in tutta Italia (escluso quelli che muoiono lungo la strada per raggiungere o ritornare dal lavoro che sono altrettanto). Ogni volta davanti a queste notizie (che riguardano in percentuale maggiore agricoltura e edilizia ma in pratica quasi tutti i settori lavorativi) tutti si dicono scandalizzati e indignati, dalle istituzioni ai sindacati confederali, ma nella sostanza non muovono un dito, fanno in modo sempre che sia qualcun altro ad occuparsi di questo tragico problema sociale.


Le lavoratrici e i lavoratori vengono lasciati soli a sbrigarsela con il padrone o il dirigente di turno che talvolta vengono messi sotto processo per la non applicazione delle leggi sulla sicurezza e che raramente pagano per questi, che per noi dovrebbero essere considerati omicidi premeditati e puniti di conseguenza.


Lo spettro della disoccupazione e la precarietà senza fine, e il tantissimo lavoro nero, costringono spesso questi lavoratori, e di conseguenza le loro famiglie, a subire condizioni di lavoro inaccettabili
per un paese civile. Come per le tantissime cause intentate da lavoratori e organizzazioni per esempio sulle morti causate da disastri ambientali (vedi il polo petrolchimico Gela-Priolo-Augusta o la raffineria di Milazzo) che si perdono per anni nei meandri dei palazzi di giustizia. A tutto questo si aggiunge in Sicilia la burocrazia e la confusione tra le funzioni dei diversi enti che dovrebbero sovrintendere alla sicurezza e al rispetto delle leggi.


Se a livello nazionale i parenti delle vittime del lavoro (Thyssen, Umbria Olii, Viareggio, Mecnavi, Mineo, Molfetta e i tantissimi altri a gruppo o individuali) aspettano ancora giustizia e vanno seguendo i vari processi in corso rivivendo la tragedia ogni volta, le tanto sbandierate politiche di controllo e prevenzione e i “protocolli” vari firmati dai responsabili della Regione Siciliana non hanno impedito affatto che la nostra isola risulti seconda in questa allucinante classifica di morti sul lavoro, e questo nonostante la crisi che ha portato ad un calo di attività aziendale, tale da far parlare di desertificazione industriale! Meno persone al lavoro e più morti sul lavoro! È questa verità che dimostra quanto poco vengano applicate le leggi sulla sicurezza.

A questo si aggiunge lo stato a dir poco disastroso delle strutture pubbliche, dalle scuole agli ospedali, dalle strade alle discariche che rappresentano un pericolo costante per la salute e un lento avvelenamento della vita collettiva.


A livello locale, siamo impegnati in particolare in questo momento, in una complessa attività fatta di manifestazioni e denunce a tutti i livelli, che tocca le condizioni di lavoro dei lavoratori e lo stato delle
infrastrutture del Policlinico di Palermo.

La Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e sui territori domani ha indetto una giornata nazionale di mobilitazione, che vuole essere anche un appello, per un raccordo tra le tantissime lotte in corso al fine di sviluppare in tutto il paese una capacità di risposta che riesca a contrastare la precarietà che produce morti, il menefreghismo delle istituzioni, la criminalità intrinseca dei padroni e di tutti coloro che non tengono conto della vita di chi lavora per vivere non applicando le leggi sulla sicurezza: una mobilitazione capace di pretendere verità e giustizia per tutti i lavoratori uccisi per il profitto dei padroni.


Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e sui territori

email: bastamortesullavoro@gmail.com http://bastamortesullavoro.blogspot.com


Per la Sicilia retesicurezzalavorosicilia@gmail.com

http://retesicurezzalavorosicilia.blogspot.it/


Via G. del Duca 4 Palermo

c/o Slai cobas per il sindacato di classe tel 338.7708110

mercoledì 13 novembre 2013

PROCESSO SOLVAY: UDIENZA DEL 13 NOVEMBRE


L'udienza odierna si apre alle ore 9:40 con la rinuncia, da parte della difesa Boncoraglio, dell'audizione dell'ultimo testimone della lista della difesa Ausimont.
Si passa quindi all'ascolto dei primi tre teste della Solvay; il primo è Stefano Bigini, direttore, dal 1° aprile 2008, dello stabilimento di Spinetta Marengo.
Viene ascoltato in regime ex articolo 210 cpp poiché è indagato, nell'ambito di un processo connesso a questo, per il reato di omessa bonifica: decide di non avvalersi della facoltà di non rispondere, e si sottopone all'interrogatorio dell'avvocato Luca Santa Maria.
L'intero svolgimento dell'audizione - così come quello del terzo teste della giornata, l'ingegnere ambientale Luigi Toninelli, consulente di supporto ai vari stabilimenti della Solvay, a Spinetta Marengo nel periodo che interessa il processo, mentre ora lo è presso i siti produttivi in Brasile - è fortemente incentrato sulla presenza della "emergenza cromo" (scattata il 24 maggio 2008) e sulle successive attività poste in essere dall'azienda, per un totale di venti milioni di Euro stanziati e spesi, per limitare al massimo la contaminazione della falda sottostante lo stabilimento; in questo modo si assiste al patetico tentativo di dimostrare che l'avvelenamento delle acque è dovuto alla precedente gestione del sito.
Peccato per lui che (come risulta dalla precedente audizione - del diciassette/ventiquattro aprile scorso - del direttore dell'Arpa di Alessandria, dottor Maffiotti) nelle acque di falda siano presenti molti altri metalli pesanti - vanadio, mercurio, piombo, cadmio, nichel, cobalto, selenio - unitamente a solventi clorurati ed aromatici, il che fa pensare ad un uso 'truffaldino' della "emergenza cromo": questo anche alla luce del fatto che non sia neppure in grado di precisare il significato di tale locuzione, come invece richiestogli dal pm Riccardo Ghio nel corso del suo controinterrogatorio, oltre a glissare sul tema delle discariche di rifiuti tossico-nocivi presenti all'interno del perimetro dello stabilimento.
Ad introdurre questa questione è Marco Colatraci, all'epoca della "emergenza cromo" responsabile delle risorse umane e della qualità di Solvay Solexis (attualmente direttore generale di Solvay Italia).
Costui asserisce che la società non fosse a conoscenza dello stato del sito produttivo alessandrino; appare quanto meno singolare che una multinazionale delle dimensioni della Solvay, prima di procedere all'acquisizione di un qualsiasi stabilimento, non faccia delle indagini per conoscere le condizioni dello stesso: questo in modo da poter pianificare eventuali interventi di qualunque tipo e poter ipotizzare, ancorché con scarsa precisione, i finanziamenti da attivare per eseguire gli stessi.
Alle ore 14:15 la Corte sospende definitivamente la seduta, rinviandola a mercoledì venti novembre: nell'occasione verranno ascoltati altri teste - che verranno indicati alla presidente Sandra Casacci, ed al pm, nei prossimi giorni - della difesa del responsabile civile Solvay.
Alessandria, 13 novembre 2013

Stefano Ghio - Rete sicurezza Al/Ge
http://pennatagliente.wordpress.com

Strage di Viareggio, i familiari delle vittime: “E’ un processo al sistema Ferrovie”

Il Fatto Quotidiano.

Strage di Viareggio, i familiari delle vittime: “E’ un processo al sistema Ferrovie”
Daniela Rombi, portavoce di "Il mondo che vorrei": "E' un sistema marcio, sporco. Quei treni in quelle condizioni continuano a viaggiare. I bilanci di Ferrovie sono stati risanati, ma la manutenzione è stata la prima cosa che è stata tagliata. E non possiamo più avere paura di abitare vicino a una ferrovia"

di Ilaria Lonigro | 12 novembre 2013


“Quei treni in quelle condizioni continuano a viaggiare. E di incidenti ne succedono ancora tutti i giorni. E per buona sorte non succede una strage”. Daniela Rombi ha passato gli ultimi 4 anni a studiare documenti e faldoni sulla sicurezza ferroviaria italiana e sa che disastri come quello di Viareggio, costato la vita a 32 persone, tra cui sua figlia Emanuela Menichetti, potrebbero accadere di nuovo. Ci saranno tutti i parenti delle vittime mercoledì a Lucca, quando inizierà il processo per l’incidente del 29 giugno 2009. Daniela Rombi è presidente e portavoce dell’associazione “Il Mondo che Vorrei”. In un’intervista rilasciata al fattoquotidiano.it non trattiene la rabbia e parla delle aspettative per un processo che “dovrebbe interessare tutta l’Italia”. “Questo – dice – non è soltanto un processo per 32 persone morte. Questo è un processo a un sistema, quello di Ferrovie, che io ritengo marcio, sporco. E ne va della salute di tutte le persone”. Non si trattiene: “La bocca non me la tappa più nessuno. Perché quando hai perso una figlia tutto il resto non ti fa paura”.

Punta il dito contro il risanamento dei conti di Ferrovie dello Stato: “I bilanci – dice – sono stati risanati da Moretti. Ecco: andiamo a vedere come. Perché ci sono tanti modi. La manutenzione è stata la prima cosa che è stata tagliata. E si fa presto a far così. Non diamo milioni, milioni e milioni di euro all’Alta Velocità e manuteniamo bene quello che abbiamo: per le merci pericolose, per gli operai, per gli studenti, per i cittadini normali”.

La mamma di Emanuela – che il 29 giugno di 4 anni fa aveva 21 anni – si darà pace solo se questo processo servirà a cambiare le ferrovie, per tutti. “Pensiamo – spiega – che il processo debba servire a migliorare il sistema ferroviario, specialmente delle merci pericolose; sono morte 32 persone nella sicurezza delle loro case e non devono essere morte invano, devono servire a qualcosa”. E continua: “Non dovremmo avere più paura di abitare vicino a una ferrovia. Perché i sistemi ci sono, ormai lo sappiamo: è quattro anni che studiamo, ci informiamo. Abbiamo le case piene di documenti”.

Sono agguerriti più che mai i viareggini. “Tutti i parenti delle vittime – annuncia Daniela Rombi – saranno presenti al processo. E’ la prima volta che Ferrovie si trova davanti tante parti civili. Non è mai successo: a Crevalcore (2005, 17 morti, 10 assoluzioni, ndr) avevano una moglie di un macchinista e l’errore è stato umano perché i macchinisti erano morti. Ma qui hanno avuto sfortuna le Ferrovie. Primo, perché i macchinisti non sono morti, possono dire. Secondo, perché è successo a Viareggio. Siamo un po’ strani noi: possono fare quello che vogliono, ma noi ci saremo”. E non vuole sentir parlare neanche da lontano dell’ipotesi di uno spostamento del processo: “E’ ventilato da tempo, ma io l’ho sempre detto: che non facciano quella mossa lì, perché la strage è avvenuta a Viareggio. Che non comprino, che non trafughino, che non inventino, che non facciano le magie per spostarlo da altre parti”.

Il processo, per la portavoce dei familiari delle vittime, deve servire anche “a far pagare chi ha comunque guadagnato, chi ha approfittato di questa situazione”. E ricorda quella notte del 29 giugno 2009: “E’ devastante sentirti chiamare da tua figlia e sentirti dire: ‘Mamma, è successo un incidente, è scoppiato un incendio, ma stai tranquilla che non mi sono fatta nulla’ e è bruciata al 98%. E io non l’ho potuta più abbracciare… è un incubo. Potete provarci, ma nessuno lo può capire”. E conclude: “Io non ce la faccio a stare a casa zitta, a piangere, morirei in un giorno solo, perché Emanuela aveva vent’anni ma i bambini ne avevano 3, 5, e poi il babbo, la mamma, il fratello… La gente è andata a cercarli col setaccio della polenta i resti dei suoi fratelli. Capito? E io sono stata 42 giorni fuori da quella porta, a vederla dietro un vetro. Per chi? Perché? Io lo voglio sapere”.

I familiari delle vittime della Strage di Viareggio: ''Lo Stato se ne frega dei 32 morti e se ne frega di avere la verità''

Strage Viareggio:Stato non si costituisce parte civile
L'udienza al polo fieristico della citta' toscana Della Valle e Montezemolo tra i testimoni
13 novembre

Strage Viareggio: Stato non si costituisce parte civile

Lo Stato non si costituisce parte civile al processo per la strage di Viareggio. E' quanto ha annunciato l'avvocato di Stato Gianni Cortigiani che rappresenta la Presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri dell'Ambiente e degli Interni. L'avvocato ha spiegato che fra lo Stato e le assicurazioni di Fs e Gatx (la società proprietaria del convoglio che deragliò) ''c'è una transazione in fase di definizione'' per un risarcimento che il legale definisce ''sostanzioso''. La proposta di transazione in questo momento è all'esame dell'Avvocatura Generale, che la prossima settimana si riunirà per valutarla. Dopo servirà il via libera dei ministri e della Corte dei Conti. Al momento non è stata resa nota la cifra, ma si parla di alcune decine di milioni di euro. Oltre alle circa 100 parti civili che si sono costituite durante l'udienza preliminare stamani hanno fatto richiesta, fra gli altri, le associazioni Codacons e Cittadinanza attiva e il sindacato Cgil.

I familiari delle  vittime: 'Lo Stato se ne frega' - ''Lo Stato se ne frega dei 32 morti e se ne frega di avere la verità''. Così Daniela Rombi, presidente dell'associazione 'Il mondo che vorrei', che raggruppa i familiari delle vittime della strage di Viareggio, ha commentato il fatto che la Presidenza del Consiglio e i ministeri non si siano costituiti parte civile al processo iniziato oggi per il disastro del 29 giugno 2009. ''E' una brutta cosa - ha aggiunto - .Tutti dicono che sono con noi, ma ora basta prenderci in giro''. ''Il 9 agosto - ha continuato Daniela Rombi - lo Stato ha rinominato Moretti amministratore delegato di Fs. Quella di oggi è una logica conseguenza. Lo hanno nominato di nuovo alla guida del Gruppo nonostante fosse stato rinviato a giudizio. E' una linea che respingiamo e che non accettiamo''.(

Inizia stamani al Polo Fieristico di Lucca il processo per la strage di Viareggio che il 29 giugno del 2009 provocò 32 vittime. Gli imputati sono 33, fra loro i dirigenti di Fs - compreso l'ad Mauro Moretti - e della società proprietaria del convoglio che deragliò, la Gatx, e che lo revisionarono e montarono. I familiari delle vittime sono arrivati al Polo Fieristico in corteo esibendo striscioni e foto dei loro cari rimasti uccisi nel disastro. Fra gli striscioni, su quello che apriva il corteo c'era scritto: ''Viareggio, 29 giugno. Niente sarà più come prima'' e ''Tagliare sulla sicurezza è stata una scelta, 32 morti una prevedibile conseguenza''. Stamani in aula Moretti non dovrebbe essere presente. ''Non ci stupisce - ha detto Daniela Rombi dell'associazione 'Il mondo che vorrei', che raggruppa i familiari delle vittime - queste sono udienze tecniche, capiamo bene che per loro non siano importanti. Quando saranno in aula li guarderemo in faccia''.

L'udienza di oggi dovrebbe trattare le questioni preliminari, come le eccezioni sulle parti civili. Al corteo hanno partecipato anche rappresentanti di familiari di vittime di altre stragi italiane come quella della Moby Prince. Fra le bandiere anche una con la scritta ''No tunnel Tav Firenze'' e quelle in cui si chiede uno ''stop'' agli sfratti e ai pignoramenti. Alcuni familiari delle vittime della strage di Viareggio sono in aula a Lucca, fra il pubblico, e indossano magliette con le foto dei loro cari morti nel disastro del 29 giugno 2009. Il processo si e' aperto con l'appello. In aula sono presenti quattro dei 33 imputati. Sono tecnici o vertici della ditta Cima di Mantova che monto' l'assile che poi si spezzo' provocando il deragliamento del convoglio. Assente invece l'ad di Fs Mauro Moretti: nei giorni scorsi i suoi difensori hanno spiegato che è una decisione legata al fatto che quella di stamani sarà un'udienza prettamente tecnica, in cui verranno discusse soltanto questioni procedurali e preliminari.

14 Novembre: comunicato della Rete

Importanti processi per le morti di operai sul lavoro, per stragi di
cittadini dovuti alla responsabilità dei padroni, si stanno tenendo in
questi giorni.
E' difficile ottenere giustizia dai Tribunali perchè i padroni hanno leggi
dalla loro parte e molti soldi per pagarsi la propria difesa, ma quando ci
sono state delle pesanti condanne come la ThyssenKrupp ed Eternit molto ha
influito la mobilitazione dei comitati dei famigliari, dei lavoratori, di
tutti coloro che si battono contro i padroni assassini.
La Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e sui
territori fa appello alla massima partecipazione davanti ai Tribunali dove
si tengono i processi e alla mobilitazione in tutte le forme nelle città e
nei luoghi di lavoro per fare del 14 Novembre una giornata nazionale di
lotta perchè i padroni criminali vengano condannati con pesanti pene.
Portiamo la solidarietà e continuiamo la lotta assieme ai famigliari delle
vittime della strage di Viareggio al Polo Fieristico di Lucca il 13
novembre, all' inizio  del processo per la strage ferroviaria
del 29 giugno 2009 che ha ucciso nelle loro case 32 persone in una notte,
decine di feriti e la distruzione di un'intero quartiere: 33 imputati tra
cui l'amministratore delegato di Ferrovie, Mauro Moretti.
Perchè vengano condannati i padroni colpevoli per le stragi di amianto: dopo
l'Eternit di Casale Monferrato, in questi giorni la Procura di Ivrea ha
aperto un'inchiesta sull'Olivetti e, al momento, sono più di 20 gli indagati tra
industriali e manager, tra cui De Benedetti e il banchiere ex ministro,
Passera.
Sempre per l'amianto le indagini si sono chiuse invece a Ravenna e si sta
preparando il maxi-processo per 25 dirigenti dell'Enichem.
Contro la precarietà e le morti sul lavoro, per non fare passare la
rappresaglia padronale a Ravenna, dove il 14 novembre la Rete verrà
processata per avere protestato davanti l'agenzia interinale che ha mandato
a morire il giovane operaio Luca Vertullo, schiacciato da un rimorchio al
suo primo giorno di lavoro. Al processo contro i padroni assassini 11
assoluzioni e 3 lievi condanne.
Non accettiamo la giustizia negata per la strage Umbria Olii con 4  operai
morti il 25 novembre del 2006: la sentenza della Corte di Appello di Perugia
8 Novembre 2013 ha ridotto la condanna per il padrone assassino, ha
condannato per "concorso di colpa" gli operai uccisi sul lavoro e ha ridotto
i risarcimenti ai famigliari delle vittime

14 novembre
giornata nazionale di mobilitazione
Basta precarietà e morti sul lavoro! Criminali sono i padroni assassini, non
chi li combatte!
Verità e giustizia nei processi per gli operai uccisi dal profitto
padronale!

Nei loro Tribunali i padroni non pagano caro
ma solo con la lotta pagheranno tutto!


Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e sui
territori
 E mail: bastamortesullavoro@gmail.com
http://bastamortesullavoro.blogspot.com

14 Novembre gionata nazionale di lotta contro i padroni assassini

La Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e sui territori fa appello alla massima partecipazione davanti ai Tribunali dove si tengono i processi e alla mobilitazione in tutte le forme nelle città e nei luoghi di lavoro per fare del 14 Novembre una giornata nazionale di lotta perchè i padroni criminali vengano condannati con pesanti pene.

 

martedì 12 novembre 2013

Processo Marlane: l'elemosina di Marzotto sulla testa degli ammalati e morti di tumore nella sua fabbrica. Così Marzotto ha vinto sugli operai

Venerdì, 08 Novembre 2013



Di Francesco Cirillo. Marzotto e la sua corazzata di super avvocati vincono
nel processo in corso a Paola. Venerdì 8 novembre ci sarà una nuova udienza.
Cominceranno ad essere ascoltati i testi della difesa. I primi saranno
proprio operai che vi hanno lavorato e che, come ha già fatto qualcun altro,
diranno che tutto era a posto, tutto pulito e profumato e se qualcuno di
loro è stato colpito da tumore è perchè fumava. Dopo aver smantellato la
relazione di Brancati riducendo in polvere il suo studio tecnico e dopo il
flop della relazione Ricci presentata dallo stesso Pm dove non si dimostra ,
se non per pochi casi, il nesso fra uso dei coloranti chimici e tumori ecco
uscire dal cilindro del Conte un'elemosina, come risarcimento, da
distribuire a tutti i ricorrenti di parte civile.

Un'elemosina per tutti, che visto la situazione disastrosa del processo
saranno costretti ad accettare. D'altra parte è anche giusto che sia così.
Il processo non ha mai avuto il giusto equilibrio dalla parte civile per
niente aggressiva e soprattutto priva di mezzi economici per buone perizie
di parte e studi su quanto avvenuto in quella fabbrica della morte, e le
famiglie non si sono sentite garantite nella lotta per ottenere quanto
davvero si meritavano di avere per la morte del proprio congiunto. A parte
il Quotidiano della Calabria nessun media regionale e nazionale si è
occupato, se non sporadicamente della vicenda. Una vicenda che se fosse
avvenuta in qualsiasi fabbrica del nord avrebbe avuto spazio nei tanti
reportage, con mobilitazioni di massa e dichiarazioni politiche da tutte le
parti. Qui il silenzio è assoluto se non quello del "Comitato per le
bonifiche" che dei piccoli successi li ha ottenuti autonomamente facendo
inserire dalla Regione Calabria il sito della Marlane nei siti da bonificare
per la presenza dei rifiuti tossici sotterrati nella stessa area. Una storia
oramai decennale con un processo in corso per disastro ambientale, omicidio
colposo plurimo e lesioni gravissime , per 12 imputati compreso il Conte
Marzotto. Un processo che si dovrebbe quindi risolvere, secondo i legali di
Marzotto e della parte civile, con qualche decina di migliaia di euro da
distribuire a chi vuole accettare l'offerta, contando proprio sulle
difficoltà economiche di tante famiglie che proprio per la morte del proprio
padre o madre si sono trovate in queste condizioni. Ma Marzotto sa come
patteggiare e sa come uscirsene da situazioni scabrose. Vuole chiudere la
questione Marlane, temendo che la stessa cosa possa avvenire nelle sue
fabbriche a Valdagno ed a Schio dove anche lì cominciano a registrarsi morti
di operai. I Marzotto da poco hanno concluso un patteggiamento con l'Agenzia
delle Entrate versando come risarcimento ben 57 milioni di euro.



L'inchiesta nella quale era stata coinvolta l'intera famiglia era nata a
seguito di una verifica fiscale dell' Agenzia delle Entrate e riguardava la
vendita nel 2008 di quote del marchio Valentino Fashion Group da parte dei
Marzotto e dei Donà Delle Rose al fondo inglese Permira. Secondo l'accusa,
con la vendita sarebbe stata realizzata una plusvalenza di 200 milioni di
euro, ottenuta in Lussemburgo attraverso la società Icg, che sarebbe stata
creata ad hoc. Il tutto, secondo i pm, senza pagare tasse per circa 65
milioni di euro.



Contestazione poi salita, con la chiusura delle indagini, a circa 71
milioni. Gli indagati, secondo l'accusa, avrebbero appunto tentato di
dribblare il fisco creando appositamente la `scatola ? lussemburghese per
poi, a operazione conclusa, metterla in liquidazione.



Per questo, nel novembre 2012, i pm avevano chiesto e ottenuto dal gip il
sequestro di quasi cento immobili delle due famiglie, tra cui una villa a
Cortina, terreni, lussuosi appartamenti in Veneto, alcune case a Roma e
altri beni per un valore di 65,5 milioni di euro. Questo solo per far capire
con chi si ha che fare. Capitalisti a tutto spiano che sanno muovere i
capitali a livello europeo. Vedranno, dall'alto del loro nord, gli artefici
di questo processo come quattro scalcagnati, con quattro avvocati di
sottordine, familiari affamati, mentre loro hanno schierato corazzate di
primo ordine. Ma tutto questo avviene proprio quando il Giudice Introcaso
che presiede il processo in corso a Paola ha ordinato nuovi scavi nell'area
della fabbrica Marlane ed inoltre, fatto nuovo, anche un'indagine
epidemiologica fra gli abitanti attorno al perimetro dell'area inquinata.
Sarebbe bastato anche questo per tranquillizzare le famiglie. Chiedere il
sequestro dei beni di Marzotto e nello specifico dello stabilimento della
Marlane. Sequestro già avvenuto ma solo per le perizie sui terreni. Il
Presidente Introcaso ci crede in questo processo che ha seguito con
equilibrio sin dall'inizio, ma al quale è mancata una spalla come il Pm
Carotenuto che dopo le prime udienze venne trasferita in altra sede. Il
processo comunque continuerà in ogni caso. Le parti civili come quelle degli
ambientalisti, dei Comuni di Praia e Tortora, della regione , della
provincia e dei sindacati restano e bene o male dovrebbero garantirne la
continuità, fino alla sentenza. Marzotto spera nella piena assoluzione, dopo
di che il terreno, bonificato dalla Regione, potrà diventare un grande
centro commerciale , o una darsena , o un grande albergo a cinque stelle,
facendo vincere Marzotto due volte.



Sul QUOTIDIANO DELLA CALABRIA DEL 7 NOVEMBRE 2013

AMIANTO OLIVETTI: di destra o di sinistra, i padroni son tutti assassini




Venti morti sospetti. Venti operai che per anni hanno lavorato alla
Olivetti di San Bernardo, a Ivrea, nei reparti contaminati da fibre di
amianto. La Procura della Repubblica di Ivrea ha aperto un’inchiesta
iscrivendo nel registro degli indagati 24 persone, industriali e manager,
tra cui l’ex presidente Carlo De Benedetti e l’ex amministratore delegato
Corrado Passera. Tra le ipotesi di reato ci sono omicidio colposo e lesioni
colpose plurime. L’ingegnere fu presidente della società dal ’78 al ’96,
mentre Passera co-amministratore delegato tra il ’92 e il ’96.  La notizia è
stata riportata dal quotidiano La Stampa.

Le indagini sono focalizzate sui decessi di una ventina di lavoratori
avvenuti dopo la pensione, tra il 2008 e i primi mesi di quest’anno. Tutte
persone che tra la fine degli anni Settanta e il novanta avevano lavorato in
reparti contaminati da fibre di amianto e in seguito si sono ammalati di
mesotelioma pleurico, il tumore tipico che colpisce chi ha passato lunghi
periodi a contatto con l’asbesto.

De Benedetti si dice estraneo alla vicenda, sostenendo – in una nota del suo
portavoce – che “la realizzazione delle strutture oggetto di indagine
precede di diversi anni l’inizio della sua gestione alla Olivetti che ha
sempre prestato attenzione alla salute e alla sicurezza dei lavoratori, con
misure adeguate alle normative e alla conoscenze scientifiche dell’epoca”. L’ingegnere
attende fiducioso l’esito delle indagini “nel rispetto degli operai e delle
loro famiglie”.

“Violati i principi basilari della sicurezza e igiene del lavoro”, scrivono
i giudici della Corte d’appello di Torino nelle motivazioni della condanna
di un dirigente nel processo del novembre 2012 (il primo sulla questione)
che ha innescato la nuova inchiesta. Alla Olivetti si sapeva “della
pericolosità degli agenti chimici” utilizzati durante la lavorazione, ma si
è provveduto “con colpevole ritardo” ad affrontare il problema, continuano i
giudici d’Appello. La sentenza in questione riguarda Ottorino Beltrami, all’epoca
dei fatti amministratore delegato di Olivetti spa, al quale sono stati
inflitti, in secondo grado, sei mesi di carcere per omicidio colposo in
relazione alla morte di una lavoratrice dipendente. Il 4 dicembre la
Cassazione si pronuncerà sul ricorso presentato dal suo legale, ma nelle
scorse settimane Beltrami, all’età di 96 anni, è morto. L’ex amministratore
delegato di Olivetti era stato chiamato in causa per la storia di Lucia
Delaurenti, esposta a un tipo di amianto chiamato tremolite, ammalatasi nel
2002 e deceduta a Ivrea nel 2005. A questo primo caso se ne sono aggiunti
altri, e l’inchiesta della procura eporediese si è estesa anche a dirigenti
diversi.

Un ex operaio addetto alle caldaie di 74 anni , oggi malato, racconta al
quotidiano torinese: “L’azienda ci ordinava di fare le lastre ai polmoni, ma
nessuno di noi capiva il perché”. Il sindaco di Ivrea, Carlo Della Pepa, si
dice convinto dell’onestà delle persone che hanno fatto la storia dello
stabilimento, sicuro che l’inchiesta: ”non rischia di offuscare il mito
industriale” .

Il processo-pilota sulle morti da amianto è quello di Torino sulla Eternit
di Casale Monferrato, che ha visto la condanna in Appello, nel luglio
scorso, dell’imprenditore elvetico Stephan Schmidheiny a 18 anni.

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Amianto, indagati De Benedetti e Passera per i morti alla Olivetti
Nel registro degli indagati altre 22 industriali e manager, tra le accuse
omicidio colposo e lesioni colpose plurime. I lavoratori avrebbero lavorato
per anni in reparti a stretto contatto con il minerale cancerogeno.
L'ingegnere si dice estraneo alla vicenda
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 7 novembre 2013Commenti (59)
Più informazioni su: Amianto, Carlo De Benedetti, Corrado Passera, Olivetti.

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Venti morti sospetti. Venti operai che per anni hanno lavorato alla Olivetti
di San Bernardo, a Ivrea, nei reparti contaminati da fibre di amianto. La
Procura della Repubblica di Ivrea ha aperto un’inchiesta iscrivendo nel
registro degli indagati 24 persone, industriali e manager, tra cui l’ex
presidente Carlo De Benedetti e l’ex amministratore delegato Corrado
Passera. Tra le ipotesi di reato ci sono omicidio colposo e lesioni colpose
plurime. L’ingegnere fu presidente della società dal ’78 al ’96, mentre
Passera co-amministratore delegato tra il ’92 e il ’96.  La notizia è stata
riportata dal quotidiano La Stampa.

Le indagini sono focalizzate sui decessi di una ventina di lavoratori
avvenuti dopo la pensione, tra il 2008 e i primi mesi di quest’anno. Tutte
persone che tra la fine degli anni Settanta e il novanta avevano lavorato in
reparti contaminati da fibre di amianto e in seguito si sono ammalati di
mesotelioma pleurico, il tumore tipico che colpisce chi ha passato lunghi
periodi a contatto con l’asbesto.

De Benedetti si dice estraneo alla vicenda, sostenendo – in una nota del suo
portavoce – che “la realizzazione delle strutture oggetto di indagine
precede di diversi anni l’inizio della sua gestione alla Olivetti che ha
sempre prestato attenzione alla salute e alla sicurezza dei lavoratori, con
misure adeguate alle normative e alla conoscenze scientifiche dell’epoca”. L’ingegnere
attende fiducioso l’esito delle indagini “nel rispetto degli operai e delle
loro famiglie”.

“Violati i principi basilari della sicurezza e igiene del lavoro”, scrivono
i giudici della Corte d’appello di Torino nelle motivazioni della condanna
di un dirigente nel processo del novembre 2012 (il primo sulla questione)
che ha innescato la nuova inchiesta. Alla Olivetti si sapeva “della
pericolosità degli agenti chimici” utilizzati durante la lavorazione, ma si
è provveduto “con colpevole ritardo” ad affrontare il problema, continuano i
giudici d’Appello. La sentenza in questione riguarda Ottorino Beltrami, all’epoca
dei fatti amministratore delegato di Olivetti spa, al quale sono stati
inflitti, in secondo grado, sei mesi di carcere per omicidio colposo in
relazione alla morte di una lavoratrice dipendente. Il 4 dicembre la
Cassazione si pronuncerà sul ricorso presentato dal suo legale, ma nelle
scorse settimane Beltrami, all’età di 96 anni, è morto. L’ex amministratore
delegato di Olivetti era stato chiamato in causa per la storia di Lucia
Delaurenti, esposta a un tipo di amianto chiamato tremolite, ammalatasi nel
2002 e deceduta a Ivrea nel 2005. A questo primo caso se ne sono aggiunti
altri, e l’inchiesta della procura eporediese si è estesa anche a dirigenti
diversi.

Un ex operaio addetto alle caldaie di 74 anni , oggi malato, racconta al
quotidiano torinese: “L’azienda ci ordinava di fare le lastre ai polmoni, ma
nessuno di noi capiva il perché”. Il sindaco di Ivrea, Carlo Della Pepa, si
dice convinto dell’onestà delle persone che hanno fatto la storia dello
stabilimento, sicuro che l’inchiesta: ”non rischia di offuscare il mito
industriale” .

Il processo-pilota sulle morti da amianto è quello di Torino sulla Eternit
di Casale Monferrato, che ha visto la condanna in Appello, nel luglio
scorso, dell’imprenditore elvetico Stephan Schmidheiny a 18 anni.

lunedì 11 novembre 2013

Umbria Olii. La Cassazione ristabilisca la verità


di  Marco Bazzoni


Umbria Olii. La Cassazione ristabilisca la verità

Giuseppe Coletti, Tullio Mottini,  Vladimir Todhe, Maurizio Manili meritano rispetto



FIRENZE - Noi c'eravamo (insieme ad altri amici che si occupano di sicurezza sul lavoro da anni), alla Fiaccolata del 19 Luglio 2008, per ricordare i 4 operai morti nella strage della Umbria Olii Di Campello sul Clitunno (PG) il 25 Novembre del 2006.

La sentenza emessa dalla Corte di Appello di Perugia 8 Novembre 2013 ci ha lasciati sconcertati, perchè oltre a ridurre la pena all'ex AD Giorgio del Papa da 7 anni e 6 mesi a 5 anni e 4 mesi, ha dato un terzo di concorso di colpa alla ditta  esterna Manili Impianti dove lavoravano titolare e 3 operai morti carbonizzati nell'esplosione. Questa sentenza lascia   l'amaro in bocca e sinceramente si fa fatica a capirla. E' una sentenza che rischia di creare un precedente molto pericoloso se non verrà ribaltata in Cassazione. L'ex AD della Umbria Olii Giorgio Del Papa, ha fatto di tutto in questi anni per non venire processato: ha denunciato i periti del tribunale che avevano redatto una perizia a lui avversa, e l'assicurazione Unipol che av eva liquidato i quattro lavoratori morti assolvendoli da qualsiasi responsabilità, ha ricusato il Gip a otto giorni dall'udienza dell'11 Luglio 2008 (sapendo che la Procura di Spoleto l'avrebbe rinviato quasi sicuramente a giudizio).

Infine, ha fatto la cosa più vergognosa di tutte (che ha fatto indignare l'Italia intera), cioè, ha chiesto in sede civile, oltre 35 milioni di euro di danni a familiari delle vittime. Per sua sfortuna il giudice Fornaci aveva annullato la perizia su cui si basava questa richiesta di maxi risarcimento, perchè irregolare (ovviamente Del Papa ha ricusato pure lui). Scaricare una parte della colpa sulla ditta appaltatrice come è accaduto con la sentenza di appello, quindi sui 4 operai morti, lo trovo raccapricciante.

Del Papa sapeva benissimo che quei silos contenevano un gas altamente esplosivo (esano), ma dubito avesse avvertito la ditta Manili. La dittà Manili pensava di avere a che fare con semplice olio di oliva e non poteva sapere assolutamente che dentro a quei silos ci fosse invece olio di sansa e gas esano, che è una miscela esplosiva, che ha provocato la morte dei 4 operai (compreso il titolare della ditta Manili).

Se l'avessero saputo, siamo sicuri al 100% che non si sarebbero trovati a lavorare lassù! C'è da auspicare che la Cassazione ristabilisca la verità e ridia a Giuseppe Coletti, Tullio Mottini, Vladimir Todhe, Maurizio Manili, il rispetto che si meritano.  Ai loro famigliari va invece tutta la  solidarietà umana e civile.



Agenzie interinali, gli stipendi dei precari che finiscono nelle casse dei sindacati

A Ravenna la Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro e nei territori lo ha già denunciato occupando la sede dell'Agenzia interinale Intempo in mano alla CGIL che ha mandato a morire al Porto di Ravenna il giovane operaio Luca Vertullo. E per questo gli attivisti sono stati denunciati e subiranno un processo.

Rilanciamo la mobilitazione per la chiusura di queste agenzie della morte nella giornata del 14 novembre

 

 


Il Fatto Quotidiano

Agenzie interinali, gli stipendi dei precari che finiscono nelle casse dei sindacati

I versamenti a Cgil, Cisl e Uil costituiscono il "sostegno alle rappresentanze sindacali unitarie". Dicono di avere usato quei soldi, più di due milioni di euro nel 2012, per migliorare, tra l'altro, le regole su parità di trattamento, controlli e strumenti di sostegno al reddito. Ma la retribuzione dei 500mila che hanno sottoscritto il contratto di somministrazione lavoro non è ancora adeguata a quella dei dipendenti "normali"
di Salvatore Cannavò | 11 novembre 2013

Agenzie interinali, gli stipendi dei precari che finiscono nelle casse dei sindacati


Quando in un contratto a guadagnarci sono soprattutto i sindacati le cose non funzionano come dovrebbero. Soprattutto se la prima firma di quel contratto è quella di Guglielmo Epifani (nel 2008, insieme a Bonanni e Angeletti). Eppure, leggendo tra le pieghe del “Contratto collettivo delle agenzie di somministrazione di lavoro”, le vecchie agenzie interinali, si scopre che viene previsto un trasferimento di denaro ai sindacati come “sostegno al sistema di rappresentanza sindacale unitaria”. Stiamo parlando di circa 2 milioni di euro l’anno corrisposti, ormai, dal 2002.

Potenza di un settore complicato come il lavoro super-precario, quello della somministrazione, dove non c’è un rapporto a due, dipendente-datore di lavoro, ma a tre: lavoratore, agenzia di somministrazione, impresa utilizzatrice. L’agenzia svolge una funzione di mediazione assumendo direttamente il dipendente e poi “prestandolo” all’impresa che ne fa richiesta generalmente per un contratto a tempo determinato. Stiamo parlando di oltre mezzo milione di persone (dati 2011 di Assolavoro, l’associazione datoriale delle Agenzie) per circa la metà collocate nell’industria manifatturiera (52%) e per il resto suddivise tra Servizi alle imprese e informatica (17%), Commercio (11%), Pubblica amministrazione, sanità e istruzione (9%) e tanti altri settori.

Il sistema è stato introdotto nel 1997 dall’allora ministro Treu e riformato dal centrodestra con la “legge Biagi” nel 2003. Anche questo comparto viene regolato da un Contratto collettivo nazionale siglato, per le agenzie, da Assolavoro e, per il sindacato, dal Nidil-Cgil, Felsa-Cisl, Uil-Temp. Trattandosi di un comparto fortemente spezzettato, con lavoratori che non prestano servizio presso il proprio specifico datore di lavoro (le agenzie) ma presso imprese disseminate sul territorio, non ci sono delegati sindacali di azienda o di fabbrica, ma direttamente nominati dal sindacato.

Per questo tipo di attività sindacale, già nel contratto del 2002, si stabilì che le organizzazioni firmatarie beneficiavano di un contributo pari a un’ora ogni 1700 lavorate, dal valore di 7,75 euro l’ora. Nel 2008 quel valore è stato innalzato a 10 euro l’ora. Facciamo due conti: nel 2011 sono state lavorate 316 milioni di ore. Facendo il dovuto rapporto se ne ricavano 1,8 milioni di euro trasferiti ai sindacati. Nel nuovo contratto del settembre 2013, si è migliorato ancora: il compenso verrà corrisposto per un’ora ogni 1500 lavorate. Un aumento del 13% che si somma al 30% precedente. Le ore complessive del 2012 sono diminuite a 302 milioni, ma l’importo suddiviso tra i tre sindacati è salito a 2 milioni.

Cosa fanno i sindacati con quei soldi? “Secondo una delibera del nostro comitato direttivo – spiega al Fatto Claudio Treves, segretario generale del Nidil Cgil –, il 70% è destinato a finanziare i nostri progetti territoriali”. Guardando il bilancio del sindacato di categoria, il più grande dei tre, non sembra sia così. Nel 2012 le entrate per “contributi sindacali” ammontano a 719.505 euro euro mentre alla voce “contributi a strutture” troviamo la somma di 301.842 euro. In realtà i fondi per “progetti territoriali” sono ancora di meno, 212.500 pari al 29,5% di quanto incassato. Il resto dei costi del sindacato è assorbito da spese per attività, spese generali e, soprattutto, spese per il personale e le collaborazioni: 760.122 euro. Complessivamente, il bilancio è in perdita per 286.274 euro.

Il Nidil parla di massima trasparenza dei fondi, ma non è chiaro se tutti i lavoratori conoscano il meccanismo. Per quanto riguarda gli stessi lavoratori i vantaggi della rappresentanza sono contestati. Il sindacato rivendica di aver finora “migliorato le regole circa la parità di trattamento sindacale, i controlli, gli strumenti di sostegno al reddito (maternità, disoccupazione), etc”. Un ex sindacalista che ha seguito il settore, però, ci fa notare come nel sistema di retribuzione dei lavoratori somministrati si nasconda un particolare che penalizza proprio questi ultimi.

La legge, infatti, prevede per gli interinali “un trattamento non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice”. Questo principio fino al 2008 era ribadito con l’applicazione agli interinali dello stesso divisore contrattuale (il coefficiente che misura la paga oraria) che si applica ai contratti di categoria nella quale vengono inviati in missione. Nel contratto del 2008, invece, è stato introdotto un divisore contrattuale specifico per i lavoratori in somministrazione. Quando questo equivale a quello degli altri contratti (mediamente è così) non c’è problema. Ma quando il lavoratore si trova a fare i conti con divisori che nelle singole categorie rendono le paghe orarie più alte di quella di cui egli può beneficiare, il lavoratore viene svantaggiato. Accade così nel Commercio, nei Trasporti, nella Pubblica amministrazione, nell’Istruzione o nella Sanità, e in altri ancora. La differenza di salario per il lavoratore è minima, pochi centesimi. “Nessun lavoratore – spiega ancora l’ex sindacalista – intenterebbe una vertenza per pochi spiccioli con la prospettiva di perdere il lavoro”. Quei pochi centesimi moltiplicati per le decine di milioni di ore lavorate, però, possono portare a risparmi per le Agenzie nell’ordine di 10 o 20 milioni di euro l’anno. Nulla di illegale. Solo una delle tante contraddizioni che agitano il sindacato. Non a caso, in Cgil si è aperta una discussione sull’utilità o meno di un sindacato come il Nidil.

Da Il Fatto Quotidiano del 6 novembre 2013
LA REPLICA DELLA CGIL: “INVESTIAMO IL 70% IN PROGETTI TERRITORIALI”
In merito a quanto pubblicato il 6 novembre sul Fatto Quotidiano nell’articolo, “I sindacati guadagnano sulle spalle dei precari”, a firma di Salvatore Cannavò, mi preme sottolineare quanto segue. La contribuzione al sostegno alla rappresentanza sindacale, introdotta nel Ccnl del 2002 e aggiornata con l’ipotesi d’accordo dello scorso 27 settembre, ha lo scopo – ci pare legittimo – di sostenere l’attività del sindacato per la tutela di persone, quali i lavoratori somministrati, la cui durata dei rapporti non supera, in media, i 45 giorni. Per questo il costo è stato posto a carico delle agenzie e indirizzato all’ente bilaterale di settore, che lo riversa alle organizzazioni sindacali del settore. Si è trattato della mutualizzazione di un istituto che proprio la natura del lavoro in somministrazione rende di fatto difficilmente esigibile. NIdiL-Cgil pertanto ha deciso con delibera del proprio comitato direttivo che il 70% di tali somme fossero a disposizione di progetti di insediamento e rafforzamento delle strutture territoriali; che non vi sia corrispondenza con il dato di bilancio – curiosamente in possesso vostro – deriva dal numero di progetti presentati. Quanto ai giudizi dell’ignoto “ex sindacalista di categoria” segnaliamo, come spiegato nella conversazione avuta con l’autore dell’articolo ma non riportato nel testo, che il principio di parità di trattamento è stato rafforzato con il recente rinnovo contrattuale. Infine, riteniamo offensivi e pesantemente lesivi dell’immagine del sindacato sia il titolo che la chiusa dell’articolo, in cui si fa balenare l’idea che da un lato NidiL non difenda i lavoratori dagli abusi e dall’altro si arricchisca con dazioni delle agenzie, e “per questo” qualcuno in Cgil stia pensando di “cancellare NidiL”. D’altro canto, a corretta tutela della nostra immagine abbiamo già dato mandato legale per una querela nei vostri confronti.
Claudio Treves, segretario generale NidiL-Cgil

Le uniche deduzioni sono quelle fatte in questa lettera. Noi, come al solito, ci siamo limitati a riferire fatti, non contestati, compresa la versione del sindacato anche se il suo segretario, per impegni di lavoro, ha potuto dedicarci solo otto minuti. Anche la chiusa dell’articolo, lungi da “far balenare” idee offensive, si basa su fatti come il documento congressuale della minoranza Cgil in cui, nel 2010, si leggeva che “l’esperienza di Nidil ha fatto il suo tempo” (Sc).



lunedì 4 novembre 2013

PROCESSO SOLVAY: UDIENZA DEL 4 NOVEMBRE


L'udienza odierna - che arriva dopo quasi quattro mesi dall'ultima, a causa
dei problemi di salute di alcuni giudici popolari - è dedicata all'ascolto
degli otto testimoni presenti sulle liste del responsabile civile Edison,
attuale incarnazione dell'Ausimont.
I primi due sono i signori Mario Roldi e Giorgio Pasquin; si tratta di due
ex capo manutentori dei servizi ausiliari dello stabilimento di spinetta
Marengo: il primo nel periodo dal 1974 al 1992, l'altro - suo successore -
fino al 2004.
Il primo, su domanda dell'avvocato Baccarezza Boi (difesa Tommasi) asserisce
che, a sua memoria, il pozzo otto - quello da cui veniva normalmente attinta
l'acqua per uso potabile - non ha mai dato problemi in relazione alla
qualità; successivamente, su sollecitazione del pm Riccardo Ghio, sarà
costretto ad ammettere l'esistenza di un pozzo di riserva (il numero due),
che entrava in funzione in caso di problemi all'altro.
Dal canto suo, il secondo - sempre a proposito dello stesso tema di prova -
precisa quale fosse la cadenza degli interventi alla rete idrica ed a quella
antincendio: nel primo caso dodici all'anno, otto/nove nel secondo; è
evidente che, in queste occasioni, non è possibile affermare (come invece
aveva fatto il Roldi) con assoluta certezza l'assenza di problemi di
potabilità.
Questo anche a causa delle perdite dalle condutture - quantificate dal primo
teste nell'ordine dell'uno per cento - e dall'alto peziometrico evidenziato
dalla relazione, datata 1989, del geologo dottor Mauro Molinari (del quale
nessuno sembra ricordare, così come 'stranamente' accade per gli interventi
del Consiglio di Fabbrica in merito al problema delle perdite di cui sopra).
E' interessante segnalare l'intervento, sul finire della seconda
deposizione, di una persona del pubblico che sbotta: "sta dicendo un fracco
di bugie", ottenendo come risultato la cacciata dall'aula da parte della
presidente Sandra Casacci.
Dopo circa venti minuti di pausa, è la volta del signor Giuseppe Fugazza,
responsabile dell'impianto di Algofrene dal 1979 al 1996; questi sostiene
che, nel periodo di sua competenza, l'azienda ha provveduto a mettere in
atto svariati accorgimenti - che in parte verranno esplicitati, anche
specificando l'iter di approvazione ed attuazione, dal successivo teste
Ermanno Manfrin, responsabile della programmazione della manutenzione dal
1989 al 2009 - per limitare le perdite di liquidi verso la falda
sottostante.
Insomma: senza volere, costui conferma che le condutture del suo reparto
scaricavano direttamente le acque di lavorazione nel terreno, pur anche se
limita il fenomeno alle perdite dei tubi.
E sempre da questo deriverebbe anche l'esistenza di acqua più calda nella
zona dell'alto peziometrico: circa cinque gradi in più rispetto alla
temperatura del resto della falda.
Le ultime quattro audizioni - Massimo Ambanelli, Oscarino Corti, Pio De
Iorio, e Giuseppe Astarita - si occupano di precisare l'organizzazione
aziendale; lo fanno, in particolare, specificando come i vari responsabili
di settore potevano proporre investimenti, e persino farne di loro sponte:
ma solo fino ad una certa cifra, oltre la quale l'unico che aveva potere
decisionale era l'ad Carlo Cogliati.Alessandria, 04 novembre 2013
Stefano Ghio - Rete sicurezza

Muore operaio travolto da carico




COSENZA - Un operaio di 53 anni, Palmiro Montalto, è deceduto a seguito di un incidente sul lavoro. Il fatto è avvenuto a Corigliano Calabro (Cs), in un'azienda che si trova nella zona industriale. L'operaio, che era originario di San Giorgio Albanese, è stato travolto da un carico di ferro, trasportato da un muletto.




Finisce nella macina trita-pietre: muore un operaio di 53 anni

all’AZIENDA profacta DI BUFFALORA (BRESCIA)
Finisce nella macina trita-pietre: muore un operaio di 53 anni
Morti sul lavoro, piaga senza fine nel Bresciano: la quinta vittima
in 14 giorni, la 18esima da inizio anno


Il mulino dove è caduta la vittima (Foto Campanelli)Il mulino dove è caduta la vittima (Foto Campanelli)
Sembra non avere fine la piaga degli infortuni sul lavoro, di cui la provincia di Brescia detiene un triste record. Questa mattina, poco dopo le dieci, si è registrata la 18esima vittima da inizio anno, la quinta delle ultime due settimane. Un operaio di 53 anni è finito in un mulino per la macina delle pietre nella cava Profacta di via Cerca, in città (zona Buffalora).


Una morte orribile: l’uomo è salito sul mulino per controllare il corretto funzionamento del macchinario , che si era inceppato. All’improvviso è scivolato, probabilmente dopo essere stato colpito da una barra di ferro. Immediato l’intervento dei colleghi, che hanno tentato di spegnere il macchinario. Troppo tardi. Inutile anche l’intervento dei vigili del fuoco e dei sanitari del 118..



Ilva Taranto a un anno dalla morte di Marsella

Claudio Marsella operaio del Mof - la sua morte deve essere importante non
vana

Un anno fa moriva Claudio Marsella, operaio del MOF. Possiamo dire da un
lato che è morto invano e dall'altro che la sua morte è stata molto
importante.
E' morto invano per padron Riva, Ferrante, Bondi, dirigenti e capi
inquisiti, alcuni ancora al loro posto; è morto invano per gli infami
sindacalisti confederali che hanno firmato l'accordo che lo ha ucciso e
hanno continuato a difenderlo anche dopo la morte di Claudio.
Sappiano costoro che in una maniera o nell'altra, prima o poi, pagheranno
caro, pagheranno tutto! E speriamo non solo nella aule del tribunale dove ci
dovrebbero stare tutti come imputati, sia nel processo generale che nel
processo particolare.

Ma non è morto invano, Claudio Marsella vive nel grande sciopero che i suoi
compagni di lavoro hanno fatto per 15 giorni, cosa mai vista all'Ilva di
Taranto, una pagina nuova di vera storia in questi due anni terribili; non è
morto invano per gli operai e quelli dello Slai cobas che hanno sostenuto la
lotta, fatto piattaforme, denunce, esposti, manifestazioni di piazza, quella
nazionale promossa dall'Usb a cui lo Slai cobas ha aderito e partecipato e
quella della Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro
e territori del 22 marzo; non è chiaramente morto invano per quei suoi
compagni di lavoro che si sono organizzati nel sindacalismo di base, l'Usb
in questo caso e finora, rompendo coraggiosamente con il clima di
sudditanza, servilismo, mancanza di dignità di quei tanti, troppi operai che
non hanno osato farlo e hanno lasciato il pallino della fabbrica nelle mani
dei servi dei padroni.
Anche questa è una pagina nuova che si è aperta in questa fabbrica, anche se
Riva e Bondi cercano di farla pagare, ultimamente con il licenziamento
dell'operaio del Mof Marco Zanframundo.

Detto questo, però, altro bisogna aggiungere.
Per noi Claudio Marsella è come se fosse morto ieri perchè tuttora sono
impuniti i responsabili, tuttora gli operai del Mof non hanno vinto, la loro
piattaforma non stata accolta, tuttora la scelta del sindacalismo di base,
giusta e necessaria, non è stata sufficiente a ridare ai lavoratori uno
strumento reale per ricostruire, anche in nome di Claudio, un effettivo
sindacato di classe dentro l'Ilva, non basato sui personaggi che oggi stanno
con te e poi tradiscono ma basato sui cobas che sono altra cosa da l'Usb.
Così evidentemente la sfida della Rete nazionale del 22 marzo non è stata
raccolta da operai, organizzazioni, cittadini dei quartieri per un reale
braccio di ferro che riesca ad imporre condizioni di salute e sicurezza, per
cui non ci siano più ragazzi, operai, come Claudio, Francesco, Ciro, che
muoiono. Questa sfida è aperta, ma la lotta attuale è inadeguata e la
battaglia è prolungata,

Infine, NON SI MUORE PER IL LAVORO, NON SI MUORE PER I PROFITTI DEI PADRONI,
non si muore per un sistema in cui la vita degli operai sta all'ultimo
posto.
E' il sistema del capitale, Stato, governi, comando di fabbrica che deve
essere abbattuto. E questo domanda non una semplice lotta sindacale con il
sindacato buono, ma la lotta per il potere operaio che scaturisce da una
vera rivoluzione proletaria.
Onorare la morte di Claudio significa tutto questo non di meno.
Pubblicato da tarantocontro

13 novembre: inizia il processo per la strage di Viareggio

OGGETTO: INIZIO PROCESSO STRAGE VIAREGGIO

Cari,

il prossimo 13 novembre inizierà il processo per la strage ferroviaria di
Viareggio del 29 giugno 2009; 32 morti nella asicurezza delle loro case,
decine di feriti che porteranno addosso per tutta la vita i segni di quella
notte, un intero quartiere distrutto, un'intera città ferita.

Finalmente, dopo oltre 52 mesi, inizia il percorso che dovrà portare alla
GIUSTIZIA, anche se la giustizia dei tribunali non è mai la giustizia VERA,
ma perlomeno quella dobbiamo avere, per poter piangere più serenamente i
nostri cari.

Chiediamo per quel giorno la vostra SOLIDARIETA' CONCRETA, la vostra
presenza fisica accanto a noi, nel giorno che darà il via ad un percorso
lungo e doloroso ma necessario, come ci insegnate.

Vi chiediamo di essere insieme a noi il 13 novembre con i vostri striscioni,
faremo un piccolo corteo a piedi fino all'entrata del Polo Fieristico (poche
centinaia di metri), dove si svolgerà il processo, per chiedere VERITA' E
GIUSTIZIA per Viareggio e per tutte le nostre stragi.

Consapevoli come voi che l'unione, la solidarietà sono armi meravigliose
contro ogni sopruso, vi aspettiamo e vi ringraziamo.

Un abbraccio a tutti

Per l'associazione

La presidente

Daniela Rombi