INDICE
Assemblea
29 giugno assemblea29giugno@gmail.com
COMUNICATO/VOLANTINO:
ALTRO CHE DUE PESI E DUE MISURE!!!
Francesco
Ficiarà frficiar@hotmail.com
OPERAIO
SI INFORTUNA, LA FERRARI LO SOSPENDE
Gino
Carpentiero ginocarpe@teletu.it
ANCORA
SULL’ILVA
Carlo
Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
MORTI
SUL LAVORO NEI PRIMI 7 MESI DEL 2012 CON I MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO PER OGNI
PROVINCIA ITALIANA
Alteralias
alias.alter@gmail.com
CLOROSODA
DI GELA, IL REPARTO KILLER - TESTIMONIANZA DEGLI EX
LAVORATORI
ILVA
DI TARANTO - BASTA CON IL RICATTO O SALUTE E AMBIENTE O
LAVORO!
Aldo
Mancuso aldo.mancuso@asf.toscana.it
BOMBARDARE
IL POOL
Gino
Carpentiero ginocarpe@teletu.it
ANCORA
SU TARANTO
Gino
Carpentiero ginocarpe@teletu.it
COMUNICATO
STAMPA IN OCCASIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI CECINA DEL 2 AGOSTO
2012
Marco
Bazzoni bazzoni_m@tin.it
AVERE
14 ANNI NON BASTA PER NON MORIRE SUL LAVORO
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From:
Assemblea 29 giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, July 31, 2012 1:42 PM
Subject:
COMUNICATO/VOLANTINO: ALTRO CHE DUE PESI E DUE MISURE!!!
Un'utile
informazione e presa di posizione da far conoscere e da far circolare.
Invitiamo
gli addetti alla comunicazione tutta (carta stampata, radiofonica,
televisiva...) a manifestare minore sudditanza nei confronti del cavalier
Moretti & company.
Grazie.
Assemblea
29 giugno
Sono
Bucari Andrea, nato a Terni il 10/01/70 e residente a Terni in via Verdi 43
(Collestatte).
Sono
dipendente di RFI dal 1992 e lavoro presso il Tronco lavori di Terni con la
qualifica di operatore specializzato alla manutenzione sulla linea Orte-Spoleto.
Il 29
gennaio 2011 su ordine della procura della Repubblica di Spoleto, venivo tratto
in arresto per presunti reati sulla mia vita privata. La mattina stessa i
carabinieri mi permettevano di telefonare al mio diretto superiore che veniva da
me informato sull'accaduto e sui reati di imputazione.
Successivamente
il mio legale faceva la stessa cosa, prima verbalmente poi tramite lettera ad
uno dei responsabili di RFI di Foligno che successivamente informavano le sedi
di Ancona e Roma. Con il mio avvocato scrivevo una lettera all'azienda dove
chiedevo un incontro per chiarire la mia posizione ma non ho ricevuto risposta.
Dopo la scarcerazione riprendevo regolarmente il mio lavoro.
Il 12
dicembre 2011 ricevevo una lettera dell'Azienda che mi sospendeva in via
cautelare dal servizio con retribuzione di 60 giorni come prevede il CCNL.
L'azienda ha detto di adottare questo provvedimento in quanto solo alla chiusura
delle indagini avvenuta a novembre 2011 e venuta a conoscenza dei reati per i
quali ero stato indagato.
Questa
misura cautelare andrà avanti fino alla conclusione di un eventuale iter
processuale che, visti i tempi della giustizia di questo paese, potrà durare
diversi anni. Ad oggi, siamo solo alla chiusura delle indagini.
L'azienda
ha motivato questa sua decisione come una mancanza di "rapporto fiduciario".
Con
il mio legate ho impugnato il provvedimento d'urgenza presso il Tribunate di
Terni che, pero, non ha avuto un esito positivo.
Infatti,
il giudice del lavoro ha dato risalto al provvedimento penale e non al lavoro.
Si è limitato a fare riferimento ad una sentenza del Tribunale di Civitavecchia
dove un dipendente di RFI era stato sorpreso a rubare documenti sul posto di
lavoro e di conseguenza licenziato.
Ad
ottobre 2011 venivo comandato dall'azienda a svolgere un servizio di scorta e
pronto intervento nella stazione di Narni in occasione della visita in treno del
Papa ad Assisi.
Secondo
i giudici di Terni la mancanza di lavoro non crea alcun problema; anzi hanno
avvallato RFI per il fatto che il sottoscritto dovrebbe essere mantenuto dai
suoi genitori.
Avere
fornito la documentazione del mutuo dell'abitazione e che la mia famiglia è a
reddito zero non attesta una reale situazione patrimoniale? Secondo loro no.
Perche
le ferrovie ed RFI attuano due pesi e due misure?
Infatti,
l'AD del Gruppo ferrovie dello Stato italiane, sig. Moretti, e gli AD di RFI e
Trenitalia, sigg. Elia e Soprano, sono indagati per il disastro ferroviario di
Viareggio del 29 giugno 2009 dove persero la vita 32 persone (bambini, ragazze,
adulti...) che riposavano nelle proprie abitazioni. Proprio pochi giorni fa la
procura di Lucca ha chiuso l'inchiesta ed ha chiesto il rinvio a giudizio per i
suddetti signori oltre che per altri dirigenti FS.
Il
sottoscritto che percepisce uno stipendio di 1.350 euro per vivere viene
allontanato dal lavoro, questi signori che percepiscono ben altre cifre e non
hanno certo bisogno di essere mantenuti dai propri genitori, continuano a
ricoprire i propri ruoli e le proprie responsabilità, oltre a ricevere le
proprie cospicue retribuzioni!
Il
fatto di essere indagati per una tragedia immane come quella di Viareggio non ha
niente a che fare con il rapporto di fiducia o con un danno di immagine per
l'azienda?
In
data 4 luglio 2012 ho ritirato, presso il Tribunale di Terni, il mio certificato
penale sul quale non risulta alcunché.
Altro
che due pesi e due misure! ! !
Terni,
20 luglio 2012
Andrea
Bucari
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To:
Sent:
Tuesday, July 31, 2012 10:57 PM
Subject:
OPERAIO SI INFORTUNA, LA FERRARI LO SOSPENDE
E'
GRAVISSIMO COMPAGNI CIO' CHE HANNO FATTO, NON SOLO PERCHE' DELEGATO FIOM MA COME
OPERAIO FERRARI; E' UN TERRORE DISCIPLINARE CHE VA' RESPINTO CON
L'ORGANIZZAZIONE E LA LOTTA NON SOLO IN QUESTI GIORNI. DA SETTEMBRE DOBBIAMO
AGIRE MOLTO PIU' IN SINERGIA TRA OPERAI CHE LOTTANO, AL DI LA' DELLE AZIENDE
DOVE SIAMO, PERCHE' IL PADRONE STESSO (FIAT) FA' COSI CON NOI, HA UNA STRATEGIA,
UNA TELA, CHE NON ABBIAMO SVILUPPATO SUFFICIENTEMENTE.
CARI
COMPAGNI DA SUBITO CERCHERO' DI INFORMARE I POCHI O TANTI OPERAI E COMPAGNI QUII
IN ZONA COME ANCHE A BOLOGNA, REGGIO EMILIA, PARMA ECC...
SONO
DISPONIBILE PER QUALSIASI AZIONE VOGLIATE INTRAPRENDERE, E MI FACCIO DA SUBITO
AMPLIFICATORE DI QUALSIASI INIZIATIVA VOI VOGLIATE PRENDERE.
Francesco
Ficiarà
Operaio
Licenziato Fiat
Da
RSU FIOM Ferrari
Un
operaio della Ferrari, addetto della Nuova Meccanica e delegato della Fiom (non
riconosciuto da Fiat), a seguito di un infortunio sul lavoro è stato punito
dall'azienda con 2 giorni di sospensione.
Secondo
la Direzione aziendale della Ferrari, l'operaio sarebbe incorso nell'infortunio
a causa della sua negligenza.
Questa
tesi aziendale è semplicemente abominevole perché risponde alla logica che il
lavoratore, se si infortuna, è indisciplinato e colpevole, quindi va
punito.
Ancora
più assurdo e pretestuoso risulta il provvedimento disciplinare visto che sei
mesi fa, i rappresentanti della sicurezza dei lavoratori congiuntamente all'
azienda avevano concordato la rimozione degli ostacoli presenti in alcune
postazioni per metterle in sicurezza.
L'Operaio
sospeso si è infortunato proprio in una delle postazione che la stessa azienda
ammetteva non a norma.
Con
la cacciata della Fiom e con l'applicazione del contratto Fiat, oggi, i
lavoratori della Ferrari si trovano alle prese con una realtà repressiva ed
ottusa che contraddice drammaticamente l'immagine mediatica dell' azienda
caritatevole e popolare.
Delegati
Fiom Ferrari (non riconosciuti da Fiat) rsufiomferrari@libero.it
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To:
Sent: Tuesday, July 31, 2012 11:26 PM
Subject: ANCORA SULL’ILVA
Da
Massimo Torelli di ALBA:
L’articolo
di Paolo Cacciari sul Manifesto di oggi, l’intervista a Maurizio Landini, sul
Manifesto di Domenica e il Comunicato di ALBA (Alleanza Lavoro BeniComuni
Ambiente) di Taranto
Saluti
Gino
Carpentiero
1) PAOLO
CACCIARI http://www.democraziakmzero.org/2012/07/28/il-significato-dellilva/
Che
infinita tristezza provoca il dover constatare che nel XXI secolo, nell’ottava o
nona potenza economica mondiale, il lavoro e la salute siano ancora posti in una
condizione duale, dicotomica. In un bellissimo documentario (“Ultimi fuochi” di
Manuela Pellarin) sulla condizione operaia negli anni ’60 del secolo scorso, un
operaio del Petrolchimico di Porto Marghera rispondeva mesto alla domanda del
giornalista sul perché accettasse una condizione lavorativa così rischiosa con
queste tre parole: “Fumo o fame”.
Ad
ammazzare, a Marghera, era il cloruro di vinile monomero, all’Ilva di Taranto le
diossine. Ma quanti sono i conflitti tra produzioni industriali e ambiente
ancora aperti nel nostro paese? Dalla Ferriera di Trieste (Lucchini), al
termodistruttore Fenice (EDF, ex Fiat) di Melfi, dalle centrali termoelettriche
a carbone liguri (Enel), ai cementifici di Monselice. Chi tiene il conto? Una
volta la Cgil aveva una struttura Ambiente Lavoro, oggi, in periodi di
recessione economica, la salute sembra essere diventata un lusso.
Per
fortuna c’è qualche (raro) magistrato. Ma anche qui non facciamoci illusioni: le
strutture scientifiche di cui la magistratura si può avvalere sono sotto gli
attacchi alla spesa pubblica. Il più rinomato centro sulle diossine INCA (un
consorzio tra 19 università italiane e altre decine di unità di ricerca nel
settore della chimica e delle tecnologie per l’ambiente) e che ha supportato
anche l’inchiesta di Taranto, è in pericolo di chiusura. Del resto, solo per
fare un esempio, ricordiamoci che con il ministro Mattioli le ricerche sugli
effetti delle radiazioni generate dai campi elettromagnetici (telefonini,
ripetitori, radar, ecc.) sono state “esternalizzate” a quella Fondazione Maugeri
nota per gli scandali alla Regione Lombardia. Con il passaggio delle competenze
ambientali alle Asl regionali, le attività di prevenzione sono state di fatto
azzerate, con esse i registri tumori e le indagini epidemiologiche necessarie a
stabilire le correlazioni tra inquinamenti ambientali e malattie.
Ciò
che colpisce delle numerose, candide interviste rilasciate dal ministro Corrado
Clini (già medico del lavoro e da decenni direttore generale del Ministero per
l’Ambiente) a sostegno non già della applicazione delle leggi – come ci si
aspetterebbe da un fedele servitore dello Stato – ma delle ragioni dell’impresa
sotto accusa, sono le motivazioni. “Forse – ha dichiarato Clini a “il manifesto”
del 27 luglio – dieci anni fa chiudere lo stabilimento aveva un senso, ma ora
no”. Giusto, ma lui, e tutto l’apparato di valutazione e controllo che uno stato
civile dovrebbe mettere in campo a difesa della salute dei cittadini (compresa
quella della sotto-specie, a diritti limitati, che sono gli operai), dov’erano,
cosa facevano, nonostante fossero perfettamente a conoscenza della
situazione?
Non
so se l’inchiesta della Procura della Repubblica abbia un’appendice nei
confronti delle strutture pubbliche locali, regionali (Asl) e nazionali
(ministeri vari). Ma è questa la parte che darebbe più soddisfazione alle
centinaia di vittime (386 decessi negli ultimi 13 anni) e alle migliaia di
malati di Taranto, dentro e fuori la fabbrica. Scoprire che i padroni fanno i
loro interessi sulla pelle dei dipendenti non è poi una grande novità. Più
interessante sarebbe vedere in faccia chi e sapere per quali ragioni ha omesso i
controlli, ha rilasciato autorizzazioni e concesso finanziamenti a imprese
palesemente fuorilegge.
Vedremo.
Ma il dato politico più allarmante è un altro. Sono i dipendenti, in queste ore,
a sfilare a sostegno delle ragioni dei propri aguzzini. Non sono cinico, non mi
manca la capacità di comprendere il dramma umano di persone disperate perché
sotto ricatto. Ciò che mi rattrista è l’incapacità di immaginare una via di
uscita che non sia la sottomissione alle ragioni della produzione, della
produttività, della competizione. La questione non si risolve se non affrontando
alle radici la globalizzazione che ha prodotto in Occidente allo stesso tempo
disoccupazione e deterioramento delle condizioni di lavoro.
Mi
vengono in mente le riflessioni di André Gorz a partire da Marx: “Egli
(l’operaio salariato) non considera il lavoro in quanto tale come facente parte
della sua vita; è piuttosto il sacrificio di questa vita. E’ una merce che egli
aggiudica ad un terzo” (Lavoro
salariato e capitale, 1849). Quando la mercificazione del lavoro
raggiunge tali livelli di alienazione, allora – aggiungeva Gorz – “lavoro e
capitale sono fondamentalmente complici nel loro stesso antagonismo per il fatto
che guadagnare del denaro è il loro fine determinante. Agli occhi del capitale,
la natura della produzione importa meno della sua redditività; agli occhi del
lavoratore, essa importa meno degli impieghi che crea e dei salari che
distribuisce. Per l’uno e per l’altro, ciò che è prodotto importa poco, posto
che renda. L’uno e l’altro sono, coscientemente o meno, al servizio della
valorizzazione del capitale. E’ per questo che il movimento operaio e il
sindacalismo non sono anticapitalisti se non nella misura in cui mettono in
questione non soltanto i livelli dei salari e le condizioni di lavoro, ma le
finalità della produzione, la forma merce del lavoro che la realizza ” (Ricchezza senza valore, valore senza
ricchezza, in Ecologica, Jaca Book 2009, pp.125/126).
Affermare,
quindi, come bene fa la Fiom, che il lavoro è un bene sociale comune – così come
il sole o l’acqua lo sono nel campo dei beni naturali – significa finalmente
voler sottrarre le decisioni sul cosa, dove, per chi produrre alle leggi del
mercato, cioè del profitto e del diritto di proprietà. La liberazione del lavoro
dall’eteronomia non può che avvenire attraverso un conflitto per affermare modi
e forme democratiche di decisione sul cosa, come, dove e per chi
produrre.
2)
INTERVISTA A LANDINI DEL 28 LUGLIO SU IL MANIFESTO
Di Antonio Sciotto
L'Ilva
resti aperta ma si investa per non inquinare. Il sindacato ammette un
ritardo
Maurizio
Landini è appena uscito dall'incontro con il nuovo presidente dell'Ilva Bruno
Ferrante, mentre in mattinata aveva partecipato a un'animatissima assemblea dei
dipendenti. Propone quello che chiedono gli operai: ovvero che finalmente
l'impresa e la politica bonifichino la città e creino produzioni sostenibili,
senza perdere posti di lavoro. Nel contempo, però, il leader della Fiom ammette
che i lavoratori stanno facendo un «salto culturale», e che prima erano in
ritardo sul tema ambientale. Ancora, Landini commenta lo scontro tra
l'amministratore delegato Fiat Sergio Marchionne e la Volkswagen, propendendo
con evidenza a favore delle ragioni della casa tedesca.
GLI
OPERAI DIFENDONO IL LORO POSTO, MA LA QUESTIONE AMBIENTALE A TARANTO È URGENTE.
COME CONCILIATE I DUE TEMI?
Che
gli operai difendano il proprio posto mi pare legittimo. La cosa importante è
che non si è ceduto a chi credeva alla contrapposizione lavoratori-magistratura.
Al contrario si chiede a tutti i soggetti coinvolti, a partire dall'Ilva, di
difendere il lavoro ma insieme anche la sicurezza e la salute, dei dipendenti e
della città. Il problema riguarda tutta l'area di Taranto, altre imprese
importanti. Va anche detto che l'Ilva non è più la fabbrica di 20 anni fa: negli
ultimi anni ha investito 1 miliardo contro l'inquinamento.
MA
VI SEMBRA CREDIBILE OTTENERE UNA ILVA «PULITA»? VEDENDO OGGI TARANTO SI
PERDEREBBE OGNI SPERANZA.
Tutto
il territorio è inquinato da oltre 50 anni, a causa dell'Ilva ma non solo: ci
sono altri grossi impianti, e non a caso l'accordo siglato al ministero non si
riferisce all'Ilva ma a tutta l'area di Taranto.
MA PERCHÉ NON ABBIAMO VISTO NEGLI ULTIMI ANNI GLI OPERAI IN PIAZZA PER L'AMBIENTE, E RIUSCIAMO A VEDERLI MOBILITATI SOLTANTO OGGI? HANNO DOVUTO ASPETTARE LA MAGISTRATURA E GLI AMBIENTALISTI?
MA PERCHÉ NON ABBIAMO VISTO NEGLI ULTIMI ANNI GLI OPERAI IN PIAZZA PER L'AMBIENTE, E RIUSCIAMO A VEDERLI MOBILITATI SOLTANTO OGGI? HANNO DOVUTO ASPETTARE LA MAGISTRATURA E GLI AMBIENTALISTI?
Credo
ci siano ragioni e responsabilità precise, non solo dei lavoratori: i passati
governi, la Regione prima di Vendola, la stessa Ilva. È passata l'idea che pur
di lavorare va bene tutto. Il sindacato ha fatto alcune iniziative, ma non
faccio fatica ad ammettere che per il mondo del lavoro siamo a un passaggio
culturale, e che qualche ritardo su questo fronte prima c'è stato. Cosa, perché
si produce e con quale sostenibilità, è un tema che va rivolto a tutti i
soggetti, in primis all'impresa e alla sua responsabilità sociale.
ADESSO
COSA VI ASPETTATE?
Abbiamo
appena incontrato il nuovo presidente Ferrante e abbiamo accolto con favore il
suo impegno di continuare a produrre, collaborando con istituzioni, governo e
sindacato. Il 3 agosto c'è il riesame e vedremo, ma il punto piuttosto è aprire
un percorso vero di investimenti pubblici e privati. D'altronde non puoi fermare
le produzioni in un'acciaieria come quella, per precisi vincoli tecnologici. Se
la chiudi non la riapri più.
SI
POTREBBE PENSARE PERÒ DI CHIUDERE SOLO IL CICLO A CALDO, PIÙ INQUINANTE.
Non
puoi distinguere tra ciclo freddo e caldo, devi tenerli insieme, non puoi
dividerli. Sono un vero ciclo integrato.
E
SULLO SCONTRO MARCHIONNE-VOLKSWAGEN LA FIOM COSA DICE?
Dico
che è innanzitutto un elemento di novità il fatto che Marchionne invece di
insultare la Fiom, insulta altri. Vedo la difficoltà per la Fiat di vendere in
Europa: non ha mai investito e innovato i suoi prodotti, è preoccupante. In
Italia chiederei piuttosto una politica industriale dell'auto e la mobilità, in
modo da far entrare investitori stranieri nel nostro territorio. Interi pezzi
dell'industria spariscono, la Fiat non investe. Dopo due anni e mezzo, chi ha
firmato accordi con Fiat dovrebbe riflettere.
MA
PERCHÉ IL MODELLO VOLKSWAGEN VINCE E QUELLO FIAT CROLLA IN
EUROPA?
In
una concessionaria Vw trovi auto da 10 mila euro a 150 mila, in tutte le gamme.
Mentre alla Fiat non è così. C'è poi un grande vantaggio competitivo e
tecnologico, marchi diversi, l'acquisto di nuove piattaforme. Vw è anche il
primo costruttore di auto andato in Cina. Ma soprattutto non ha licenziato
quando aveva difficoltà: ha preferito ridurre gli orari e investire. L'Audi,
tedesca, ha da poco comprato Lamborghini e Ducati Motor: in entrambi gli
stabilimenti noi della Fiom abbiamo ottimi rapporti con i capi, ma soprattutto
l'80% alle elezioni. Nonostante la Fiom vanno bene, fanno utili e investono.
Audi ha comprato prima che modificassero l'articolo 18.
3)
NOTA ALBA TARANTO
DIRITTO
ALLA SALUTE E DIRITTO AL LAVORO SONO BENI COMUNI SANCITI DALLA COSTITUZIONE E
VANNO PRETESI E DIFESI ENTRAMBI.
Per
quanto è accaduto a Taranto, in questi giorni, c’è materiale per una inchiesta a
tutto campo atta ad analizzare e capire meglio il dramma di una città, di un
territorio meridionale depredato da sempre delle proprie risorse naturali, della
propria salute, del proprio lavoro.
Ancora
una volta c’è voluto un gruppo di magistrati coraggiosi (a cui va tutto il
nostro ringraziamento) per emanare un'ordinanza di sequestro nei confronti di
una fabbrica, l’Ilva, che produce acciaio a pochi metri dalla città con tutto il
suo carico di inquinamento. Una fabbrica che ha prodotto centinaia di morti
accertati per tumori vari e migliaia di malattie, causate da tutti i veleni che
dagli anni sessanta in poi hanno invaso l’aria che si respira, hanno inquinato
il suolo sottostante e le falde acquifere, modificata la catena alimentare,
distrutte specie di animali e molluschi vari (eclatante il sequestro del vivaio
delle cozze a mar piccolo per inquinamento da diossina).
Il
sequestro dell’area a caldo dell’Ilva e l’arresto ai domiciliari dei proprietari
della fabbrica (RIVA), insieme ad altri sei dirigenti aziendali, sono il portato
clamoroso di una indagine non nata ieri, che va avanti da anni e che aveva già
prodotto sentenze contro la proprietà per violazioni legislative di vario
genere, sia nei confronti dei lavoratori sia nei confronti dei cittadini
abitanti nei quartieri circostanti la fabbrica stessa.
Da
questo sequestro viene fuori la condanna non solo di un padrone che ha anteposto
il profitto alla tutela della salute e della vita, ma è una condanna senza se e
senza ma di un ceto politico e sindacale che in tutti questi anni non solo ha
affrontato i problemi in maniera servile e compromissoria ma, sotto certi
aspetti, ha avallato le scelte di morte prodotte
dall'azienda.
La
rivolta operaia che è scaturita dalla possibile chiusura dello stabilimento e,
quindi, dalla possibile perdita del posto di lavoro, non può essere un’arma di
ricatto per lasciare le cose come stanno, con il loro carico di
morte.
La
tutela del posto di lavoro è fuori discussione. E’ necessario che la partita si
riapra valorizzando al massimo la difesa della vita e del lavoro per tutti. Chi
inquina deve pagare. Non bastano i trecento milioni stanziati in fretta e furia
dal governo e dalla regione (di cui solo una parte per la bonifica) per mettere
in sicurezza il territorio. A Porto Marghera hanno investito quattro miliardi di
euro per il risanamento di una area che, probabilmente, non ha raggiunto i
livelli di devastazione di Taranto.
Bonificare
un territorio serve se la causa inquinante viene a cessare; altrimenti non serve
a niente.
Si
tratta quindi di pretendere che Riva attui tutte le prescrizioni indicate dai
magistrati, riduca drasticamente la produzione - aumentata a dismisura dopo la
chiusura dello stabilimento di Genova, sempre per inquinamento, spostando a
Taranto la quantità di acciaio prodotto in quel sito - e che siano i lavoratori
e i cittadini a controllare che tali operazioni vengano condotte senza ambiguità
e sotterfugi. Istituire subito comitati dei cittadini residenti nelle aree
colpite è il miglior deterrente per evitare che le burocrazie politiche e
sindacali facciano compromessi vari a danno dei cittadini
stessi.
In
ultima analisi pensiamo, come ALBA, che da questa vicenda possa aprirsi un
percorso virtuoso, non solo per dire basta allo scempio prodotto nel tempo da
Riva e dai suoi servi sciocchi, ma per consentire che si apra un capitolo di
democrazia partecipata che permetta ai cittadini e ai lavoratori di rendersi
protagonisti del proprio destino. Se non ora, quando?
ALBA
(Alleanza Lavoro, Beni comuni, Ambiente)- Taranto
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From:
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, August 01, 2012 8:44 AM
Subject:
MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 7 MESI DEL 2012 CON I MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO PER
OGNI PROVINCIA ITALIANA
Osservatorio
Indipendente di Bologna morti per infortuni sul lavoro
sito
Dal
primo gennaio ad oggi 31 luglio sono morti SUI LUOGHI DI LAVORO 359 lavoratori (
tutti documentati), oltre 600 dall'inizio dell'anno se si aggiungono i
lavoratori deceduti in itinere o sulle strade. Erano 379 lo stesso giorno del
2011 il calo è del 5%, che speriamo si mantenga costante fino alla fine
dell'anno. L'Osservatorio considera come "morti sul lavoro" tutte le persone che
perdono la vita mentre svolgono un'attività lavorativa, indipendentemente dalla
loro posizione assicurativa.
I
morti sui luoghi di lavoro sono per il 30,8% in agricoltura, di questi, la metà
schiacciati dal trattore (già 63 dall'inizio dell'anno). Edilizia 29% di morti
sul totale, in questa categoria il 30% sono causate da cadute dal’alto.
Industria 16,1%, quasi la metà di queste morti sono state provocate dal
terremoto in Emilia. Servizi 5,8%. Autotrasporto 5,1%, Il 3% Esercito Italiano
(Afghanistan). Il 2,65 nella Polizia di Stato ( tutte le morte in servizio sulle
strade). Il 13,3% dei morti sui luoghi di lavoro sono stranieri.
Età
delle vittime: il 4,9% hanno meno di 29 anni, dai 30 ai 39 anni il 14,1%, dai 40
ai 49 anni il 24,48%, dai 50 ai 59 anni il 15,7%, dai 60 ai 69 anni il 9,5%, il
12,8% ha oltre 70 anni. Del 16,5% non siamo a conoscenza
del’età.
Morti
sui luoghi di lavoro nelle regioni e province. La regione Lombardia ha già 42
morti e la provincia di Brescia con 14 morti risulta seconda per numero di morti
se si esclude la provincia di Modena che ha tantissimi lavoratori morti per il
terremoto, come negli ultimi anni Brescia è sempre ai vertici in questa triste
classifica delle province con più morti sui luoghi di lavoro. L'Emilia Romagna
ha 41 lavoratori morti di cui 18 deceduti sotto le macerie dei capannoni
industriali del terremoto del 20 e 29 maggio, province di Modena 17 morti e di
Ferrara 7 morti, Reggio Emilia 4 morti, Bologna, Piacenza e Parma 2 morti. La
Toscana registra 26 morti (34 con i morti in mare sulla Costa Concordia
affondata sulle coste dell'isola del Giglio) , dei due fratelli del peschereccio
affondato al largo di Livorno e di un sub), la provincia di Livorno ha 5 morti.
Il Piemonte registra 29 morti , la provincia di Torino risulta in questo momento
con 16 vittime la prima in Italia per numero di morti. Campania 26 morti,
provincia di Salerno 11 morti, di Avellino 8 morti. Calabria 16 morti, con la
provincia di Reggio Calabria con 5 morti. Veneto 20 morti con la province di
Verona 6 morti e Vicenza con 3 morti. La Sicilia 17 morti, con la province di
Messina 4 morti, Palermo e Agrigento e Trapani 3 morti. Lazio 15 morti con la
province di Roma e Frosinone con 5 morti. Puglia 16 morti, province di Bari 8
morti e di Brindisi 4 morti. Trentino Alto Adige 14 morti, provincia di Bolzano
9 morti. Abruzzo 12 morti con la province di Chieti con 7 morti e di Pescara con
6 morti. Liguria 12 morti, con la provincia di Genova con 6 morti. Marche 6
morti con la provincia di Ancona con 4 morti. Friuli Venezia Giulia 9 morti,
Basilicata 5 morti, 3 nella provincia di Matera 3 morti e in quella di Potenza
2.Umbria 9 morti, provincia di Perugia 8 morti. Sardegna 7 morti, Molise 3
morti.
Non
vengono segnalati a carico delle province i lavoratori che utilizzano un mezzo
di trasporto e i lavoratori morti in autostrada: agenti di commercio, autisti,
camionisti, ecc.. e lavoratori che muoiono nel percorso casa-lavoro /
lavoro-casa. La strada può essere considerata una parentesi che accomuna i
lavoratori di tutti i settori e che risente più di tutti gli altri della fretta,
della fatica, dei lunghi percorsi, dello stress e dei turni pesanti in orari in
cui occorrerebbe dormire, tutti gli anni sono percentualmente dal 50 al 55% di
tutti i morti sul lavoro. Purtroppo è impossibile sapere quanti sono i
lavoratori pendolari sud-centro nord, centro-nord sud, soprattutto edili
meridionali che muoiono sulle strade percorrendo diverse centinaia di km nel
tragitto casa-lavoro, lavoro-casa. Queste vittime sfuggono anche alle nostre
rilevazioni, come del resto sfuggono tanti altri lavoratori, soprattutto in nero
o in grigio che muoiono sulle strade e non solo. Tutte queste morti sono
genericamente classificate come "morti per incidenti
stradali"
Nel
2011 ci sono stati più di 1.170 morti, di cui 663 sui luoghi di lavoro + 11,6%
sul 2010. Per approfondimenti sui lavoratori morti per infortuni sul lavoro nel
2011 andare nella pagina dell'1 -1 e 3- 1 del 2011 del'Osservatorio. Ci sono
cartine geografiche con il numero di morti sui luoghi di lavoro per ciascuna
provincia italiana e grafici inerenti all'età, professione e nazionalità dei
lavoratori vittime d'infortuni mortali.
Carlo
Soricelli
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To:
Sent: Wednesday, August 01, 2012 11:20 AM
Subject:
CLOROSODA DI GELA, IL REPARTO KILLER - TESTIMONIANZA DEGLI EX
LAVORATORI
Car*
giro
questa notizia
chiedendovi
se qualcuno dei nostri per caso segue o ha seguito la
vicenda.
Fra
l'altro, da quel che sembra confrontando la notizia con le informazioni che da
anni Maurizio Marchi raccoglie e diffonde sulla Solvay di Rosignano, le due
produzioni sarebbero simili...
E'
impressionante la persistenza degli effetti letali sui bambini anche anni dopo
la chiusura dell'impianto!!! Quali metodi di bonifica andavano impiegati? Perché
non viene rispettato il principio "chi inquina paga", che è stato adottato anche
dall'Europa?
Salute
e saluti
Amanda
MD
Livorno
CLOROSODA
DI GELA, “IL REPARTO KILLER”
“Mio padre è morto
di tumore all’esofago nonostante non avesse mai bevuto, mai fumato, non ha mai
preso un caffè”. E’ la testimonianza di Massimo Grasso, presidente del comitato
degli ex lavoratori di Clorosoda, il “reparto killer” dell’Eni di Gela. “Io ho
avuto un trapianto di cuore, vivo con il cuore di un altro” dice Francesco Iraci
ex capo turno di Clorosoda, dove si produceva la soda caustica. “Dentro ogni
cella c’erano tremila e 400 chili di mercurio: quando le pompe perdevano
mercurio noi operai dovevamo spazzare quel mercurio ad altissima temperatura”
racconta l’ex operaio Francesco Iraci. Oggi, a quasi 20 anni dalla chiusura del
reparto, sono moltissimi i casi degli ex operai di Clorosoda che si ammalano di
tumore. E sono tanti anche i casi di malformazioni genetiche tra i figli degli
operai: una percentuale di sei volte l’atteso, molto superiore rispetto al resto
della regione. “Siamo pronti ad aiutare le famiglie degli ex operai di
Clorosoda” assicura Andrea Armaro, responsabile relazioni esterne dell’Eni. Il
genetista Sebastiano Bianca però mette tutti in guardia. “Adesso però bisognerà
capire cosa succederà in futuro: pensavamo che le percentuali di bambini
malformati scendessero, invece nonostante la smobilitazione degli impianti
quelle percentuali sono rimaste identiche durante gli anni” di
Giuseppe Pipitone e Silvia Bellotti – L’inchiesta sarà ripresa oggi alle 16,30
su Rainews24, canale 48 del digitale terrestre
1 agosto
2012
A
SEGUIRE IL COMMENTO DI GINO CARPENTIERO DEL 03/08/12
Cara
Amanda
attualmente,
ma sarà Marchi al ritorno dalle ferie a parlarne, non mi sembra che ci sia
similitudine tra Gela e Rosignano. La produzione di Bicarbonato della Solvay
molto impattante per l'ambiente esterno a causa dell'uso del salgemma dell'Alta
Val di Cecina, sembra meno impattante per i lavoratori. A Rosignano in anni
lontani ci fu la produzione del PVC partendo dal CVM (Cloruro di Vinile
Monomero). Fu nel 1969 che per la prima volta in Italia un medico di fabbrica
onesto il dottor Viola (poi nel 1973 defenestrato dalla Solvay) registrò e inviò
alla Comunità scientifica i primi casi di Emangiosarcoma epatico (tumore
rarissimo) tra gli esposti al monomero (in particolare i manutentori delle
autoclavi in cui si svolgeva la sintesi chimica). Poi i casi furono segnalati
negli altri stabilimenti: da Marghera, a Brindisi, a Ferrara etc
Saluti
Gino
Carpentiero
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To:
Sent: Wednesday, August 01, 2012 2:34 PM
Subject:
ILVA DI TARANTO - BASTA CON IL RICATTO O SALUTE E AMBIENTE O
LAVORO!
Partito
dei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo (CARC)
Via
Tanaro, 7 - 20128 Milano - Tel/Fax 02.26306454
e-mail:
resistenza@carc.it
sito:
www.carc.it
Milano 01/08/12
Da
Taranto alla Val di Susa
BASTA
CON IL RICATTO O SALUTE E AMBIENTE O LAVORO!
SALUTE
E LAVORO SONO NON SOLO COMPATIBILI, MA CONNESSI!
È
SOLO CON IL CAPITALISMO CHE SALUTE E LAVORO SONO
INCOMPATIBILI!
Le
condizioni in cui hanno ridotto la popolazione e il territorio di Taranto e
provincia mostra chiaramente la natura criminale dei padroni e dei loro governi
di oggi e di ieri.
Taranto
non è un caso isolato. Anche senza considerare quello che fanno nei paesi
oppressi e le zone del Meridione ridotte a discariche di rifiuti tossici e
nocivi, sono decine le zone in cui i capitalisti, le loro autorità e i loro
complici hanno posto la popolazione e in primo luogo i lavoratori di fronte al
ricatto: morire di inquinamento o morire di fame. In Val di Susa il ricatto è
tra devastazione del territorio e inquinamento o disoccupazione. In ogni
fabbrica il ricatto è tra sicurezza o lavoro, il risultato sono stragi come
quella della Thyssen e lo stillicidio quotidiano di morti e infortuni.
È
un crimine che perpetuano da decenni. Ora che la crisi del capitalismo precipita
nuovamente in tutto il mondo, la gravità dei loro crimini diventa più evidente,
la loro azione e i loro ricatti diventano ancora più gravi, ma proprio per
questo diventano intollerabili. “Il lavoro non è un diritto, dice la Fornero, ma
un premio per chi obbedisce e si sacrifica”. Ma questa non è una legge di
natura, è solo la legge del capitalismo. I lavoratori se ne possono liberare
abolendo il capitalismo. Non sarà una lotta né facile né breve, ma è una lotta
che le masse popolari devono fare e che certamente vinceremo.
E’
un’illusione o un imbroglio pensare di salvare la salute chiudendo le fabbriche
o di salvare il lavoro subendo omicidi bianchi, inquinamento e malattie: più si
cede ai padroni in un campo, più bisogna cedere anche in altri. Pensare di
salvare il lavoro sacrificando la salute agli interessi del padrone o di salvare
la salute accettando la disoccupazione sono due strade ugualmente sbagliate. Non
è vero che non ci sono i soldi per la bonifica, che per trovare i soldi
necessari alla bonifica bisogna abolire servizi o aumentare le tasse: basta
prenderli dai soldi che i padroni e le loro autorità usano per i loro lussi e i
loro sprechi, per le grandi opere inutili e dannose, per le loro speculazioni e
le loro guerre, per i compensi e le pensioni d’oro degli alti funzionari, per i
viaggi e le cerimonie del Papa! Non è vero che industria e inquinamento sono
inseparabili. La soluzione del problema, a Taranto come altrove, non è la
chiusura delle fabbriche e la delocalizzazione della produzione. È la
trasformazione degli impianti. Abbiamo tutte le conoscenze e le risorse
necessarie per ricostruire un paese con lavoro per tutti, condizioni di
sicurezza e di igiene sul posto di lavoro, senza inquinamento dell’ambiente.
Certo, la trasformazione degli impianti richiede tempo e soprattutto
determinazione. Per questo occorre un governo che abbia effettivamente la
volontà di farla fino in fondo: un governo deciso a farla finita con i Riva e
gli altri capitalisti, con i comportamenti criminali dei loro dirigenti, delle
loro autorità, dei loro complici politici e sindacali.
La
lotta per impedire la chiusura dell’Ilva e per obbligare Monti come Vendola a
tenere fede agli impegni di bonifica del territorio deve servire a costituire un
governo di emergenza delle organizzazioni operaie e popolari e imposto al
Vaticano, alla Confindustria e al resto delle classi dominanti rendendo il paese
ingovernabile da ogni loro governo.
NÈ
CON RIVA NÈ CON LA TODISCO!
GLI
OPERAI DELL’ILVA DEVONO ORGANIZZARSI AUTONOMAMENTE DAI SINDACALISTI DI REGIME,
ORGANIZZARE LE MASSE POPOLARI, UNIRSI AGLI ALTRI OPERAI IN LOTTA PER DIFENDERE
LAVORO E DIRITTI, COORDINARSI CON IL MOVIMENTO NO TAV E QUANTI LOTTANO CONTRO
DEVASTAZIONE DELL’AMBIENTE PER COSTITUIRE UN GOVERNO D’EMERGENZA: IL GOVERNO DI
BLOCCO POPOLARE!
I
padroni senza i lavoratori non possono niente!
I
lavoratori organizzati senza i padroni possono fare tutto e
meglio!
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To:
Sent: Thursday, August 02, 2012 9:11 AM
Subject: BOMBARDARE IL POOL
P.za
Indipendenza, 8 50129- Firenze – tel. 055 2757450 fax
471272
email: cisluniv@unifi.it
NOTIZIE 31 1uglio 2012
COSTITUZIONE
E FASCISMO, “BOMBARDARE IL POOL”? (1)
La
notizia:
il pool di Raffaele Guariniello (“eroico gruppo” della sentenza Thyssen) sarà
chiuso.
La
causa? Un regolamento (del CSM?) pare stabilire che un pubblico ministero non
possa stare più di dieci anni nello stesso gruppo di
lavoro.
Nel
’92 la strumentalizzazione politica di un articolo di Leonardo Sciascia
(impropriamente titolato “Professionisti dell’Antimafia”) aprì la strada al
ripristino (CSM) dell’ anzianità di servizio quale criterio unico per la
promozione-carriera dei magistrati, decretando la fine del pool di Caponnetto e
l’isolamento di Giovanni Falcone.
Di
quale pestifera malattia sono affetti “quelli del pool”? Se un Gruppo di Lavoro
realizza insolite applicazioni efficaci della Legge e della Costituzione del ’48
la molla che scatta (in quelli che contano…) è agire per sbarazzarsene alla
svelta?
Non
c’è un “eccesso” di magistrati che applica la Costituzione e le
Leggi che non la deridono (…il Lavoro Uccide…): non è meglio “sviluppare”
competenza e professionalità dei magistrati privi degli “strumenti” necessari
per applicare le norme di tutela di Diritti, Salute, Sicurezza, Dignità, Vita
dei lavoratori anziché sciogliere un gruppo che (lodevole eccezione) applica
(effettività) Legge Costituzione Diritti?
La
“storia dei Gruppi di Lavoro” sembra mostrare un binomio
inscindibile:
-
efficacia (Funzionalità);
-
reazione “contro” delle “classi dirigenti”.
Caratteristica
dell’organizzazione in Gruppi di Lavoro è la partecipazione di ognuno al
raggiungimento del fine comune, nel caso dei Servizi pubblici: il Buon Andamento
(Funzionalità, Efficacia) della Pubblica Amministrazione. Principi a sostegno
dell’Organizzazione del Lavoro in Gruppi: Uguaglianza - Giustizia - Diritti -
Dignità di tutte le persone … i Principi della Costituzione del ’48.
L’organizzazione
gerarchica (Modello Caserma…) ha il fine di garantire la struttura gerarchica.
Principi a sostegno dell’organizzazione gerarchica del lavoro: stratificazione,
comando, ubbidienza, disuguaglianze, privilegi …: quelli del “ventennio”?
Il
passaggio dal fascismo alla Repubblica (Costituzione antifascista) si trascina
come una carcassa fetida il modello autoritario di organizzazione della vita e
del lavoro: radice del “paradosso”?
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To:
Sent: Tuesday, July 31, 2012 11:40 PM
Subject:
ANCORA SU TARANTO
Vi
propongo:
Il
Comunicato di Medicina Democratica pubblicato dal Corriere del Giorno di Taranto
e
due pezzi molto belli: Simona Baldanzi, scrittrice e operaista, sull’Unità di
sabato e Franco Arminio scrittore paesologo sul Manifesto di
domenica.
Troppe
notizie, ma ne vale la pena credo…
Saluti
a tutti
Gino
Carpentiero
SE
NERVI, MANI E CITTÀ SONO FATTE D’ACCIAIO
Simona
Baldanzi
L'unità
28 luglio 2012
L’Ilva
di Taranto è un disastro ambientale. Lo sapevano tutti, ma adesso la
magistratura ne ha previsto il sequestro. Il Pg Vignola ha commentato: "Non può
e...sserci un bivio per la magistratura tra la tutela del posto di lavoro e la
tutela dell'ambiente. Esiste l'obbligatorietà dell'azione penale e la necessità
di perseguire i reati". Vero, ma questo bivio per chi c’è? La politica quando si
trova nel bivio fra ambiente e lavoro che fa? Sa trovare risposte? Mi ascolto
una dietro l’altra, due canzoni. La prima dei CCCP che dice: “Voglio odorare il
sapore celeste del ferro, voglio vedere il profumo sanguigno del fuoco (…) non
tutti possono tendendo le braccia afferrare la sorte schiaffeggiarle la faccia
renderla solida ed obbediente renderla tenera, incandescente (…) Onoro le
braccia che muovono l’acciaio”. Sento l’orgoglio, la forza, il lavoro. Poi mi
ascolto la canzone di Caparezza, più recente “Abbronzatura da paura con la
diossina dell'ILVA. Qua ti vengono pois più rossi di Milva e dopo assomigli alla
Pimpa. Nella zona spacciano la morìa più buona. C'è chi ha fumato i veleni
dell'ENI, chi ha lavorato ed è andato in coma.” Sento la malattia, l’affare per
pochi, lo sfruttamento del territorio e dei corpi. I politici a sinistra mettono
insieme le due cose? Spesso se hanno deciso di distruggere l’ambiente lo fanno
in nome della difesa del lavoro e viceversa. In questo modo non c’è rispetto né
dell’ambiente né del lavoro. Gli operai dell’acciaio non possono accontentarsi
di avere una possibilità in meno di ammalarsi di cancro. Vogliono
un’alternativa. D’acciaio hanno i nervi e le mani, d’acciaio è fatta la città
dove sono nati e cresciuti a Taranto come a Piombino. D’acciaio è fatta la loro
storia, ma dobbiamo trovare un’altra materia per migliaia di vite e non fonderle
in un attimo.
A
TARANTO SONO TRE LE CITTÀ DA RECUPERARE
Franco
Arminio
Il
Manifesto 29 luglio 2012
L'apocalisse
di Taranto prima che nelle cartelle cliniche è nella forma della città: una
bellissima città della Magna Grecia circondata una cintura di ferro, simbolo di
come l'Italia sia passata dalla civiltà contadina alla modernità
incivile.
Taranto
è una città apocalittica, è un'apocalisse grigia, a lento rilascio. C'è una
fabbrica che si è presa il mare, la terra, il cielo della città e adesso si
prende anche il lavoro. Bisogna fermarsi e ragionare, si può enfatizzare
l'importanza del lavoro o quella della salute, comunque siamo di fronte a un
vicenda cruciale.
L'apocalisse
di Taranto prima che nelle cartelle cliniche è nella forma della città: una
bellissima città della Magna Grecia circondata una cintura di ferro, simbolo di
come l'Italia sia passata dalla civiltà contadina alla modernità incivile. Una
storia di trasformazioni che hanno cambiato il volto dell'Italia, ma non i
rapporti tra dominati e dominanti.
Gli
operai di Taranto provengono spesso dalle campagne ioniche, spinti dal mito del
posto fisso. Negli anni sessanta in quella che allora si chiamava l'Italsider
andò a dir messa anche il papa. E valenti documentaristi filmavano una fabbrica
che aveva nella sua grandezza il suo mito. Insieme all'industria è cresciuta la
città nuova, i negozi, gli uffici del terziario. Tutto si è mosso in un
direzione che pareva di avanzamento e che col passare del tempo si è configurata
come un abbraccio mortale, da città sviluppata a città impolverata: la fabbrica,
il quartiere Tamburi e il cimitero, uno a fianco
all'altro.
Ora
la faccenda non può essere risolta con un intervento pubblico teso a rendere la
fabbrica meno nociva. E bisogna sempre considerare che magari fra vent'anni
scopriremo che era inaccettabile ciò che adesso consideriamo accettabile. In
ogni caso il punto di partenza deve essere la condizione degli operai. Perdere
il posto è una beffa ulteriore e insopportabile. Ed è singolare che lo stesso
padrone abbia una fabbrica al sud che inquina il doppio di quanto inquina
al nord.
Forse
è la stessa logica che porta il padrone a indennizzare gli operai vittime del
petrolchimico di Marghera e non di quello di Brindisi. La stessa logica che ha
portato a riempire di rifiuti tossici le campagne del casertano e di tanti altri
luoghi del sud: c'è sempre stato qualcuno, camorrista o semplice cittadino, che
ha pensato al denaro più che alla salute, anche perché il denaro si prende
subito, le malattie arrivano più lentamente.
A
Taranto non c'è solo la fabbrica, c'è anche un meraviglioso museo archeologico,
c'è una città vecchia sopra un'isola. È lecito chiedersi se è giusto mettere
soldi su una fabbrica che non sarà mai innocua: l'acciaio non si fa coi guanti
bianchi. È lecito chiedersi se non è il caso di orientare l'investimento anche
in un grande piano di recupero del centro antico, per restituire alla Puglia e
all'Italia un luogo importante.
È
veramente il caso di spendere bene il tempo. Per studiare interventi migliorativi, ma anche per
capire che la città deve da subito ricostruire le macerie del suo
centro storico: nessuna città italiana ha un centro che sembra reduce da un
bombardamento. Ci vuole una politica all'altezza di un luogo straordinariamente
bello e complesso: c'è la fabbrica, ci sono gli operai, ma ci sono anche i
contadini intorno alla città, anche loro hanno un lavoro, anche loro hanno
diritto a essere tutelati. E hanno diritto a essere tutelati i bambini e gli
anziani di Taranto. E anche gli ipocondriaci: le persone che tendono a
sviluppare malattie immaginarie trovano tutte le condizioni per accrescere le
proprie ansie. Se una mattina ti svegli con un linfonodo ingrossato fai presto a
pensare che il tumore è venuto a visitare pure a te, fai presto a pensare che
non è stato fabbricato nel tuo corpo, ma nella fabbrica.
Ci
sono tre città: la città nuova, la città fabbrica, la città antica. Negli ultimi
decenni le prime due hanno esiliato la terza sulla sua isola, gli hanno
assegnato il ruolo di accogliere lo spirito accidioso della città. Questo
modello che cammina su una gamba sola non è più sostenibile. Lo deve capire la
classe dirigente locale e nazionale mettendo a disposizione risorse non solo per
il padrone, ma per i tarantini, costruendo un nuovo modello basato
sull'equilibrio tra le diverse opportunità: il porto, il museo, la città
vecchia. Dare salute a queste tre realtà di fatto significa rendere la città
meno dipendente dalla grande acciaieria. Come si dice in questi casi, è una
grande sfida, una sfida che non può ridursi agli aggiustamenti che non
aggiustano niente. E nonostante gli errori di questi giorni le uniche figure
meritevoli di rispetto restano gli operai: quello che stanno facendo ci dice che
esiste l'egoismo degli sfruttati, ma è sempre meno grave dell'egoismo degli
sfruttatori.
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To:
Sent: Thursday, August 02, 2012 11:13 PM
Subject:
COMUNICATO STAMPA IN OCCASIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI CECINA DEL 2 AGOSTO
2012
Come
la Solvay uccide l’ambiente ( l’Alta Val di Cecina) con l’estrazione di sale!
Un
comunicato da Comitato Beni Comuni Val di Cecina
benicomunivaldicecina@gmail.com e
una proposta di Accordo Regione Solvay.
Si
richiede un’adesione.
Gino
Carpentiero
COMUNICATO
STAMPA IN OCCASIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI CECINA DEL 2 AGOSTO
2012
Da
troppo tempo oramai, la comunità chiede che la società Solvay si doti di un
impianto di dissalazione al fine
di ridurre gli enormi emungimenti dal fiume Cecina e dalle
falde acquifere.
In
circostanze già difficili, si aggiunge il problema “trielina” provocati da sversamenti in
località Poggio Gagliardo...
Il
nostro fiume è ridotto in condizioni
pietose; la situazione, aggravata da un lungo periodo di siccità, sta sfuggendo di mano: non è più sostenibile!
Gli
studi svolti sia in ambito accademico che di ricerca, e presentati dal nostro
comitato nei pubblici dibattiti, dimostrano che l'eventuale realizzazione di
ipotetici invasi non porterebbe nessun vantaggio, anzi, peggiorerebbe la qualità
delle acque.
In
considerazione di tutto ciò, chiediamo
nuovamente al Consiglio Comunale di Cecina (in riunione il 2 agosto
2012), che si attivi nel richiedere con forza alla Provincia - e soprattutto
alla Regione Toscana - la
prescrizione di questa importante opera della quale la nostra comunità non può
fare a meno.
Inoltre,
anche in conseguenza dei recenti e tristi fatti di Taranto, chiediamo che il
Consiglio Comunale esprima parere favorevole alla nostra proposta di Accordo di Programma tra Regione e
Solvay, già inviato a tutti i consiglieri ed assessori di Cecina e
politici a livello regionale e provinciale.
Comitato
Beni Comuni della Val di Cecina
Cecina,
31/7/2012
L’Accordo di Programma è scaricabile all’ indirizzo:
Prime
adesioni:
Mauro
Romanelli - Consigliere Regionale di Sinistra Ecologia e Libertà
Partito
dei CARC
ALBA
(Soggetto politico nuovo)
Medicina
Democratica, sez. Cecina, Rosignano e Livorno
Roberta
De Monticelli (professore ordinario Università San Raffaele -
Milano)
Gino
Carpentiero – Medicina Democratica sezione di Firenze
Renzo
Belcari – Cecina (LI)
Ascanio
Bernardeschi – Volterra (PI)
Per
info e adesioni:
Comitato
Beni Comuni della Val di Cecina
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From:
Marco Bazzoni bazzoni_m@tin.it
To:
Sent: Friday, August 03, 2012 11:56 PM
Subject:
AVERE 14 ANNI NON BASTA PER NON MORIRE SUL LAVORO
In questa Italia, è
possibile morire sul lavoro a solo 14 anni, senza che nessuno se ne accorga,
quasi fosse una cosa normale.
Dove è
l'indignazione politica?
Dove sono i
richiami delle Istituzioni e del Presidente della Repubblica, perché ci sia più
sicurezza sul lavoro?
Dove sono gli
scioperi dei sindacati di fronte a queste tragedie?
Non si dovrebbe mai
morire sul lavoro, perché a tutti i lavoratori dovrebbe essere garantito il
diritto al lavoro sicuro e che possano ritornare a casa vivi la sera dopo una
giornata di lavoro.
Ma quando queste
tragedie accadono a ragazzini di 14 anni, si rimane profondamente
sconcertati.
Marco
Bazzoni
Operaio
metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza
Firenze
AVERE 14 ANNI NON BASTA PER NON MORIRE SUL LAVORO
Di Carmine
Tomeo
Si può morire anche a 14 anni sul lavoro. È successo ieri, in un cantiere nel leccese, dove un masso ha schiacciato un ragazzino 14 anni e l’ha ucciso. Quindi, vedi che si può morire sul lavoro a 14 anni, anche in Italia? Non lo sapevi? Ed invece è così.
Che dici, che a 14 anni si dovrebbe giocare a
pallone? Certo, si dovrebbe. Però c’è pure chi a 14 anni sta in cantiere,
mentre altri giocano a pallone. E poi, scusa, non lo sai che a 14 anni si è
ragazzini proprio quando si gioca a pallone, mica quando si lavora in cantiere.
Là, in cantiere e a quell’età, di solito sei un manovale, e comunque un
irregolare, un lavoratore in
nero.
Me lo racconta pure
mio padre, che ha cominciato ad andare in cantiere a 12 anni. Lui era manovale
di “mastr’ Andrè” o di “mastr’ Peppe” o di qualche altro mastro… 45 anni fa. Che
faceva mio padre in cantiere, ragazzino di 12 anni, 45 anni fa? Preparava la
calce, portava sacchi da 50 chili di cemento sulle spalle, si arrampicava sui
ponteggi. È pericoloso, sì è vero. E pericolo è pure, ad esempio, lavorare dove
ci sono degli scavi, come stava facendo quel ragazzino di 14 anni nel leccese.
Ché ci si può cadere dentro, ci si può rimanere seppelliti per uno smottamento, ci si
possono respirare vapori tossici, ci si può saltare in aria per la presenza di
gas infiammabili o esplosivi.
Ma come dicevo, in
cantiere mica si è ragazzini di 12 o 14 anni. In cantiere di solito ci sono paia
di braccia che sollevano materiali, paia di gambe che spingono, schiene che si
piegano, mani che afferrano. E poi ci sono massi che cadono e che sfracassano
teste costole braccia schiene gambe.
Non si può fare,
cosa? Non si può lavorare a 14 anni? Ma intendi che per legge non si può? Ah,
sì, certo: la legge non lo
consente. Sì, certo, per legge non si potrebbe lavorare prima della fine
della scuola dell’obbligo. E l’obbligo di andare a scuola c’è fino a 16 anni. Ma
te l’ho detto prima: in cantiere, a 14 anni, non si è un ragazzino di 14 anni;
si è “energia, muscoli, sudore” a buon mercato.
E poi, la legge…
Non lo vedi che proprio a questo sta riducendo i lavoratori, e cioè braccia e
intelletto da spremere, al minor costo possibile ed il prima possibile? 16 anni
non è mica l’età minima per l'accesso al lavoro. Sì, certo, formalmente lo è. Ma
il raggiro l’hanno trovato ed hanno riportato l’età minima a 15 anni, quando è
concesso di assolvere all’ultimo anno di scuola obbligatoria facendo l’
apprendista.
È
un tira e molla che va avanti dal 1997: ogni volta che si
è posto l’obbligo scolastico fino a 16 anni, è arrivato un governo padronale (in
genere chiamato con nomi da monarca: Berlusconi II, Berlusconi III, ecc.) ad
abbassarlo. E siccome questo governo (che si chiama Monti), che non va a puttane
ma ci manda a noi, pure padronale è, ha fatto la sua riforma del lavoro, che
consente all’impresa di assumere qualche apprendista di 15 anni in più. E del
lavoro sommerso, ad esempio quello compiuto da ragazzini di 14 anni, qualche
volta che se n’è parlato fu definito “ammortizzatore sociale”; ora sembra non ci
sia.
Ah dimenticavo,
negli ultimi 5 anni sono morti sul
lavoro almeno 29 ragazzini dai 17 anni in giù. Cioè, scusa, hanno smesso
d’un tratto di lavorare 58 braccia e 58 gambe ed hanno smesso di sudare 29
fronti che avevano al massimo 17 anni di vita.
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