domenica 5 agosto 2012

SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS ! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 04/08/12




INDICE

Assemblea 29 giugno assemblea29giugno@gmail.com
COMUNICATO/VOLANTINO: ALTRO CHE DUE PESI E DUE MISURE!!!

Francesco Ficiarà frficiar@hotmail.com
OPERAIO SI INFORTUNA, LA FERRARI LO SOSPENDE

Gino Carpentiero ginocarpe@teletu.it
ANCORA SULL’ILVA

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 7 MESI DEL 2012 CON I MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO PER OGNI PROVINCIA ITALIANA

CLOROSODA DI GELA, IL REPARTO KILLER - TESTIMONIANZA DEGLI EX LAVORATORI

Resistenza PCARC resistenza@carc.it
ILVA DI TARANTO - BASTA CON IL RICATTO O SALUTE E AMBIENTE O LAVORO!

BOMBARDARE IL POOL

Gino Carpentiero ginocarpe@teletu.it
ANCORA SU TARANTO

Gino Carpentiero ginocarpe@teletu.it
COMUNICATO STAMPA IN OCCASIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI CECINA DEL 2 AGOSTO 2012

Marco Bazzoni bazzoni_m@tin.it
AVERE 14 ANNI NON BASTA PER NON MORIRE SUL LAVORO

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From: Assemblea 29 giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, July 31, 2012 1:42 PM
Subject: COMUNICATO/VOLANTINO: ALTRO CHE DUE PESI E DUE MISURE!!!

Un'utile informazione e presa di posizione da far conoscere e da far circolare.
Invitiamo gli addetti alla comunicazione tutta (carta stampata, radiofonica, televisiva...) a manifestare minore sudditanza nei confronti del cavalier Moretti & company.
Grazie.
Assemblea 29 giugno


Sono Bucari Andrea, nato a Terni il 10/01/70 e residente a Terni in via Verdi 43 (Collestatte).
Sono dipendente di RFI dal 1992 e lavoro presso il Tronco lavori di Terni con la qualifica di operatore specializzato alla manutenzione sulla linea Orte-Spoleto.
Il 29 gennaio 2011 su ordine della procura della Repubblica di Spoleto, venivo tratto in arresto per presunti reati sulla mia vita privata. La mattina stessa i carabinieri mi permettevano di telefonare al mio diretto superiore che veniva da me informato sull'accaduto e sui reati di imputazione.
Successivamente il mio legale faceva la stessa cosa, prima verbalmente poi tramite lettera ad uno dei responsabili di RFI di Foligno che successivamente informavano le sedi di Ancona e Roma. Con il mio avvocato scrivevo una lettera all'azienda dove chiedevo un incontro per chiarire la mia posizione ma non ho ricevuto risposta. Dopo la scarcerazione riprendevo regolarmente il mio lavoro.
Il 12 dicembre 2011 ricevevo una lettera dell'Azienda che mi sospendeva in via cautelare dal servizio con retribuzione di 60 giorni come prevede il CCNL. L'azienda ha detto di adottare questo provvedimento in quanto solo alla chiusura delle indagini avvenuta a novembre 2011 e venuta a conoscenza dei reati per i quali ero stato indagato.
Questa misura cautelare andrà avanti fino alla conclusione di un eventuale iter processuale che, visti i tempi della giustizia di questo paese, potrà durare diversi anni. Ad oggi, siamo solo alla chiusura delle indagini.
L'azienda ha motivato questa sua decisione come una mancanza di "rapporto fiduciario".
Con il mio legate ho impugnato il provvedimento d'urgenza presso il Tribunate di Terni che, pero, non ha avuto un esito positivo.
Infatti, il giudice del lavoro ha dato risalto al provvedimento penale e non al lavoro. Si è limitato a fare riferimento ad una sentenza del Tribunale di Civitavecchia dove un dipendente di RFI era stato sorpreso a rubare documenti sul posto di lavoro e di conseguenza licenziato.
Ad ottobre 2011 venivo comandato dall'azienda a svolgere un servizio di scorta e pronto intervento nella stazione di Narni in occasione della visita in treno del Papa ad Assisi.
Secondo i giudici di Terni la mancanza di lavoro non crea alcun problema; anzi hanno avvallato RFI per il fatto che il sottoscritto dovrebbe essere mantenuto dai suoi genitori.
Avere fornito la documentazione del mutuo dell'abitazione e che la mia famiglia è a reddito zero non attesta una reale situazione patrimoniale? Secondo loro no.
Perche le ferrovie ed RFI attuano due pesi e due misure?
Infatti, l'AD del Gruppo ferrovie dello Stato italiane, sig. Moretti, e gli AD di RFI e Trenitalia, sigg. Elia e Soprano, sono indagati per il disastro ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009 dove persero la vita 32 persone (bambini, ragazze, adulti...) che riposavano nelle proprie abitazioni. Proprio pochi giorni fa la procura di Lucca ha chiuso l'inchiesta ed ha chiesto il rinvio a giudizio per i suddetti signori oltre che per altri dirigenti FS.
Il sottoscritto che percepisce uno stipendio di 1.350 euro per vivere viene allontanato dal lavoro, questi signori che percepiscono ben altre cifre e non hanno certo bisogno di essere mantenuti dai propri genitori, continuano a ricoprire i propri ruoli e le proprie responsabilità, oltre a ricevere le proprie cospicue retribuzioni!
Il fatto di essere indagati per una tragedia immane come quella di Viareggio non ha niente a che fare con il rapporto di fiducia o con un danno di immagine per l'azienda?
In data 4 luglio 2012 ho ritirato, presso il Tribunale di Terni, il mio certificato penale sul quale non risulta alcunché.
Altro che due pesi e due misure! ! !

Terni, 20 luglio 2012
Andrea Bucari

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From: Francesco Ficiarà frficiar@hotmail.com
To:
Sent: Tuesday, July 31, 2012 10:57 PM
Subject: OPERAIO SI INFORTUNA, LA FERRARI LO SOSPENDE

E' GRAVISSIMO COMPAGNI CIO' CHE HANNO FATTO, NON SOLO PERCHE' DELEGATO FIOM MA COME OPERAIO FERRARI; E' UN TERRORE DISCIPLINARE CHE VA' RESPINTO CON L'ORGANIZZAZIONE E LA LOTTA NON SOLO IN QUESTI GIORNI. DA SETTEMBRE DOBBIAMO AGIRE MOLTO PIU' IN SINERGIA TRA OPERAI CHE LOTTANO, AL DI LA' DELLE AZIENDE DOVE SIAMO, PERCHE' IL PADRONE STESSO (FIAT) FA' COSI CON NOI, HA UNA STRATEGIA, UNA TELA, CHE NON ABBIAMO SVILUPPATO SUFFICIENTEMENTE.
CARI COMPAGNI DA SUBITO CERCHERO' DI INFORMARE I POCHI O TANTI OPERAI E COMPAGNI QUII IN ZONA COME ANCHE A BOLOGNA, REGGIO EMILIA, PARMA ECC...
SONO DISPONIBILE PER QUALSIASI AZIONE VOGLIATE INTRAPRENDERE, E MI FACCIO DA SUBITO AMPLIFICATORE DI QUALSIASI INIZIATIVA VOI VOGLIATE PRENDERE.

Francesco Ficiarà
Operaio Licenziato Fiat


Da RSU FIOM Ferrari
Un operaio della Ferrari, addetto della Nuova Meccanica e delegato della Fiom (non riconosciuto da Fiat), a seguito di un infortunio sul lavoro è stato punito dall'azienda con 2 giorni di sospensione.
Secondo la Direzione aziendale della Ferrari, l'operaio sarebbe incorso nell'infortunio a causa della sua negligenza.
Questa tesi aziendale è semplicemente abominevole perché risponde alla logica che il lavoratore, se si infortuna, è indisciplinato e colpevole, quindi va punito.
Ancora più assurdo e pretestuoso risulta il provvedimento disciplinare visto che sei mesi fa, i rappresentanti della sicurezza dei lavoratori congiuntamente all' azienda avevano concordato la rimozione degli ostacoli presenti in alcune postazioni per metterle in sicurezza.
L'Operaio sospeso si è infortunato proprio in una delle postazione che la stessa azienda ammetteva non a norma.
Con la cacciata della Fiom e con l'applicazione del contratto Fiat, oggi, i lavoratori della Ferrari si trovano alle prese con una realtà repressiva ed ottusa che contraddice drammaticamente l'immagine mediatica dell' azienda caritatevole e popolare.

Delegati Fiom Ferrari (non riconosciuti da Fiat) rsufiomferrari@libero.it

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From: Gino Carpentiero ginocarpe@teletu.it
To:
Sent: Tuesday, July 31, 2012 11:26 PM
Subject: ANCORA SULL’ILVA

Da Massimo Torelli di ALBA:
L’articolo di Paolo Cacciari sul Manifesto di oggi, l’intervista a Maurizio Landini, sul Manifesto di Domenica e il Comunicato di ALBA (Alleanza Lavoro BeniComuni Ambiente) di Taranto
Saluti
Gino Carpentiero

Che infinita tristezza provoca il dover constatare che nel XXI secolo, nell’ottava o nona potenza economica mondiale, il lavoro e la salute siano ancora posti in una condizione duale, dicotomica. In un bellissimo documentario (“Ultimi fuochi” di Manuela Pellarin) sulla condizione operaia negli anni ’60 del secolo scorso, un operaio del Petrolchimico di Porto Marghera rispondeva mesto alla domanda del giornalista sul perché accettasse una condizione lavorativa così rischiosa con queste tre parole: “Fumo o fame”.
Ad ammazzare, a Marghera, era il cloruro di vinile monomero, all’Ilva di Taranto le diossine. Ma quanti sono i conflitti tra produzioni industriali e ambiente ancora aperti nel nostro paese? Dalla Ferriera di Trieste (Lucchini), al termodistruttore Fenice (EDF, ex Fiat) di Melfi, dalle centrali termoelettriche a carbone liguri (Enel), ai cementifici di Monselice. Chi tiene il conto? Una volta la Cgil aveva una struttura Ambiente Lavoro, oggi, in periodi di recessione economica, la salute sembra essere diventata un lusso.
Per fortuna c’è qualche (raro) magistrato. Ma anche qui non facciamoci illusioni: le strutture scientifiche di cui la magistratura si può avvalere sono sotto gli attacchi alla spesa pubblica. Il più rinomato centro sulle diossine INCA (un consorzio tra 19 università italiane e altre decine di unità di ricerca nel settore della chimica e delle tecnologie per l’ambiente) e che ha supportato anche l’inchiesta di Taranto, è in pericolo di chiusura. Del resto, solo per fare un esempio, ricordiamoci che con il ministro Mattioli le ricerche sugli effetti delle radiazioni generate dai campi elettromagnetici (telefonini, ripetitori, radar, ecc.) sono state “esternalizzate” a quella Fondazione Maugeri nota per gli scandali alla Regione Lombardia. Con il passaggio delle competenze ambientali alle Asl regionali, le attività di prevenzione sono state di fatto azzerate, con esse i registri tumori e le indagini epidemiologiche necessarie a stabilire le correlazioni tra inquinamenti ambientali e malattie.
Ciò che colpisce delle numerose, candide interviste rilasciate dal ministro Corrado Clini (già medico del lavoro e da decenni direttore generale del Ministero per l’Ambiente) a sostegno non già della applicazione delle leggi – come ci si aspetterebbe da un fedele servitore dello Stato – ma delle ragioni dell’impresa sotto accusa, sono le motivazioni. “Forse – ha dichiarato Clini a “il manifesto” del 27 luglio – dieci anni fa chiudere lo stabilimento aveva un senso, ma ora no”. Giusto, ma lui, e tutto l’apparato di valutazione e controllo che uno stato civile dovrebbe mettere in campo a difesa della salute dei cittadini (compresa quella della sotto-specie, a diritti limitati, che sono gli operai), dov’erano, cosa facevano, nonostante fossero perfettamente a conoscenza della situazione?
Non so se l’inchiesta della Procura della Repubblica abbia un’appendice nei confronti delle strutture pubbliche locali, regionali (Asl) e nazionali (ministeri vari). Ma è questa la parte che darebbe più soddisfazione alle centinaia di vittime (386 decessi negli ultimi 13 anni) e alle migliaia di malati di Taranto, dentro e fuori la fabbrica. Scoprire che i padroni fanno i loro interessi sulla pelle dei dipendenti non è poi una grande novità. Più interessante sarebbe vedere in faccia chi e sapere per quali ragioni ha omesso i controlli, ha rilasciato autorizzazioni e concesso finanziamenti a imprese palesemente fuorilegge.
Vedremo. Ma il dato politico più allarmante è un altro. Sono i dipendenti, in queste ore, a sfilare a sostegno delle ragioni dei propri aguzzini. Non sono cinico, non mi manca la capacità di comprendere il dramma umano di persone disperate perché sotto ricatto. Ciò che mi rattrista è l’incapacità di immaginare una via di uscita che non sia la sottomissione alle ragioni della produzione, della produttività, della competizione. La questione non si risolve se non affrontando alle radici la globalizzazione che ha prodotto in Occidente allo stesso tempo disoccupazione e deterioramento delle condizioni di lavoro.
Mi vengono in mente le riflessioni di André Gorz a partire da Marx: “Egli (l’operaio salariato) non considera il lavoro in quanto tale come facente parte della sua vita; è piuttosto il sacrificio di questa vita. E’ una merce che egli aggiudica ad un terzo” (Lavoro salariato e capitale, 1849). Quando la mercificazione del lavoro raggiunge tali livelli di alienazione, allora – aggiungeva Gorz – “lavoro e capitale sono fondamentalmente complici nel loro stesso antagonismo per il fatto che guadagnare del denaro è il loro fine determinante. Agli occhi del capitale, la natura della produzione importa meno della sua redditività; agli occhi del lavoratore, essa importa meno degli impieghi che crea e dei salari che distribuisce. Per l’uno e per l’altro, ciò che è prodotto importa poco, posto che renda. L’uno e l’altro sono, coscientemente o meno, al servizio della valorizzazione del capitale. E’ per questo che il movimento operaio e il sindacalismo non sono anticapitalisti se non nella misura in cui mettono in questione non soltanto i livelli dei salari e le condizioni di lavoro, ma le finalità della produzione, la forma merce del lavoro che la realizza ” (Ricchezza senza valore, valore senza ricchezza, in Ecologica, Jaca Book 2009, pp.125/126).
Affermare, quindi, come bene fa la Fiom, che il lavoro è un bene sociale comune – così come il sole o l’acqua lo sono nel campo dei beni naturali – significa finalmente voler sottrarre le decisioni sul cosa, dove, per chi produrre alle leggi del mercato, cioè del profitto e del diritto di proprietà. La liberazione del lavoro dall’eteronomia non può che avvenire attraverso un conflitto per affermare modi e forme democratiche di decisione sul cosa, come, dove e per chi produrre.

2) INTERVISTA A LANDINI DEL 28 LUGLIO SU IL MANIFESTO
Di  Antonio Sciotto
L'Ilva resti aperta ma si investa per non inquinare. Il sindacato ammette un ritardo
Maurizio Landini è appena uscito dall'incontro con il nuovo presidente dell'Ilva Bruno Ferrante, mentre in mattinata aveva partecipato a un'animatissima assemblea dei dipendenti. Propone quello che chiedono gli operai: ovvero che finalmente l'impresa e la politica bonifichino la città e creino produzioni sostenibili, senza perdere posti di lavoro. Nel contempo, però, il leader della Fiom ammette che i lavoratori stanno facendo un «salto culturale», e che prima erano in ritardo sul tema ambientale. Ancora, Landini commenta lo scontro tra l'amministratore delegato Fiat Sergio Marchionne e la Volkswagen, propendendo con evidenza a favore delle ragioni della casa tedesca.
GLI OPERAI DIFENDONO IL LORO POSTO, MA LA QUESTIONE AMBIENTALE A TARANTO È URGENTE. COME CONCILIATE I DUE TEMI?
Che gli operai difendano il proprio posto mi pare legittimo. La cosa importante è che non si è ceduto a chi credeva alla contrapposizione lavoratori-magistratura. Al contrario si chiede a tutti i soggetti coinvolti, a partire dall'Ilva, di difendere il lavoro ma insieme anche la sicurezza e la salute, dei dipendenti e della città. Il problema riguarda tutta l'area di Taranto, altre imprese importanti. Va anche detto che l'Ilva non è più la fabbrica di 20 anni fa: negli ultimi anni ha investito 1 miliardo contro l'inquinamento.
MA VI SEMBRA CREDIBILE OTTENERE UNA ILVA «PULITA»? VEDENDO OGGI TARANTO SI PERDEREBBE OGNI SPERANZA.
Tutto il territorio è inquinato da oltre 50 anni, a causa dell'Ilva ma non solo: ci sono altri grossi impianti, e non a caso l'accordo siglato al ministero non si riferisce all'Ilva ma a tutta l'area di Taranto.
MA PERCHÉ NON ABBIAMO VISTO NEGLI ULTIMI ANNI GLI OPERAI IN PIAZZA PER L'AMBIENTE, E RIUSCIAMO A VEDERLI MOBILITATI SOLTANTO OGGI? HANNO DOVUTO ASPETTARE LA MAGISTRATURA E GLI AMBIENTALISTI?
Credo ci siano ragioni e responsabilità precise, non solo dei lavoratori: i passati governi, la Regione prima di Vendola, la stessa Ilva. È passata l'idea che pur di lavorare va bene tutto. Il sindacato ha fatto alcune iniziative, ma non faccio fatica ad ammettere che per il mondo del lavoro siamo a un passaggio culturale, e che qualche ritardo su questo fronte prima c'è stato. Cosa, perché si produce e con quale sostenibilità, è un tema che va rivolto a tutti i soggetti, in primis all'impresa e alla sua responsabilità sociale.
ADESSO COSA VI ASPETTATE?
Abbiamo appena incontrato il nuovo presidente Ferrante e abbiamo accolto con favore il suo impegno di continuare a produrre, collaborando con istituzioni, governo e sindacato. Il 3 agosto c'è il riesame e vedremo, ma il punto piuttosto è aprire un percorso vero di investimenti pubblici e privati. D'altronde non puoi fermare le produzioni in un'acciaieria come quella, per precisi vincoli tecnologici. Se la chiudi non la riapri più.
SI POTREBBE PENSARE PERÒ DI CHIUDERE SOLO IL CICLO A CALDO, PIÙ INQUINANTE.
Non puoi distinguere tra ciclo freddo e caldo, devi tenerli insieme, non puoi dividerli. Sono un vero ciclo integrato.
E SULLO SCONTRO MARCHIONNE-VOLKSWAGEN LA FIOM COSA DICE?
Dico che è innanzitutto un elemento di novità il fatto che Marchionne invece di insultare la Fiom, insulta altri. Vedo la difficoltà per la Fiat di vendere in Europa: non ha mai investito e innovato i suoi prodotti, è preoccupante. In Italia chiederei piuttosto una politica industriale dell'auto e la mobilità, in modo da far entrare investitori stranieri nel nostro territorio. Interi pezzi dell'industria spariscono, la Fiat non investe. Dopo due anni e mezzo, chi ha firmato accordi con Fiat dovrebbe riflettere.
MA PERCHÉ IL MODELLO VOLKSWAGEN VINCE E QUELLO FIAT CROLLA IN EUROPA?
In una concessionaria Vw trovi auto da 10 mila euro a 150 mila, in tutte le gamme. Mentre alla Fiat non è così. C'è poi un grande vantaggio competitivo e tecnologico, marchi diversi, l'acquisto di nuove piattaforme. Vw è anche il primo costruttore di auto andato in Cina. Ma soprattutto non ha licenziato quando aveva difficoltà: ha preferito ridurre gli orari e investire. L'Audi, tedesca, ha da poco comprato Lamborghini e Ducati Motor: in entrambi gli stabilimenti noi della Fiom abbiamo ottimi rapporti con i capi, ma soprattutto l'80% alle elezioni. Nonostante la Fiom vanno bene, fanno utili e investono. Audi ha comprato prima che modificassero l'articolo 18.

3) NOTA ALBA TARANTO
DIRITTO ALLA SALUTE E DIRITTO AL LAVORO SONO BENI COMUNI SANCITI DALLA COSTITUZIONE E VANNO PRETESI E DIFESI ENTRAMBI.
Per quanto è accaduto a Taranto, in questi giorni, c’è materiale per una inchiesta a tutto campo atta ad analizzare e capire meglio il dramma di una città, di un territorio meridionale depredato da sempre delle proprie risorse naturali, della propria salute, del proprio lavoro.
Ancora una volta c’è voluto un gruppo di magistrati coraggiosi (a cui va tutto il nostro ringraziamento) per emanare un'ordinanza di sequestro nei confronti di una fabbrica, l’Ilva, che produce acciaio a pochi metri dalla città con tutto il suo carico di inquinamento. Una fabbrica che ha prodotto centinaia di morti accertati per tumori vari e migliaia di malattie, causate da tutti i veleni che dagli anni sessanta in poi hanno invaso l’aria che si respira, hanno inquinato il suolo sottostante e le falde acquifere, modificata la catena alimentare, distrutte specie di animali e molluschi vari (eclatante il sequestro del vivaio delle cozze a mar piccolo per inquinamento da diossina).
Il sequestro dell’area a caldo dell’Ilva e l’arresto ai domiciliari dei proprietari della fabbrica (RIVA), insieme ad altri sei dirigenti aziendali, sono il portato clamoroso di una indagine non nata ieri, che va avanti da anni e che aveva già prodotto sentenze contro la proprietà per violazioni legislative di vario genere, sia nei confronti dei lavoratori sia nei confronti dei cittadini abitanti nei quartieri circostanti la fabbrica stessa.
Da questo sequestro viene fuori la condanna non solo di un padrone che ha anteposto il profitto alla tutela della salute e della vita, ma è una condanna senza se e senza ma di un ceto politico e sindacale che in tutti questi anni non solo ha affrontato i problemi in maniera servile e compromissoria ma, sotto certi aspetti, ha avallato le scelte di morte prodotte dall'azienda.
La rivolta operaia che è scaturita dalla possibile chiusura dello stabilimento e, quindi, dalla possibile perdita del posto di lavoro, non può essere un’arma di ricatto per lasciare le cose come stanno, con il loro carico di morte.
La tutela del posto di lavoro è fuori discussione. E’ necessario che la partita si riapra valorizzando al massimo la difesa della vita e del lavoro per tutti. Chi inquina deve pagare. Non bastano i trecento milioni stanziati in fretta e furia dal governo e dalla regione (di cui solo una parte per la bonifica) per mettere in sicurezza il territorio. A Porto Marghera hanno investito quattro miliardi di euro per il risanamento di una area che, probabilmente, non ha raggiunto i livelli di devastazione di Taranto.
Bonificare un territorio serve se la causa inquinante viene a cessare; altrimenti non serve a niente.
Si tratta quindi di pretendere che Riva attui tutte le prescrizioni indicate dai magistrati, riduca drasticamente la produzione - aumentata a dismisura dopo la chiusura dello stabilimento di Genova, sempre per inquinamento, spostando a Taranto la quantità di acciaio prodotto in quel sito - e che siano i lavoratori e i cittadini a controllare che tali operazioni vengano condotte senza ambiguità e sotterfugi. Istituire subito comitati dei cittadini residenti nelle aree colpite è il miglior deterrente per evitare che le burocrazie politiche e sindacali facciano compromessi vari a danno dei cittadini stessi.
In ultima analisi pensiamo, come ALBA, che da questa vicenda possa aprirsi un percorso virtuoso, non solo per dire basta allo scempio prodotto nel tempo da Riva e dai suoi servi sciocchi, ma per consentire che si apra un capitolo di democrazia partecipata che permetta ai cittadini e ai lavoratori di rendersi protagonisti del proprio destino. Se non ora, quando?
ALBA (Alleanza Lavoro, Beni comuni, Ambiente)- Taranto

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, August 01, 2012 8:44 AM
Subject: MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 7 MESI DEL 2012 CON I MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO PER OGNI PROVINCIA ITALIANA

Osservatorio Indipendente di Bologna morti per infortuni sul lavoro sito
Dal primo gennaio ad oggi 31 luglio sono morti SUI LUOGHI DI LAVORO 359 lavoratori ( tutti documentati), oltre 600 dall'inizio dell'anno se si aggiungono i lavoratori deceduti in itinere o sulle strade. Erano 379 lo stesso giorno del 2011 il calo è del 5%, che speriamo si mantenga costante fino alla fine dell'anno. L'Osservatorio considera come "morti sul lavoro" tutte le persone che perdono la vita mentre svolgono un'attività lavorativa, indipendentemente dalla loro posizione assicurativa.
I morti sui luoghi di lavoro sono per il 30,8% in agricoltura, di questi, la metà schiacciati dal trattore (già 63 dall'inizio dell'anno). Edilizia 29% di morti sul totale, in questa categoria il 30% sono causate da cadute dal’alto. Industria 16,1%, quasi la metà di queste morti sono state provocate dal terremoto in Emilia. Servizi 5,8%. Autotrasporto 5,1%, Il 3% Esercito Italiano (Afghanistan). Il 2,65 nella Polizia di Stato ( tutte le morte in servizio sulle strade). Il 13,3% dei morti sui luoghi di lavoro sono stranieri.
Età delle vittime: il 4,9% hanno meno di 29 anni, dai 30 ai 39 anni il 14,1%, dai 40 ai 49 anni il 24,48%, dai 50 ai 59 anni il 15,7%, dai 60 ai 69 anni il 9,5%, il 12,8% ha oltre 70 anni. Del 16,5% non siamo a conoscenza del’età.
Morti sui luoghi di lavoro nelle regioni e province. La regione Lombardia ha già 42 morti e la provincia di Brescia con 14 morti risulta seconda per numero di morti se si esclude la provincia di Modena che ha tantissimi lavoratori morti per il terremoto, come negli ultimi anni Brescia è sempre ai vertici in questa triste classifica delle province con più morti sui luoghi di lavoro. L'Emilia Romagna ha 41 lavoratori morti di cui 18 deceduti sotto le macerie dei capannoni industriali del terremoto del 20 e 29 maggio, province di Modena 17 morti e di Ferrara 7 morti, Reggio Emilia 4 morti, Bologna, Piacenza e Parma 2 morti. La Toscana registra 26 morti (34 con i morti in mare sulla Costa Concordia affondata sulle coste dell'isola del Giglio) , dei due fratelli del peschereccio affondato al largo di Livorno e di un sub), la provincia di Livorno ha 5 morti. Il Piemonte registra 29 morti , la provincia di Torino risulta in questo momento con 16 vittime la prima in Italia per numero di morti. Campania 26 morti, provincia di Salerno 11 morti, di Avellino 8 morti. Calabria 16 morti, con la provincia di Reggio Calabria con 5 morti. Veneto 20 morti con la province di Verona 6 morti e Vicenza con 3 morti. La Sicilia 17 morti, con la province di Messina 4 morti, Palermo e Agrigento e Trapani 3 morti. Lazio 15 morti con la province di Roma e Frosinone con 5 morti. Puglia 16 morti, province di Bari 8 morti e di Brindisi 4 morti. Trentino Alto Adige 14 morti, provincia di Bolzano 9 morti. Abruzzo 12 morti con la province di Chieti con 7 morti e di Pescara con 6 morti. Liguria 12 morti, con la provincia di Genova con 6 morti. Marche 6 morti con la provincia di Ancona con 4 morti. Friuli Venezia Giulia 9 morti, Basilicata 5 morti, 3 nella provincia di Matera 3 morti e in quella di Potenza 2.Umbria 9 morti, provincia di Perugia 8 morti. Sardegna 7 morti, Molise 3 morti.
Non vengono segnalati a carico delle province i lavoratori che utilizzano un mezzo di trasporto e i lavoratori morti in autostrada: agenti di commercio, autisti, camionisti, ecc.. e lavoratori che muoiono nel percorso casa-lavoro / lavoro-casa. La strada può essere considerata una parentesi che accomuna i lavoratori di tutti i settori e che risente più di tutti gli altri della fretta, della fatica, dei lunghi percorsi, dello stress e dei turni pesanti in orari in cui occorrerebbe dormire, tutti gli anni sono percentualmente dal 50 al 55% di tutti i morti sul lavoro. Purtroppo è impossibile sapere quanti sono i lavoratori pendolari sud-centro nord, centro-nord sud, soprattutto edili meridionali che muoiono sulle strade percorrendo diverse centinaia di km nel tragitto casa-lavoro, lavoro-casa. Queste vittime sfuggono anche alle nostre rilevazioni, come del resto sfuggono tanti altri lavoratori, soprattutto in nero o in grigio che muoiono sulle strade e non solo. Tutte queste morti sono genericamente classificate come "morti per incidenti stradali"
Nel 2011 ci sono stati più di 1.170 morti, di cui 663 sui luoghi di lavoro + 11,6% sul 2010. Per approfondimenti sui lavoratori morti per infortuni sul lavoro nel 2011 andare nella pagina dell'1 -1 e 3- 1 del 2011 del'Osservatorio. Ci sono cartine geografiche con il numero di morti sui luoghi di lavoro per ciascuna provincia italiana e grafici inerenti all'età, professione e nazionalità dei lavoratori vittime d'infortuni mortali.
Carlo Soricelli

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From: Alteralias alias.alter@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, August 01, 2012 11:20 AM
Subject: CLOROSODA DI GELA, IL REPARTO KILLER - TESTIMONIANZA DEGLI EX LAVORATORI

Car*
giro questa notizia 
chiedendovi se qualcuno dei nostri per caso segue o ha seguito la vicenda. 
Fra l'altro, da quel che sembra confrontando la notizia con le informazioni che da anni Maurizio Marchi raccoglie e diffonde sulla Solvay di Rosignano, le due produzioni sarebbero simili...
E' impressionante la persistenza degli effetti letali sui bambini anche anni dopo la chiusura dell'impianto!!! Quali metodi di bonifica andavano impiegati? Perché non viene rispettato il principio "chi inquina paga", che è stato adottato anche dall'Europa?

Salute e saluti
Amanda
MD Livorno

CLOROSODA DI GELA, “IL REPARTO KILLER”

“Mio padre è morto di tumore all’esofago nonostante non avesse mai bevuto, mai fumato, non ha mai preso un caffè”. E’ la testimonianza di Massimo Grasso, presidente del comitato degli ex lavoratori di Clorosoda, il “reparto killer” dell’Eni di Gela. “Io ho avuto un trapianto di cuore, vivo con il cuore di un altro” dice Francesco Iraci ex capo turno di Clorosoda, dove si produceva la soda caustica. “Dentro ogni cella c’erano tremila e 400 chili di mercurio: quando le pompe perdevano mercurio noi operai dovevamo spazzare quel mercurio ad altissima temperatura” racconta l’ex operaio Francesco Iraci. Oggi, a quasi 20 anni dalla chiusura del reparto, sono moltissimi i casi degli ex operai di Clorosoda che si ammalano di tumore. E sono tanti anche i casi di malformazioni genetiche tra i figli degli operai: una percentuale di sei volte l’atteso, molto superiore rispetto al resto della regione. “Siamo pronti ad aiutare le famiglie degli ex operai di Clorosoda” assicura Andrea Armaro, responsabile relazioni esterne dell’Eni. Il genetista Sebastiano Bianca però mette tutti in guardia. “Adesso però bisognerà capire cosa succederà in futuro: pensavamo che le percentuali di bambini malformati scendessero, invece nonostante la smobilitazione degli impianti quelle percentuali sono rimaste identiche durante gli anni” di Giuseppe Pipitone e Silvia Bellotti – L’inchiesta sarà ripresa oggi alle 16,30 su Rainews24, canale 48 del digitale terrestre
1 agosto 2012


A SEGUIRE IL COMMENTO DI GINO CARPENTIERO DEL 03/08/12

Cara Amanda
attualmente, ma sarà Marchi al ritorno dalle ferie a parlarne, non mi sembra che ci sia similitudine tra Gela e Rosignano. La produzione di Bicarbonato della Solvay molto impattante per l'ambiente esterno a causa dell'uso del salgemma dell'Alta Val di Cecina, sembra meno impattante per i lavoratori. A Rosignano in anni lontani ci fu la produzione del PVC partendo dal CVM (Cloruro di Vinile Monomero). Fu nel 1969 che per la prima volta in Italia un medico di fabbrica onesto il dottor Viola (poi nel 1973 defenestrato dalla Solvay) registrò e inviò alla Comunità scientifica i primi casi di Emangiosarcoma epatico (tumore rarissimo) tra gli esposti al monomero (in particolare i manutentori delle autoclavi in cui si svolgeva la sintesi chimica). Poi i casi furono segnalati negli altri stabilimenti: da Marghera, a Brindisi, a Ferrara etc
Saluti 
Gino Carpentiero

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From: Resistenza PCARC resistenza@carc.it
To:
Sent: Wednesday, August 01, 2012 2:34 PM
Subject: ILVA DI TARANTO - BASTA CON IL RICATTO O SALUTE E AMBIENTE O LAVORO!

Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo (CARC)
Via Tanaro, 7 - 20128 Milano - Tel/Fax 02.26306454
sito: www.carc.it

Milano 01/08/12
Da Taranto alla Val di Susa
BASTA CON IL RICATTO O SALUTE E AMBIENTE O LAVORO!
SALUTE E LAVORO SONO NON SOLO COMPATIBILI, MA CONNESSI!
È SOLO CON IL CAPITALISMO CHE SALUTE E LAVORO SONO INCOMPATIBILI!

Le condizioni in cui hanno ridotto la popolazione e il territorio di Taranto e provincia mostra chiaramente la natura criminale dei padroni e dei loro governi di oggi e di ieri.
Taranto non è un caso isolato. Anche senza considerare quello che fanno nei paesi oppressi e le zone del Meridione ridotte a discariche di rifiuti tossici e nocivi, sono decine le zone in cui i capitalisti, le loro autorità e i loro complici hanno posto la popolazione e in primo luogo i lavoratori di fronte al ricatto: morire di inquinamento o morire di fame. In Val di Susa il ricatto è tra devastazione del territorio e inquinamento o disoccupazione. In ogni fabbrica il ricatto è tra sicurezza o lavoro, il risultato sono stragi come quella della Thyssen e lo stillicidio quotidiano di morti e infortuni.
È un crimine che perpetuano da decenni. Ora che la crisi del capitalismo precipita nuovamente in tutto il mondo, la gravità dei loro crimini diventa più evidente, la loro azione e i loro ricatti diventano ancora più gravi, ma proprio per questo diventano intollerabili. “Il lavoro non è un diritto, dice la Fornero, ma un premio per chi obbedisce e si sacrifica”. Ma questa non è una legge di natura, è solo la legge del capitalismo. I lavoratori se ne possono liberare abolendo il capitalismo. Non sarà una lotta né facile né breve, ma è una lotta che le masse popolari devono fare e che certamente vinceremo.
E’ un’illusione o un imbroglio pensare di salvare la salute chiudendo le fabbriche o di salvare il lavoro subendo omicidi bianchi, inquinamento e malattie: più si cede ai padroni in un campo, più bisogna cedere anche in altri. Pensare di salvare il lavoro sacrificando la salute agli interessi del padrone o di salvare la salute accettando la disoccupazione sono due strade ugualmente sbagliate. Non è vero che non ci sono i soldi per la bonifica, che per trovare i soldi necessari alla bonifica bisogna abolire servizi o aumentare le tasse: basta prenderli dai soldi che i padroni e le loro autorità usano per i loro lussi e i loro sprechi, per le grandi opere inutili e dannose, per le loro speculazioni e le loro guerre, per i compensi e le pensioni d’oro degli alti funzionari, per i viaggi e le cerimonie del Papa! Non è vero che industria e inquinamento sono inseparabili. La soluzione del problema, a Taranto come altrove, non è la chiusura delle fabbriche e la delocalizzazione della produzione. È la trasformazione degli impianti. Abbiamo tutte le conoscenze e le risorse necessarie per ricostruire un paese con lavoro per tutti, condizioni di sicurezza e di igiene sul posto di lavoro, senza inquinamento dell’ambiente. Certo, la trasformazione degli impianti richiede tempo e soprattutto determinazione. Per questo occorre un governo che abbia effettivamente la volontà di farla fino in fondo: un governo deciso a farla finita con i Riva e gli altri capitalisti, con i comportamenti criminali dei loro dirigenti, delle loro autorità, dei loro complici politici e sindacali.
La lotta per impedire la chiusura dell’Ilva e per obbligare Monti come Vendola a tenere fede agli impegni di bonifica del territorio deve servire a costituire un governo di emergenza delle organizzazioni operaie e popolari e imposto al Vaticano, alla Confindustria e al resto delle classi dominanti rendendo il paese ingovernabile da ogni loro governo.
NÈ CON RIVA NÈ CON LA TODISCO!
GLI OPERAI DELL’ILVA DEVONO ORGANIZZARSI AUTONOMAMENTE DAI SINDACALISTI DI REGIME, ORGANIZZARE LE MASSE POPOLARI, UNIRSI AGLI ALTRI OPERAI IN LOTTA PER DIFENDERE LAVORO E DIRITTI, COORDINARSI CON IL MOVIMENTO NO TAV E QUANTI LOTTANO CONTRO DEVASTAZIONE DELL’AMBIENTE PER COSTITUIRE UN GOVERNO D’EMERGENZA: IL GOVERNO DI BLOCCO POPOLARE!
I padroni senza i lavoratori non possono niente!
I lavoratori organizzati senza i padroni possono fare tutto e meglio!

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From: Aldo Mancuso aldo.mancuso@asf.toscana.it
To:
Sent: Thursday, August 02, 2012 9:11 AM
Subject: BOMBARDARE IL POOL

CISL Federazione Università www.unifi.it/cisl
P.za Indipendenza, 8 50129- Firenze – tel. 055 2757450 fax 471272
NOTIZIE 31 1uglio 2012

COSTITUZIONE E FASCISMO, “BOMBARDARE IL POOL”? (1)
La notizia: il pool di Raffaele Guariniello (“eroico gruppo” della sentenza Thyssen) sarà chiuso.
La causa? Un regolamento (del CSM?) pare stabilire che un pubblico ministero non possa stare più di dieci anni nello stesso gruppo di lavoro.
Nel ’92 la strumentalizzazione politica di un articolo di Leonardo Sciascia (impropriamente titolato “Professionisti dell’Antimafia”) aprì la strada al ripristino (CSM) dell’ anzianità di servizio quale criterio unico per la promozione-carriera dei magistrati, decretando la fine del pool di Caponnetto e l’isolamento di Giovanni Falcone.
Di quale pestifera malattia sono affetti “quelli del pool”? Se un Gruppo di Lavoro realizza insolite applicazioni efficaci della Legge e della Costituzione del ’48 la molla che scatta (in quelli che contano…) è agire per sbarazzarsene alla svelta?
Non c’è un “eccesso” di magistrati che applica la Costituzione e le Leggi che non la deridono (…il Lavoro Uccide…): non è meglio “sviluppare” competenza e professionalità dei magistrati privi degli “strumenti” necessari per applicare le norme di tutela di Diritti, Salute, Sicurezza, Dignità, Vita dei lavoratori anziché sciogliere un gruppo che (lodevole eccezione) applica (effettività) Legge Costituzione Diritti?
La “storia dei Gruppi di Lavoro” sembra mostrare un binomio inscindibile:
- efficacia (Funzionalità);
- reazione “contro” delle “classi dirigenti”.
Caratteristica dell’organizzazione in Gruppi di Lavoro è la partecipazione di ognuno al raggiungimento del fine comune, nel caso dei Servizi pubblici: il Buon Andamento (Funzionalità, Efficacia) della Pubblica Amministrazione. Principi a sostegno dell’Organizzazione del Lavoro in Gruppi: Uguaglianza - Giustizia - Diritti - Dignità di tutte le persone … i Principi della Costituzione del ’48.
L’organizzazione gerarchica (Modello Caserma…) ha il fine di garantire la struttura gerarchica. Principi a sostegno dell’organizzazione gerarchica del lavoro: stratificazione, comando, ubbidienza, disuguaglianze, privilegi …: quelli del “ventennio”?
Il passaggio dal fascismo alla Repubblica (Costituzione antifascista) si trascina come una carcassa fetida il modello autoritario di organizzazione della vita e del lavoro: radice del “paradosso”?

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From: Gino Carpentiero ginocarpe@teletu.it
To:
Sent: Tuesday, July 31, 2012 11:40 PM
Subject: ANCORA SU TARANTO

Vi propongo:
Il Comunicato di Medicina Democratica pubblicato dal Corriere del Giorno di Taranto
e due pezzi molto belli: Simona Baldanzi, scrittrice e operaista, sull’Unità di sabato e Franco Arminio scrittore paesologo sul Manifesto di domenica.
Troppe notizie, ma ne vale la pena credo…
Saluti a tutti
Gino Carpentiero

SE NERVI, MANI E CITTÀ SONO FATTE D’ACCIAIO
Simona Baldanzi
L'unità 28 luglio 2012
L’Ilva di Taranto è un disastro ambientale. Lo sapevano tutti, ma adesso la magistratura ne ha previsto il sequestro. Il Pg Vignola ha commentato: "Non può e...sserci un bivio per la magistratura tra la tutela del posto di lavoro e la tutela dell'ambiente. Esiste l'obbligatorietà dell'azione penale e la necessità di perseguire i reati". Vero, ma questo bivio per chi c’è? La politica quando si trova nel bivio fra ambiente e lavoro che fa? Sa trovare risposte? Mi ascolto una dietro l’altra, due canzoni. La prima dei CCCP che dice: “Voglio odorare il sapore celeste del ferro, voglio vedere il profumo sanguigno del fuoco (…) non tutti possono tendendo le braccia afferrare la sorte schiaffeggiarle la faccia renderla solida ed obbediente renderla tenera, incandescente (…) Onoro le braccia che muovono l’acciaio”. Sento l’orgoglio, la forza, il lavoro. Poi mi ascolto la canzone di Caparezza, più recente “Abbronzatura da paura con la diossina dell'ILVA. Qua ti vengono pois più rossi di Milva e dopo assomigli alla Pimpa. Nella zona spacciano la morìa più buona. C'è chi ha fumato i veleni dell'ENI, chi ha lavorato ed è andato in coma.” Sento la malattia, l’affare per pochi, lo sfruttamento del territorio e dei corpi. I politici a sinistra mettono insieme le due cose? Spesso se hanno deciso di distruggere l’ambiente lo fanno in nome della difesa del lavoro e viceversa. In questo modo non c’è rispetto né dell’ambiente né del lavoro. Gli operai dell’acciaio non possono accontentarsi di avere una possibilità in meno di ammalarsi di cancro. Vogliono un’alternativa. D’acciaio hanno i nervi e le mani, d’acciaio è fatta la città dove sono nati e cresciuti a Taranto come a Piombino. D’acciaio è fatta la loro storia, ma dobbiamo trovare un’altra materia per migliaia di vite e non fonderle in un attimo.

A TARANTO SONO TRE LE CITTÀ DA RECUPERARE
Franco Arminio
Il Manifesto 29 luglio 2012
L'apocalisse di Taranto prima che nelle cartelle cliniche è nella forma della città: una bellissima città della Magna Grecia circondata una cintura di ferro, simbolo di come l'Italia sia passata dalla civiltà contadina alla modernità incivile.
Taranto è una città apocalittica, è un'apocalisse grigia, a lento rilascio. C'è una fabbrica che si è presa il mare, la terra, il cielo della città e adesso si prende anche il lavoro. Bisogna fermarsi e ragionare, si può enfatizzare l'importanza del lavoro o quella della salute, comunque siamo di fronte a un vicenda cruciale.
L'apocalisse di Taranto prima che nelle cartelle cliniche è nella forma della città: una bellissima città della Magna Grecia circondata una cintura di ferro, simbolo di come l'Italia sia passata dalla civiltà contadina alla modernità incivile. Una storia di trasformazioni che hanno cambiato il volto dell'Italia, ma non i rapporti tra dominati e dominanti.
Gli operai di Taranto provengono spesso dalle campagne ioniche, spinti dal mito del posto fisso. Negli anni sessanta in quella che allora si chiamava l'Italsider andò a dir messa anche il papa. E valenti documentaristi filmavano una fabbrica che aveva nella sua grandezza il suo mito. Insieme all'industria è cresciuta la città nuova, i negozi, gli uffici del terziario. Tutto si è mosso in un direzione che pareva di avanzamento e che col passare del tempo si è configurata come un abbraccio mortale, da città sviluppata a città impolverata: la fabbrica, il quartiere Tamburi e il cimitero, uno a fianco all'altro.
Ora la faccenda non può essere risolta con un intervento pubblico teso a rendere la fabbrica meno nociva. E bisogna sempre considerare che magari fra vent'anni scopriremo che era inaccettabile ciò che adesso consideriamo accettabile. In ogni caso il punto di partenza deve essere la condizione degli operai. Perdere il posto è una beffa ulteriore e insopportabile. Ed è singolare che lo stesso padrone abbia una fabbrica al sud che inquina il doppio di quanto inquina al nord.
Forse è la stessa logica che porta il padrone a indennizzare gli operai vittime del petrolchimico di Marghera e non di quello di Brindisi. La stessa logica che ha portato a riempire di rifiuti tossici le campagne del casertano e di tanti altri luoghi del sud: c'è sempre stato qualcuno, camorrista o semplice cittadino, che ha pensato al denaro più che alla salute, anche perché il denaro si prende subito, le malattie arrivano più lentamente.
A Taranto non c'è solo la fabbrica, c'è anche un meraviglioso museo archeologico, c'è una città vecchia sopra un'isola. È lecito chiedersi se è giusto mettere soldi su una fabbrica che non sarà mai innocua: l'acciaio non si fa coi guanti bianchi. È lecito chiedersi se non è il caso di orientare l'investimento anche in un grande piano di recupero del centro antico, per restituire alla Puglia e all'Italia un luogo importante.
È veramente il caso di spendere bene il tempo. Per studiare interventi migliorativi, ma anche per capire che la città deve da subito ricostruire le macerie del suo centro storico: nessuna città italiana ha un centro che sembra reduce da un bombardamento. Ci vuole una politica all'altezza di un luogo straordinariamente bello e complesso: c'è la fabbrica, ci sono gli operai, ma ci sono anche i contadini intorno alla città, anche loro hanno un lavoro, anche loro hanno diritto a essere tutelati. E hanno diritto a essere tutelati i bambini e gli anziani di Taranto. E anche gli ipocondriaci: le persone che tendono a sviluppare malattie immaginarie trovano tutte le condizioni per accrescere le proprie ansie. Se una mattina ti svegli con un linfonodo ingrossato fai presto a pensare che il tumore è venuto a visitare pure a te, fai presto a pensare che non è stato fabbricato nel tuo corpo, ma nella fabbrica.
Ci sono tre città: la città nuova, la città fabbrica, la città antica. Negli ultimi decenni le prime due hanno esiliato la terza sulla sua isola, gli hanno assegnato il ruolo di accogliere lo spirito accidioso della città. Questo modello che cammina su una gamba sola non è più sostenibile. Lo deve capire la classe dirigente locale e nazionale mettendo a disposizione risorse non solo per il padrone, ma per i tarantini, costruendo un nuovo modello basato sull'equilibrio tra le diverse opportunità: il porto, il museo, la città vecchia. Dare salute a queste tre realtà di fatto significa rendere la città meno dipendente dalla grande acciaieria. Come si dice in questi casi, è una grande sfida, una sfida che non può ridursi agli aggiustamenti che non aggiustano niente. E nonostante gli errori di questi giorni le uniche figure meritevoli di rispetto restano gli operai: quello che stanno facendo ci dice che esiste l'egoismo degli sfruttati, ma è sempre meno grave dell'egoismo degli sfruttatori.

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From: Gino Carpentiero ginocarpe@teletu.it
To:
Sent: Thursday, August 02, 2012 11:13 PM
Subject: COMUNICATO STAMPA IN OCCASIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI CECINA DEL 2 AGOSTO 2012

Come la Solvay uccide l’ambiente ( l’Alta Val di Cecina) con l’estrazione di sale!
Un comunicato da Comitato Beni Comuni Val di Cecina benicomunivaldicecina@gmail.com e una proposta di Accordo Regione Solvay.
Si richiede un’adesione.
Gino Carpentiero

COMUNICATO STAMPA IN OCCASIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI CECINA DEL 2 AGOSTO 2012
Da troppo tempo oramai, la comunità chiede che la società Solvay si doti di un impianto di dissalazione al fine di ridurre gli enormi emungimenti dal fiume Cecina e dalle falde acquifere.
In circostanze già difficili, si aggiunge il problema “trielina” provocati da sversamenti in località Poggio Gagliardo...
Il nostro fiume è ridotto in condizioni pietose; la situazione, aggravata da un lungo periodo di siccità, sta sfuggendo di mano: non è più sostenibile!
Gli studi svolti sia in ambito accademico che di ricerca, e presentati dal nostro comitato nei pubblici dibattiti, dimostrano che l'eventuale realizzazione di ipotetici invasi non porterebbe nessun vantaggio, anzi, peggiorerebbe la qualità delle acque.
In considerazione di tutto ciò, chiediamo nuovamente al Consiglio Comunale di Cecina (in riunione il 2 agosto 2012), che si attivi nel richiedere con forza alla Provincia - e soprattutto alla Regione Toscana - la prescrizione di questa importante opera della quale la nostra comunità non può fare a meno.
Inoltre, anche in conseguenza dei recenti e tristi fatti di Taranto, chiediamo che il Consiglio Comunale esprima parere favorevole alla nostra proposta di Accordo di Programma tra Regione e Solvay, già inviato a tutti i consiglieri ed assessori di Cecina e politici a livello regionale e provinciale.
Comitato Beni Comuni della Val di Cecina
Cecina, 31/7/2012

L’Accordo di Programma è scaricabile all’ indirizzo:

Prime adesioni:
Mauro Romanelli - Consigliere Regionale di Sinistra Ecologia e Libertà
Partito dei CARC
ALBA (Soggetto politico nuovo)
Medicina Democratica, sez. Cecina, Rosignano e Livorno
Roberta De Monticelli (professore ordinario Università San Raffaele - Milano)
Gino Carpentiero – Medicina Democratica sezione di Firenze
Renzo Belcari – Cecina (LI)
Ascanio Bernardeschi – Volterra (PI)

Per info e adesioni:
Comitato Beni Comuni della Val di Cecina

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From: Marco Bazzoni bazzoni_m@tin.it
To:
Sent: Friday, August 03, 2012 11:56 PM
Subject: AVERE 14 ANNI NON BASTA PER NON MORIRE SUL LAVORO

In questa Italia, è possibile morire sul lavoro a solo 14 anni, senza che nessuno se ne accorga, quasi fosse una cosa normale.
Dove è l'indignazione politica?
Dove sono i richiami delle Istituzioni e del Presidente della Repubblica, perché ci sia più sicurezza sul lavoro?
Dove sono gli scioperi dei sindacati di fronte a queste tragedie?
Non si dovrebbe mai morire sul lavoro, perché a tutti i lavoratori dovrebbe essere garantito il diritto al lavoro sicuro e che possano ritornare a casa vivi la sera dopo una giornata di lavoro.
Ma quando queste tragedie accadono a ragazzini di 14 anni, si rimane profondamente sconcertati.

Marco Bazzoni
Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
Firenze


AVERE 14 ANNI NON BASTA PER NON MORIRE SUL LAVORO
Di Carmine Tomeo

Si può morire anche a 14 anni sul lavoro. È successo ieri, in un cantiere nel leccese, dove un masso ha schiacciato un ragazzino 14 anni e l’ha ucciso. Quindi, vedi che si può morire sul lavoro a 14 anni, anche in Italia? Non lo sapevi? Ed invece è così.
Che dici, che a 14 anni si dovrebbe giocare a pallone? Certo, si dovrebbe. Però c’è pure chi a 14 anni sta in cantiere, mentre altri giocano a pallone. E poi, scusa, non lo sai che a 14 anni si è ragazzini proprio quando si gioca a pallone, mica quando si lavora in cantiere. Là, in cantiere e a quell’età, di solito sei un manovale, e comunque un irregolare, un lavoratore in nero.
Me lo racconta pure mio padre, che ha cominciato ad andare in cantiere a 12 anni. Lui era manovale di “mastr’ Andrè” o di “mastr’ Peppe” o di qualche altro mastro… 45 anni fa. Che faceva mio padre in cantiere, ragazzino di 12 anni, 45 anni fa? Preparava la calce, portava sacchi da 50 chili di cemento sulle spalle, si arrampicava sui ponteggi. È pericoloso, sì è vero. E pericolo è pure, ad esempio, lavorare dove ci sono degli scavi, come stava facendo quel ragazzino di 14 anni nel leccese. Ché ci si può cadere dentro, ci si può rimanere seppelliti per uno smottamento, ci si possono respirare vapori tossici, ci si può saltare in aria per la presenza di gas infiammabili o esplosivi.
Ma come dicevo, in cantiere mica si è ragazzini di 12 o 14 anni. In cantiere di solito ci sono paia di braccia che sollevano materiali, paia di gambe che spingono, schiene che si piegano, mani che afferrano. E poi ci sono massi che cadono e che sfracassano teste costole braccia schiene gambe.
Non si può fare, cosa? Non si può lavorare a 14 anni? Ma intendi che per legge non si può? Ah, sì, certo: la legge non lo consente. Sì, certo, per legge non si potrebbe lavorare prima della fine della scuola dell’obbligo. E l’obbligo di andare a scuola c’è fino a 16 anni. Ma te l’ho detto prima: in cantiere, a 14 anni, non si è un ragazzino di 14 anni; si è “energia, muscoli, sudore” a buon mercato.
E poi, la legge… Non lo vedi che proprio a questo sta riducendo i lavoratori, e cioè braccia e intelletto da spremere, al minor costo possibile ed il prima possibile? 16 anni non è mica l’età minima per l'accesso al lavoro. Sì, certo, formalmente lo è. Ma il raggiro l’hanno trovato ed hanno riportato l’età minima a 15 anni, quando è concesso di assolvere all’ultimo anno di scuola obbligatoria facendo l’ apprendista.
È un tira e molla che va avanti dal 1997: ogni volta che si è posto l’obbligo scolastico fino a 16 anni, è arrivato un governo padronale (in genere chiamato con nomi da monarca: Berlusconi II, Berlusconi III, ecc.) ad abbassarlo. E siccome questo governo (che si chiama Monti), che non va a puttane ma ci manda a noi, pure padronale è, ha fatto la sua riforma del lavoro, che consente all’impresa di assumere qualche apprendista di 15 anni in più. E del lavoro sommerso, ad esempio quello compiuto da ragazzini di 14 anni, qualche volta che se n’è parlato fu definito “ammortizzatore sociale”; ora sembra non ci sia.
Ah dimenticavo, negli ultimi 5 anni sono morti sul lavoro almeno 29 ragazzini dai 17 anni in giù. Cioè, scusa, hanno smesso d’un tratto di lavorare 58 braccia e 58 gambe ed hanno smesso di sudare 29 fronti che avevano al massimo 17 anni di vita.

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