giovedì 31 gennaio 2013

NO AL DECRETO CLINI CHE AUTORIZZA A BRUCIARE RIFIUTI NEI CEMENTIFICI



Dopo aver salvato l’ILVA condannando i cittadini di Taranto, dopo aver
prorogato la gestione commissariale dei rifiuti, dopo aver aggravato
ulteriormente la tassa sui rifiuti sostituendo TARSU e TIA con la TARES, il
governo Monti, a Camere ormai sciolte, si sta avviando all’approvazione
dello "Schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il
>regolamento recante disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi
secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili
tradizionali, in cementifici soggetti al regime dell'autorizzazione
integrata ambientale". Ottenuto il parere favorevole da tutti i partiti
nella 13 commissione "Territorio, ambiente, beni ambientali" del Senato, il
provvedimento sarà discusso l’11 febbraio.

  Non ci sono dubbi che la conversione in legge di questo decreto Clini sull’utilizzo
dei CSS (Combustibili Solidi Secondari, ex CDR) sia una delle mine vaganti
più pericolose sulla strada dell’unica alternativa all’odierna criminale
gestione dei rifiuti che devasta ambiente e salute: la raccolta
differenziata finalizzata alla riduzione, riuso, riciclo dei rifiuti.
  Esso costituisce anche un metodo palese per aggirare l'opposizione tenace
dei movimenti alla costruzione di nuovi inceneritori ed incentivare e
diffondere la combustione di rifiuti su tutto il territorio nazionale.
  Infatti, dirottando l'ex CDR ai cementifici, in un colpo, solo si
beneficia la lobby dei cementieri e si trasformano i 59 cementifici presenti
in Italia in inceneritori di rifiuti altrimenti del tutto riciclabili, con
conseguenze gravissime:

  1.      Le ceneri tossiche e nocive, frutto avvelenato dell'incenerimento,
non dovranno più essere smaltite a costi elevati in discariche speciali,
mainglobate pari pari nei cementi.
  Quindi anziché un costo diventano un guadagno, facendo crescere il volume
e il peso dei cementi prodotti.
  Chi andrà poi a raccontare ai lavoratori edili che quando manipolano le
sacchette di cemento inalano metalli pesanti e polveri cancerogene?
  Chi avvertirà i residenti delle abitazioni costruite con quel cemento che
le loro case spolvereranno nei decenni futuri polveri metalliche e molecole
tossiche?

  2.      I cementifici sono impianti industriali altamente inquinanti e
fonte di alte emissioni di polveri e di metalli pesanti in atmosfera (CO2,
PCB, ammonio, cadmio, mercurio, nickel, ossidi di azoto, ossidi di zolfo,
benzene, diossine e quantità incalcolabili di particolato) già senza l’uso
dei rifiuti come combustibile. Considerando la massa dei fumi emessi (ben
oltre gli inceneritori), considerando che questi impianti non sono dotati di
specifici sistemi di abbattimento delle polveri e tanto meno dei
microinquinanti, e sono autorizzati con limiti di emissioni più alti, la
miscelazione di combustibili fossili insieme ai rifiuti avrà l’effetto di
moltiplicare la nocività di questi impianti. Una vera e propria bomba
rispetto agli stessi inceneritori.

  3.      L'altro aspetto è che i Comuni o i gruppi di Comuni che firmeranno
i contratti per il conferimento alle aziende produttrici di CSS, saranno
vincolati a rispettarli per tutta la durata stabilita. Il che vuol dire che
in tutto quel tempo il contratto impedirà ogni iniziativa comunale
indirizzata a far partire la differenziazione dei rifiuti finalizzata al
riciclo.
  La beffa è che l'Aitec (associazione dei cementieri) ed il ministro Clini
spacciano questa operazione come altamente ecologica perché sostituisce
energie alternative ad energie da combustibili fossili mentre, come ovvio, è
una volgare e cinica operazione di convenienza economica visti i costi
internazionali dei combustibili, chissenefrega se poi i cittadini e
l'ambiente pagheranno conseguenze incalcolabili.
  Basta pensare che succederà in siti di alta urbanizzazione e già
inquinatissimi come Guidonia, Colleferro, Taranto, Caserta.
  Come per l'incentivazione di impianti a biogas e biomasse, con questa
legge il ministro Clini, un uomo responsabile di 25 anni di disastri
ambientali italiani, conferma di voler far di tutto, anche a fine mandato,
per favorire l'incenerimento dei rifiuti. Invitiamo tutti i comitati che
ogni giorno si trovano a contrastare la devastazione ambientale del proprio
territorio a diffondere questi contenuti ed organizzare iniziative di
protesta, per quanto loro possibile, per i giorni di Venerdì 8 e Sabato 9
Febbraio, in vista della conversione in legge del decreto prevista l’11
febbraio.


coordinamento COMITATI rifiuti-energia

mercoledì 30 gennaio 2013

Continua la pubblicazione degli interventi dell'assemblea della Rete-Taranto, 7 dicembre. Le lotte dei disoccupati e quelle del quartiere Tamburi di Taranto


DISOCCUPATI ORGANIZZATI TARANTO

I Disoccupati Organizzati sono un movimento che nasce circa 3 anni fa proprio con l’idea di unire ambiente salute e lavoro. In questi anni abbiamo portato avanti varie e dure forme di lotta contro le Istituzioni, soprattutto del Comune, rivendicando il lavoro nella raccolta differenziata, ma anche l’occupazione in attivtà di bonifiche nei quartieri più colpiti come Tamburi, Paolo VI, a partire dai disoccupati residenti in questi quartieri.
Insieme a blocchi del ponte, occupazioni, presidi continui, nel 2010 abbiamo anche messo sù una ‘Tenda per il lavoro’ nella piazza del Comune. Fu un successo, diventò punto di riferimento per molti disoccupati, per coloro che avevano perso il lavoro, per molti cittadini di Taranto. Alla Tenda le donne disoccupate ebbero un ruolo importante con la costante presenza giorno e notte, e spesso con i loro bambini. Ma la Tenda era fastidiosa per le istituzioni e venimmo sgomberati con la forza dai Vigili che si scagliarono contro di noi e la Tenda fino a distruggerla. Ma questo non ci fermò, continuammo la lotta e così ottenemmo nel 2011 i corsi di formazione per la raccolta differenziata, per la prima volta finalizzati al lavoro. Sempre nel 2011 abbiamo organizzato un convegno sulla raccolta differenziata come risorsa ambientale, occupazionale, economica, che ha dimostrato che i Disoccupati Organizzati insieme alle iniziative di lotta e frutto di queste lotte sono coloro che, a differenza dei rappresentanti istituzionali, sono in grado di portare una analisi e proposte generali per unire concretamente lavoro e ambiente.
La nostra continua mobilitazione, ha portato ad una prima assunzione per 6 mesi di 14 disoccupati che avevano fatto il corso di formazione, prima nella raccolta differenziata porta a porta in due quartieri e dopo, a seguito di forti proteste con occupazione della Ditta presso cui lavoravano, con mezzi portati sotto il Comune e Prefettura, ecc., presso una struttura dell’Amiu, nella selezione della raccolta.

La nostra esperienza di lotta ci ha fatto toccare con mano la totale assenza da parte di tutte le Istituzioni di risposte concrete e in positivo all’emergenza lavoro e all’emergenza ambiente, soprattutto nei quartieri più inquinati, come Tamburi, Paolo VI.
Tutto quanto sta accadendo all’Ilva e in città è ora per noi occasione per rilanciare il lavoro da noi già iniziato ai Tamburi per unire la battaglia per il risanamento ambientale al lavoro.
Nello stesso tempo continueremo a stare al fianco degli operai Ilva, perchè senza la loro battaglia  non c’è difesa dei posti di lavoro ma non c’è neanche salute e difesa dell’ambiente! Noi sono stati sempre presenti nei momenti più alti di lotta in questi mesi, abbiamo appoggiato lo sciopero e il presidio degli operai del MOF dopo la morte di Claudio Marsella.
Noi non vogliamo che 20 mila lavoratori vengano ad ingrossare le fila dei disoccupati, perderemmo tutti!


Da lavoratori-disoccupati DEI TAMBURI TARANTO


La situazione del rione Tamburi è oramai diventata insostenibile. Con 18 mila abitanti e a 200 metri da uno dei settori più nocivi dell’Ilva, i parchi minerali, da oltre 40 anni è il quartiere più inquinato di Taranto, con record di tumori che portano a una tragica statistica, almeno un morto in ogni famiglia, di cui tantissimi bambini.
Gli abitanti del quartiere hanno più volte negli anni denunciato, si sono mobilitati, soprattutto i giovani, ci sono state manifestazioni, nascita di associazioni, ma senza alcun risultato.

La nuova fase apertasi quest’estate e l’iniziativa iniziale ai Tamburi del Comitato lavoratori e cittadini liberi e pensanti ha dato un nuovo slancio agli abitanti del quartiere. Vi sono state un paio di assemblee in piazza molto partecipate, con tanti abitanti che intervenivano. Una ad agosto ha visto la partecipazione di oltre 200 persone, con operai Ilva, pensionati Ilva, giovani disoccupati, rappresentanti dei miticultori danneggiati dalla diossina, ma soprattutto donne del quartiere che hanno raccontato in forme vive, molto commoventi quanto alto sia il prezzo di vite che si sta pagando per responsabilità dei padroni (privati e prima pubblici) del siderurgico e delle Istituzioni, dei politici e dei sindacati confederali. Sono proprio le donne, insieme ai giovani, ad essere l’anima nuova di questa battaglia del quartiere, hanno fatto forti appelli a scendere in piazza tutti, e hanno posto con più nettezza il fatto che la battaglia per la salute e il lavoro devono andare insieme, contro posizioni di contrapposizione e di richiesta di chiusura della fabbrica portata soprattutto da aree del Comitato.
L’altra realtà sono i giovani, provenienti anche dall’area ultras, che vogliono non solo lottare contro una fabbrica produttrice di morte ma vogliono anche una città libera dalla disoccupazione, precarietà, da mancanza di futuro.
A metà ottobre, sempre organizzata dal Comitato Liberi e pensanti vi è stata una manifestazione che ha visto una partecipazione di oltre tremila persone. Una manifestazione che ha mostrato ancora una volta l’ampiezza della giusta protesta antinquinamento, ma costruita soprattutto dall’esterno del quartiere ha visto poca partecipazione degli abitanti dei Tamburi.
Oggi abbiamo bisogno che la mobilitazione ai Tamburi abbia un nuovo sviluppo e soprattutto continuità, per questo occorre organizzazione stabile nel quartiere.
Dobbiamo unire la lotta per un vero risanamento ambientale del quartiere, con richieste e vertenze precise, la lotta per i fondi necessari, alla battaglia per il lavoro ai tantissimi disoccupati che vi abitano, contro le condizioni di vita in generale, il tartassamento di tasse, tariffe, ecc.
Perchè come abbiamo scritto nei nostri volantini: ai Tamburi non solo si muore, ma neanche si vive senza lavoro e salario.

NO AL DECRETO CLINI CHE AUTORIZZA A BRUCIARE RIFIUTI NEI CEMENTIFICI



Cittadini contro l'amianto
nodiscaricadiamianto@yahoo.it  - 3389875898 -
iscriviti alla nostra mailing list cittadinicontroamianto-subscribe@yahoogroups.com

NO AL DECRETO CLINI CHE AUTORIZZA A BRUCIARE RIFIUTI NEI CEMENTIFICI

Dopo aver salvato l’ILVA condannando i cittadini di Taranto, dopo aver prorogato la gestione commissariale dei rifiuti, dopo aver aggravato ulteriormente la tassa  sui rifiuti sostituendo TARSU e TIA con la TARES, il governo Monti, a Camere ormai sciolte,  si sta avviando all’approvazione dello"Schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il regolamento recante disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime dell'autorizzazione integrata ambientale". Ottenuto il parere favorevole da tutti i partiti nella 13 commissione "Territorio, ambiente, beni ambientali" del Senato, il provvedimento sarà discusso l’11 febbraio.
Non ci sono dubbi che la conversione in legge di questo decreto Clini sull’utilizzo dei CSS (Combustibili Solidi Secondari, ex CDR) sia una delle mine vaganti più pericolose sulla strada dell’unica alternativa all’odierna criminale gestione dei rifiuti che devasta ambiente e salute: la raccolta differenziata finalizzata alla riduzione, riuso, riciclo dei rifiuti. Esso costituisce anche unmetodo palese per aggirare l'opposizione tenace dei movimenti alla costruzione di nuovi inceneritori ed incentivare e diffondere la combustione di rifiuti su tutto il territorio nazionale. Infatti, dirottando l'ex CDR ai cementifici, in un colpo, solo si beneficia la lobby dei cementieri e sitrasformano i 59 cementifici presenti in Italia in inceneritori di rifiuti altrimenti del tutto riciclabili, con conseguenze gravissime:
1.      Le ceneri tossiche e nocive, frutto avvelenato dell'incenerimento, non dovranno più essere smaltite a costi elevati in discariche speciali, ma inglobate pari pari nei cementi. Quindi anziché un costo diventano un guadagno, facendo crescere il volume e il peso dei cementi prodotti. Chi andrà poi a raccontare ai lavoratori edili che quando manipolano le sacchette di cemento inalano metalli pesanti e polveri cancerogene? Chi avvertirà i residenti delle abitazioni costruite con quel cemento che le loro case spolvereranno nei decenni futuri polveri metalliche e molecole tossiche?
2.      I cementifici sono impianti industriali altamente inquinanti e fonte di alte emissioni di polveri e di metalli pesanti in atmosfera (CO2, PCB, ammonio, cadmio, mercurio, nickel, ossidi di azoto, ossidi di zolfo, benzene, diossine e quantità incalcolabili di particolato) già senza l’uso dei rifiuti come combustibile. Considerando la massa dei fumi emessi (ben oltre gli inceneritori), considerando che questi impianti non sono dotati di specifici sistemi di abbattimento delle polveri e tanto meno dei microinquinanti, e sono autorizzati con limiti di emissioni più alti, la miscelazione di combustibili fossili insieme ai rifiuti avrà l’effetto di moltiplicare la nocività di questi impianti. Una vera e propria bomba rispetto agli stessi inceneritori.
3.      L'altro aspetto è che i Comuni o i gruppi di Comuni che firmeranno i contratti per il conferimento alle aziende produttrici di CSS, saranno vincolati a rispettarli per tutta la durata stabilita. Il che vuol dire che in tutto quel tempo il contratto impedirà ogni iniziativa comunale indirizzata a far partire la differenziazione dei rifiuti finalizzata al riciclo. Né più né meno dell’effetto perverso dell'inceneritore, nemico giurato di ogni progetto di riciclo.
La beffa è che l'Aitec (associazione dei cementieri) ed il ministro Clini spacciano questa operazione come altamente ecologica perché sostituisce energie alternative ad energie da combustibili fossili mentre, come ovvio, è una volgare e cinica operazione di convenienza economica visti i costi internazionali dei combustibili, chissenefrega se poi i cittadini e l'ambiente pagheranno conseguenze incalcolabili. Basta pensare che succederà in siti di alta urbanizzazione e già inquinatissimi come Guidonia, Colleferro, Taranto, Caserta.
Come per l'incentivazione di impianti a biogas e biomasse, con questa legge il ministro Clini, un uomo responsabile di 25 anni di disastri ambientali italiani, conferma di voler far di tutto, anche a fine mandato, per favorire l'incenerimento dei rifiuti. Invitiamo tutti i comitati che ogni giorno si trovano a contrastare la devastazione ambientale del proprio territorio a diffondere questi contenuti ed organizzare iniziative di protesta, per quanto loro possibile, per i giorni di Venerdì 8 e Sabato 9 Febbraio, in vista della conversione in legge del decreto prevista l’11 febbraio.

coordinamento COMITATI rifiuti-energia

Cittadini contro l'amianto
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martedì 29 gennaio 2013

Assemblea nazionale della Rete: intervento dall'Istituto tumori di Milano e del coordinamento Slai cobas per il sc di Venezia-Marghera


proseguiamo nella pubblicazione degli interventi all'assemblea nazionale della Rete a Taranto, 7 dicembre

DONATO FICCHI

ISTITUTO NAZIONALE TUMORI MILANO


Siamo qui per la seconda volta a Taranto, dopo la manifestazione del 18 aprile 2009, a sostegno della battaglia che si sta conducendo all’Ilva in difesa sia del posto di lavoro e delle condizione della sicurezza sul posto di lavoro, sia in difesa della tutela ambientale e salute dei cittadini.
Queste due cose non dovrebbero essere mai separate, mai un bene contro l’altro. Perché questo crea disunità. Perché chi vede solo una parte del problema, si batterà per quella parte. Come quando noi vediamo la luna, ne vediamo una parte.
Però dobbiamo considerare che se io mi batto per il posto di lavoro, io non posso lavorare in qualsiasi condizione, come diceva l’operaio prima. Questo non vuol dire che sono destinato a perdere il lavoro. Forse sono costretto a battermi sul posto di lavoro. Questo sì, questo è lo sforzo che io sono destinato a fare. Siccome i lavoratori di sforzi ne fanno tanti, tutti quanti lavoriamo e lavoriamo sodo, non è una cosa estranea alla natura del lavoratore fare fatica, per avere il tutto. Questo va bene. Fare fatica solo per ottenere un risultato parziale può essere preludio alla sconfitta completa.

Quindi noi siamo qua per una serie di ragioni.
La prima ragione è proprio per la specificità dell’ambiente di lavoro, dove opero, che vede il nostro Istituto impegnato nella cura di quelle persone che vengono colpite da tumore, anche a seguito di contaminazione, a seguito di condizioni negative sul posto di lavoro e di disastro ambientale. Queste cose vengono sempre perseguite a favore della logica del profitto. Ho conosciuto diverse persone malate di Mesiotelioma Pleurico che venivano da Casale Monferrato, che venivano anche dalla Puglia e che dopo una vita di lavoro si trovavano in un letto destinati a morire.
Un’altra ragione per cui sono qui è perché da quando è scoppiato questo caso, molti tarantini, e in particolare le donne, hanno denunciato abbiano denunciato di come la gente di Taranto, e del sud in generale per curarsi è costretta a venire al Nord, il cosiddetto fenomeno dei “Viaggi della speranza”.
Ma proprio di Milano, la Lombardia Regione della Sanità con l’eccellenza, ultimamente se ne sta parlando in termini di scandali: lo scandalo dell’Ospedale San Raffaele, lo scandalo dell’Istituto Maugeri. E anche il nostro Istituto. Si parlava anni fa di trasferire il nostro Istituto in un’altra area più congeniale, dopo tanti anni sono finiti a proporre, di costruirlo sopra il terreno dell’Acciaieria ex Falk. Quindi noi avremmo sotto le fondamenta 150anni di siderurgia pesante, un’area altamente inquinata. E lì noi andiamo a fare un “nuovo” Istituto Tumori? Cosa completamente assurda! Oltretutto il nostro Istituto non avrebbe motivo di essere ristrutturato, perché per l’80% in buone condizioni. Però questa è la Sanità in Lombardia. Non a caso il precedente proprietario del San Raffaele, don Verzé, pensava di creare qua a Taranto il più grande Polo Sanitario del Mediterraneo. Questi progetti calati dall’alto non hanno niente di genuino, di autentico nella programmazione della cura e dell’assistenza alla popolazione, ma pensano solo ad investire del Capitale, perseguendo sempre la logica del profitto. E così sarebbe stato a Taranto.
Noi come Slai cobas sdc dell’Istituto Nazionale dei Tumori ci siamo già impegnati in altre iniziative, tra cui quella a sostegno dell’Ilva di Taranto. Abbiamo comunicato e sensibilizzato, facendo parte di un Coordinamento Sanità in Lotta milanese, tutto il Coordinamento a sostenere la battaglia che si sta conducendo all’Ilva, a Taranto. Abbiamo promosso un presidio sotto la Sede Legale nazionale dell’Ilva, che ha sede a Milano. Lo stesso Ferrante, Presidente dell’Ilva, noi di Milano lo conosciamo bene. Prima è stato Prefetto di Milano, dopo di ché è stato anche candidato a Sindaco per il centro-sinistra. Quindi è stato sempre un soggetto politico molto “ben disposto” a curare gli interessi padronali. Quindi il fatto che noi l’avessimo conosciuto e che il centro-sinistra si fosse così appoggiato sulla sua figura dice come politicamente in Italia abbiamo una situazione in cui c’è poco da sperare in una coalizione anziché un’altra.
Purtroppo, la differenza la potrebbero fare i lavoratori, dico purtroppo perché non la vedo di facile realizzazione.
I lavoratori che si prendono la responsabilità di condurre direttamente la battaglia che non può più essere delegata a delle RSU che si sono rivelate fallimentari nella gestione di questi anni. Noi all’INT viviamo una situazione di carenza di personale e abbiamo la RSU che addirittura appoggia i doppi turni, fregandosene della stessa legge sulla Sicurezza. Questo perché la carenza d’organico oggi non è più un “problema”, oggi la carenza d’organico non “esisterebbe” più dal momento che io ti faccio lavorare saltando il turno di riposo, pagandoti una Libera Professione. E tu sei ben “contento” di farlo. Però così ho diviso i lavoratori, e ho messo da parte la sicurezza, a cui già il lavoratore ci pensa meno, quando per lui è diventato prioritario pagare la rata del mutuo.

Per quanto detto noi rilanceremo questo percorso unitario, necessario, di lotta, invitando ad aderire e contribuire alla Rete Nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro, affinché si vinca a Taranto come a Milano, e da ogni altra parte.

VENEZIA-MARGHERA


Il coordinamento provinciale di Slai Cobas per il Sindacato di Classe di Venezia-Marghera, si unisce solidarmente alla lotta degli operai ILVA.
Ritiene sempre di più necessario portare la lotta per il posto di lavoro e per i diritti e le retribuzioni dei lavoratori, ad un livello di critica generale che va fatta e praticata con sempre maggiore unità e consapevolezza di classe perchè il marciume e la degradazione del sistema capitalistico che vengono sempre più alla luce possano essere scacciati e le nostre città e il nostro Paese liberato da questo fango e dai padroni che ne sono la più “squisita” essenza, con tutti i loro servi e servitorelli, in primis la concertazione operata dai falsi sindacali, perchè sono LORO, che guastano tutto ed impediscono ai lavoratori una vita ed una esistenza dignitosa e salutare.

lunedì 28 gennaio 2013

Video sulla situazione Ilva Taranto


http://www.youtube.com/watch?v=3RzNIktL378&feature=youtu.be

video sulla situazione ILVA TARANTO, estratto dall'assemblea della rete nazionale sicurezza tenutasi a Bergamo il 18 gennaio 2013.

Interventi all'assemblea della Rete a Taranto: ambientalisti della Lombardia e di Taranto e lavoratori del cimitero vicino l'Ilva


EZIO CORRADI
COORDINAMENTO DEI COMITATI AMBIENTALISTI DELLA LOMBARDIA


Grazie, saluto tutti i presenti e porto una testimonianza di vicinanza ai problemi della città di Taranto.
Mi son sentito in dovere di partecipare a questa iniziativa soprattutto per esprimere una solidarietà viva alla Magistratura tarantina e ai Pubblici Ministeri che con coraggio stanno affrontando questo problema dell’Ilva.
Non è un problema semplice, ci rendiamo conto, ma sono troppi anni che questa situazione non viene mai affrontata. E’ chiaro chi non la vuole affrontare è ben consapevole dei rischi che fa affrontare alla popolazione. Per cui queste decisioni dovevano essere prese prima, e quello che noi vediamo verificarsi nel vostro territorio, lo vediamo, anche, nel territorio della Lombardia.
Abbiamo il caso esemplare della Caffaro di Brescia; a Mantova abbiamo problemi col Petrolchimico; a Cremona un’Acciaieria, l’Arvedi, è stata potenziata come produzione senza nessuna valutazione d’impatto ambientale, è stata potenziata in mezzo a due paesi. E quindi si rincorrono le stesse modalità, le stesse situazioni che, purtroppo, si verificano anche nel vostro territorio, anche se in maniera minore.

Allora il problema è a questo punto a che cosa servono le Istituzioni se non tutelano i cittadini? A cosa serve un Ministro dell’Ambiente se non mette in atto tutte le iniziative per tutelare la salute dei cittadini? Qui voi avete il grosso problema Ilva, dalle nostre parti sta esplodendo la problematica degli stoccaggi di Metano. Con centrali d’immissione del Metano nel sottosuolo che bruciano metano e quindi producono inquinamento e fumi a 6/700° in una Pianura già inquinata di suo. Allora quello che di grave succede è che il Ministro dell’Ambiente non dice nulla sul fatto che per gli stoccaggi di metano vengono utilizzati e proposti anche posti con sismicità conclamata.
La Pianura Padana non è una tavola senza rischi. NO! Nella pianura padana ci sono pesanti situazioni di sismicità che vengono anche provocati dagli stoccaggi. Basti pensare che nella sola Lombardia, per non parlare dell’Emilia, ci sono 116 Comuni coinvolti in questi progetti, con circa 1 milione di persone. I cittadini sono del tutto non informati; i Comuni non hanno, spesso, la documentazione. Si va col passa parola, con il fatto di farsi illustrare da tecnici delle Società di Stoccaggio quello che dovrebbero essere i progetti. E’ una cosa francamente indecente, da Terzo Mondo, perché nemmeno nel delta del Niger succede più!
E’ ora che smettiamo di subire un certo modello di sviluppo, che di sviluppo poi non ne porta. Subiamo le conseguenze come cittadini e francamente mi disturba che alte cariche dello Stato si pentano di aver fatto l’Ilva dopo quello che fa l’Ilva adesso, quando l’hanno promossa nei decenni passati. Mi disturba il fatto che lo Stato non tuteli a sufficienza la salute dei cittadini.
Il problema della salute e tutela del territorio è un problema che riguarda il Nord come il Sud. E quindi c’è la necessità che queste problematiche vengano tirate fuori, portate alla luce del sole.
Qui in Italia siamo, purtroppo, di fronte a una mancanza di pianificazione territoriale seria. A una mancanza di una tutela e cultura dell’ambiente, per il quale la cultura del lavoro e la cultura dell’ambiente devono marciare assieme. La Salute non è un bene mediabile.
Le conseguenze le sapete bene anche voi. Anche da noi ci sono persone che soffrono e pagano pesantemente la situazione ambientale, che noi stessi come persone, come uomini, come società abbiamo creato. Allora sono queste le cose che devono venire fuori.
Non può una società come l’ENI, come l’Astosi, predisporre o fare spezzoni di progetti di Metanodotto, da Massafra a Minerbio, a 200Km per volta e a ogni pezzo richiedere la BIA. Senza invece considerare il fatto, come è giusto che sia, che sia un progetto unitario, unico. Lo stesso succede da noi. Quando alla fine vediamo che i progetti coincidono e portano, tutti, in un gigantesco stoccaggio. Le cose sono tenute nascoste, come se fossero segreti incredibili. Noi ci troviamo ad avere sulle spalle, promossi dai grandi importatori di metano, miliardi e miliardi di metri/cubi di metano appena al di sopra delle nostre necessità. Dal 2008 ad oggi il calo è stato del 10% del consumo e l’importazione è addirittura moltiplicato. Un giornale del 2006 diceva che l’Eni avrebbe avuto a disposizione metano da bruciare fino al 2035. Una Società che, a questo punto, non si sa bene, se detiene le necessità energetiche del Paese o ha in mente di fare altre cose.
Quando il Piano Energetico Nazionale ci pone l’esigenza che il nostro Paese diventi l’HUB dell’Europa del Sud del metano, è per rivenderlo a Francia-Spagna-Grecia-Slovenia-Croazia-Bosnia? Francamente si resta perplessi nel cercare di capire qual è il destino energetico del nostro Paese, quali sono veramente gli scenari. Qui nessuno ci dice che in effetti sono le società che importano di meno e sversano di più, praticamente sfruttando le risorse non rinnovabili e sfruttando il nostro territorio, devastando il nostro territorio. Gli stoccaggi che vi ho detto, sono situati in parchi naturali, in zone tutelate dal punto di vista ambientale.
Quindi è una situazione, francamente, che non ci aiuta a crescere come paese civile e, soprattutto, non aiuta ad uscire da questa crisi.

VINCENZO CONTE
AMBIENTALISTI STATTE (TA)


La situazione all’Ilva è esemplare. Nel ’95, sotto l’allora presidente del Consiglio Dini, si regalò a Riva lo stabilimento di Taranto, per una cifra che oggi sarebbe circa 800 milioni di euro, una miseria, e, quel che è peggio, il salario operaio da allora non è aumentato quasi per niente.
Non solo al privato viene regalata l’Ilva, ma quando arriva si riprende dai lavoratori tutto quello che avevano conquistato nei precedenti anni di lotte, trovando la piena collaborazione dei sindacati confederali, che accentuarono ancora di più il loro atteggiamento di collaborazione col padrone.
Un esempio per tutti: sull’orario di lavoro dei normalisti. I lavoratori dell’allora Italsider avevano conquistato il diritto a timbrare l’entrata e l’uscita ai cancelli, una 20 di minuti prima di arrivare in reparto e 30-40 minuti dopo che l’avevano lasciato, avendo il tempo di cambiarsi e fare la doccia, tempo che era incluso nell’orario di lavoro. Riva impose invece la timbratura in entrata e in uscita già in reparto riprendendosi a costo zero quel tempo e prolungando di fatto l’orario di lavoro di un’ora secca!
Se il sindacato volesse davvero riprendere la difesa dei lavoratori, ecco che questa sarebbe una delle prime questioni da cui partire.
È solo un esempio per far capire che cosa è successo in quella fabbrica. Un altro esempio: la palazzina LAF, il reparto confino per cui Riva è stato condannato per mobbing fino all’ultimo grado di giudizio, con condanna a 1 anno e 2 mesi.
Questa azienda aveva messo su tutto un sistema che in questi giorni le inchieste stanno drammaticamente portando alla luce. Un sistema che ruotava intorno alla figura del dott. Archinà, un personaggio che anch’io ho conosciuto nel periodo in cui sono stato amministratore al Comune di Statte e in cui questo signore era di casa al Municipio di Statte. Infatti le discariche di rifiuti speciali Ilva insistono tutte sul territorio del Comune di Statte, come anche una parte dello stabilimento, e sono discariche che io ho denunciato essere completamente fuori controllo, dove non si rispetta nessuna prescrizione, dove ci sono aree da anni sotto sequestro.
Dunque l’Archinà quasi tutti giorni si aggirava nei corridoi del Comune, per avere garanzie di continuare a gestire quelle discariche fuori controllo da quella parte politica che oggi l’inchiesta sta portando bene alla luce. Ma non solo il Comune di Statte è stato coinvolto nel sistema Riva-Archinà, credo che lo stesso Palazzo di giustizia ne sia stato inquinato, a partire dagli avvocati fino ai magistrati, non si spiegherebbe perché, altrimenti, per anni tutti i ricorsi e le cause intentati dai lavoratori sono stati regolarmente persi.
Dunque era tutto un sistema con cui erano collusi sindacati e istituzioni senza esclusioni, e che oggi in parte sta venendo alla luce.
Dall’altra parte c’è una città oggi profondamente divisa, se ne è avuta un’idea anche dagli interventi che mi hanno preceduto. Una città in cui, come già detto, si vive una vera emergenza sanitaria. Non solo per la dimensione della devastazione dell’ambiente e del danno alla salute della gente che vi abita, ma anche per la carenza di strutture sanitarie sullo stesso territorio, dove diversi reparti e ospedali sono stati recentemente chiusi.
Su questo si è pronunciato il presidente della repubblica, che secondo me recita a soggetto: il giorno prima firma il decreto Salva-Riva, il giorno dopo dice che la sanità non può essere un lusso per i cittadini italiani. Venga a Taranto e vedere se la sanità è un lusso o no  per i tarantini!
Nelle scorse settimane è venuto in città il ministro della Sanità e ha presentato lo studio epidemiologico che dimostra la relazione tra inquinamento e patologie presenti sul nostro territorio. Quello studio dice che il picco di malattie si avrà nel 2020, ma già oggi le patologie legate all’amianto sono aumentate del 400%. Se consideriamo che tutto l’amianto smaltito all’interno per le bonifiche dopo il ’92 è stato stoccato nelle discariche speciali che dicevo prima, da cui quando c’è vento forte si alza una nube che investe lo stabilimento, il quartiere Tamburi, Statte e tutta la città di Taranto, si capisce bene che pericolo siano quelle polveri.


dai LAVORATORI DEL CIMITERO - TARANTO
Coop. L’ANCORA


Vi saluto tutti a nome anche dei colleghi che non sono potuti venire o restare fino a quest’ora.
Lavoriamo al cimitero di Taranto, che significa stare fisicamente a ridosso e a stretto contatto con l’Ilva, a poche decine di metri. Sono tante le polveri che respiriamo, anche e soprattutto nelle ore notturne, il sabato e la domenica, quando all’Ilva approfittano per emettere a più non posso, quando è più difficile accorgersene e che ci siano controlli.
Questa è la realtà che vivo giornalmente con i miei colleghi e possiamo anche documentarlo tangibilmente con filmati che abbiamo realizzato in questi anni. Lavoriamo in una situazione di assoluta criticità. Condizioni che abbiamo in comune con chi vive al quartiere Tamburi.
Nella sentenza del riesame emessa a conferma della ordinanza del Giudice Todisco si scrive: ”la gravissima situazione di inquinamento, prodottasi con la contaminazione della vasta area .... tra i comuni di Taranto e Statte, causata dall’attività del siderurgico e dalle sue emissioni incontrollate e incontrollabili, oltre che da quelle autorizzate di polveri e fumi, si accompagna ad una allarmante compromissione ambientale delle aree urbane - immediatamente e visivamente percepibile nei rioni a ridosso del siderurgico, in particolare nel quartiere Tamburi e nella zona del Cimitero di San Brunone massicciamente ricoperti (imbrattati) di una coltre di polveri ferrose di colore rossastro... che ha determinato un gravissimo e ormai insostenibile rischio sanitario”.
Noi lavoratori cimiteriali da 15-20 anni ogni giorno per almeno 6 ore all’aria aperta e sollevando tanta polvere, pulendo e tumulando ecc, ci esponiamo quindi a queste sostanze inquinanti, con gravi evidenti danni alla nostra salute passata, presente e temiamo soprattutto futuro.
Ora diciamo basta e siamo pronti a mobilitarci. Con lo Slai cobas stiamo portando giornalmente avanti la lotta contro queste condizioni, tra l’altro in una situazione in cui sono morti per patologie riconducibili alle condizioni di lavoro un nostro collega e il direttore del cimitero urbano. Abbiamo avuto anche noi i nostri morti, e questo ci accomuna ancora di più alla lotta degli operai dell’Ilva.

Riccardo Antonini: "Perché non ho mollato …"



Oggi era in programma l’udienza per la firma del “Verbale di Conciliazione Giudiziale” sulla mia reintegrazione. L’Ad delle ferrovie Moretti ha firmato, il sottoscritto No perché si tratta di un verbale che mette in discussione la dignità e la coscienza del sottoscritto. Se e quando rientrerò in ferrovia, questo sarà in piedi e a testa alta, non in ginocchio e con il cappello in mano, come vorrebbe il sig. Moretti.
Questa mattina ho assunto responsabilmente e coerentemente la difficile decisione di non sottoscrivere quel verbale per salvaguardare la mia dignità. Non era possibile sottoscrivere un documento che nega la verità, non era possibile sottostare a questo ricatto. Non si può, sempre e comunque, barattare la dignità. La strage di Viareggio non si compra, non si baratta, non si svende.
Il sig. Moretti pensava di incassare un “risultato” da spendere contro i lavoratori impegnati su sicurezza e salute e contro i familiari dell’immane tragedia di Viareggio oltre a farne una inutile e falsa strumentalizzazione politica. Forse non ha ancora capito che ‘Viareggio’ non sta sul mercato e non è disponibile a subire alcun tipo di ricatto o di compravendita.
In questi mesi ho mostrato profondo senso di responsabilità accettando la proposta di conciliazione del giudice del 5 luglio 2011 (respinta dalle ferrovie) ed ancora con la proposta di conciliazione presentata questa mattina nella quale non pretendo dal sig. Moretti di riconoscere l’opera di denigrazione, di ricatto, di minaccia, di provocazione attuata nei miei confronti da quando sono impegnato in questa battaglia per sicurezza, verità e giustizia.
La forza per proseguire questa lotta la ricevo da numerosi familiari presenti anche al presidio di martedì 22 gennaio a Lucca.
Saputo di quanto accaduto questa mattina, un familiare a me molto caro mi ha inviato questo sms: “Ciao Riccardo, hai scelto la strada più difficile per te e per la tua famiglia, ma hai anche scelto l’unica che può cambiare questo sistema. Ti ringrazio a nome mio e della mia famiglia. Un abbraccio”.
       
24 gennaio 2013                                                                                         riccardo antonini

Viareggio -solidarietà con Riccardo Antonini




Lo avevano licenziato perché si era offerto come "perito di parte" dei
familiari delle vittime della strage di Viareggio. Poi le Fs gli avavenao
proposto una "transazione": ti riassumiamo se lasci perdere. Ma lui non ha
firmato: si andrà a processo.

La lettera inviata da Riccardo a famiiari, macchinisti, strutture di
movimento.

"Ho preferito non barattare la mia dignità con il reintegro al lavoro":
Riccardo Antonini non ha firmato l'accordo di conciliazione proposto da
Ferrovie dello Stato e continua la vertenza contro Mauro Moretti che ne
aveva disposto il licenziamento due anni fa, per aver sostenuto come
consulente tecnico, nell'incidente probatorio del processo sulla strage di
Viareggio, uno dei familiari delle 32 vittime e la Cgil. Già fissata la
prossima udienza: l'11 marzo alle 10, al tribunale di Lucca.

"Era un accordo al ribasso - ha spiegato Antonini - il mio licenziamento
veniva convertito in due sospensioni da 10 giorni ciascuna; in cambio,
dovevo ammettere di aver tenuto un comportamento grave e offensivo nei
confronti di Moretti. Non me la sono sentita". I fatti si riferivano sia
alla consulenza gratuita sia alle critiche rivolte da Antonini all'Ad di Fs,
durante una manifestazione del Pd a Genova.

Ha ammesso di aver trascorso la notte in bianco, Antonini, riflettendo su
quella proposta che per alcuni versi ricorda l'accordo offerto (e accettato)
da Dante De Angelis, altro ferroviere licenziato per aver criticato la
sicurezza della circolazione ferroviaria.

"Non me la sono sentita di barattare la mia dignità per 20 mila euro - ha
dichiarato - non so se ho sbagliato ma questa è la mia decisione e sono
convinto di quello che ho fatto. Partirò in posizione di svantaggio, al
processo, perché ho rifiutato la conciliazione. Vedremo a chi daranno
ragione i fatti".

Già fissata la prossima udienza, in cui il processo entrerà nel vivo: l'11
marzo alle 10, al tribunale di Lucca, sfileranno davanti al giudice Luigi
Nannipieri testimoni di Fs e Antonini. Poi si andrà a sentenza.

da QuiVersilia.it

PROCESSO MARLANE MARZOTTO_DOPO LA PAUSA PROSEGUONO LE AUDIZIONI

SLAI  COBAS
Sindacato  dei  lavoratori  autorganizzati  intercategoriale
Sede legale: via Masseria Crispi 4 / 80038 Pomigliano D'Arco  NA / Tel. 081 8037023
Sede  nazionale:  Viale Liguria, 49  20143 Milano  /  Tel.  02 8392117
http://www.slaicobas.it/

DOPO LA PAUSA PROSEGUONO LE AUDIZIONI PER IL PROCESSO MARLANE
Con l’udienza del 25 gennaio il processo penale Marlane Marzotto si avvia alle battute conclusive per quanto concerne l’audizione dei testi nominati dalla Procura. Ancora qualche tornata e poi a confrontarsi saranno accusa e difesa in uno coi consulenti tecnici di ambo le parti. Ad esclusione delle solite schermaglia tra avvocati peraltro mediate egregiamente dal presidente Introcaso, l’udienza non ha fatto registrare episodi degni di nota a parte la palese reticenza di un teste già sindacalista  in rapporti d’affari con l’azienda Marlane e quanto riferito da un teste alle dipendenze di una società privata il quale, nel corso della costruzione del depuratore comunale insistente sullo stesso sedime , essendo in corso una mareggiata aveva assistito alla fuoriuscita di liquami scuri dal sottosuolo. Alla prevista audizione dei medici di base si è sopperito con le già acquisite sommarie informazioni, con la sola eccezione di un medico della vicina Maratea. Anche stavolta diversi gli assenti ai quali verrà reiterata la convocazione, mentre coloro che sono impossibilitati a spostarsi per problemi di salute verranno ascoltati mediante delega presso una sede istituzionale quale il comune o la caserma dei Carabinieri. E’ anche importante mettere l’inciso sul ripristino della calendarizzazione settimanale, a sottolineare la volontà di accorciare i tempi per giungere possibilmente entro quest’anno alla conclusione del processo. E’ ciò che da tempo auspicano lo SLAI Cobas – l’organizzazione “ispiratrice” dell’intera vicenda -    e Medicina Democratica, costantemente in aula col referente locale e alcuni iscritti da sempre impegnati in prima linea. Purtroppo a tutto ciò fanno da contraltare le notizie appurate proprio oggi, ulteriori due ex dipendenti Marlane sono state colpiti da neoplasie negli ultimi tempi, quindi non solo sterili numeri ma persone che vanno ad arricchire le statistiche su quella sciagurata azienda insediata in riva al mare. Prossimo appuntamento il 1° febbraio e anche in questa data le prestigiose sigle saranno presenti, come sempre. 

Comunicato stampa SLAI Cobas Cosenza 26.01.2013

Sicilia - 5 operai delle ferrovie uccisi dall' amianto- rinvio a giudizio per 11 ex dirigenti assassini




dalla rete nazionale - nodo siciliano


Sicilia: 5 operai delle ferrovie uccisi dall' amianto- rinvio a giudizio per
11 ex dirigenti assassini
25/01/2013 -
ERANO IN SERVIZIO TRA GLI ANNI 80 E 90. SONO ACCUSATI
DI OMICIDIO COLPOSO NEI CONFRONTI DI CINQUE OPERAI
CHE LAVORARONO CON MATERIALI IN AMIANTO E CHE
MORIRONO PER TUMORE AI POLMONI
PALERMO. La Procura ha chiesto al gup Marina Petruzella il rinvio a
giudizio di undici ex dirigenti delle Ferrovie in servizio in Sicilia tra
gli anni Ottanta e Novanta, indagati con l'accusa di omicidio colposo nei
confronti di cinque operai che maneggiarono materiali in amianto e che
morirono successivamente a causa di tumori ai polmoni.

Rischiano il processo Giovanni Coletti, ex direttore generale dell'azienda
autonoma Ferrovie dello Stato tra il 1985 e il 1989, Leonardo Vivona,
dirigente responsabile del deposito locomotive tra il 1990 e 1999, e i
capiofficina che si sono succeduti dal 1974 al 1994: Lucio Lombardi, Tommaso
Giovenco, Francesco La Ferrera, Isidoro Scianna, Giuseppe Fuschi, Francesco
Di Maio, Roberto Renna, Francesco Barbarotta e Giampiero Cardinale.

I familiari delle vittime si sono costituiti parte civile, come l'Inail e la
Cgil. Il processo è stato rinviato al 15 marzo.
ttp://www.gds.it/gds/edizioni-locali/palermo/dettaglio/articolo/gdsid/237698/

Ancora giovanissime operaie uccise dallo sfruttamento assassino del capitale


Rogo in fabbrica, morte 7 minorenni - le porte di sicurezza erano bloccate
indennità ai familiari delle vittime: 184 €
ROMA - Sette operaie minorenni di una fabbrica di abbigliamento di Dacca,
capitale del Bangladesh, hanno perso la vita ieri negli sviluppi di un
incendio scatenatosi all'inizio del pomeriggio nella zona, dove era
immagazzinata una gran quantità di spugna.

Porte di sicurezza bloccate. Un responsabile dei vigili del fuoco ha detto
che l'incendio ha interessato all'inizio del pomeriggio la fabbrica Smart
Export Garnment Ltd a Beribadh, nel distretto di Moahammadpur, e che
apparentemente tutte le porte di sicurezza erano bloccate per cui le
centinaia di operai, per lo più donne, hanno potuto mettersi in salvo solo
in un secondo momento. Nella calca le sette ragazze sono rimaste schiacciate
e i medici non hanno potuto fare nulla per salvarle.

184 euro di indennità alle famiglie delle vittime. Si è appreso che ognuna
delle famiglie delle vittime riceverà dal ministero per la Gestione dei
disastri 184 euro di indennità. Questo nuovo incidente mortale, dovuto alle
approssimative misure di sicurezza esistenti, è avvenuto in Bangladesh ad
appena due mesi da quello che lo scorso 24 novembre causò 112 morti nella
fabbrica di abbigliamento Tazreen Fashions di Ashulia.
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/bangladesh_incendio_fabbrica_operaie_minorenni_morte_indennita/notizie/247282.shtml

giovedì 24 gennaio 2013

Udienza Thyssen del 22 gennaio


  La difesa di Thyssen: "Espenhahn non è un assassino"
  Le madri delle vittime protestano, la polizia le identifica


      L'avvocato Coppi: "Le testimonianze attestano che il dirigente
      aveva a cuore la sicurezza dei suoi operai".
      Poi ha chiesto l'assoluzione del  suo cliente suscitando l'ira dei
      parenti delle vittime

di SARAH MARTINENGHI

La difesa di Thyssen: "Espenhahn non è un assassino" Le madri delle
vittime protestano, la polizia le identificaIl difensori degli imputati
al processo Thyssen


Con l'arringa dell'avvocato Ezio Audisio e quella del professor Franco
Coppi, ieri è terminata la difesa della Thyssenkrupp al processo
d'appello. Dopo aver puntato il dito contro gli operai, e distribuito le
colpe della tragedia in parte su di loro e in parte sui dirigenti
italiani, Audisio ha chiesto l'assoluzione dei vertici dell'acciaieria:
"Espenhahn, Pucci e Priegnitz devono essere assolti perché il fatto non
sussiste, non costituisce reato e per non aver commesso il fatto". "L'ad
Espenhahn non poteva prevedere la sequenza causale di quei fatti, che fu
del tutto anomala. E non aveva possibilità di impedirla" ha detto prima
di lasciare la parola a Coppi. Il presidente della Corte Giangiacomo
Sandrelli ha deciso una pausa, e a quel punto la madre di una delle
vittime è sbottata in aula e ha urlato, rivolgendosi ai legali:
"Vergogna, assassini!". Più volte in primo grado i parenti si erano
lasciati andare a questo tipo di esclamazioni, ma in appello non era
ancora accaduto. Questa volta però, la Corte non ha lasciato passare
l'episodio: prima che il processo ricominciasse il presidente ha chiesto
ai carabinieri di identificare le madri e ha definito l'episodio
"fastidioso": "Ricordo ai parenti delle vittime che se non ci sarà un
comportamento urbano sarò costretto a ricorrere all'espulsione".
Con maestria l'avvocato Franco Coppi, difensore di Espenhahn, ha cercato
di smontare la tesi della Procura che ha portato l'ad a essere
condannato in primo grado a 16anni per omicidio volontario con dolo
eventuale. Destreggiandosi tra giurisprudenza e dottrina, il professore
ha affrontato il tema del dolo eventuale cercando di portare i giudici,
in caso di condanna, a optare per la "colpa" e non per "il dolo"
(puntando così quanto meno a dimezzare la pena). Secondo l'accusa, l'ad
ha agito non con la volontà di creare un incendio, ma rappresentandosi
la possibilità che potesse verificarsi, e accettandone il rischio.
Cavalcando la sottile linea di confine che c'è tra i concetti giuridici
di "colpa cosciente" e "dolo eventuale", e partendo dall'esempio da
manuale del lanciatore di coltelli al circo che "si esibisce lo stesso,
accettando il rischio di ferire la sua assistente, grazie alla sua
bravura", Coppi ha ripetuto ai giudici che dovevano entrare nella mente
di Espenhahn e affermare "oltre ogni ragionevole dubbio" che aveva agito
così "costi quel che costi", ovvero preferendo la logica economica del
profitto e dell'economia rispetto alla vita dei suoi operai. "Dovreste
quindi concludere che Espenhahn è un assassino, e che lui si sia
immaginato le fiamme e i corpi carbonizzati, e abbia deciso di agire
comunque, abbia accettato quell'evento e messo in moto un meccanismo
causale che ne ha portato il verificarsi". "Non è così - ha aggiunto -
le testimonianze dicono che era un maniaco della pulizia, che aveva a
cuore l'incolumità e la sicurezza degli operai. Perché avrebbe dovuto
rinnegare la sua professionalità? Ormai era al vertice della carriera,
non avrebbe ottenuto nulla in cambio se anche avesse mantenuto lo
stabilimento aperto due mesi di più: perché dunque mettere in gioco
delle vite umane e la sua libertà?".

(23 gennaio 2013)



Milano - manifestazione alla sede Ilva

Comunicato

La Rete Nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro e ambiente sarà
presente al presidio davanti alla sede legale dell' Ilva, viale Certosa
249, Venerdì 25 alle h. 18 con lo striscione:"Dall' Eureco all' Ilva
stessa lotta- nocivo è il capitale non la fabbrica"

Per sostenere la lotta degli operai e della popolazione di Taranto che è
la stessa della battaglia per ottenere giustizia per la strage all'
Eureco di paderno Dugnano


Rete Nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro e territorio- nodo
di Milano-Bergamo


per contatti mail: retesicurezzamilano@gmail.com
<mailto:retesicurezzamilano@gmail.com>


cell: 338/7211377

Processo a Monza contro la Breda

Operaio con il morbo di Parkinson

Monza - L'accusa è pesantissima: hanno fatto lavorare un operaio affetto dal 
morbo di Parkinson in un ambiente ideale all'avanzamento della malattia. Lo 
scorso 27 dicembre è entrato nel vivo il processo aperto alla Procura della 
Repubblica del tribunale penale di Monza davanti al giudice Emanuela 
Giovanna Corbetta, contro tre responsabili della Breda Energia di Sesto San 
Giovanni, acquistata dopo la privatizzazione dalla famiglia Pasini nel 1996.
Dopo continui ritardi determinati dalla competenza territoriale fra Milano e 
Monza, a più di un anno dal rinvio a giudizio «per negligenza, imperizia, 
imprudenza, oltre che per violazione delle norme specifiche», è cominciato 
il processo a tre dirigenti della Breda Energia: alla sbarra ci sono il 
datore di lavoro, il 65enne milanese Marco Schiatti, il delegato per la 
sicurezza dell'azienda Marco Bergna (55 anni, che risiede a Monza), e il 
medico aziendale Pierluigi Piantoni, storico medico di Sesto San Giovanni.

I tre dirigenti sono accusati di aver «cagionato al lavoratore Giuseppe 
Rinaldi, operaio specializzato con mansioni di saldatore, l'aggravamento 
della condizione patologica di parkinsonismo (diagnosticato al lavoratore 
sin dal 2000) esponendolo con continuità a fumi di manganese scaturenti 
dalle attività di saldature fino al collocamento a riposo (30 settembre 
2007)». Inoltre gli imputati, come specificato dal decreto di citazione in 
giudizio, «omettevano di adottare, pur a conoscenza della patologia 
lamentata dal lavoratore, le misure organizzative idonee ad allontanare il 
lavoratore da ambienti interessati da inquinamento di fumi di manganese».

Nel processo che, come detto, è entrato nel vivo alla fine dello scorso 
anno, sono stati sentiti i primi 5 testimoni dell'accusa, tutti e cinque 
testi del pubblico ministero Corrado Carnevali a favore della parte lesa, e 
poi i famigliari (i due figli e la moglie costituitisi parte civile). 
Particolarmente interessanti sono state le testimonianze dei compagni di 
lavoro dell'operaio ammalato che hanno confermato che - anche se a 
conoscenza della malattia - i dirigenti e il medico di fabbrica non lo hanno 
mai spostato, esponendolo a continuità ai fumi finché questi è andato in 
pensione.

A sfilare davanti al giudice per deporre sono stati chiamati il commissario 
di polizia giudiziaria di Milano Maurizio Ghezzi, il presidente del Comitato 
per la salute sul posto di lavoro Michele Michelino e tre operai: Marco 
Palmerini, residente a Cinisello Balsamo anche lui con il morbo di 
Parkinson, Roberto Di Prinzio, residente a Paderno Dugnano, e il 
responsabile della sicurezza dei lavoratori, Giuseppe Mongella, di Cusano 
Milanino. Dopo le testimonianze, il giudice ha calendarizzato le prossime 
udienze a fino ai primi di maggio del 2013, data in cui ci sarà 
presumibilmente la sentenza.
Davide Perego



Assemblea nazionale Rete a Taranto: interventi di un operaio Ilva, del'USI-Usicons di Roma e dello Slai cobas psc di Taranto


LORENZO SEMERARO  
SLAI COBAS ILVA

Sono un operaio Ilva, collega di Claudio, anche se non lavoro nello stesso reparto. Ho condiviso lo sciopero che hanno autorganizzato gli operai del MOF perché lo ritenevo giusto, non solo in solidarietà con il nostro collega, ma anche per far decadere un accordo che i sindacati firmarono con l’azienda nel 2010 che permetteva la presenza di un solo operaio nelle manovre ai trasporti ferroviari in Ilva, e a causa del quale Claudio era solo al momento dell’incidente, ed è morto.

Vorrei innanzitutto elogiare questi operai che hanno fatto una cosa mai vista prima nello stabilimento Ilva di Taranto: uno sciopero autorganizzato che è durato ben due settimane.
Per due settimane abbiamo resistito e siamo rimasti in presidio permanente in una tenda fuori della portineria.
È stata anche dura ma abbiamo resistito. Non sono mancate le discussioni, anche del nervosismo e battibecchi tra noi, ma credo sia normale e comunque lo sciopero è durato.
Per fermarlo i sindacati confederali ci hanno invitati a rientrare in stabilimento per discutere con loro di questo accordo, abbiamo rifiutato e anzi abbiamo preteso che fossero i sindacati confederali a uscire dalla fabbrica per venire a parlare con noi.
Solo dopo diversi giorni si sono presentati al presidio due loro iscritti, abbiamo discusso e sono andati via dicendo che avrebbero riferito ai loro dirigenti. Sono tornati subito dopo per dirci che all’indomani rappresentanti ufficiali di tutte le tre confederazioni sarebbero venuti al presidio per parlare con noi, per venire a capo di questo sciopero, parlare e trovare una via di uscita. Ma né il giorno dopo nè nei successivi si è presentato più nessuno. Insomma non c’è neanche un minimo di serietà, di rispetto per Claudio e per gli operai del MOF che in questa lotta hanno perso due settimane di paga, si sono sacrificati a stare sempre lì sotto una tenda alle portinerie, hanno fatto volantinaggi, raccolto firme, richiesto l’anticipazione delle elezioni RSU.
Nessun rispetto per nessuno e per niente di tutto questo, né per chi è morto, né per chi lotta e sciopera.

Se io ho scioperato e sono qua è perché non accetto tutto questo, la linea dei sindacati confederali!

Un ultima cosa: tengo a riferire quanto mi ha detto sull’incidente di Francesco un suo parente con cui ho avuto modo di parlare. Mi ha detto che in quello sporgente del porto ci sono tre gru. Di queste quella centrale è nuova, installata pochi anni fa. Le altre due laterali, su una della quali è morto Francesco, erano molto più vecchie e usurate, tanto che quelle due cabine hanno ceduto e solo una delle due era occupata. Questo fa capire che al di là del dell’imprevedibilità del maltempo, le responsabilità che ci sono. Ancora, sulle gru è installato un sensore che misura la velocità del vento e che si attiva se il vento supera i 50 km orari di velocità. Un sensore che serve a salvaguardare le gru, ma non per mettere in sicurezza la vita degli operai che ci lavorano.


Nella sala dell'assemblea nazionale è stato appeso il grande striscione che è stato sempre presente nella lotta degli operai del MOF:

CIAO CLAUDIO

sullo striscione vi erano le foto di Claudio Marsella e di Francesco Zaccaria con una dedica.




Prima dellintervento di Lorenzo, un forte applauso ha ricordato e salutato Claudio e Francesco, con tutto il cuore, con tutta la rabbia e la determinazione a continuare la nostra battaglia per la sicurezza sul lavoro, per i due nostri fratelli di classe assassinati.
Anche per loro e per tutti gli altri che sono stati uccisi dobbiamo avere ancora più forza per andare avanti.


Lo sciopero degli operai del MOF è stata una pagina nuova non solo per questa fabbrica.
15 giorni di sciopero ad oltranza non si sono mai visti in un siderurgico, per di più nonostante tutta una campagna contro chi scioperava orchestrata da sindacati e azienda.
Ma alla stesso modo vanno elogiati operai come Lorenzo e tanti altri giovani operai che, pur non essendo del MOF, hanno fanno anch’essi 15 giorni di sciopero, spesso scioperando da soli nei loro reparti, perfino rischiando di più degli stessi operai MOF. Questo dimostra che all’Ilva tante cose sono brutte, ma qualcosa sta cambiando e qualcosa di davvero bello sta nascendo tra le file degli operai, a cui affidiamo tutte le nostre speranze che questa lotta si possa vincere.


USI e USICONS ROMA 
GIUSEPPE MARTELLI

Credo che oggi sia una giornata importante, anche se in parte rattristata dai racconti duri che abbiamo ascoltato dagli operai dell’Ilva e di altre situazioni. L’ultima poesia che è stata letta aveva un significato importante: siamo dalla parte giusta, ma sappiamo anche questa battaglia che abbiamo intrapreso da anni, con le nostre poche forze, coi sindacati di base ed altre associazioni, io ne rappresento qui una, l’USI, ci è servita per fare a Roma campagne di denuncia per le tante morti sul lavoro oltre che per tentare di porci come parte civile, cosa che non sempre ci è riuscita, anche siamo riusciti a far chiudere e ristrutturare alcune scuole in cui c’era amianto, il canile con lo stesso problema … E alcune battaglie, nonostante tutto, siamo riusciti a vincerle.
Oggi abbiamo avuto un importante e utile momento di confronto tra compagni, con i lavoratori di Taranto e abbiamo lanciato un segnale importante. Speriamo che questo materiale esca da qui, sia diffuso, perché oggi le campagne di controinformazione hanno un’importanza fondamentale per lottare contro le scelte che questi governi stano facendo.
Pochi mesi fa è passato il decreto sulle “semplificazioni” - su cui abbiamo prodotto ed è disponibile un opuscolo - che rende di fatto inefficaci in tante piccole fabbriche, tutte le normative che avevamo ottenuto col TU 81 sulla sicurezza. Alcuni interventi ricordavano quante volte siamo stati a Roma tutti insieme facendo pressione verso le varie forze politiche, senza ottenere ragione. Per chiedere leggi, decreti che invece che “semplificare” aumentino responsabilità e punibilità in capo ai padroni.
Voi qui avete Riva, altrove ci sono altri padroni, e i padroni hanno tutti un solo interesse, il profitto. Per loro la morte dei lavoratori non ha alcun senso. Quello della Thyssenkrupp sarà, forse, il primo caso in cui qualcuno di loro sta iniziando a pagare.
A Roma la battaglia per difendere i macchinisti che avevano denunciato le ferrovie ed erano stati licenziati ha avuto successo. Continua la battaglia per la sicurezza nelle scuole, un altro dei settori dove di sicuro non c’è nulla. Tutte queste battaglie sono legate e rilanciano oggi la necessità della diffusione della Rete.
Occorre anche un rafforzamento organizzativo della Rete, serve per far pesare di più questa nostra forza, che è ancora piccola ma deve trovare una certezza. Prima di guardare al resto dobbiamo far sì che le class actions, le battaglie che possiamo lanciare per la salute sui posti di lavoro, contro le morti da sfruttamento del capitale perché per quelle morti qualcuno paghi, trovino in noi un referente sempre più affidabile.

Due sono le cose su cui ci dobbiamo impegnare. Primo, Purtroppo anche da qui oggi è venuta fuori la difficoltà della classe operaia a prendere coscienza. È importante far sentire a questi lavoratori che invece qualcuno sta prendendo coscienza. Secondo, non ci possono essere oggi battaglie separate, tutte le nostre battaglie sono unite. Qualcuno diceva “agire localmente ma pensare globalmente”, questo è quello che stiamo facendo e che continueremo a fare come Rete.
Importante oggi affermare il diritto alla salute e il diritto al lavoro come diritto entrambi inalienabili per tutti i cittadini, per tutti in questo paese, dove esiste ancora una Costituzione nata dalla Resistenza che stanno smantellando per difendere oggi interessi dei padroni, dei banchieri, per nascondere gli intrecci Stato-mafia, come ieri hanno usato le stragi e coperto gli stragisti, ricordiamo che tra pochi giorni è il 12 dicembre. Uno governo di padroni e banchieri come quello di Monti non può non difendere e proteggere Riva.
Questa è una battaglia che sarà lunga, che certo non è alla portata delle nostre piccole forze attuali, ma in cui queste forze dobbiamo farle pesare, far prendere nuova coscienza alla nuova classe operaia, per ribaltare la situazione.




SLAI COBAS per il sindacato di classe - Taranto
Margherita CALDERAZZI  

La situazione all’Ilva è chiaramente in questa fase determinata dal decreto del Governo Monti-Clini salva-Riva, che è un aperto diktat verso i lavoratori e le masse popolari di Taranto a difesa di padron Riva, è un via libera a produrre come ha fatto finora.
E’ un decreto, quindi, fatto all’unico scopo di difendere il profitto, e non la messa a norma della fabbrica, anzi è CONTRO una messa a norma che metta in discussione la libertà di produrre. Infatti, dopo aver fatto anche una presentazione dell’Aia falsata (visto che essa è sia nel merito e soprattutto nei tempi totalmente insufficiente rispetto alle necessità di messa a norma), arriva alla vera ragione del decreto “la continuità del funzionamento produttivo dell’Ilva” che “costituisce una priorità di interesse nazionale”.
L’AIA viene resa legge. E’ la prima volta che questo avviene. Il suo essere legge impedisce non solo l’intervento della magistratura ma anche modifiche migliorative frutto della lotta e dell’iniziativa dei lavoratori. Tant’è che l’art. 1 punta proprio a blindare l’Aia, affermando che “le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell’attività produttiva… in quanto in grado di assicurare la più adeguata tutela dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecnologie disponibili, sono esclusivamente e ad ogni effetto quelle contenute nell’Aia”.
Affermato questo, il decreto mette in secondo piano la stessa Aia, e scrivere che la prosecuzione dell’attività può essere fatta subito, “salvo che sia riscontrata l’inosservanza delle prescrizioni dell’Aia”, è un bluff, dato che il 2° comma stabilisce che già prima che si avviino gli interventi previsti, dalla entrata in vigore del decreto l’Ilva “è immessa nel possesso dei beni dell’impresa ed è in ogni caso autorizzata, nei limiti consentiti dal provvedimento di cui al c. 1, alla prosecuzione dell’attività produttiva e della conseguente commercializzazione dei prodotti per tutto il periodo di validità dell’Aia”, vale a dire 3 anni.
E questo - scrive il decreto - deve essere consentito “in ogni caso” al di là dei “provvedimenti di sequestro e gli altri provvedimenti cautelari dell’autorità giudiziaria”; così il sequestro può formalmente restare ma perde ogni efficacia preventiva e deterrente.
D’altra parte come si concilia il via libera all’attività produttiva sempre e comunque, e nella piena gestione dei vertici aziendali con una seria messa a norma che necessariamente prevede il fermo temporaneo degli impianti da mettere in sicurezza e una riduzione della quantità di produzione di acciaio?

Che tutto questo sia posto spudoratamente a riaffermazione che l’unico diritto che va tutelato è quello della proprietà dei padroni, all’art. 2 il decreto afferma pertanto che, non solo l’Ilva può produrre liberamente ma “rimane in capo ai titolari dell’Aia (cioè ai Riva incriminati) la gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti dello stabilimento”.Il decreto diventa così una sorta di condono ai Riva. Il governo invece di perseguire Riva lo premia; è come se ad un ladro che deve restituire ciò che ha rubato, gli si consenta di continuare a rubare per fare i soldi necessari alla restituzione del malloppo.
La nomina di un Garante che deve solo segnalare al presidente del consiglio e ai ministri competenti “eventuali criticità” e al massimo fare proposte, ma non ha alcun potere interdittivo o di prescrizione – tra l’altro una persona che verrà ben pagata, 200mila euro lordi l’anno – non solo non costituisce una “garanzia” ma è anch’esso un provvedimento anomalo: perché incaricare una persona, quando esistono gli Enti di controllo e di intervento preposti: Asl, Ispettorato del Lavoro? Forse perchè questi potrebbero non essere sempre così ligi ai diktat dello Stato?
Il decreto, e tantomeno l’Aia, nulla dice sui livelli di produzione record dello stabilimento Ilva di Taranto, nonostante che il grado di ipersfruttamento degli impianti, la maggiorparte già vecchi, che hanno portato al record di 10milioni medi di t/a di produzione, con conseguente supersfruttamento degli operai che hanno dovuto lavorare con ritmi intensi, in condizioni di insicurezza e di rischio per la salute, ha un nesso dimostrato con i livelli di inquinamento.

Infine, secondo Clini, Passera e Monti, dovrebbe dare garanzia dellìattuazione dell’Aia, la “minaccia” contenuta nel decreto di un’eventuale adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria. Ma Passera poi spiega che “le norme di amministrazione controllata potrebbero togliere enorme valore alla proprietà, il suo bene si depaupera e si arriva fino al punto di perderne il controllo”. Certo Riva potrebbe perdere la proprietà dell’Ilva ma lo stabilimento che lascerebbe sarebbe “depauperato” e quindi con un valore quasi nullo. Chi se lo prenderebbe a questo punto?

Questo decreto, quindi, è contro una messa a norma della fabbrica che metta in discussione la libertà di produrre, è contro la bonifica ambientale, perchè aver dichiarato lo stabilimento di Taranto di rilievo strategico nazionale, vuol dire che ogni intervento se in contrasto con gli interessi strategici nazionali, non va fatto e andrà bloccato.
Questo decreto crea un precedente pericoloso anche per altre fabbriche.

La premessa di questo decreto è la salvaguardia dell’economia dei padroni e, attenzione, la questione dell’ordine pubblico, di impedire, cioè, con l’intervento dittatoriale del governo che si sviluppi una lotta in fabbrica e sul territorioche metta in discussione effettivamente gli interessi nazionali e internazionali di padron Riva e dello Stato dei padroni.
Ciò che il decreto infatti stabilisce è un lavoro forzato, in una fabbrica resa franca da norme e diritti, ci mancherà che tra poco entri in Ilva l’esercito per imporre la produzione ad ogni costo.
In nome di questa “libertà” verranno impediti sia interventi della magistratura, ma anche lotte, scioperi, proteste degli operai. Gli operai sono fantasmi se lavorano e non pretendono; sono un “problema di ordine pubblico”, se protestano e rivendicano diritti. Questa situazione inevitabilmente non farà che peggiorare il clima di insicurezza tra gli operai, che in uno stabilimento come l’Ilva, si traduce immediatamente in rischio per la propria salute e vita.

Ma nello stesso tempo governo, Stato e padroni, con questo decreto si sono creati un grosso problema.
Perchè, se ogni minima rivendicazione di diritti viene vista come un rischio, un problema di ordine pubblico, allora ogni rivendicazione di diritti, sia per la salute, per il lavoro, per l’ambiente DEVE essere un problema di ordine pubblico! Questo devono comprendere gli operai, e anche le masse popolari di Taranto. Questo potrà far cadere sui piedi di governo, padron Riva, Stato la pietra che hanno sollevato.
A Taranto si gioca un pezzo di storia importante del nostro paese, nello scontro tra capitale e lavoro, tra difesa degli interessi dei padroni e difesa degli interessi dei operai e delle masse.

Altro effetto del decretoè che esso riconsegna di fatto la fabbrica nelle mani dei sindacati confederali.
La Fim (che ha detto: “il decreto è una giusta soluzione... L’azienda è un grande gruppo che ha le giuste garanzie…”), e la Uilm (che ha detto: “credo che occorra dare tempo a questa o a un’altra azienda per ottemperare alle prescrizioni…”) si sono subito schierati a sostegno del decreto. Il segretario della Fiom, invece ha fatto lo spirito ad un funerale: “L’Ilva non avrà più scusanti, i lavori per il risanamento ambientale potranno essere finalmente realizzati e nel più breve tempo possibile...”.
La preoccupazione della Uilm e della Fim in questa fase sono le perdite che il sequestro dei prodotti sta provocando all’azienda, e subito hanno dato prova del loro impegno firmando una cassintegrazione che ha una giustificazione solo come ulteriore ricatto/pressione verso il governo da parte di Riva per avere di più. La Fiom fa “forti” dichiarazioni, ma mai che chiami a mezza mobilitazione contro i piani di Riva.

Noi dello slai cobas per il sindacato di classe siamo, possiamo dire, il sindacato “contro i sindacati”! Lo slai cobas è l’opposizione storica in fabbrica, ha offerto il terreno per l’alternativa, nessun operaio può non ammettere che se avessero avuto il coraggio di costruire già negli anni scorsi un grande cobas dentro la fabbrica, non saremmo arrivati a questa situazione. Questa alternativa, benchè più di 1000 operai hanno firmato per l’entrata dello slai cobas e l’anticipo delle Rsu, ancora non si è consolidata e gli operai sono arrivati allo scontro attuale in condizioni di debolezza, confusi.
Un’altra cosa deve essere chiara. Il No operaio alla chiusura dell’Ilva e il ricatto produttivo di Riva e del Governo Monti sono due cose opposte, e servono interessi opposti. Sono gli operai dell’Ilva che negli anni passati hanno lottato, quasi sempre da soli, per la difesa della salute, della sicurezza, dell’ambiente, che oggi, se lottano, possono essere la “garanzia” anche per gli abitanti di Taranto.
Gli operai il 27 novembre quando hanno occupato lo stabilimento e invaso la direzione aziendale, con i dirigenti di Fim, Fiom e Uilm che stavano dentro e non con gli operai;  gli operai del Mof con il lungo sciopero e presidio, isolati e contrastati dai sindacati confederali, gli operai degli altri reparti che hanno scioperato al fianco dei loro compagni rischiando il posto di lavoro, hanno nei fatti posto una parola decisiva a questa situazione, sia pur ancora tutta da consolidare.
In queste lotte, nelle forme di autorganizzazione manifestatesi, sono emersi percorsi diversi e anche settori differenti di operai che vanno uniti: operai in dissenso con i propri sindacati, operai che via via prendono coscienza, ex attivisti sindacali, operai ribelli.
Il percorso può essere differente ma i lavoratori devono essere uniti in un solo sindacato di classe.
Il MOF ha indicato la strada per la messa in sicurezza, ma è il rifiuto del lavoro a rischio che bisogna praticare, utilizzando anche la legge, ma non delegando alla magistratura o agli Enti. Ogni aspetto, oggi più che mai è interno ad una guerra dichiarata da padron Riva e governo.
Il 27 per questo è stato importante. Ma dopo? Poi non si può gridare, come è stato fatto il 27: “I padroni della fabbrica siamo noi” e poi sprecare l’occupazione della direzione, l’imposizione al direttore Buffo di venire a parlare dal camion degli operai ‘liberi e pensanti’ per richiedere... le visite mediche e obiettivi minimalisti.

Lo Slai cobas lavora per l’unità di questi percorsi e di questi settori di operai nella battaglia per il sindacato di  classe nelle mani degli operai. Ma in questo si trova da solo e si deve scontrarsi con personalismo di alcune avanguardie, con discorsi qualunquisti degli operai del Comitato LP contro l’organizzazione sindacale tout court: “tutti i sindacati sono uguali, nessun sindacato”; con ragionamenti dell’Usb che guarda solo alla propria struttura e questa va avanti se ha i soldi.
Questo oggi è il problema, il nodo principale all’Ilva per rispondere adeguatamente alla situazione.