martedì 30 luglio 2013

Morti sul lavoro. Risarcimenti da fame, ma quanto vale la vita di un lavoratore

di  Marco Bazzoni


ROMA - Il 25 Luglio 2013, c'è sta l'esplosione di una fabbrica di fuochi d'artificio a Villa Cipressi di Città Sant’Angelo, nel pescarese, sono morte 4 persone (Mauro Di Giacomo 45 anni, titolare della fabbrica, Federico Di Giacomo 46 anni, fratello del titolare, Roberto Di Giacomo 39 anni, nipote del titolare e Alessio Di Giacomo, figlio di Mauro Di Giacomo) e altre 8  persone sono rimaste gravemente ferite.

L'ennesima strage sul lavoro, che ogni anno fa oltre 1180 morti (dati 2012 Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro http://cadutisullavoro.blogspot.it/) e non  790 morti sul lavoro come ha detto l'Inail il 10 Luglio 2013, in occasione della presentazione del Rapporto Annuale 2012 sugli infortuni sul lavoro.

Rimaniamo sconcertati inoltre dal seguente dato riportato nel comunicato stampa Inail: su 1296 denunce per infortunio mortale, sono 790 sono state riconosciute come infortunio sul lavoro! E' bene ricordare che l'Inail considera come morti sul lavoro solo i suoi assicurati,  quindi in questa statistica non ci soni i tantissimi lavoratori che muoiono in nero e di cui molte volte non sappiamo neanche nulla.

Mihai Istoc, 45 anni, morì sul lavoro nel giugno 2009 cadendo da un ponteggio mentre "lavorava in nero", ma fu buttato vergognosamente, in una discarica abusiva, tra i boschi dell'astigiano, dai suoi datori di lavoro, che in questo modo volevano evitare noie giudiziarie. Solo dopo 4 anni e grazie alla prova del DNA si è riusciti a dare un nome al suo corpo. Mihai Istoc, 45 anni non andrà a finire mai in nessuna statistica ufficiale sulle morti sul lavoro, perchè lavorava "in nero". 

Intanto il tesoretto Inail derivante dagli avanzi di bilancio annuale è arrivato a quasi 20 milardi di euro. Però questi soldi non sono spesi per aumentare le rendite ai familiari dei morti sul lavoro o agli invalidi sul lavoro o per le malattie professionali, ma sono depositati in un conto infruttifero della Tesoreria dello Stato, preso il Ministero del Tesoro e vengono utilizzati dallo Stato Italiano per ripianare i debiti. Nell'Agosto 2012 fu fatta una petizione per modificare il TU 1124/65 (assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali), che regola i risarcimenti per gli infortuni e le morti sul lavoro, che aveva raccolto oltre 4000 adesioni.  Eppure, per la morte di un lavoratore non possiamo assistere a dei risarcimenti da fame: l'articolo 85 del Testo unico 1124/1965, che regola il risarcimento per gli infortuni e le morti sul lavoro, prevede infatti che hanno diritto alla rendita a superstite, in caso di infortuni mortali, coniugi e figli e, se assenti, gli ascendenti viventi e a carico del defunto, che contribuiva quindi al loro mantenimento. Perciò non hanno diritto alla rendita, ad esempio quei genitori delle vittime del lavoro che non risulti ricevessero contributi al mantenimento, dal loro caro ammazzato dall’insicurezza nei luoghi di lavoro.
Che valore daresti alla vita di una persona che ogni giorno fatica per cercare di sopravvivere con la sua famiglia, in un paese come l’Italia, dove chi è ricco continua ad arricchirsi e chi vive a stento gratta il fondo del barile? La domanda può sembrare banale: il valore della vita di una persona non si può quantificare, è inestimabile. Ma per la legge italiana si può dare un prezzo alla vita di un lavoratore morto sul lavoro:2046,81 euro. Il rimborso delle spese funerarie. Meno del prezzo della bara con la quale tre lavoratori, ogni giorno in Italia, lasciano il luogo di lavoro.
Ad oggi, purtroppo, ancora nessuna modifica all'articolo 85 del TU 1124/65. E di lavoro si continua a morire.

Nessun commento: