Disastro ambientale e
omicidio colposo. Queste le accuse contro i vertici dello stabilimento di
Taranto, responsabili, secondo la procura, della morte degli operai per
mesotelioma pleurico
Quattro anni e sei mesi di reclusione. È la nuova
richiesta di condanna formulata dal pubblico ministero Raffaele Graziano
nei confronti di Emilio Riva, 87enne ex patron dell’Ilva di
Taranto, del figlio Fabio e dell’ex direttore della fabbrica Luigi
Capogrosso. Disastro e omicidio colposo sono i reati contestati dalla
procura di Taranto ai tre soggetti già travolti dall’inchiesta “ambiente
svenduto” e ad altri 26 imputati (per i quali sono state chieste condanne tra i
2 e i 9 anni di reclusione), tutti ai vertici dello stabilimento
siderurgico di Taranto dal 1975 al 1995, cioè dalla gestione statale
come Italsider fino a quella privata in mano alla famiglia lombarda. A
rischiare la condanna anche Giorgio Zappa, direttore generale dell’ex Italsider
poi passato a Finmeccanica, Francesco Chindemi attuale amministratore delegato
della Lucchini. La sentenza del processo, prevista per il 23 maggio
prossimo, dovrà fare luce sulla morte di 21 operai deceduti tra il 2004
e il 2010 per mesotelioma pleurico dovuto, secondo l’accusa, all’ingente
presenza di fibre d’amianto presenti all’interno della fabbrica. Per
la procura di Taranto, gli imputati omettevano “di adottare cautele che
secondo l’esperienza e la tecnica sarebbero state necessarie a tutelare l’integrità
fisica” dei dipendenti oltre “ad altre adeguate misure di prevenzione
ambientali e personali” per ridurre la diffusione di polveri dannose. Gli
operai, quindi, sarebbero stati “ripetutamente esposti ad amianto durante lo
svolgimento di attività lavorative” tanto, secondo l’accusa, da ammalarsi
mortalmente. “Questo lungo dibattimento – ha spiegato il pm Graziano durante la
sua requiesitoria – rappresenta uno spaccato della vita della comunità
tarantina. È una vicenda che mostra le gravi violazioni avvenute in fabbrica in
materia di sicurezza in fabbrica”. Il magistrato ha ricordato gli
esiti delle maxi perizie dell’inchiesta “ambiente svenduto” che hanno
certificato la situazione “allarmante” vissuta da operai e cittadini. Le
indagini dell’Arpa secondo il pubblico ministero hanno dimostrato la
“sostanziale compromissione della salute operai” ed evidenziato come tra nei
primi anni ’90 nel capoluogo ionico vi fosse già un tasso di mortalità per
mesotelioma pleurico nettamente maggiore rispetto al resto della Puglia. “È
possibile pertanto ritenere – si legge nelle conclusioni di un documento a
firma di Lucia Bisceglia, dirigente dell’Arpa Puglia – che i soggetti
che hanno prestato servizio presso lo stabilimento siderurgico di Taranto e che
risultano registrati nell’archivio Inps nel periodo 1974-1997 mostrano un
rischio di morire per mesotelioma pleurico pari a più del doppio rispetto a
soggetti confrontabili per sesso, classe quinquennali di calendario e di età
della regione Puglia”. In aula anche il procuratore capo Franco Sebastio
che nella sua breve discussione ha mostrato la prima sentenza di condanna
dell’Italsider datata 1982. “È un ciclo che si ripete – ha spiegato Sebastio –,
ma a differenza di allora, oggi sento parlare di ‘tenere insieme salute e
lavoro’, ma ancora no ho trovato nessuno in grado di spiegare come si fa. La
speranza – ha concluso il capo della procura – è che questa sentenza possa
rappresentare una risposta a questo interrogativo”.
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