Il
13 agosto è avvenuto un infortunio mortale sul lavoro a Beverino, in val di
Vara: Luca Pellegrini, un operaio di 23 anni è morto schiacciato dalla ruspa che
manovrava durante le operazioni di scavo per la realizzazione di un
parcheggio.
Non
è ancora stata chiarita la dinamica dell’incidente: pare che la ruspa si sia
pericolosamente inclinata mentre operava in una zona scoscesa e che, avvertendo
il pericolo, Pellegrini abbia tentato di uscire dall’abitacolo, restando però
schiacciato, al momento del ribaltamento, dal braccio della
ruspa.
Sul
Secolo XIX del giorno successivo è apparso un articolo sull’infortunio, in cui,
come al solito, si attribuiscono tutte le colpe alla “tragica
fatalità”.
Imbestialito
per il solito modo ruffiano con cui i giornalisti parlano di morti sul lavoro,
nascondendo la testa sotto la sabbia per non vedere le reali responsabilità
degli infortuni, ho scritto al Secolo XIX, quanto segue.
Marco
Spezia
*
* * * *
In
merito all’articolo a firma Tiziano Ivani apparso a pagina 14 de Il Secolo XIX
del 31/08/13, relativo all’incidente sul lavoro in cui ha perso la vita Luca
Pellegrini, mi permetto di fare alcune osservazioni.
Ivani,
come fanno troppo spesso altri giornalisti quando scrivono di infortuni sul
lavoro, usa i soliti luoghi comuni, definendo l’incidente “una fatalità
terribile” ed esprimendo il giudizio, del tutto personale e peraltro ancora da confermare visto che le indagini
della Procura sono ancora in corso, che “Si è trattato di una fatalità, non si
ravvedono evidenti responsabilità da parte di altri”.
Da
tecnico della sicurezza sul lavoro da più di quindici anni, posso affermare che
negli infortuni sul lavoro non esiste mai la “tragica fatalità”, ma sempre un
preciso rapporto causa/effetto tra inadempimenti alla normativa vigente di
tutela della sicurezza e l’incidente.
Nel caso in
particolare non posso ovviamente dare giudizi, in quanto dell’accaduto conosco
solo quanto riportato dalla cronaca.
Mi permetto però di
porre delle domande, le cui risposte forse potranno dimostrare che le
responsabilità nell’incidente invece ci sono state.
Innanzitutto, Luca
Pellegrini era stato adeguatamente formato e addestrato sull’uso dell’escavatore
(obbligo ai sensi degli articoli 37 e 73, comma 4 del D.Lgs.81/08)? Il fatto che
lo utilizzasse da anni non comporta automaticamente una sua piena conoscenza
delle cautele da adottare per prevenire incidenti come quello
occorso.
Inoltre,
trattandosi di attività configurabile come Cantiere temporaneo e mobile, sono
stati ottemperati tutti gli obblighi previsti dal Titolo IV del D.Lgs.81/08
(nomina del responsabile dei lavori, del coordinatore della progettazione, del
coordinatore della esecuzione, redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento
e dei Piani Operativi di Sicurezza delle singole ditte)? Una corretta
progettazione delle fasi lavorative, sopralluoghi sul cantiere e una perizia
geostatica avrebbero forse permesso di prevedere il cedimento del terreno sotto
il peso dell’escavatore e quindi di evitarlo.
Infine è stato
ottemperato all’obbligo di cui all’articolo 118, comma 2 del D.Lgs.81/08 che
recita “Quando per la particolare natura del terreno o per causa di piogge, di
infiltrazione, di gelo o disgelo, o per altri motivi, siano da temere frane o
scoscendimenti, deve essere provveduto all'armatura o al consolidamento del
terreno”? Se si fosse provveduto ad adeguati armatura e consolidamento del
terreno, probabilmente non sarebbe avvenuto il ribaltamento
dell’escavatore.
Come vedete la
causa dell’incidente potrebbe quindi essere attribuita al mancato adempimento
degli obblighi citati e non alla sorte o alla fatalità
Vi consiglio
pertanto nel futuro, prima di parlare di “tragica fatalità” in caso di incidenti
sul lavoro, di far valutare ai tecnici del settore (ispettori ASL) come sono
andate realmente le cose.
In caso contrario
farete soltanto disinformazione nei confronti dei lettori, tra l’altro in merito
a una piaga della società italiana, quella delle morti sul
lavoro.
Distinti
saluti.
ing. Marco Spezia
Sarzana
(SP)
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