Mercoledì 11 dicembre alle ore 18.00, presso la sala consiliare del Comune di Bari, il giornalista Giuseppe Armenise, presenta Pane e amianto, ispirato ai fatti di cronaca che a Bari hanno avuto per protagonista la Fibronit
di
Antonello Fiore
Dai dati
raccolti in quasi venti anni di cronache e dal confronto aperto e costruttivo
con un gruppo di giovani studenti attenti alle tematiche ambientali e di
amministratori sensibili e vogliosi di riscattare una città assopita, nasce un
romanzo con centro la storia di un percorso d’amore, di denuncia, di dolore, di
morte, ma alla fine di crescita e riscatto civile capace di affermarsi
nonostante le vittime designate involontariamente costrette a respirare la
fibra utilizzata per più di mezzo secolo una fabbrica d’amianto. Solo che le
vittime non sono gli operi della vecchia Fibronit ormai dismessa nel 1985 e i
cittadini di tre popolosi quartieri di Bari cresciuti attorno alla “fabbrica
miniera di amianto” ma l’intera città, visto che la “fabbrica miniera di
amianto” ha stoccato nel suo sottosuolo tutti gli scarti di lavorazione in
un’epoca dove i controlli non garantivano la salute di nessuno.
E’ questo,
in estrema sintesi, il filo conduttore di Pane e amianto (Poesis editrice),
prima fatica letteraria del giornalista Giuseppe Armenise, da sempre attento
alle tematiche ambientali. Il libro, che verrà presentato mercoledì 11 dicembre
alle ore 18.00, presso la sala consiliare del Comune di Bari, sarà seguito da
una tavola rotonda con la partecipazione di Nichi Vendola, Onofrio Introna,
Michele Emiliano, Maria Maugeri, Giuseppe Gofferdo. Sotto la lente di
ingrandimento di politici ed esperti ci saranno questi ultimi venti anni hanno
visto impegnati società civile e amministratori per impedire un disastro ambientale
e socio sanitario annunciato: inquinamento diffuso da fibre di amianto. Su
questo Ambient&Ambienti ha rivolto alcune domande a Giuseppe Armenise.
Da qualche
anno aumentano i libri che trattano di temi ambientali e della salute dei
cittadini. Sono aumentati i casi d’inquinamento o è maturata una diversa
coscienza che ispira gli autori?
«E’
aumentata la cassa di risonanza mediatica. Negli ultimi due anni, a casi come
quelli dell’Ilva di Taranto e dell’Eternit di Casale Monferrato sono state
dedicate paginate di giornale per settimane e settimane ininterrottamente più
per le inchieste su grandi potentati (politici ed economici) e sui nomi
eccellenti finiti nell’occhio del ciclone giudiziario che per l’emergenza
igienico-sanitaria e ambientale in sé. Il sistema dell’editoria ha
evidentemente annusato l’aria che tira e ha aperto le porte a parole quali
ecomafia e amianto. Io credo che la sensibilità ai temi ambientali, invece,
vada coltivata come tema prioritario e non mediato. Nel mio romanzo Pane e amianto
parlo del caso della Fibronit di Bari, che dalla grancassa dell’informazione
nazionale non è stato neanche sfiorato. Eppure è a Bari che è stata emessa, nel
2005, la prima sentenza in Italia per l’omicidio colposo di dodici ex operai
morti a causa dell’amianto.E sempre a Bari, non altrove, è stato dimostrato il
nesso di causalità tra l’esposizione all’amianto e il decesso per mesotelioma
pleurico, il tumore dell’amianto, di una donna che non ha mai lavorato alla
Fibronit, ma abitava lì vicino. Purtroppo (o per fortuna) nel caso della
Fibronit, azienda dichiarata fallita da anni, non c’era da chiedere
risarcimenti milionari, né da indagare politici di peso.
Una sorta
di cinico federalismo del dolore ha, di fatto, classificato morti di serie A e
morti di serie B a seconda che si parlasse di Piemonte o Puglia. E dunque si
può dire che la sensibilità ai temi ambientali è aumentata? Per Bari, almeno
nei quindici anni che hanno preceduto la messa in sicurezza della Fibronit,
sicuramente sì. Ma ora tira di nuovo un’aria da deriva pericolosamente
revisionista. Tra i tanti motivi che mi hanno spinto a scrivere il romanzo
c’era la necessità di non dimenticare. Spero che la sensibilità sui temi
ambientali possa far argine anche dove invece continua a fare notizia solo il
sensazionalismo».
Ieri come oggi ogni fabbrica che tratta
materiale potenzialmente inquinante rappresenta la sopravvivenza per gli operai
e le loro famiglie e una minaccia indesiderata per gli abitanti prossimi alla
fabbrica. Come conciliare questi due aspetti?
«Nelle
imprese in cui il rispetto dell’ambiente e le certificazioni ambientali sono
giustamente considerati elementi di valore aggiunto dei prodotti industriali,
non solo si vende di più, i lavoratori rendono di più e inevitabilmente è
maggiore il livello di accettazione sociale delle fabbriche. Anche in questo
esiste una sperequazione tra Nord e Sud Italia. I grandi gruppi industriali
hanno sfruttato la debolezza del tessuto economico meridionale per trasferirvi
cicli di produzione già vecchi al momento del loro avvio. Ora non si riesce più
a liberarsene.
Il problema
è che si parla tanto di energia verde, ma in realtà non esiste una svolta
decisa del governo nazionale verso politiche di sostenibilità. Servono scelte
coraggiose e una riconsiderazione del quadro di sviluppo industriale».
Quando ha creduto che i dati raccolti per le
cronache sul caso della Fibronit di Bari potevano diventare un romanzo?
«Quando ho capito, raccogliendo il racconto
dei congiunti dei morti, che la cronaca stava lasciando inesorabilmente lo
spazio alla necessità di entrare in sintonia con queste persone. Gli articoli
di giornale lasciavano sempre qualcosa fuori dalla loro stesura. A poco a poco
l’accumulo di tutta quest’umanità dolente è divenuto tale da non poterlo più
trattenere dentro».
Pane e amianto nasce dalla sua esperienza
diretta di giovane giornalista che ha creduto a un gruppo di giovani idealisti
che ben e realisticamente descrive nel romanzo. Quale forza ha animato i quasi
venti anni di cronaca di una “fabbrica della morte”?
«L’idealismo
di quei giovani laureandi e la consapevolezza che giorno per giorno stavano
acquisendo sempre più credito ai miei occhi. Questo credito era conquistato non
già attraverso la rivendicazione e la protesta sterile, ma con dati di fatto e
un’autorevolezza scientifica nel trattare il caso, che li rendeva
inappuntabili».
A chi ha dedicato il suo primo romanzo?
Beh, è ben
evidenziato all’inizio del libro: alla mia straordinaria compagna di vita, mia
moglie Laura, e ai miei due splendidi figli Domi (Domenico) e Gabri (Gabriele).
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