martedì 22 gennaio 2013

Interventi e messaggi al Convegno di Taranto della Rete Nazionale per la sicurezza e salute in fabbrica e nel territorio- Terza parte


Messaggi della THISSENKRUPP


 ....La nostra fraterna vicinanza e condivisione della causa e della lotta per tutelare il lavoro e l’ambiente per i lavoratori dell’Ilva, e per tutte/i le/i cittadine/i di Taranto e dei comuni limitrofi che vivono la drammatica esistenza di vivere in un territorio dove sembra che lo Stato e la legge siano assenti.
 Una città ed un territorio, in cui sembra esistere da decenni un doppio binario, dove la legge e le regole le debbono rispettare solo i lavoratori ed i cittadini, mentre chi come padron Riva ed i suoi complici e sodali, le violano regolarmente e continuamente, vige l’impunibilità a tutti i livelli, “due binari”, sia giuridico-legale che economico-sociale, sia ambientale, una sorta di condizione di extra-giudiziale, che compromette e condiziona la vita e la società tarantina in tutti i suoi aspetti sociali ed economici, sino a ledere le regole che stanno alla base della nostra convivenza civile e democratica, la Costituzione italiana dentro e fuori lo stabilimento dell’Ilva!!

Per il direttivo “Legami d’Acciaio”
Ciro Argentino ex operaio ed Rsu ThyssenKrupp


Salvaguardare ambiente e occupazione si può, anzi è necessario.
...Dopo decenni di devastazione ambientale occorre risanare l’area dai rifiuti tossici, creando così posti di lavoro utili (non a Riva ma ai tarantini che sono i veri proprietari della fabbrica) e riconvertendo la produzione a lavorazioni non nocive, utili alla società e rispettose di persone e ambiente.
Come è facile intuire non saranno i Riva o il governo a prendere queste decisioni, così come non si adopereranno per trovare le risorse necessarie alla riconversione industriale. Solo i lavoratori, con la lotta per il proprio posto di lavoro, legata alle altre lotte, possono costringere l’Amministrazione locale e il governo a prendere le misure necessarie per salvaguardare ambiente e posti di lavoro...
Gli operai dell’Ilva hanno i numeri, la forza e l’esperienza di lotta non solo per occupare lo stabilimento ma anche altri centri nodali come strade, aeroporto, porto e base militare; hanno la conoscenza e la capacità per gestire lo stabilimento senza le manovre e la sete di profitto di Riva & Co.; hanno l’abilità di sfruttare ogni ambito (trattative a vari livelli, mobilitazioni di piazza, occupazioni, ecc.) di lotta per portare a casa l’unico risultato utile: la ripresa dell’attività (anche riconvertita ad altre produzioni) e le dovute bonifiche.
Solidarietà a chi lotta per la dignità del lavoro!
La soluzione siamo noi lavoratori! Tutto dipende da noi!
Ex lavoratori ThissenKrupp Torino

Processo d’Appello ThyssenKrupp
Da poche settimane è ripreso il processo d’Appello ThyssenKrupp, che vede indagati 6 imputati per la morte dei nostri 7 compagni di lavoro uccisi per profitto la notte del 6 dicembre 2007. La Procura non contesta loro solo il reato di gravi omissioni di cautele antinfortunistiche e incendio doloso ma anche di omicidio volontario (per l’AD H. Espenhahn) con dolo eventuale e per un altro degli imputati, il RSPP Cosimo Cafueri, il reato di istigazione alla falsa testimonianza, avendo avvicinato alcuni testimoni di parte per indurli a testimoniare condizioni di lavoro all’interno dello stabilimento “idilliache”. Le stesse condizioni di abbandono e trascuratezza degli impianti che, come ha dimostrato l’indagine compita dal pool di Guariniello, avrebbero portato alla morte dei nostri compagni.

Nonostante il vergognoso tentativo di scaricare la colpa dell’accaduto sui nostri compagni di lavoro, distratti e intervenuti in ritardo secondo la difesa, ricordiamo che Antonio, Bruno, Roberto, Angelo, Saro, Rocco e Giuseppe sono morti proprio perché hanno compiuto fino in fondo il loro lavoro, anche se sapevano benissimo che stavano per perderlo di lì a poco. Proprio questo attaccamento al loro lavoro gli è stato fatale.
Ritiratesi tutte le Parti Civili dal procedimento (ad eccezione di Medicina Democratica), anche quelle che avrebbero, a parer nostro, dovuto rimanere all’interno del processo anche nei successivi gradi di giudizio, come per esempio il Comune di Torino (che appalta al gruppo tedesco la realizzazione delle scale mobili sia a Porta Susa che a Porta Nuova, con tanto di logo in bella vista!) e gli altri Enti locali e i sindacati, che si sono invece defilati lasciando un vuoto enorme in un procedimento importantissimo non solo per il clamore che la vicenda ha suscitato in termini umani (non solo a Torino) ma anche per i suoi risvolti giuridici e sociali.
Un procedimento già definito storico ma che per noi non potrà che esserlo in una sola maniera: quando vedremo tutti gli imputati dietro le sbarre.

Invitiamo cittadini solidali, studenti, lavoratori, precari e disoccupati, giornalisti, organizzazioni sindacali e di partito, associazioni e tutti coloro che hanno a cuore il tema della sicurezza nei luoghi di lavoro a partecipare numerosi alle udienze in solidarietà con le famiglie delle vittime e con gli ex lavoratori coinvolti in una delle pagine più brutte della storia recente del nostro Paese: un concreto gesto di solidarietà che, legato alle lotte e alle mobilitazioni per il diritto alla casa, alla salute, al lavoro sicuro e dignitoso, sia mirato alla costruzione di una società non più basata sul profitto di pochi ma sul reale progresso dell’umanità e sulla dignità dei lavoratori e delle loro famiglie.

Ex lavoratori ThissenKrupp Torino                                                                                          




FRANCESCO MARESCA  EX OPERAIO ILVA
Sinistra Critica 


Parlare dell’Ilva in questo periodo non è molto semplice, dato che ci confrontiamo oggi e ci scontriamo con due posizioni radicalmente opposte.
Una è la posizione strumentale, promossa principalmente dall’azienda che ha mobilitato le sue truppe nella prima fase della mobilitazione, partita il 30 marzo in occasione dell’udienza preliminare che avrebbe messo sotto processo i vertici Ilva. È seguita poi una seconda fase in cui per contestare i provvedimenti della Magistratura sono scese in campo le organizzazioni sindacali.
Contro questa, l’altra posizione si è manifestata in forma eclatante il 2 agosto, quando un gruppo di operai Ilva, più alcuni, che chiamiamo genericamente cittadini, tanto per non fare polemica con nessuno, si costituiscono in Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti e riescono a mobilitare parecchio, e da allora in poi hanno realizzato numerose e partecipate manifestazioni. I problemi emergono ogni qual volta il Comitato deve prendere delle decisioni, quello che possiamo chiamare genericamente “programma”, cioè: su che cosa ci battiamo? Chiediamo genericamente a Riva di fare investimenti o presentiamo proposte che mettono in discussione il da farsi?
Per tutta una fase ho seguito da vicino la vita del Comitato e posso dire che il problema vero è che al suo interno si è scatenata la parte più conseguentemente e irriducibilmente per la chiusura dello stabilimento. E attualmente all’interno del Comitato è ancora prevalente questa posizione, anche se ufficialmente la posizione del Comitato è che Riva deve mettere mano al portafoglio e pagare le ristrutturazioni per la messa a norma degli impianti. Perché dico che la posizione per la chiusura è di fatto quella che prevale? Perché aggiungono, dato che già sappiamo che Riva non vuol cacciare un centesimo è certo che lo stabilimento chiude.
Secondo me, invece, uno stabilimento come quello, per quante disgrazie possano capitare, non può essere chiuso per mille motivi, da ultimo, in ordine cronologico per il recente decreto del Governo.
Un provvedimento che ritengo di una gravità assoluta.
Dunque i problemi nel Comitato nascono da questo tipo di posizione, cui ovviamente si attengono tutte le organizzazioni ambientaliste. Questi pensano che la chiusura dell’Ilva determinerà un cambiamento strutturale della crescita produttiva. Detto in termini schematici, il passaggio a una crescita centrata sulle cozze, la piscicoltura, l’agricoltura, la pastorizia, ecc. E in più ci sarebbe la valanga di soldi necessaria per le bonifiche.
È stato veramente inutile sgolarsi per mesi per dire: “guardate, che questa è la strada peggiore, è la strada che già è stata percorsa in altre situazioni. Vogliamo parlare della Sardegna, dove le aziende chiudono a catena e non succede niente? Dove gli operai devono abbarbicarsi nella difesa della Alcoa, addirittura delle miniere, che sono dieci volte peggiori della siderurgia?”
Niente da fare: si insiste a proporre questa strada, annunciando in modo un po’ favolistico che arriveranno miliardi per bonificare Taranto. Inutile è stato spiegare che se, per ipotesi, l’Ilva chiudesse non arriverebbe neanche un centesimo come, per fare un esempio più vicino a noi, non è arrivato un centesimo a Bagnoli, dove dal 1993 si promettono bonifiche che ancora nessuno ha realmente visto. Tirano poi in ballo, a sproposito, l’esempio della chiusura dell’area a caldo di Genova, frutto di presunte grandi mobilitazioni di cittadini, quando in realtà i nostri compagni che a Genova vivono e operano ci hanno confermato che a suo tempo ci furono mobilitazioni di circoli ristretti rispetto alla dimensione della città. È vero che a Genova Riva ha chiuso l’area a caldo ma nessuno vuole ammettere che per farlo Riva ha beccato un sacco di milioni. Nel ’98, quando io ero ancora in fabbrica Riva fece un accordo che discutemmo in consiglio di fabbrica, dove ci raccontarono la barzelletta che sarebbe stata spostata a Taranto la produzione di altri due milioni di tonnellate quando già la produzione, che allora era su cinque altiforni, aveva raggiunto il suo massimo. Comunque sia, nel ’98 si fa quell’accordo ma l’area a caldo è stata chiusa solo nel 2005. Dunque nel 2005 Riva aveva l’alternativa: spendere 15, 20, qualcuno dice 30 milioni per rifare l’unico altoforno ancora attivo a Genova, o incassare i 50 milioni che lo Stato e la Regione gli offrivano per chiuderlo, più la gestione per 50 anni dell’area demaniale del porto? Secondo voi Riva che cosa poteva scegliere? Perché gridare alla vittoria, quando, nel migliore dei casi, è una vittoria di Pirro? È vero che la gente che abitava vicino l’impianto ha ottenuto un grande miglioramento, ma non la spacciamo per una vittoria generale. Vittorie sono quelle che tu riesci a determinare con le tue forze, cosa impossibile finché i rapporti di forza restano a vantaggio della borghesia e dei padroni, quindi anche di Riva. Altro esempio che tirano in ballo è quello di Dusseldorf, dove lo stabilimento è stato chiuso e ricostruito in altro sito con tutte le più nuove tecnologie, ovviamente sempre nell’interesse dei padroni. Ma alcuni compagni sono andati a visitare questo nuovo stabilimento ed effettivamente raccontano che la produzione è “pulitissima”. I parchi minerari li hanno collocati a 300 km dallo stabilimento e dall’abitato, spostano settimanalmente dai parchi solo il quantitativo di minerale necessario per una settimana di produzione, 10 giorni al massimo, col risultato di avere cumuli molto bassi. Bene, ma dov’è il grosso dei parchi? Sul Reno! Ed è questa una soluzione? È una soluzione come quella che ho sentito proporre nel Comitato: spostiamo l’Ilva verso Massafra … e che a Massafra sono più scemi? Ancora peggio, ho sentito dire: lasciamo fare queste produzioni ai paesi in via di sviluppo, detto da gente che non si rende conto del suo razzismo strisciante: come se si dicesse, i cinesi sono un miliardo e mezzo, più di un miliardo sono gli indiani, lo stesso Brasile è i forte crescita, possono permettersi di far morire qualcuno, mentre noi che siamo in decrescita è bene che ci salvaguardiamo. Come si fa a ragionare così? È un ragionamento reazionario, una posizione che va battuta. Si può anche essere per la chiusura dell’Ilva, ma non è accettabile che si pensi che si possa spostare altrove, dove gli altri sono inferiori a te.
La mia opinione è che oggi ci sono tecnologie di produzione, dette corex e finex, avanzate al punto che azzerano il danno dato dallo stoccaggio e passaggio di minerale dalle cockerie agli altiforni, utilizzando un minerale agglomerato che non produce diossina in quanto annulla la sinterizzazione che avviene all’interno dell’agglomerato. Se esistono queste tecnologie perché produrre tutti a Taranto gli 8 milioni di tonnellate previste dalla nuova AIA? Non potrebbero invece restare a Taranto due, massimo tre altiforni dotati di queste tecnologie e spostare il resto della produzione, con la stessa tecnologia in altri siti siderurgici?
Ma su questo pesa il macigno dell’ultimo infame provvedimento del governo. Noi pensiamo che l’aspetto peggiore del decreto non è aver scippato il problema dalle mani della Magistratura e fermato l’inchiesta, la carognata peggiore è che hanno elevato lo stabilimento di Taranto al rango di stabilimento di rilievo strategico nazionale, il che vuol dire che tutta la produzione di qui non se ne andrà mai più né può essere cambiata se non in accordo con gli interessi strategici nazionali.
Il ritiro di quel provvedimento va chiesto per questo motivo, non perché delude chi credeva che l’Ilva avrebbe chiuso in pochi giorni, ma perché mette una pietra su qualsiasi ipotesi seria di bonifica, in nome dell’interesse strategico nazionale. Per fare un esempio: solo un cambio di tecnologia e la riduzione della scala dell’impianto può permettere la soluzione del problema dei parchi. Ristrutturare una fabbrica come quella è possibile solo se c’è la volontà politica di governo di diffondere la produzione siderurgica. Ma questo governo non ha più niente da dire sulla politica industriale, salvo imporre l’ultimo diktat.
Solo l’entrata in campo della classe operaia potrebbe cambiare questo stato di cose. Ma purtroppo dato il livello di coscienza attuale, questa classe operaia è abbarbicata a quel posto di lavoro, ha paura di perderlo e invece di dotarla degli strumenti per comprendere qual’è il processo che andrebbe perseguito, si cerca di convincere che ormai siamo tutti morti, e perciò tanto vale che lo stabilimento chiude e tanti saluti a tutti!


PIERO FRICELLI SLAI COBAS ILVA


Sono un operaio dell’Ilva e abito a Tamburi.
Innanzitutto vorrei dire che questo è il decreto di uno stato dittatore. Oltre ad essere un decreto infame nei contenuti, è un decreto anticostituzionale! Contro la Magistratura, la città di Taranto, gli operai dell’Ilva. Sia chiaro che è un precedente pericoloso.
Detto questo, bisogna anche dire che non è vero che gli operai all’Ilva non stanno cambiando. Io che lavoro all’interno posso dire chiaro che gli operai stanno prendendo coscienza.
Guardate, la cosa peggiore fatta contro gli operai, gli operai italiani, non solamente quelli dell’Ilva, è il contratto di formazione, che prevede 24 mesi di formazione, se durante questi tieni la testa bassa, accetti tutto senza lamentarti, vieni confermato, altrimenti sei fuori della fabbrica. È così che viene imposto agli operai un tipo di lavoro di cui oggi quasi tutti noi operai ci stiamo lamentando.
Lo stiamo facendo perché abbiamo preso coscienza, sono morti poche settimane fa due ragazzi. Personalmente la cosa mi fa anche incazzare, perché non dobbiamo aspettare che muoiano due operai per fare un’azione vera, bisognava farla prima, dire le cose come stanno, dire come stanno funzionando gli impianti.
All’Ilva, secondo stabilimento siderurgico in Europa, primo a livello nazionale, abbiamo il contratto dei metalmeccanici. Il perché i sindacati ancora ce lo devono spiegare, in 50 anni i sindacati che stanno all’interno dello stabilimento, nessuno ha mai detto che l’Ilva inquina. Perché? Perché era anche loro interesse, o per altro?
Io oggi sto soffrendo per questa situazione e siamo noi operai, nel magna-magna generale in cui tutti stanno bene, che se la passano peggio e gli tocca scendere in piazza.
Io sono di quelli che non ha fatto mai nessuno sciopero a comando dell’azienda. Io non sciopero per l’azienda e non sciopererò mai! Io sciopero per i miei diritti, per la mia dignità, che nessuno è autorizzato a vendere. In Italia, invece la dignità degli operai è stata venduta. La vera dignità della classe operaia secondo me non esiste più. Io sono uno di quelli che sta facendo le sue lotte per la tutela mia personale e di tutti gli altri e per questo mi hanno detto che sono un vagabondo, un delinquente, un mafioso. Se non c’è una legge che mi tutela, se la 626 non c’è più, allora mi tutelo da solo.
Per quanto riguarda gli operai dell’Ilva, è vero che hanno paura, perche a Taranto non ci sono alternative all’Ilva.
Io sono un operaio dello Slai cobas. Prima ero nella Fiom ma ho smesso di avere fiducia nella Fiom e nella Cgil. Poi sono passato alla Uilm, e mi veniva da piangere… sono passato alla Fim, e ho continuato a piangere… alla fine ho fatto una scelta. Ho scelto lo Slai cobas e la mia scelta la sto divulgando all’interno della fabbrica. Posso dirvi che è una lotta lunga, dura, perché rimbalzo sempre contro un muro di gomma, non dell’azienda, ma tra gli stessi operai. Tra gli operai il problema è che manca chi li guidi, manca una guida per gli operai. Se io ho una Ferrari e non la so guidare, quella Ferrari rimarrà sempre ferma… Noi operai Ilva siamo tutti delle “Ferrari”, basta avere una persona che ci guidi e noi potremo vincerla qualche battaglia. Per questo occorre la volontà di confrontarci, di capire e poi di agire.
A proposito dei “Liberi pensanti”. Io sono un lavoratore, un cittadino, sono libero e penso a modo mio. La penso a modo mio sulla difesa del mio posto di lavoro. E sono un cittadino di Taranto, dei Tamburi, abito a 20 metri dai parchi minerari. Io e i miei figli abitano là. Perché ho comprato casa proprio là, perché quella potevo permettermi. Ma non è giusto che mi compro una casa dove devo morirci. È possibile trovare una soluzione per i parchi, basta volerlo.
Altra cosa da dire è che la Magistratura nei 50 anni prima delle ultime inchieste nessuno l’ha mai sentita. E venuta fuori adesso, deve essersi rotto qualche equilibrio interno per non  so che cosa. Questo credo, posso anche sbagliarmi.
Comunque sia, ben venga la Magistratura, ma all’interno dello stabilimento tutti gli operai sappiamo che gli interventi non si faranno. Perché questo decreto Salva Riva, non l’Ilva e tanto meno gli operai. Lo hanno scritto in 6 ore e io non ricordo nessun decreto fatto in 6 ore a tutela dei lavoratori! Non lo abbiamo mai visto! Lo vediamo ora, per salvare i capitalisti e mandare a morte gli operai.
A proposito dell’area caldo di Genova che è stata chiusa. Io oggi faccio le mie lotte e quando vedo gli operai Ilva di Genova affermare che lo stabilimento Ilva di Taranto sarebbe solo al 52° posto per l’inquinamento, non ci sto più! Non ci sto quando li sento dire: veniamo noi a Taranto fare le lotte, come se noi non fossimo capaci di fare le nostre lotte.  Attaccano la nostra dignità di uomini e lavoratori e io che vivo di orgoglio e di dignità non accetto di essere offeso da nessuno.
Tanto per essere chiaro coi miei colleghi di Genova, l’idea nostra, di tanti operai è: avete voluto chiudere l’area a caldo perché sapevate di morire e oggi chiedete alla città di Taranto di sacrificarsi? Non ci stiamo! Fate gli operai, mostrate solidarietà per gli operai di Taranto. è giusto che noi e voi difendiamo il nostro posto di lavoro. Io no chiedo la chiusura dell’Ilva, chiedo certezze.
Lavoro in un’acciaieria che è ancora quella di 50 anni fa. Noi sappiamo bene come stanno le cose e in che condizioni lavoriamo. Lo sappiamo noi operai. Per chi sta fuori e non conosce questa realtà, è facile parlare.
Oggi per l’ennesima volta, ho accusato i sindacati. I sindacati mi hanno sempre detto la stessa cosa: noi facciamo il sindacato che riusciamo a fare, ma il sindacato non ha mai detto all’azienda: l’impianto è in queste condizioni, cambiamo! A me non serve il sindacato per farmi fare il 730, quello posso farmelo da solo. Io voglio pagare la tessera perché tu mi difendi. Mi devi tutelare, ma questo non succede.
Un esempio stupido: ieri ho fatto il turno di notte sulla gru. E, col freddo che ha fatto, la mattina mi sono alzato dalla postazione con mal di schiena e mal di testa, vento e freddo entravano in cabina. Oggi sono andato al lavoro e ho detto: io vi fermo la gru se non ripristinate immediatamente il riscaldamento! Pochi minuti dopo sono arrivati i tecnici a ripristinare la gru!
Ma sono solo e da soli la guerra non si vince. Se sono solo l’azienda può schiacciarmi, lo so, ma nel frattempo faccio rispettare i miei diritti. Il mio diritto al lavoro, il mio diritto alla salute e il diritto alla sicurezza, mio e di tutti gli altri operai.
Chi si rifiuta di lavorare su un impianto mal messo, viene subito bollato e gli dicono: non lo fai tu, lo farà un altro. Chi deve cambiare per primo è il lavoratore, deve avere il coraggio di dire: mi rifiuto per la sicurezza mia e degli altri.
Chiudo dicendo che sto dalla parte di tutti i lavoratori, dall’Alcoa all’Ilva di Taranto, anche se non sono d’accordo con qualche idea di qualche lavoratore, anche se capisco che tutti cerchiamo di difendere il nostro posto di lavoro.


Per Rete nodo MILANO

GIUSEPPE GAGLIO


Innanzi tutto porto i saluti anche di chi con la Rete/Milano lavora e che oggi non è potuto venire, come: A.I.E.A (associazione italiana esposti amianto) di Paderno Dugnano; Comitato Sostegno Vittime e Operai Eureco; Cittadini Contro l’Amianto di Cremona; Comitato Arvedi (acciaieria) di Cremona.
Noi sentiamo la questione che si sta combattendo qui a Taranto all’Ilva, come una cosa che ci riguarda.
La Prima ragione, che abbiamo verificato anche nello scoppio all’Eureco di Paderno dove hanno perso la vita 4 operai, 2 italiani 2 immigrati, è il fatto che gli operai continuano a morire, come all’Ilva, sta passando in secondo piano o per lo meno sta diventando, come sempre, una normalità che le prime vittime della logica del profitto sono gli operai. All’Ilva a due giovani operi, non solo è stata rubata la vita ma anche i sogni di avere il diritto ad un futuro. E questo non possiamo permetterlo!
L’altra questione che ci fa dire che la questione Ilva di Taranto ci riguarda anche in città come Milano, è perché anche a Milano esiste questa contraddizione a livello cittadino tra diritto al lavoro-diritto alla salute. Ebbene da Milano noi diciamo ai tanti che qui dicono: “chiudere la fabbrica”, che nella nostra città le fabbriche hanno chiuso. Ma quando le fabbriche erano aperte, gli operai hanno spinto a che si costituissero Associazioni, meritevoli, come Medicina Democratica. Mostrando a tutti quanti che per primi gli operai non solo lottano per il diritto al reddito, diritto al lavoro e al lavoro sicuro, ma lottano anche per gli altri, per il diritto alla salute di tutti. E quindi la loro lotta non è in contrapposizione alla città. Poi le fabbriche hanno chiuso, gli operai hanno perso il lavoro, ma niente è stato bonificato. E Milano è la capitale dell’Amianto. Che sta in tutti i siti. Ci hanno costruito i centri residenziali, con la gente sopra, ci vogliono costruire anche gli ospedali.
Ci siamo lasciati con quelli che oggi non sono potuti venire qui a Taranto, che nelle prime settimane di gennaio prossimo, parleremo, approfondiremo la questione dell’Ilva; anzi c’è una richiesta specifica, fatta da una responsabile del Comitato Arvedi, ed è un invito, in primis agli operai Ilva, affinché si faccia uno sforzo in più, che un operaio, qualcuno di Taranto venga su, perché c’è necessità di sentire direttamente le cose che hanno detto qui, oggi.

 L’Eureco - il cui proprietario è Merlino Giovanni - è, era, una fabbrica per lo smaltimento di rifiuti speciali, ma che operava ed opera in altre province e regioni. Come prassi, illegale (conosciuta e “tollerata” dalle Istituzioni), lo ha fatto non rispettando le normative sulla sicurezza, usufruendo della compiacenza e legittimazione dalle Autorità preposte al controllo-verifica-autorizzazioni, evadendo il fisco, utilizzando manodopera precaria e in nero, infischiandosene della salute e sicurezza sia dei lavoratori che della popolazione che abita nei pressi della fabbrica. Nel tardo pomeriggio del 4 novembre 2010 un’esplosione tremenda ha “sconvolto” la “tranquilla” routine del territorio padernese. Quello che era stata una delle tante aree produttive dell’hinterland della Provincia di Milano è ripiombata indietro nella storia. Una tragica fatalità? Niente affatto!
1) Non più tardi tre mesi prima all’Eureco si erano verificati “piccoli” scoppi e incendi. Prontamente denunciati dalla popolazione, comitati e associazioni ambientaliste che “prontamente” venivano “rassicurate” dalle Autorità, carabinieri e vigili, su tutti
2) Non era il primo caso di incidente che succedeva in un sito gestito dal “signor” Merlino. Nel 2005 a San Nazzaro dei Burgundi, provincia di Pavia, era morto un operaio e Merlino è stato condannato, patteggiando una “condanna” di una manciata di mesi
3) Dopo questa condanna gli organi preposti hanno continuato a rilasciare le autorizzazioni.
Ma lo scoppio del 4 novembre costringe tutti a manifestare il loro “sdegno”; la loro “commozione”, la loro “vicinanza” ai lavoratori, prima, gravemente ustionati, poi, morti,  la loro “disponibilità” a sostenere i familiari, i lavoratori feriti e tutti gli altri. Per alcune settimane il caso riempie le pagine dei giornali. Arriva la Commissione Parlamentare, guidata dal Senatore Roilo (molto conosciuto a Milano per il suo passato ruolo di dirigente della Camera del Lavoro milanese), che dichiara subito che vi sono delle evidenti colpe-omissioni, oltre che del titolare, di Organi Preposti-politica-Autorità che sono le cause della tragedia; che questo caso è un caso nazionale e che la Commissione si sarebbe prodigata affinché si facesse GIUSTIZIA. Si tengono riunioni del Consiglio Comunale di Paderno “aperte”, promosse dal Sindaco leghista Alparone (le precedenti giunte erano state di centro sinistra) che afferma: «... È’ stato tremendo, e ne sono ancora scosso profondamente. Adesso la mia principale preoccupazione è verso di loro e delle loro famiglie. Spero che si riprendano nel più breve tempo possibile». Ma la giunta di Paderno ha bocciato l’appello del Comitato di sostegno vittime Eureco e di altri organismi, tra i quali la Rete, per un sostegno economico alle precarie condizioni di familiari e operai superstiti; sino al punto che la moglie di una delle vittime ha dovuto pagarsi di tasca propria e con sottoscrizioni il rimpatrio della salma del proprio caro, o che uno dei superstiti ha dovuto subire lo sfratto, tamponato solo grazie alle iniziative del Comitato.
Ma ciliegina sulla torta sono le dichiarazioni politiche di questo signore, che parlano da sole: “Lo stabilimento è sotto controllo”; «Questa fabbrica - continua Alparone - è presente a Paderno da tanti anni ed è un sito approvato, sotto controllo, con tutte le autorizzazioni previste dalla legge. Come amministrazione abbiamo sempre fatto tutte le verifiche del caso e continueremo a farle, con un monitoraggio completo delle attività produttive della zona. Certo sarebbe sempre meglio che queste realtà industriali non fossero così vicine ai centri abitati. L’Arpa sta facendo al momento tutti i rilievi del caso, e non sono segnalati pericoli immediati.». C’è poi chi offre il sostegno nel processo, ancora lungi dall’essere istruito, come il candidato a sindaco di Milano, Pisapia (dichiarando che se verrà eletto, come poi avviene, metterà a disposizione lo Studio di avvocati da lui diretto e si prodigherà affinché vengano sostenute economicamente le famiglie degli operai morti e di quelli feriti). C’è chi il giorno dopo lo scoppio dice di non sapere niente di quanto successo all’Eureco, come il Segretario della Cisl Bonanni, che dichiara ai cronisti “Non so nulla, non ho letto i giornali, ero chiuso in riunione”, e lo fa, ironia “macabra” la definiscono gli stessi cronisti, mentre è a un convegno a Milano dal titolo: “Persona, lavoro e politica”.
C’è chi dice, come la dirigente della Camera del lavoro milanese che il comunicato della Rete  “All’Eureco come alla Thyssen bruciano le vite operaie in nome del profitto”, è il “loro” slogan e, anzi fa di più, si dice disponibile a co/promuovere insieme e con altre associazioni la manifestazione per il 4 dicembre a Paderno lanciata da noi. Promessa rimasta lettera morta, ma che nel proseguo della vicenda getta un velo di ipocrisia e discredito sulla Cgil, quando nelle udienze preliminari si è costituita parte civile a fronte del fatto che non era presente in fabbrica e senza citare il fatto che negli anni precedenti non aveva detto nulla sul fatto che all’Eureco il responsabile RLS lavorasse in un altro sito e non in loco, e che su scala nazionale ha ostacolato il lavoro e l’impegno anche dei propri delegati.
Da subito come Rete ci siamo adoperati per costruire co/promuovere iniziative-presidi-manifestazioni. Abbiamo distribuito appelli a giornalisti, politici, associazioni operanti in materia, nell’ottica di unire le forze per incidere in maniera più contundente; sindacati di base e di classe che vogliano lavorare in maniera unitaria contro logiche di “parrocchia” e costruire l’unità dei lavoratori, con gli studenti in lotta per il diritto alla scuola pubblica (coscienti che nelle già precarie e fatiscenti condizioni a cui hanno ridotto la Scuola rischiano la salute e la stessa vita studenti-insegnanti-lavoratori); con i movimenti per il diritto alla casa (per aver più volte denunciato le condizioni nelle quali Comune di Milano e ALER fanno “vivere” proletari e le masse più deboli nelle case popolari con coperture in amianto e rifiuti tossici/cancerogeni sotto le fondamenta (dove sono emerse le collusioni criminose tra politica e mafie varie); con i movimenti contro la devastazione ambientale come il comitato NoExpo (purtroppo siamo stati e siamo voce solitaria nel denunciare i tanti incidenti e morti che vi sono già stati intorno a questa inutile “grande” opera);  con gli immigrati, casualmente, nello stesso periodo dello scoppio all’Eureco, in lotta, principalmente a Milano (Torre di via Imbonati) e a Brescia (sulla gru), per mostrare che sono uomini e donne e non invisibili o schiavi o carne da macello da immolare alle logiche del profitto come li vuole questo sistema, ricordando che all’Eureco, ma non solo, erano morti operai non solo italiani ma principalmente immigrati venuti dall’Albania; con artisti, coscienti che spesso la loro Arte, sia che siano immagini-film-teatro-poesie, smuove le coscienze, le menti e i cuori di molti.
Alcuni di quelli da noi raggiunti hanno contribuito a costruire e partecipare all’iniziativa del 4 dicembre 2010 davanti il Comune di Paderno che si è conclusa con l’affissione di uno striscione davanti la fabbrica. Altri hanno assicurato il loro impegno in futuro, ma si sono persi per strada, mostrando la loro “vicinanza” agli operai a corrente alternata; altri ancora hanno disertato, pensiamo per concezioni sbagliate, della serie “gli operai non ci sono più” o “i lavoratori non lottano”.

Oggi, vi è la battaglia del processo che mostra la necessità e il dovere, per tutti, di esserci per affermare che la sete di GIUSTIZIA, che arde nei cuori e nelle menti dei famigliari delle vittime, trionfi all’Eureco come ovunque.
Diciamo subito che si è arrivati al processo con difficoltà e con i soliti tempi lunghi della Magistratura italiana, tipici, quasi sistematici, quando si parla dei diritti dei lavoratori.  Infatti il GUP, Bertoja, ha pensato “bene” di rinviare il Merlino non per omicidio plurimo doloso ma per omicidio plurimo doloso. “Legittimo” interpretando le normative giuridiche, ma osceno nella forma e contenuto. Ancor più osceno sono state le udienze preliminari per le accettazioni della costituzione delle Parti Civili. Il Magistrato ha respinto la costituzione del Comitato di sostegno alle vittime perché si è formato dopo lo scoppio (forse si sono dimenticati di costituirsi, in maniera preventiva, prima. Buono a sapersi!);  di Associazioni come Medicina Democratica, “perché non preesiste un’attività sul territorio preventivo..” (come se fosse questo l’impedimento per annullare il lavoro di questa emerita Associazione); dell’A.I.E.A Nazionale “in quanto associazione che si batte per l’abolizione dell’utilizzo di amianto che non risulta smaltito all’Eureco” (nonostante dati emersi dalle indagini e dichiarazioni di alcuni operai, che hanno evidenziato il fatto che erano costretti a mescolare l’amianto con altre sostanze e a stare zitti); dell’ANMIL Onlus “in quanto si rende palese da Statuto il compito di assistenza alle vittime e familiari di infortuni  e malattie professionali e non di prevenzione..”; di sindacati come A.L.L.C.C.A CUB “in quanto lo Statuto si richiama alla difesa e interessi economici dei lavoratori del settore chimico e non ha scopi di prevenzione di infortuni e malattie professionali..” (qui un lato siamo “concordi” col GUP – non di certo perché abbiamo la stessa visione del ruolo di un sindacato degno di questo nome e che faccia il proprio lavoro – ma perché il suddetto sindacato ha cercato di costituirsi parte civile in maniera strumentale per averne un ritorno d’immagine; dall’altro dissentiamo senza se e senza ma, perché il Gup ha, invece, accettato la costituzione della Cgil “per danno d’immagine..”, quando i danni e non solo d’immagine dovrebbe chiederli gli operai alla Cgil per il suo ruolo e lavoro di connivenza con gli interessi del padrone); di un familiare come Antonella Riunno utilizzando il latino “iure proprio” “petitum” “iure hereditario”, per dire che gli altri famigliari erano legati da uno stretto vincolo di parentela e lei no (perchè pur vivendo insieme non erano sposati).
Mentre il GUP Bertoja ha accettato la costituzione del Comune di Paderno “in quanto più vicino agli interessi dei cittadini..”. Se non fosse tragico ci sarebbe da ridere, ricordiamo a tutti quanto scritto precedentemente. Vogliamo sottolineare solo due cose: 1) il Gup, anche se la legislazione glielo permette, non si è attenuto a fare il suo lavoro di Giudice, ma si è permesso di entrare nel merito del Procedimento “augurandosi che si giungesse ad un accordo, di natura economica, tra le parti evitando così il processo”, permettendo così al Merlino il Patteggiamento quando è anche un recidivo e già condannato per le stesse ragioni e, di fatto, monetizzando gli ASSASSINI sul lavoro; 2) riteniamo sbagliata la linea seguita dagli avvocati dei familiari di accettare il capo d’imputazione, Colposo invece di Doloso, perché diverso da quello applicato al processo Thyssen, e che deve esserlo per tutti i processi, perché se è vero che i familiari e gli operai feriti versano in gravi condizioni economiche non sono i soldi che possono restituirgli i propri cari e compagni di lavoro né rendergli GIUSTIZIA.
4 morti al giorno sono l’evidenza di una GUERRA, non dichiarata ma messa in pratica, da questo sistema contro la CIVILTA’ del lavoro e di chi vive i territori. La sola battaglia giudiziaria, i presidi, le manifestazioni, ecc., non basta, serve una rivoluzione politica e sociale, che dal basso e unendo tutte le energie disinteressate e vogliose di esserci, spazzi via questo sistema che afferma il primato del PROFITTO su quello UMANO.








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