giovedì 15 dicembre 2011

SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS ! - NEWSLETTER N.99 DEL 14/12/11

SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS ! - NEWSLETTER N.99 DEL 14/12/11


In questo numero:

- Obbligo di fornitura ai lavoratori dei DPI e valenza legale delle
procedure di un sistema di gestione

- Basta di indignarsi se si muore per 5 euro l' ora !

- Intervista a Raffaele Guariniello su salute e sicurezza sul lavoro

- Sui requisiti dell' autonomia del lavoratore autonomo

- La sicurezza durante la manutenzione: valutazione dei rischi



Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.



La diffusione è gradita e necessaria. L' obiettivo è quello di diffondere il
più possibile cultura della sicurezza e consapevolezza dei diritti dei
lavoratori a tale proposito.



L' unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la
fonte:

"Marco Spezia - sp-mail@libero.it"

DIFFONDETE & KNOW YOUR RIGHTS !



Marco Spezia

RETE NAZIONALE PER LA SICUREZZA SUL LAVORO



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OBBLIGO DI FORNITURA AI LAVORATORI DEI DPI E VALENZA LEGALE DELLE PROCEDURE
DI UN SISTEMA DI GESTIONE

LE CONSULENZE DI SICUREZZA - KNOW YOUR RIGHTS ! - N.19



Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA - KNOW YOUR RIGHTS !
è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno
richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire che
per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a
fare chiarezza sui diritti del lavoratori.



Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di
leggere le mie newsletters, queste consulenze.



Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire un' utile
fonte di informazione per tutti coloro che hanno a che fare con casi simili
o analoghi.



Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle
persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.



Marco Spezia





QUESITO



Caro Marco,

oggi la mia azienda ne ha inventata una nuova con la complicità del RLS
compiacente, che ancora non siamo riusciti a far dimettere.



In una lettera, fatta firmare ai lavoratori per ricevuta, l' azienda
comunica:



"In ottemperanza a quanto disposto dall' articolo 18, comma 1, lettera d) e
dall' articolo 77 del D.Lgs.81/08 e s.m.i., in riferimento alle esigenze
personali evidenziate da taluni lavoratori in occasione di fornitura dei
DPI, con specifico riferimento alle calzature antinfortunistiche, e
acquisito parere favorevole da parte di tutte le componenti del Servizio
Prevenzione e Protezione aziendale, con la presente la informiamo che a
partire dalla data odierna ogni lavoratore avrà la possibilità di procedere
all' acquisto della calzatura antinfortunistica, qualora il medico
competente aziendale abbia formulato un giudizio di idoneità alla mansione
con prescrizione di adozione di calzatura antinfortunistica personalizzata.

Con riferimento a quanto sopra:

- il lavoratore sarà libera di servirsi presso punto vendita di suo
piacimento o dal fornitore aziendale, purché la calzatura sia prevista delle
caratteristiche previste dall' articolo 76 del D.L.gs.81/08;

- il lavoratore provvederà autonomamente a recarsi presso il punto
vendita per l' acquisto;

- il lavoratore riceverà un massimo di 50 euro di rimborso per spesa
sostenuta, se provvisto di regolare fattura.

La presente procedura è da considerarsi quale parte integrante del sistema
di gestione della sicurezza sul lavoro SGSL della nostra azienda."



In pratica non si tiene conto di chi ha problemi di salute nel portare le
scarpe antinfortunistiche e si pone un limite di spesa al loro acquisto.

Per l' azienda la scarpa personalizzata e solo uno sfizio di moda del
lavoratore.

Ora ci muoveremo con il sindacato. La tua relazione fatta in precedenza è
molto chiara, e significativa [vedi mia newsletter del 29/06/11 - N.d.R.],
ma vorrei ancora un tuo parere, soprattutto sul finale della lettera dell'
azienda, che dice che la procedura è da considerarsi parte integrante del
sistema di gestione della sicurezza aziendale.

Visto che il lavoratore ha firmato per ricevuta della consegna della
lettera, questo pone qualche vincolo insuperabile ?



RISPOSTA



Ciao,



Innanzitutto la tua azienda ammette implicitamente nella lettera che l'
idoneità con prescrizione impartita dal medico competente ("calzatura
antinfortunistica personalizzata") può essere risolta solo scegliendo una
calzatura, comunque disponibile sul mercato, adeguata alle esigenze
ergonomiche del singolo lavoratore.

Pertanto non sussiste un problema di non idoneità totale espressa dal medico
in merito all' uso delle scarpe (che potrebbe comportare problemi), ma di
idoneità con prescrizione, risolvibile appunto comprando le scarpe giuste.



Poi la tua azienda cita giustamente l' articolo 18, comma 1, lettera d) e l'
articolo 77 del D.Lgs.81/08.

Vediamo allora bene cosa impongono tali articoli (entrambi sono obblighi a
carico del datore di lavoro o del dirigente).



L' articolo 18, comma 1, lettera d) stabilisce che:

"Il datore di lavoro e i dirigenti [...] devono fornire ai lavoratori i
necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico
competente, ove presente".

La violazione dell' articolo 18, comma 1, lettera d) da parte di datore di
lavoro o dirigenti è sanzionata penalmente dall' articolo 55, comma 5,
lettera d) con l' arresto da due a quattro mesi o con l' ammenda da 1.500 a
6.000 euro.



L' articolo 77, in particolare al comma 3, stabilisce che

"Il datore di lavoro, sulla base delle indicazioni del decreto di cui all'
articolo 79, comma 2, [cioè il decreto del Ministro del lavoro e della
previdenza sociale del 2 maggio 2001] fornisce ai lavoratori DPI conformi ai
requisiti previsti dall' articolo 76".

La violazione dell' articolo 77, comma 3 da parte di datore di lavoro o
dirigenti è sanzionata penalmente dall' articolo 87, comma 2, lettera d) con
l' arresto da tre a sei mesi o con l' ammenda da 2.500 a 6.400 euro.



Ora "fornire ai lavoratori DPI" vuole dire acquistare e consegnare i DPI al
lavoratore. Il lavoratore non deve comprarsi da solo i DPI e se lo fa deve
essere rimborsato integralmente indipendentemente dal costo dei DPI, in
quanto l' obbligo di fornire i DPI è a totale carico dell' azienda.



Inoltre tali DPI devono essere conformi ai requisiti previsti dall' articolo
76 (tra l' altro richiamato esplicitamente nella comunicazione), che, tra le
altre cose, impone al comma 2, lettera c) che:

"I DPI devono tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del
lavoratore"

e questo evidentemente a prescindere dal loro costo.



Porre un limite di spesa nell' acquisto di DPI è del tutto illegale in
quanto vincola il lavoratore nella scelta di DPI che, a causa della
limitazione di spesa, potrebbero non essere più conformi ai requisiti dell'
articolo 76.

Porre un limite di spesa nell' acquisto di DPI equivale quindi a non
fornirli di fatto al lavoratore.

Così come è illegale costringere il lavoratore a recarsi presso il
fornitore, a meno che questo non avvenga in orario di lavoro e con mezzi
messi a disposizione dell' azienda.



Non ho poi capito se la tua azienda ha definito le esatte caratteristiche
delle calzature che il lavoratore deve comprare.

Non basta infatti che la tua azienda dica al lavoratore che le scarpe devono
essere conformi ai requisiti dell' articolo 76, ma deve dire anche e
soprattutto a quale classe di protezione (così come definita dalla norma UNI
EN 345:1994 + A1:1998: ad esempio classe S1, S1P, ecc.) devono essere
conformi le scarpe.



Infine per quanto riguarda il sistema di gestione della sicurezza e le
procedure in esso contenute, essi non possono in nessun modo essere
contrario ai principi stabiliti dalle leggi dello stato.

La tua azienda cita come sistema di gestione il SGSL e non può che riferirsi
al sistema SGSL (Sistema di Gestione della salute e Sicurezza sul Lavoro)
UNI-INAIL del 28 settembre 2001, citato dall' articolo 30, comma 5 del
D.Lgs.81/08:

"In sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione aziendale
definiti conformemente alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione
della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al
British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti di cui
al presente articolo per le parti corrispondenti".



Ebbene nella premessa della Linea guida UNI-INAIL relative al sistema SGSL è
chiaramente specificato che "Il SGSL definisce le modalità per individuare,
all' interno della struttura organizzativa aziendale, le responsabilità, le
procedure, i processi e le risorse per la realizzazione della politica
aziendale di prevenzione, nel rispetto delle norme di salute e sicurezza
vigenti".



Pertanto la stessa Linea Guida dell' ente che ha definito il sistema SGSL
(UNI-INAIL) pone come vincolo a tutto il sistema di gestione, e quindi alle
procedure in esso contenute, la totale rispondenza dello stesso a quanto
stabilito dalle leggi statali.



Quindi se la procedura di assegnazione dei DPI citata dalla tua azienda
nella lettera consegnata ai lavoratori è parte integrante del SGSL e tale
procedura è contraria (come sopra detto) alle norme di salute e sicurezza
vigenti, la procedura stessa e tutto la parte di SGSL relativa non hanno
nessuna validità.



E di conseguenza non ha nessuna validità ogni documento che deriva da tale
SGSL, anche se firmato dal lavoratore (a proposito: il lavoratore è stato
informato e informato sui contenuti e sulle conseguenze che ne derivano dal
sistema di gestione ?!).



Detto in altri termini il SGSL non può sostituire le leggi dello stato, ma
semmai le deve integrare fornendo un supporto organizzativo per il loro
rispetto.



La Linea Guida UNI-INAIL su SGSL (due files) è scaricabile agli indirizzi:

http://www.inail.it/cms/sicurezzasullavoro/gestionesic/sicurezza/sgsl_1.pdf

http://www.inail.it/cms/sicurezzasullavoro/gestionesic/sicurezza/sgsl_2.pdf



La guida operativa sulla Linea Guida UNI-INAIL su SGSL è scaricabile all'
indirizzo:

http://www.inail.it/cms/sicurezzasullavoro/gestionesic/sgsl_guida_operativapdf



Abbraccio !



Marco



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BASTA DI INDIGNARSI SE SI MUORE PER 5 EURO L' ORA !





Dal blog di Samanta di Persio

http://sdp80.wordpress.com/



In Italia è così se si vuole lavorare, per un lavoratore che rifiuta di
essere sottopagato e/o sfruttato, una moltitudine di italiani, e non, è
pronta ad accettare quel ricatto, perché altrimenti il lavoro va all'
estero, Marchionne docet.



Le donne di Barletta sono morte per 3 euro e 95 centesimi l' ora, erano in
nero, perfino Napolitano si è scosso, come fanno i bambini piccoli quando si
spaventano, ma non mi risulta che sia andato al loro funerale.

Qualcuno mi ha detto che non è prerogativa del Presidente della Repubblica
andare ai funerali di chi muore sul lavoro, forse bisogna apprezzare il suo
gesto quando presenzia le morti dei soldati italiani che hanno perso la vita
in Afghanistan ?

Nel rifinanziamento delle missioni all' estero deve esserci computato anche
il costo dei funerali di Stato, con tanto di spesa per gli spostamenti delle
cariche istituzionali.



In Italia la maggior parte dei giovani non sono figli di Craxi, Bossi, Di
Pietro & co i quali si sono dati alla politica con la garanzia di avere un
posto di privilegio perché hanno le spalle coperte.



Molti studenti, come Francesco Pinna, lavorano per pesare il meno possibile
sul bilancio familiare, prendono una miseria che a malapena permette loro di
pagarsi un posto letto.



Questa situazione non è un' eccezione, ma è il risultato di leggi volute da
chi governa. Se non si lavora a nero, esistono tipologie contrattuali,
previste dalla Legge 30, dove non si scappa: la paga oraria è misera.

Questo è anche il risultato di un sindacato concentrato a fare carriera
personale: vedi Bertinotti, Cofferati, Polverini: noti per il salto di
qualità in stipendio.



Basta di indignarsi è ora di agire. Bisognerebbe intervenire sui versanti:
formazione, controllo, certezza della pena.



Lavoratori e imprenditori devono fare corsi di formazione VERI: bisogna
spiegare loro l' importanza dell' utilizzo dei dispositivi di sicurezza.

Spesso i corsi si riducono all' apposizione di una firma. Qualora i
dispositivi di sicurezza fossero obsoleti è lo Stato che deve occuparsi di
ricerca e finanziamento, il lavoro è la colonna portante dell' economia di
un Paese non possiamo permetterci di perderli proprio sul lavoro.



La ASL è l' organo deputato a fare ispezioni nelle aziende attraverso i
tecnici della prevenzione, ma ha carenza di personale.

Si stima che ogni impresa può avere un controllo ogni 33 anni. Se poi
aggiungiamo che ogni impresa ha una durata media di 15 anni, il conto è
presto fatto: gli imprenditori sanno perfettamente che la probabilità di un
controllo è molto bassa, accettano il rischio di una sanzione, perché è
inferiore al costo della sicurezza.



Il tasto più dolente è la giustizia, anche per gli infortuni sul lavoro si
tratta di malagiustizia.

Nella migliore delle ipotesi le pene che vengono comminate ai responsabili
sono molto basse, anche quando vengono manomessi i sistemi di sicurezza, per
velocizzare la produzione, il reato contestato è omicidio colposo, invece si
tratterebbe di omicidio doloso.

Molti imprenditori sono incensurati quindi spesso vengono condannati con la
sospensione della pena. Ci sono casi in cui addirittura i reati si
prescrivono.



Nel 2011 abbiamo superato le morti sul lavoro avvenute nel 2010, 2009 e
perfino 2008. Se conteggiamo le morti sulla strada ed in itinere, i
lavoratori e le lavoratrici, che hanno perso la vita per sostentare se
stessi e la propria famiglia, sono oltre 1100 (dato dell' Osservatorio
Indipendente di Bologna).



Questo è il fallimento politico e sindacale in un Paese che viene definito
civile e democratico.

Un Presidente della Repubblica potrebbe proporre la difesa a carico dello
Stato, i familiari delle vittime spesso spendono migliaia di euro per non
avere giustizia.



Firma l' appello "Non chiamatele più morti bianche !"

http://www.articolo21.org/104/appello/non-chiamatele-piu-morti-bianche.html



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INTERVISTA A RAFFAELE GUARINIELLO SU SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO



Da: AMBIENTE E LAVORO http://www.amblav.it



a cura di Rino Pavanello



Domanda:

Qual' è il suo giudizio sulla "Sentenza Thyssen" ?

Risposta:

La sentenza depositata oggi è la degna, eccezionale conclusione di uno dei
processi in assoluto più importanti mai celebrati nel nostro Paese e non
solo nel nostro Paese.



Domanda:

Qual' è l' insegnamento maggiore che ne possiamo trarre dalla "Sentenza
Thyssen" ?

Risposta:

Dimostra almeno cinque fatti positivi:

1. la giustizia può dare risposte straordinarie alle istanze di tutela
della dignità e dei diritti dei cittadini

2. al centro dell' attenzione è ormai giunta la politica aziendale della
sicurezza: come ci invita a fare la Corte di Cassazione, dobbiamo entrare
nelle stanze dei consigli di amministrazione, per scoprire le scelte
aziendali di fondo che portano agli infortuni, ai disastri

3. è preziosa la partecipazione popolare all' amministrazione della
giustizia

4. è indispensabile fare le indagini con rapidità, per non incorrere nella
devastante prescrizione dei reati, e, a questo scopo, è irrinunciabile un'
organizzazione specializzata

5. è determinante la scelta fatta dalle nostre leggi: quella di puntare, non
solo sulla responsabilità penale degli amministratori, ma anche sulla
responsabilità diretta delle stesse società.



Domanda:

Esistono aspetti che ritiene negativi o preoccupanti per la salute e la
sicurezza sul lavoro ?

Risposta:

Tra tanti fatti positivi, fa ancor più spicco un fatto negativo che mi
permetto di segnalare anche al Governo.

La scadenza del 31 dicembre 2011 si avvicina inesorabilmente: nell' ambito
del nostro Gruppo chiamato ad occuparsi di infortuni, malattie
professionali, disastri, sei Sostituti dovranno cambiare gruppo nell'
immediato, un settimo poco più in là nel tempo.

Per l' anno prossimo ci attendono impegni molteplici e severi. Basti pensare
ad alcune scadenze incombenti: le fasi successive di Eternit, Thyssen,
Darwin; i tanti procedimenti penali che coinvolgono i tumori professionali.

Per di più, uno strumento unico come l' Osservatorio sui cancri
occupazionali realizzato presso la nostra Procura continua a far emergere
realtà aziendali caratterizzate da allarmanti epidemie tumorali
(globalmente, ad oggi, abbiamo dovuto svolgere indagini notoriamente
complesse e laboriose su 25.632 casi di tumore).

In questa prospettiva, il nostro Gruppo rischia di subire un collasso.

Sono immaginabili le conseguenze dirompenti prodotte dal previsto ricambio
di Sostituti.

Conseguenze due volte dirompenti: perché i nuovi Colleghi destinati ad
inserirsi nel Gruppo, pur di eccezionale bravura, avranno necessità di tempi
non brevi per acquisire l' indispensabile esperienza e professionalità
specifiche; e perché i Colleghi destinati ad allontanarsi dal Gruppo faranno
forzatamente mancare quelle conoscenze ed operatività maturate negli anni e
irrinunciabili per il raggiungimento degli obiettivi.



15 novembre 2011



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SUI REQUISITI DELL' AUTONOMIA DEL LAVORATORE AUTONOMO



Da: http://www.puntosicuro.it



Anno 13 - numero 2758 di lunedì 12 dicembre 2011


L' affidamento in appalto ad un lavoratore autonomo è tale se lo stesso è
fornito delle attrezzature e dell' organizzazione necessarie per svolgere il
proprio lavoro in assoluta autonomia e senza alcuna ingerenza da parte del
committente.

Sentenza n. 8252 del 2 marzo 2011 della Sezione IV della Cassazione Penale



Commento a cura di Gerardo Porreca.



Il lavoratore autonomo è tale se è fornito delle attrezzature e della
organizzazione necessarie per assumere il lavoro in appalto e svolgerlo in
assoluta autonomia in mancanza della quale lo stesso è da considerarsi
sostanzialmente quale lavoratore che opera alle dipendenze del committente.
E' quanto emerge dalla lettura di questa sentenza della Corte di Cassazione
penale la quale precisa anche, nel ribadire quanto già spesso sostenuto
nella giurisprudenza consolidata, che nel caso di un appalto il committente
è sollevato dai relativi obblighi soltanto ove i lavori siano appaltati per
intero cosicché non possa esservi nessuna ingerenza da parte dello stesso
committente nei confronti dell' appaltatore.



IL CASO E L' IMPUTAZIONE

Il Tribunale ha ritenuto il coordinatore per la sicurezza nonché progettista
e direttore dei lavori per quanto riguarda la costruzione di un capannone
nonché il legale rappresentante dell' impresa appaltatrice colpevoli del
delitto di lesioni personali colpose gravi commesse, con violazione delle
norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di un
subappaltatore e li ha condannati, rispettivamente, alla pena di un mese e
di due mesi di reclusione ed al risarcimento del danno in favore della parte
civile costituita. La Corte di Appello ha successivamente confermata la
sentenza del Tribunale.

Era successo che l' infortunato nell' eseguire lavori di
impermeabilizzazione e di coibentazione della copertura di un capannone,
parte dei quali gli erano stati affidati in subappalto, era precipitato da
un' altezza di circa 12 metri, passando attraverso un lucernario esistente
sulla copertura, riportando gravi lesioni. Secondo l' accusa, condivisa dai
giudici del merito, i due imputati, in cooperazione tra di loro, avevano
cagionato al lavoratore le gravi lesioni per colpa generica e specifica,
quest' ultima costituita, secondo quanto risulta dal capo d' imputazione,
dalla violazione dell' articolo 5, comma 1, lettera b) del D.Lgs.494/96 e
dell' articolo 68 del D.P.R.164/56, non avendo gli stessi provveduto a
munire e/o a vigilare affinché le aperture presenti sulla copertura, in
particolare quella attraverso la quale era precipitato il lavoratore,
fossero munite di parapetto e tavola ferma piede.



IL RICORSO E LE MOTIVAZIONI

Avverso tale sentenza della Corte di Appello i due imputati hanno fatto
ricorso alla Corte di Cassazione chiedendone l' annullamento. Il
coordinatore direttore dei lavori, in relazione al comportamento dell'
infortunato che non aveva fatto uso nella circostanza di cintura di
sicurezza, ha posto in evidenza che lo stesso lavorava in cantiere non come
lavoratore subordinato, ma come prestatore d' opera autonomo. Analogamente
il rappresentante legale della ditta appaltatrice ha contestata una erronea
applicazione nella circostanza della legge penale non avendo la Corte di
Appello tenuto conto dell' esistenza di un regolare contratto di appalto tra
la ditta appaltatrice ed il lavoratore infortunato con il quale erano stati
regolati i rapporti tra le parti. Lo stesso ha fatto notare, altresì, che
anche l' infortunato aveva sostenuto nella fase dibattimentale di essersi
reso autonomo per guadagnare di più e di aver lavorato in tale veste sia per
l' imputato che per altri committenti.



LE DECISIONI DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

Entrambi i ricorsi sono stati rigettati dalla Corte di Cassazione la quale,
con riferimento alla posizione del lavoratore infortunato, ha fatto
osservare che la Corte di Appello aveva negata l' esistenza di un vero e
proprio contratto di subappalto tra l' imputato e l' operaio infortunato,
avendo considerato lo stesso un prestatore d' opera del tutto parificabile a
un lavoratore dipendente.

A tale conclusione la Corte territoriale era pervenuta alla stregua delle
risultanze probatorie acquisite in atti, dalle quali era emerso:

- che l' infortunato era titolare di un' impresa individuale priva
di dipendenti nonché, secondo quanto accertato dall' ispettore che ha
compiuto le indagini, del tutto privo delle attrezzature necessarie per
assumere il subappalto e svolgere il proprio lavoro in assoluta autonomia,
circostanza che ha trovato anche conferma con quanto riferito dall' operaio
infortunato che ha dichiarato di avere avuto dall' appaltatore le
attrezzature ed il materiale necessario all' esecuzione dei lavori;

- che in una nota inviata al committente dall' appaltatore imputato
lo stesso ha chiarito la natura del rapporto intercorrente tra lo stesso ed
il lavoratore autonomo il quale è stato chiamato d' urgenza non ad assumere
in prima persona la responsabilità dei lavori a lui commissionati, bensì ad
affiancarsi a esso nell' esecuzione degli stessi, nota nella quale gli
stessi giudici hanno ravvisato una ulteriore conferma della posizione di
lavoratore dipendente sostanzialmente ricoperta, nell' occasione, dall'
infortunato;

- che il contratto sottoscritto dalle due parti, prodotto in atti,
risalente all' anno precedente, riguardava un altro cantiere ed altre
lavorazioni, e dunque non poteva essere riferito ai lavori ed al cantiere
oggetto del procedimento per cui allo stesso non si poteva attribuire alcun
valore.

"In caso di subappalto", ha affermato la Sezione IV, "il subcommittente è
sollevato dai relativi obblighi soltanto ove i lavori siano subappaltati per
intero, cosicché non possa più esservi alcuna ingerenza da parte dello
stesso nei confronti del subappaltatore", condizione quest' ultima non
riscontrata nel caso in esame.

Pur volendo ritenersi esistente un regolare contratto di subappalto, ha
proseguito la suprema Corte, già solo il chiaro contenuto della nota inviata
dall' appaltatore al committente, con l' espresso riferimento dell'
affiancamento del subappaltatore all' impresa appaltatrice, e la stessa
interdipendenza dei lavori svolti dagli stessi hanno indicato la condizione
di subordinazione dell' infortunato all' imputato, quantomeno sotto il
profilo organizzativo il che ha implicato necessariamente una ingerenza
dell' appaltatore nella complessiva organizzazione e nell' esecuzione dei
lavori eseguiti dall' infortunato facendo assumere quindi all' appaltatore
una precisa posizione di garanzia nei suoi confronti.

Anche la presenza del resto di un formale contratto di subappalto, ha ancora
sostenuto la Sezione IV, non avrebbe consentito comunque all' imputato di
eludere le proprie responsabilità potendo una tale esclusione "configurarsi
solo nel caso in cui al subappaltatore fosse stata affidata l' esecuzione di
lavori, pur determinati e circoscritti, da svolgersi in piena ed assoluta
autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all' appaltatore sub
committente".

In definitiva, ha concluso la suprema Corte, al titolare della ditta, che
aveva in parte subappaltato al lavoratore infortunato i lavori di
impermeabilizzazione e coibentazione del capannone, spettava di intervenire
per mettere in sicurezza il luogo di lavoro a garanzia dell' incolumità di
tutti i lavoratori intenti a svolgere le mansioni loro affidate.

La presenza dell' apertura sul tetto ove erano in corso i lavori
subappaltati era, peraltro, immediatamente percepibile, così come il forte
rischio che qualcuno, intento al proprio lavoro, potesse finirvi dentro e
precipitare al suolo e quindi all' imputato, titolare della ditta che aveva
subappaltato i lavori in corso sul tetto spettava, in prima battuta, di
intervenire per mettere in sicurezza l' apertura verso il vuoto.



La sentenza n. 8252 del 2 marzo 2011 della Sezione IV della Corte di
Cassazione Penale è scaricabile all' indirizzo:

http://wzeu.search-results.com/r?t=p&d=apn&s=zit&c=a&app=aoth&l=dis&o=APN10097&sv=0a652927&ip=9710aff8&id=6467A7EEB0C780AE1DEE4825D608D7DD&q=Sentenza+n.+8252+del+2+marzo+2011+&p=1&qs=121&ac=24&g=1a04kg8x0DXmut&en=gs&io=0&ep=&eo=&b=a001&bc=&br=&tp=d&ec=10&pt=Sentenza%20n.%208252%20del%202%20marzo%202011&ex=&url=&u=http://www.vegaengineering.com/mlist/uploaded/Sentenza_n_8252_2-marzo-2011.pdf



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LA SICUREZZA DURANTE LA MANUTENZIONE: VALUTAZIONE DEI RISCHI



Da: http://www.puntosicuro.it



Anno 13 - numero 2754 di venerdì 02 dicembre 2011


Come garantire la sicurezza di tutte le persone coinvolte durante l'
esecuzione di un intervento di manutenzione ? Una visione organizzativa e di
crescita professionale.



Di Alessandro Mazzeranghi, Daniele Ruffini, Federica Coucourde



LA SICUREZZA DURANTE LA MANUTENZIONE

Abbiamo già parlato degli aspetti di sicurezza correlati alla manutenzione,
vedendo che sono piuttosto articolati. Oggi ci vogliamo concentrare sul tema
più classico: garantire la sicurezza di tutte le persone coinvolte durante
l' esecuzione di un intervento di manutenzione. Il tutto tramite precauzioni
organizzative e operative che siano eventualmente compatibili con un sistema
di gestione della sicurezza ex BS OHSAS 18001-1 e / o con un modello
organizzativo conforme al D.Lgs.231/01 e all' articolo 30 del D.Lgs.81/08.

La questione è nota, ma spesso le misure adottate sono insufficienti o
inadeguate. Quindi vale la pena di riportare l' attenzione sul tema, anche
perché ancora oggi molti infortuni si verificano durante attività di
manutenzione o attività ad esse assimilabili.

Come è noto, la manutenzione è un insieme di interventi, programmati o su
chiamata, volti a mantenere o ripristinare le condizioni di funzionamento di
macchine, impianti, attrezzature, opere civili ecc.

Gli interventi che si possono rendere necessari sono molti e diversi fra
loro; talvolta sono anche difficili da prevedere in via preliminare. Quindi
è evidente che non è possibile trattare un intervento di manutenzione come
una normale operazione di produzione. Questa ultima infatti può essere
studiata a tavolino, provata sul campo, corretta in modo tale che tutti i
rischi presenti siano valutati e che tutte le precauzioni di sicurezza per
il controllo dei rischi siano precisamente definite.

Situazione diversa per gli interventi di manutenzione: è vero che alcuni
interventi sono ripetitivi e quindi potrebbero essere trattati come normali
operazioni di produzione. Anche in questo caso, più semplice, il numero di
interventi ripetitivi possibili (regolazioni, verifiche periodiche,
manutenzioni programmate ecc.) è tanto elevato da rendere difficile una
regolamentazione altrettanto puntuale come quella che si può mettere in
campo per le attività di produzione.

Se poi consideriamo gli interventi non programmati, per esempio le
manutenzioni su guasto, il tema si amplia enormemente, e quindi diventa non
gestibile con le tecniche di controllo dei rischi che adottiamo abitualmente
in altri ambiti.

Quindi per la sicurezza durante la manutenzione vanno trovate una
organizzazione e un insieme di misure puntuali diversi da quelli "abituali".

Vorremmo sgombrare il campo subito da un equivoco che tutti, in diversa
misura, ci portiamo dietro da anni: non possiamo contare SOLO sulla
competenza e capacità di giudizio dei manutentori.

E' vero che per necessità di lavoro si tratta di persone abituate a
ragionare sui problemi e a trovare delle soluzioni, ma non possiamo pensare
che la loro sicurezza sia affidata solo a loro stessi. Per tanti motivi, fra
cui il fatto che comunque devono operare in modo omogeneo e fra loro
coordinato.



QUINDI COME PROCEDERE ?

Quello che diremo non è del tutto una novità perché se ne parla da oltre 10
anni nel settore elettrico, ma se andiamo a vedere quante aziende applicano
i principi che descriveremo nel seguito possiamo affermare che, sotto il
profilo pratico, si tratta di una novità quasi assoluta, almeno per l'
industria manifatturiera.



LA IDENTIFICAZIONE DEI PERICOLI E LA VALUTAZIONE DEI RISCHI

Per definizione il datore di lavoro non può esimersi dall' effettuare una
valutazione dei rischi per nessuna delle tipologie di attività e/o per
alcune mansioni lavorative. Quindi è evidente che tutto il processo logico
deve partire dalla valutazione dei rischi.



La valutazione dei rischi della manutenzione, intesa come esecuzione della
manutenzione, può essere considerata sotto tre profili.

1. Valutazione dei rischi dei beni da assoggettare alla manutenzione,
evidentemente considerati nelle condizioni nelle quali si effettuerà la
manutenzione. Quindi non saranno solo i rischi a cui è esposto l' operatore
(che ci sono comunque perché la manutenzione prevede operazioni di messa a
punto, regolazione, collaudo, ecc. che sono assimilabili all' uso normale),
ma anche quelli che derivano dal fatto che un certo intervento deve essere
eseguito a quadro elettrico aperto, piuttosto che dopo lo smontaggio di un
carter. Comunque attenzione: questa valutazione non copre completamente l'
esigenza !

2. Valutazione dei rischi delle attività. Capita che i rischi derivino
dal modo di lavorare piuttosto che dalle caratteristiche dei beni che si
utilizzano o si sottopongono a manutenzione. Questo è particolarmente
importante proprio nella manutenzione dove le modalità di lavoro (che si
ripetono simili anche per beni non identici) introducono rischi importanti.
Quindi è necessaria una identificazione attenta dei modi di lavoro consueti
(consolidati in azienda) che andranno sottoposti a una analisi critica a
valle della identificazione dei pericoli e della valutazione dei rischi. Di
cosa parliamo ? Cose semplici: come mettere in sicurezza un impianto (quali
fonti di energia devo sezionare e come ?), come intervenire su un quadro
sotto tensione, ecc. Ripetiamo: si tratta del modo di operare sviluppato
dalle persone addette alla manutenzione. Precisiamo una ovvietà: in assenza
di una regolamentazione ufficiale ben solida, troveremo sicuramente che
manutentori diversi compiono le stesse attività secondo modi e logiche di
sicurezza diverse. Siccome abbiamo detto che l' omogeneità è una necessità,
dovremo evidentemente scegliere, a valle della valutazione dei rischi, quale
sia il modo operativo migliore per garantire la sicurezza nella
manutenzione.

3. Resta infine la valutazione inerente l' organizzazione generale del
processo. Se le attività rappresentano il modo pratico di fare le cose, il
processo invece è l' insieme della attività, ovvero come queste si correlano
fra loro, quali sono i punti di attenzione, e chi è responsabile dei
passaggi (decisioni) critici. La valutazione parte come sempre da una
ricognizione (mappatura) del processo in atto per identificare gli snodi
critici per la sicurezza e i relativi controlli, presenti o da implementare
Naturalmente il processo può essere carente in alcune parti quindi l' esito
della valutazione può innescare (con altissima probabilità) un revisione del
processo medesimo di manutenzione, inteso come quel processo che parte dalla
necessità di una manutenzione (programmata o su chiamata) per arrivare alla
riconsegna del bene alla produzione. Portiamo avanti un esempio già
parzialmente considerato: la messa in sicurezza delle fonti di energia. Se
nel parlare di attività ci riferiamo al corretto modo, concreto, di
effettuare la messa in sicurezza per esempio di un circuito idraulico in
pressione, quando parliamo di processo ci domanderemo chi decide, chi
esegue, come si comunica l' avvenuta messa in sicurezza, ecc. All' interno
di questo processo esisterà la attività, una delle tante che lo
costituiscono, "sezionamento della valvola dell' olio in pressione", o
qualcosa di equivalente.

Qualcuno potrebbe chiedersi: tanta fatica per una questione di valutazione
dei rischi, senza alcun valore aggiunto pratico !

Non è così, perché il limite a cui decidiamo di spingerci in questa attività
determina tutto quanto si trova a valle, ovvero la corretta combinazione di
misure di controllo dei rischi.

Se per assurdo valutassimo tutto, e di conseguenza regolamentassimo tutto
ciò che presenta rischi residui, ci porteremmo verso la situazione
caratteristica delle attività di produzione (ripetitive).



REGOLAMENTARE IL PROCESSO

Su questo non ci possono essere discussioni. Il processo di manutenzione è
fra i processi aziendali uno di quelli in cui errori, fraintendimenti o
mancati controlli possono dare luogo ad infortuni molto gravi e
assolutamente probabili.

Quindi il processo deve essere definito/regolamentato.

Qui ci viene in aiuto la normativa sulla sicurezza dei lavori elettrici, che
pur settoriale si applica, in termini di principi, a tutte le attività su
macchine e impianti (dalla installazione alla manutenzione, con esclusione
del puro e semplice esercizio).

E la normativa in oggetto definisce un flusso logico che riassumiamo sotto:

- definizione degli obiettivi dell' intervento

- progettazione dell' intervento (che include la valutazione dei
rischi dell' intervento)

- esecuzione delle (eventuali) messe in sicurezza

- autorizzazione all' intervento

- predisposizione delle misure di sicurezza

- esecuzione

- chiusura dell' intervento (lavori completati, condizioni di
sicurezza ripristinate, eventuali collaudi effettuati ecc.)

- rimozione definitiva delle (eventuali) messe in sicurezza

- riconsegna del bene alla produzione

I passi sono questi, la sequenza può cambiare a seconda di "chi fa cosa"
all' interno della organizzazione aziendale.

Chi incaricare, come eseguire certe attività, quali registrazioni
raccogliere per dare evidenza che tutto quanto previsto è stato
effettivamente messo in atto ?

A queste domande le norme tentano di dare delle risposte che valgono solo
per certi settori industriali (per esempio le aziende di trasporto della
energia elettrica), mentre hanno pochissimo senso per altri (per esempio
nelle aziende manifatturiere).

La conclusione è semplice: cosa fare è chiaro (quindi gli obiettivi sono
piuttosto definiti), ma ognuno dovrà poi scegliere la soluzione
organizzativa che più si adatta alle proprie caratteristiche.

Se vogliamo fare un esempio pensiamo al momento in cui la manutenzione, al
termine di un intervento, riconsegna un impianto a un reparto di produzione.

Cosa significa riconsegnare un impianto ?

Cosa bisogna garantire in quel momento (cosa la manutenzione deve garantire
al reparto) ?

Alcuni consigli:

- salvo diversa indicazione deve essere chiaro a tutti che la
manutenzione riconsegna un impianto solo se questo è completamente
ripristinato sotto il profilo del funzionamento, ma anche della sicurezza;
in caso contrario deve informare il reparto medesimo (per esempio un
preposto);

- ne segue che chi esegue la manutenzione deve effettuare o
partecipare a un collaudo finale prima della restituzione; ovviamente le
modalità di collaudo adeguate ad avere confidenza nella situazione di pieno
ripristino sopra descritta cambieranno da caso a caso.



CONCLUSIONI

Come si vede in azienda si distinguono due tempi diversi, quello della
produzione assoggettato a regole semplici e piuttosto esaustive, e quello
della manutenzione, ove operano specialisti nel rispetto di regole più
complesse e sicuramente non esaustive.

Possiamo concludere che stiamo considerando due modi di operare e di
approcciare il lavoro profondamente diversi e che di conseguenza richiedono
procedure di lavoro completamente diverse !

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