mercoledì 18 gennaio 2012

Navi, sicurezza in appalto

Il dramma al Giglio mette in dubbio un sistema produttivo.

di Franco Canevesio

da lettera43

Sembra sempre più plausibile l'idea che dietro il naufragio della Costa ci sia una manovra azzardata del comandante Francesco Schettino Ma il fatto che la nave non abbia tenuto, che abbia perso così facilmente l'equilibrio, ha portato gli esperti a chiedersi se la Concordia (114.500 tonnellate di stazza lorda per quasi 3.800 passeggeri) sia stata costruita davvero con tutti i crismi.

Non ha dubbi Mario Menini, ingegnere e perito assicurativo, uno dei maggiori esperti italiani nei calcoli di stabilità per grandi navi da carico.

NAVI IPERCONTROLLATE. «Navi di quel genere hanno alle spalle un'esperienza consolidata di costruzione. Sono ipercontrollate e ipercertificate dal Rina, uno dei più antichi enti di classificazione delle navi mercantili, ma anche da organismi internazionali come il Bureau Veritas, il Norske Veritas, il Germanischer Lloyd. Avere l'approvazione da questi enti significa essere certi che la nave è perfettamente equilibrata», spiega l'esperto.

Anche con mare forza sette questi giganti non patiscono nulla perché, spiega Menini, «vengono costruiti in cantieri dove lavora una manodopera altamente qualificata».

Ma i vecchi maestri d'ascia non esistono più e certi interventi si scontrano sempre più spesso con logiche che non sono quelle dell'esperienza.

Se non si può risparmiare sulla materia prima, si ricorre ai subappalti

I problemi non stanno nei materiali, dicono gli esperti, perché la lamiera utilizzata per costruire lo scafo è sempre la stessa, da decenni, e i grandi cantieri navali non lesinano sui costi d'acquisto.

Ma «se non si può tagliare sul costo della materia prima, gli armatori cercano di rifarsi coi tempi di lavoro e una catena di appalti e subappalti», spiega a Lettera43.it un tecnico che preferisce rimanere anonimo. «Se per costruire un gigante come la Costa Concordia, fino a qualche anno fa, prima della crisi, si potevano impiegare anche due anni e mezzo, oggi queste tempistiche si sono drasticamente ridotte».

MENO TEMPO, PIÙ LAVORO. Bisogna far presto: 16 mesi, in alcuni casi anche 14 mesi. Meno tempo, più appalti è la filosofia ma se si riducono i tempi di produzione senza aumentare gli organici, viene da sè che si mette a rischio il prodotto stesso.

Perché, e questo è il secondo ordine di problemi, «quello che viene messo a rischio è il modello produttivo consolidato, sostituito da un nuovo sistema fatto di appalti e subappalti al maggior ribasso».

TARIFFE RITOCCATE AL RIBASSO. L'estate scorsa pare che i cantieri più gettonati abbiano ritoccato le tariffe chiedendo, quando non imponendo, ribassi anche del 30%, o al minimo del 20%, alle ditte che volevano partecipare alla gara del subappalto in genere utilizzata per le cabine, l'arredamento, il sistema delle tubazioni negli impianti di refrigerazione e di riscaldamento e per gli impianti elettrici.

La conseguenza è che «chi non riesce a starci dentro o dichiara fallimento (sta avvenendo in molte parti d'Italia, soprattutto per le ditte medio piccole) oppure accetta e cerca un anello della catena da tagliare per recuperare qualcosa: in genere sono i contributi, che vengono sacrificati sull'altare della riduzione costi».

Eccolo il meccanismo (perverso) che abbassa i costi, ma che può arrivare a mettere a rischio la sicurezza della nave.

Il problema delle penali e dei tempi di consegna

Anche perché, collegate alle tempistiche strette, ci sono le penali: una spada di Damocle su chi deve costruire. Per quanto riguarda i lavoratori, soprattutto quelli delle ditte esterne, il patto è grossomodo questo: se non mi consegni la nave nei tempi previsti non ti chiamo più.

La penale più grossa, riportata sul contratto, è quella tra le ditte costruttrici e l'armatore: se questo si accorge di eventuali errori a fine lavoro, provvede subito a decurtare l'importo da pagare.

Anche qui, a cascata, il minore incasso va a danno dei lavoratori e delle successive commesse.

PROGETTAZIONE FUORI CANTIERE. «Dunque, se durante la costruzione della nave salta fuori qualche sezione del progetto disegnata in modo difforme da quello che dovrebbe essere realizzato, i lavoratori - invece di fermare i lavori cercando coi progettisti la soluzione (cosa che determinerebbe l'allungamento dei tempi) - “si ingegnano”, attuando le modifiche di loro iniziativa», spiega ancora il tecnico.

Anche questo evidenzia un ulteriore problema, quello della progettazione che - in genere - non avviene mai nel cantiere di produzione. Fincantieri, per esempio, progetta le navi nei suoi laboratori di Trieste, ma poi le costruisce nei cantieri sparsi in Italia, generando una catena in cui la testa non sa bene che cosa fa la mano.

Mercoledì, 18 Gennaio 2012

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