Il dramma al Giglio mette in dubbio un sistema produttivo.
di Franco Canevesio
da lettera43
Non ha dubbi Mario Menini, ingegnere e perito assicurativo, uno dei maggiori esperti italiani nei calcoli di stabilità per grandi navi da carico.
NAVI IPERCONTROLLATE. «Navi di quel genere hanno alle spalle un'esperienza consolidata di costruzione. Sono ipercontrollate e ipercertificate dal Rina, uno dei più antichi enti di classificazione delle navi mercantili, ma anche da organismi internazionali come il Bureau Veritas, il Norske Veritas, il Germanischer Lloyd. Avere l'approvazione da questi enti significa essere certi che la nave è perfettamente equilibrata», spiega l'esperto.
Anche con mare forza sette questi giganti non patiscono nulla perché, spiega Menini, «vengono costruiti in cantieri dove lavora una manodopera altamente qualificata».
Ma i vecchi maestri d'ascia non esistono più e certi interventi si scontrano sempre più spesso con logiche che non sono quelle dell'esperienza.
Se non si può risparmiare sulla materia prima, si ricorre ai subappalti
I problemi non stanno nei materiali, dicono gli esperti, perché la lamiera utilizzata per costruire lo scafo è sempre la stessa, da decenni, e i grandi cantieri navali non lesinano sui costi d'acquisto.
Ma «se non si può tagliare sul costo della materia prima, gli armatori cercano di rifarsi coi tempi di lavoro e una catena di appalti e subappalti», spiega a Lettera43.it un tecnico che preferisce rimanere anonimo. «Se per costruire un gigante come
MENO TEMPO, PIÙ LAVORO. Bisogna far presto: 16 mesi, in alcuni casi anche 14 mesi. Meno tempo, più appalti è la filosofia ma se si riducono i tempi di produzione senza aumentare gli organici, viene da sè che si mette a rischio il prodotto stesso.
Perché, e questo è il secondo ordine di problemi, «quello che viene messo a rischio è il modello produttivo consolidato, sostituito da un nuovo sistema fatto di appalti e subappalti al maggior ribasso».
La conseguenza è che «chi non riesce a starci dentro o dichiara fallimento (sta avvenendo in molte parti d'Italia, soprattutto per le ditte medio piccole) oppure accetta e cerca un anello della catena da tagliare per recuperare qualcosa: in genere sono i contributi, che vengono sacrificati sull'altare della riduzione costi».
Eccolo il meccanismo (perverso) che abbassa i costi, ma che può arrivare a mettere a rischio la sicurezza della nave.
Il problema delle penali e dei tempi di consegna
Anche perché, collegate alle tempistiche strette, ci sono le penali: una spada di Damocle su chi deve costruire. Per quanto riguarda i lavoratori, soprattutto quelli delle ditte esterne, il patto è grossomodo questo: se non mi consegni la nave nei tempi previsti non ti chiamo più.
La penale più grossa, riportata sul contratto, è quella tra le ditte costruttrici e l'armatore: se questo si accorge di eventuali errori a fine lavoro, provvede subito a decurtare l'importo da pagare.
Anche qui, a cascata, il minore incasso va a danno dei lavoratori e delle successive commesse.
PROGET
Anche questo evidenzia un ulteriore problema, quello della progettazione che - in genere - non avviene mai nel cantiere di produzione. Fincantieri, per esempio, progetta le navi nei suoi laboratori di Trieste, ma poi le costruisce nei cantieri sparsi in Italia, generando una catena in cui la testa non sa bene che cosa fa la mano.
Mercoledì, 18 Gennaio 2012
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