venerdì 27 aprile 2012

Fabercarta: c'è amianto, ma la Carifac se ne infischia


Macerata
All'interno dello stabilimento i calendari sono fermi al 2005. È in quell'anno infatti che gli ultimi settantatré dipendenti della Fabercarta di Castelraimondo (MC) restano senza lavoro. Già in febbraio sono costretti a ricorrere alle ferie. La cessione delle quote da parte del maggior azionista, le cartiere Miliani, a un'azienda di Cerreto D'Esi che produceva bobine di carta per calcolatrici, fax, bancomat ecc., la Beta Rotoli, non era servita a niente, nonostante almeno per i primi tempi i lavoratori fossero ben impressionati dal piano di riassetto produttivo. In realtà, dopo pochi anni, anche la Beta Rotoli falliva, lasciando aperta la strada solo alle aste giudiziarie per questa enorme area di dodicimilacinquecento metri quadri situata a pochissima distanza dall'abitato di Castelraimondo.
Oggi lo stabilimento versa nel più totale abbandono e desolazione. La rete che divide l'ex cartiera dallo stradino che conduce all'isola ecologica comunale è ampiamente rotta in più tratti e accedervi non è un problema. Nel cortile della fabbrica un'enorme bobina di carta arsa dal sole e consunta dalle piogge ricorda tristemente a qualcuno i bei tempi in cui l'enorme macchina patinatrice avvolgeva carta a più di 500 metri al minuto. Quella macchina, all'epoca all'avanguardia della tecnologia e gloria dello stabilimento di Castelraimondo, è stata smembrata al momento della riconversione e i pezzi sono finiti chi dice in Brasile, chi dice in Turchia, chi ancora in altri paesi più esotici.
Lo stabilimento è di fatto abbandonato a se stesso da quasi sette anni. I macchinari sono stati quasi tutti tolti. È come entrare all'interno della carcassa di un gigantesco animale eviscerato. Si vaga sussultando ogni tanto per i rumori amplificati che fanno i piccioni muovendosi tra le travature. I capannoni sono ingombri di lana di roccia, un materiale isolante probabilmente usato per le controsoffittature e ora sparso al suolo in agglomerati informi. Gli uffici amministrativi si presentano ricoperti da una coltre di documenti. Ci sono faldoni che si accatastano in qualche angolo e carte sparse dappertutto tra cui i vecchi operai potrebbero ritrovare le loro firme, ricostruire episodi, frammenti del lavoro quotidiano all'interno dello stabilimento. C'è di tutto, compresi i certificati di smaltimento delle sostanze chimiche impiegate nella lavorazione. Qualche bidone pieno di non si sa cosa campeggia ancora tra i cumuli di materiali in disfacimento.
Ma quello che si vede dalla statale Settempedana, la strada che collega Castelraimondo a San Severino Marche, la vecchia Septempeda dei latini, è forse ancora più sconcertante. Una distesa di onduline in cemento-amianto (eternit) ricopre una metà dello stabilimento, per un'estensione di 6 mila metri quadri. Nel settembre del 2007, su incarico del curatore fallimentare, una ditta specializzata esegue una perizia su questo amianto, regolarmente depositata al Tribunale di Ancona, nella quale, pur non riscontrandosi uno stato di usura tale da determinarne al momento la pericolosità, si consigliava di monitorarne lo stato almeno ogni due anni. Infatti, citando dalla relazione, "la vetustà di tali coperture, prive di rivestimenti specifici ed esposte agli agenti atmosferici, non garantisce il completo trattenimento delle fibre". Questo nel 2007. L'anno successivo, in febbraio, si tiene la terza asta giudiziaria. Il prezzo dell'immobile viene ribassato anche tenendo conto dei costi di trattamento o smaltimento delle lastre di eternit. Si aggiudica l'ex fabbrica la Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana (Carifac). Solo che da questo momento la banca, che fa capo al gruppo Veneto Banca, si disinteressa completamente dello stato della struttura. E si disinteressa completamente anche dell'amianto, con la complicità di un'amministrazione comunale che non svolge le dovute pressioni perché il gruppo bancario rispetti gli impegni presi al momento dell'acquisto.
Le lastre di eternit non ricevono alcun trattamento, ma rimangono esposte all'azione degli agenti atmosferici: vento, sole, pioggia e abbondanti nevicate. Nessuno si preoccupa né di monitorarle, come era esplicitamente consigliato nella relazione tecnica, né tanto meno di trattarle tramite la normale procedura di incapsulamento (con la quale si eliminano temporaneamente i rischi di emissione di fibre) o di farle rimuovere e smaltire adeguatamente.
Mentre i responsabili tacciono o dicono di non sapere, tutta l'area dell'ex fabbrica, posta di fronte alla frazione di Selvalagli di Gagliole e a poche centinaia di metri dall'abitato di Castelraimondo, da scuole e asili, in un'area non adeguatamente protetta a causa degli squarci nella recinzione, può rappresentare un problema per la salute dei residenti. Ma c'è qualcuno a cui importi qualcosa?

Aldo Castellani

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