martedì 4 ottobre 2011

SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS ! -NEWSLETTER N.94 DEL 03/10/11

SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS ! - NEWSLETTER N.94 DEL
03/10/11




In questo numero:

- La protezione da atmosfere esplosive - L' aspetto legislativo
(prima parte)

- Ravenna: il porto culla di caporalato e lavoro nero

- Lampeggia un singhiozzo

- Schede tecniche sul rischio biologico nei luoghi di lavoro

- La Cassazione sull' autocertificazione della valutazione dei
rischi

- Sull' obbligo del datore di lavoro di ridurre al minimo i rischi



Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste
notizie a diffonderle in tutti i modi.



La diffusione è gradita e necessaria. L' obiettivo è quello di diffondere il
più possibile cultura della sicurezza e consapevolezza dei diritti dei
lavoratori a tale proposito.



L' unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la
fonte:

"Marco Spezia - sp-mail@libero.it"

DIFFONDETE & KNOW YOUR RIGHTS !



Marco Spezia

RETE NAZIONALE PER LA SICUREZZA SUL LAVORO





----- Original Message -----
From: "Marco Spezia"
To:
Sent: Monday, October 03, 2011 9:40 PM
Subject: SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS ! - NEWSLETTER N.94 DEL
03/10/11




In questo numero:

- La protezione da atmosfere esplosive - L' aspetto legislativo
(prima parte)

- Ravenna: il porto culla di caporalato e lavoro nero

- Lampeggia un singhiozzo

- Schede tecniche sul rischio biologico nei luoghi di lavoro

- La Cassazione sull' autocertificazione della valutazione dei
rischi

- Sull' obbligo del datore di lavoro di ridurre al minimo i rischi



Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.



La diffusione è gradita e necessaria. L' obiettivo è quello di diffondere il più possibile cultura della sicurezza e consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.


L' unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte:

"Marco Spezia - sp-mail@libero.it"

DIFFONDETE & KNOW YOUR RIGHTS !



Marco Spezia

RETE NAZIONALE PER LA SICUREZZA SUL LAVORO



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LA PROTEZIONE DA ATMOSFERE ESPLOSIVE - L' ASPETTO LEGISLATIVO (PRIMA PARTE)



Gli infortuni causati da esplosioni finiscono purtroppo spesso nelle prime
pagine della cronaca.

In tempi recenti basta ricordare l' esplosione della fabbrica di fuochi di
artificio Cancelli ad Arpino (FR) che è costata la vita a sei lavoratori o
meno recentemente la strage della Umbria Olii di Campello (4 morti), l'
incidente alla Eureco di Paderno Dugnano (4 morti), l' esplosione alla
Marconi gomma di Sasso Marconi (2 morti).



Anche se i morti a causa di esplosione sono una percentuale relativamente
bassa rispetto ad altre cause (il 2,4 % del totale secondo i dati di Vega
Engineering aggiornati a giugno 2011), questi incidenti hanno un' elevata
risonanza mediatica a causa della loro "spettacolarità" e del numero elevato
di morti che in genere comportano.



E ogni volta che infortuni e morti per esplosioni finiscono in prima pagina,
oltre alle ipocrite parole di cordoglio dei politici di turno, si ripetono,
relativamente all' incidente, le solite frasi sulla "tragica fatalità",
sull' "errore umano", sull' "evento imprevedibile".



In realtà, anche se l' esplosione è un evento che comporta gravissimi e
devastanti effetti, si tratta sempre, come per tutti gli infortuni sul
lavoro, di un evento prevedibile, il cui livello di rischio è facilmente
valutabile e, di conseguenza, che può essere evitato adottando precise
misure di prevenzione.



Sono ormai passati quasi vent' anni da quando venne emanata nel 1992 la
prima Direttiva comunitaria per la prevenzione del rischio da esplosioni,
seguita nel 1994 da un' altra Direttiva che imponeva i requisiti minimi di
sicurezza per le attrezzature da utilizzare in luoghi a rischio di
esplosione.



Entrambe le Direttive sono state recepite anche in Italia da anni, sotto
forma di leggi che definiscono precisi obblighi a carico di datori di lavoro
e di costruttori, ma che sono spesso disattese non per motivi tecnici, ma
come al solito per biechi interessi economici: le misure di prevenzione che
esse definiscono comportano poco graditi costi e procedure aggiuntivi e che
fanno passare in secondo piano i rischi che corrono i lavoratori.



Nel seguito riporto gli aspetti legislativi relativi alle misure di tutela
della sicurezza dei lavoratori esposti a rischio di esplosione,
ripromettendomi in futuro di descrivere anche gli aspetti tecnici.



Come vedrete esistono precisi obblighi a carico del datore di lavoro per
valutare i rischi derivanti dalla presenza di atmosfere esplosive, anche
sulla base di specifiche e dettagliate norme tecniche, e soprattutto per
adottare ogni possibile cautela per eliminare o ridurre a una probabilità
bassissima la possibilità che avvenga un' esplosione e in ogni caso per
evitare che l' effetto dell' esplosione abbia effetti devastanti.



Basterebbe che i datori di lavoro rispettassero questi obblighi. Purtroppo
sappiamo bene che i nostri imprenditori hanno altre priorità.



Visto la lunghezza dell' articolo, l' ho diviso in due parti. In questa
newsletters pubblico la prima parte (principi generali e valutazione del
rischio), nella prossima pubblicherò la seconda (le misure di prevenzione e
protezione).



Marco Spezia







LA PROTEZIONE DA ATMOSFERE ESPLOSIVE - PRINCIPI GENERALI



La tutela dei lavoratori rispetto al rischio da esplosioni è regolato da
tutto il Titolo XI "Protezione da atmosfere esplosive" del D.Lgs.81/08 (nel
seguito Decreto). Tale Titolo riprende il Titolo VIII bis del D.Lgs.626/94
introdotto come recepimento della Direttiva europea 1999/92/CE relativa alle
prescrizioni minime per il miglioramento della tutela della sicurezza e
della salute dei lavoratori esposti al rischio di atmosfere esplosive.



Come negli altri casi del Decreto, il Titolo XI definisce precisi obblighi
sanzionabili penalmente a carico del datore di lavoro e dei dirigenti, per
tutelare la sicurezza dei lavoratori in caso di presenza di atmosfere
esplosive, definite dall' articolo 288 come:

"una miscela con l' aria, a condizioni atmosferiche, di sostanze
infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri in cui, dopo
accensione, la combustione si propaga nell' insieme della miscela
incombusta".



Il titolo XI si applica praticamente a tutte le attività lavorative con l'
unica eccezione (articolo 287) di aree utilizzate direttamente per le cure
mediche dei pazienti; attività con utilizzo di apparecchi per la cottura, il
riscaldamento, la produzione di acqua calda; produzione, stoccaggio
trasporto di esplosivi; industrie estrattive; impiego di mezzi di trasporto
terrestre, marittimo, fluviale e aereo.

In sostanza il pericolo di esplosione è correlato ai materiali ed alle
sostanze lavorate, utilizzate o rilasciate da macchine, apparecchi, e
componenti. Alcuni di questi materiali e sostanze possono subire processi di
combustione nell' aria. Questi processi sono spesso accompagnati dal
rilascio di quantità considerevoli di calore e possono essere accompagnati
da aumenti di pressione e rilascio di materiali pericolosi. A differenza
della combustione in un incendio, un' esplosione è essenzialmente una
propagazione autoalimentata della zona di reazione (fiamma) nell' atmosfera
esplosiva.

Si devono considerare sostanze infiammabili e / o combustibili i materiali
in grado di formare un' atmosfera esplosiva, a meno che un' analisi delle
loro proprietà non abbia dimostrato che, in miscela con l' aria, non siano
in grado di produrre una propagazione autoalimentata di un' esplosione.



In tale ambito, gli obblighi generali a carico del datore di lavoro sono
definiti dall' articolo 289.

Al comma 1 tale articolo stabilisce che:

"Ai fini della prevenzione e della protezione contro le esplosioni, sulla
base della valutazione dei rischi e dei principi generali di tutela di cui
all' articolo 15, il datore di lavoro adotta le misure tecniche e
organizzative adeguate alla natura dell' attività: in particolare il datore
di lavoro previene la formazione di atmosfere esplosive".

Vale il principio generale di prevenzione per cui occorre eliminare i rischi
alla fonte utilizzando materie prime, semilavorati, processi produttivi che
per propria natura non comportino il rischio di esplosioni. Se ciò
tecnicamente non è possibile, il datore è sottoposto agli obblighi generali
di cui al successivo comma 2:

"Se la natura dell' attività non consente di prevenire la formazione di
atmosfere esplosive, il datore di lavoro deve:

a) evitare l' accensione di atmosfere esplosive;

b) attenuare gli effetti pregiudizievoli di un' esplosione in modo da
garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori".

Questi ovviamente sono obblighi di carattere del tutto generale, che
verranno dettagliati nei successivi articoli del Titolo XI.

Il mancato adempimento degli obblighi di cui all' articolo 289, comma 2 è un
reato penale punito dall' articolo 297, comma 2 con l' arresto da tre a sei
mesi o con l' ammenda da 2.500 a 6.400 euro.

Inoltre (comma 3 dell' articolo 289):

"Se necessario, le misure di cui ai commi 1 e 2 sono combinate e integrate
con altre contro la propagazione delle esplosioni e sono riesaminate
periodicamente e, in ogni caso, ogniqualvolta si verifichino cambiamenti
rilevanti".

Quindi vale il solito principio che la le misure di prevenzione e protezione
devono essere periodicamente riesaminate dal datore di lavoro e dai
dirigenti per adeguarli alle norme tecniche e a eventuali modifiche della
realtà lavorativa.





LA PROTEZIONE DA ATMOSFERE ESPLOSIVE - IL DOCUMENTO SULLA PROTEZIONE CONTRO
LE ESPLOSIONI

Il processo complessivo di valutazione del rischio, di classificazione delle
aree a rischio di esplosione, di individuazione di misure e procedure di
prevenzione e protezione dal rischio di esplosioni, deve essere formalizzato
all' interno di uno specifico documento che deve essere parte integrante del
Documento di Valutazione del Rischio di cui agli articoli 17, comma 1,
lettera a), 28 e 29.

L' articolo 294, comma 1, impone infatti che:

"Nell' assolvere gli obblighi stabiliti dall' articolo 290 il datore di
lavoro provvede a elaborare e a tenere aggiornato un documento, denominato
documento sulla protezione contro le esplosioni".

Il contenuto del documento sulla protezione contro le esplosioni è definito
in dettaglio dall' articolo 294, comma 2, che stabilisce che:

"Il documento di cui al comma 1 [il documento sulla protezione contro le
esplosioni], in particolare, deve precisare:

a) che i rischi di esplosione sono stati individuati e valutati;

b) che saranno prese misure adeguate per raggiungere gli obiettivi del
presente titolo;

c) quali sono i luoghi che sono stati classificati nelle zone di cui all'
allegato XLIX;

d) quali sono i luoghi in cui si applicano le prescrizioni minime di cui
all' allegato L;

e) che i luoghi e le attrezzature di lavoro, compresi i dispositivi di
allarme, sono concepiti, impiegati e mantenuti in efficienza tenendo nel
debito conto la sicurezza;

f) che, ai sensi del titolo III, sono stati adottati gli accorgimenti
per l' impiego sicuro di attrezzature di lavoro".

Quindi nel documento deve essere riportata in maniera formale la
classificazione delle aree a rischio di esplosione, le misure di prevenzione
e protezione adottare per ridurre la formazione e la diffusione di atmosfere
esplosive e l' innesco delle stesse, l' elenco degli impianti elettrici e
delle attrezzature utilizzate nelle aree a rischio di esplosione che
dovranno essere conformi a quanto stabilito dalle leggi relative alle
atmosfere esplosive e che le procedure di utilizzo delle attrezzature è
conforme all' utilizzo in atmosfere esplosive.

Come sopra detto e anche ai sensi dell' articolo 28, comma 2, lettera a), il
documento sulla protezione contro le esplosioni, essendo parte integrante
del Documento di Valutazione dei Rischi dell' azienda, dovrà inoltre
contenere i criteri adottati per la stesura del documento. Tali criteri sono
definiti dalle norme tecniche di riferimento richiamate nell' allegato IL.

L' articolo 294, comma 3 stabilisce poi che:

"Il documento di cui al comma 1 deve essere compilato prima dell' inizio del
lavoro ed essere riveduto qualora i luoghi di lavoro, le attrezzature o l'
organizzazione del lavoro abbiano subito modifiche, ampliamenti o
trasformazioni rilevanti".

Infine l' articolo 294, comma 3 specifica (come già detto in precedenza)
che:

"Il documento di cui al comma 1 e' parte integrante del documento di
valutazione dei rischi di cui all' articolo 17, comma 1".

Il mancato adempimento degli obblighi di cui all' articolo 294 è un reato
penale punito dall' articolo 297, comma 2 con l' arresto da tre a sei mesi o
con l' ammenda da 2.500 a 6.400 euro.





LA PROTEZIONE DA ATMOSFERE ESPLOSIVE - LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO



Il primo passo che il datore di lavoro deve compiere, per adempiere agli
obblighi di cui all' articolo 289, consiste nella valutazione del rischio da
esplosioni nelle attività in cui sono presenti atmosfere esplosive.

La relativa valutazione del rischio è imposta dall' articolo 290, comma 1,
che stabilisce:

"Nell' assolvere gli obblighi stabiliti dall' articolo 17, comma 1, il
datore di lavoro valuta i rischi specifici derivanti da atmosfere esplosive,
tenendo conto almeno dei seguenti elementi:

a) probabilità e durata della presenza di atmosfere esplosive;

b) probabilità che le fonti di accensione, comprese le scariche
elettrostatiche, siano presenti e divengano attive ed efficaci;

c) caratteristiche dell' impianto, sostanze utilizzate, processi e loro
possibili interazioni;

d) entità degli effetti prevedibili".

I successivi commi 2 e 3, specificano che

"I rischi di esplosione sono valutati complessivamente"

cioè con riferimento alla somma dei rischi presenti e che:

"Nella valutazione dei rischi di esplosione vanno presi in considerazione i
luoghi che sono o possono essere in collegamento, tramite aperture, con
quelli in cui possono formarsi atmosfere esplosive"

cioè che la valutazione deve riguardare tutte le possibile aree suscettibili
di essere interessate da esplosione.

Il mancato adempimento degli obblighi di cui all' articolo 290 è un reato
penale punito dall' articolo 297, comma 1 con l' arresto da tre a sei mesi o
con l' ammenda da 2.500 a 6.400 euro. Tale reato, ai sensi delle non
delegabilità della valutazione del rischio (articolo 17, comma 1, lettera
a) ) è a totale carico del datore di lavoro.

Ovviamente, come imposto dall' articolo 28, comma 2, lettera a), la
valutazione del rischio da esplosioni deve contenere i criteri tecnici
secondo cui è stata eseguita, criteri che non sono lasciati alla libera
interpretazione del datore di lavoro, ma che sono definiti da specifiche
norme tecniche riportate nell' allegato IL del Decreto. Questo aspetto può
essere meglio valutato analizzando il contenuto tecnico del Decreto.



Nell' ambito della valutazione del rischio il datore di lavoro deve eseguire
la classificazione delle aree a rischio di esplosione, secondo precisi
criteri tecnici.

Infatti l' articolo 293, comma 1, stabilisce che:

"Il datore di lavoro ripartisce in zone, a norma dell' allegato IL, le aree
in cui possono formarsi atmosfere esplosive".

In pratica, sempre sulla base di precisi criteri tecnici, riportati in
dettaglio nell' allegato IL del Decreto, ogni settore della azienda in cui
sussiste un potenziale pericolo di esplosione, deve essere classificato con
un numero (da 0 a 2 per gas esplosivi e da 20 a 22 per polveri esplosive in
ordine di pericolo decrescente). Il dettaglio tecnico della classificazione
delle aree può essere meglio valutato analizzando il contenuto tecnico del
Decreto.

Il mancato adempimento degli obblighi di cui all' articolo 293, comma 1 è un
reato penale punito dall' articolo 297, comma 2 con l' arresto da tre a sei
mesi o con l' ammenda da 2.500 a 6.400 euro.



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RAVENNA: IL PORTO CULLA DI CAPORALATO E LAVORO NERO



Da: http://bastamortesullavoro.blogspot.com/





Il nodo di Ravenna della Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro lo
denuncia da tempo, dalla morte sul lavoro di un operaio interinale, Luca
Vertullo.

La denuncia delle coop della Lega deriva dalla concorrenza e perdita di
profitti e rivolgersi ai principali protagonisti del sistema di sfruttamento
degli operai al Porto, istituzioni e Confindustria, è ridicolo.

Fino ad oggi hanno taciuto e ora che le merci scarseggiano al Porto si
lamentano. E i confederali complici di questo sistema ?

Guarda caso, questa denuncia non tira nemmeno in ballo le agenzie
interinali, il caporalato "legale" gestito dallo stesso sindacato
confederale.



Rete di Ravenna





Da http://www.ravennaedintorni.it/



Le coop "vere" denunciano quelle finte.

Tra imprese fantasma e facchini che lavorano due giorni all' anno.



di Matteo Cavezzali



"È giunto il momento di far arrabbiare qualcuno, anche con gesti eclatanti,
perché così non si può più andare avanti". Lo dichiara Rudy Gatta,
responsabile movimenti e trasporto di Legacoop Ravenna.



L' accusa pesante di Legacoop, Confcoperative e Agci è rivolta alle
istituzioni che dovrebbero controllare e anche a Confindustria, che non
effettua le opportune verifiche. Il tema è quello del fenomeno del
caporalato e del lavoro nero che, assicurano le associazioni, sta soffocando
le cooperative regolari. Uno studio fatto a livello regionale individua nel
porto di Ravenna il centro principale di questo fenomeno. Due cooperative su
tre sono finte e servono solo per assicurarsi lavori che vengono poi fatti
fare in nero e senza sicurezza.



"È difficile calcolare numeri esatti riferendosi al lavoro nero." - spiega
Carlo Occhiali, Legacoop Emilia-Romagna - "Possiamo però fare una stima: il
95% dei lavori di facchinaggio sono svolti da cooperative, solo il 30% di
queste è iscritto alle centrali cooperative e quindi è sottoposto a
controlli regolari. Chi non si iscrive riesce così ad eludere l' istituto di
Revisione cooperativa, principale strumento di verifica della legalità
societaria. Queste cooperative spesso hanno una vita di pochi mesi, giusto
il tempo di fare il lavoro e poi si sciolgono. A Ravenna sono 1.940 i
lavoratori nel settore del facchinaggio di cui ne risultano solamente 344
stranieri. Inoltre a fronte di una situazione così allarmante si evince una
mancanza di controlli repressivi sufficienti. Viene ispezionato appena il 5%
del totale delle imprese".



"Sono stati moltissimi a mandarci fotocopie di buste paga dove si vedono
facchini che risultano lavorare due giorni all' anno." - afferma Maurizio
Ceredi, presidente di Cofari, la più grande cooperativa che lavora al
porto - "È evidente che siamo davanti a un fenomeno gravissimo che mette in
dura difficoltà chi lavora rispettando i contratti. Questi lavoratori in
nero costituiscono una concorrenza sleale che ha appesantito ulteriormente
l' effetto della crisi facendo crollare il nostro fatturato in pochi anni da
15 milioni di euro a 10 milioni e portando alla riduzione degli addetti da
440 a 330».



"La crisi economica ha dato spazio a chi offre lavoro sottocosto perché
sfrutta i lavoratori." - spiega Alberto Armuzzi, presidente di Legacoop
Servizi Emilia Romagna - "Questo è grave sia per le cooperative reali che
perdono lavoro, che per i lavoratori che perdono il posto per colpa della
concorrenza sleale oppure si vedono costretti a lavorare in condizioni non
eque al di fuori della legalità".



Per questo motivo le centrali cooperative hanno attivato un Osservatorio
provinciale sulla cooperazione "Quest' anno a Ravenna abbiamo effettuato
trenta controlli." - spiega Daniela Zannoni componente dell' osservatorio -
"Delle cooperative controllate il 40% era irregolare ed è stato segnalato
alle autorità. Sono però molto pochi i casi che riusciamo ad appurare
rispetto al numero effettivo, ci vorrebbe una collaborazione dall' esterno
per colpire queste finte coop".



27 09 2011



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LAMPEGGIA UN SINGHIOZZO



da Marco Bazzoni

Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

bazzoni_m@tin.it



LAMPEGGIA UN SINGHIOZZO di Pietro Vizzini



A volte qualcuno gli passa vicino

tentando una carezza alla spalla,

debole il suo respiro

affannoso nei giorni d' estate,

quando la calura gli molesta la gamba

quella lasciata sotto le lamiere contorte,

non ha più rabbia il suo pensiero

è soltanto un sorriso alla morte,

zittito il tempo

divelte i giorni azzannati

da uomini che giocano al ribasso.

Il costo del lavoro da ridurre,

stringere la cinghia

è questo il ricatto

sussurrato dal capo

"O vieni in silenzio o vai !".

Ma la fame non ragiona

chiama senza voce

e in quel percorso tace.

Chi fermerà questa corsa esasperata

il salto implacabile dell' acrobata

sul filo sospeso della vita

sulla linea di confine,

in un giorno dove non era previsto

chi mai potrebbe prevedere

la fiamma intorno all' animale,

la corsa dell' uomo in avanti e indietro

tra le polveri lo schianto

l' urlo delle scintille

e grandi ombre

a ricoprire il corpo.

Adesso sogna sirene del mare,

scende in strada a riveder le stelle

seduto sul ciglio

di una sedia a rotelle,

lampeggia un singhiozzo,

sirene nell' aria

strozzano la gola.



Vite distrutte, spezzate

da un urlo che morde e travolge la carne,

molti la chiamano fatalità

ma più spesso è mancanza di sicurezza

nei luoghi del pane.


"Il ricordo degli anni vissuti lavorando in fabbrica, mi ha spinto a
scrivere questi versi, testimonianza di un passato, ma anche di una realtà
odierna di una situazione di assenza di sicurezza nei luoghi di lavoro, che
ancora adesso è padrona figlia dei padroni".

Pietro Vizzini



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SCHEDE TECNICHE SUL RISCHIO BIOLOGICO NEI LUOGHI DI LAVORO



Da: http://www.puntosicuro.it



Anno 13 - numero 2703 di martedì 20 settembre 2011


Nessun ambiente di lavoro può considerarsi esente dalla presenza di agenti
biologici. Una pubblicazione dell' INAIL raccoglie schede relative al
rischio biologico in ambienti molto diversi. Un approfondimento su asili
nido, scuole e uffici.



Tra i rischi professionali meno conosciuti e, di conseguenza, più
sottostimati nei luoghi di lavoro, c' è il rischio biologico. Per rimediare
a questa sottovalutazione del rischio biologico, l' INAIL, attraverso l'
attività della Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione
(CONTARP), ha già da tempo avviato un' intensa campagna informativa e
formativa che è culminata nella pubblicazione di una prima serie di quindici
schede tecnico-informative sul rischio biologico nei più svariati ambienti
di lavoro.

Recentemente a questo volume si è affiancata una seconda pubblicazione dal
titolo "Il rischio biologico nei luoghi di lavoro - Schede
tecnico-informative" che completa la prima edizione.

Anche questa nuova pubblicazione, con le sue trenta schede relative al
rischio biologico nei luoghi di lavoro, spazia in settori molto diversi tra
loro: dagli ambienti indoor non industriali (uffici, scuole), ai settori
della filiera agroalimentare (allevamenti, trasformazione di prodotti
alimentari, mangimifici, ecc.), al comparto dei rifiuti solidi urbani e
della depurazione di acque reflue civili, fino ad includere attività quali
l' assistenza familiare e i centri di piercing e tatuaggi. Schede che
dimostrano, una volta di più, che nessun ambiente può considerarsi esente
dalla presenza di agenti biologici.



Il documento ricorda infatti che sono molti i fattori che possono favorire
lo sviluppo e la diffusione di agenti biologici: il tipo di attività, il
processo o la fase lavorativa, le materie utilizzate, il contatto con fluidi
biologici umani o animali potenzialmente infetti, la presenza di polvere, la
scarsa igiene, il cattivo funzionamento e la manutenzione degli impianti
aeraulici, la presenza ed il numero di occupanti, il microclima, ecc. .



In particolare le schede forniscono indicazioni sulle principali fonti di
pericolo, le modalità di esposizione, gli effetti sulla salute e sulle
specifiche misure di prevenzione e protezione.

Inoltre sono riportate specifiche indicazioni tecniche per lo svolgimento
del monitoraggio ambientale, rimandando per eventuali approfondimenti e
analisi di dettaglio alle apposite linee guida o ai vari riferimenti
bibliografici e normativi.



Non mancano poi un piccolo glossario per chiarire alcuni termini
specialistici e una tabella riportante un breve elenco di agenti biologici
potenzialmente presenti negli ambienti oggetto dello studio, con le
principali patologie da essi causate.



La parte principale del volume è tuttavia la raccolta di schede, schede il
cui protagonista è un personaggio dal nome "BioRisk", un' agente biologico
che veste di volta in volta gli indumenti di lavoro dei diversi comparti e
interessa vari punti critici del ciclo produttivo, ossia dove è maggiore la
probabilità di esposizione ad agenti biologici.



Per dimostrare come il rischio biologico sia trasversale e presente anche in
attività spesso non considerate a rischio, riportiamo alcune indicazioni
tratte dalle schede relative al rischio biologico negli asili nido, nelle
scuole e negli uffici.



Rischio biologico in asili nido e scuole dell' infanzia.

Queste le fonti di pericolo biologico negli asili nido e scuole dell'
infanzia:

- contatto con bambini in età prescolare (pannolini dei bambini,
feci, fluidi biologici);

- impianti aeraulici e idrici in cattivo stato di manutenzione;

- arredi e tendaggi;

- polvere.

Le vie di esposizione sono:

- inalazione di bioaerosol;

- contatto con superfici o oggetti contaminati;

- contatto con soggetti potenzialmente infetti.

Rimandando i lettori alla lettura diretta delle schede in merito all' elenco
degli agenti biologici potenzialmente presenti in questi ambienti e l'
elenco dei possibili effetti sulla salute, passiamo direttamente ad alcuni
consigli in merito alla prevenzione e protezione:

- formazione e sensibilizzazione sulle corrette prassi igieniche;

- igiene delle mani, soprattutto dopo avere cambiato indumenti e
pannolini ai bambini;

- adeguate procedure di pulizia degli ambienti;

- microclima confortevole (ventilazione, idoneo numero di ricambi d'
aria);

- adeguata manutenzione degli impianti aeraulici e idrici;

- monitoraggi ambientali periodici per controllare la qualità dell'
aria, delle superfici e della polvere;

- sorveglianza sanitaria (soprattutto soggetti sensibilizzati e/o
allergici);

- periodiche ispezioni delle possibili infestazioni ectoparassitarie
dei bambini (pediculosi);

- profilassi vaccinale (se disponibile).



Rischio biologico nelle scuole.

Il documento ricorda che le scuole sono annoverate tra i cosiddetti
"ambienti indoor" (ambienti confinati di vita e di lavoro) e che, per il
rischio biologico, meritano un' attenzione particolare, soprattutto, gli
istituti che hanno indirizzi particolari quali quello microbiologico o
agrario. In tali scuole infatti spesso vengono svolte attività in
laboratorio che richiedono il contatto con colture microbiologiche o
esercitazioni nel settore agricolo e zootecnico.

In generale poi, le fonti di pericolo biologico dipendono dal cattivo stato
di manutenzione e igiene dell' edificio, come inadeguate ventilazione degli
ambienti e manutenzione di apparecchiature e impianti (ad esempio impianti
di condizionamento e impianti idrici) e poi arredi e tendaggi.

Inoltre, per il tipo di attività svolta, in ambienti promiscui e densamente
occupati, il rischio biologico nelle scuole è legato anche alla presenza di
coloro che vi studiano o lavorano (insegnanti, studenti, operatori e
collaboratori scolastici) ed è principalmente di natura infettiva (da
batteri e virus). A ciò si aggiunge il rischio di contrarre parassitosi,
quali pediculosi e scabbia e il rischio allergico (da pollini, acari della
polvere, muffe, ecc.).

Veniamo ai consigli in merito alla prevenzione e protezione:

- manutenzione periodica dell' edificio scolastico, degli impianti
idrici e di condizionamento;

- idoneo dimensionamento delle aule in relazione al numero di
studenti (evitare sovraffollamento);

- benessere microclimatico (temperatura, umidità relativa,
ventilazione idonee);

- adeguate e corrette procedure di pulizia degli ambienti e dei
servizi igienici con utilizzo di guanti e indumenti protettivi (mascherine
in caso di soggetti allergici);

- vaccinoprofilassi per insegnanti e studenti;

- sorveglianza sanitaria dei soggetti esposti;

- controlli periodici delle condizioni igienico-sanitarie dei
locali, inclusi controlli della qualità dell' aria indoor e delle superfici;

- formazione e sensibilizzazione del personale docente e non
docente, degli allievi e delle famiglie in materia di rischio biologico.



Rischio biologico negli uffici.

Ricordando le fonti di pericolo biologico (materiale documentale, arredi,
tendaggi, polvere, impianti di climatizzazione) e le vie di esposizione
(inalazione di bioaerosol, contatto con superfici od oggetti contaminati),
passiamo direttamente alle misure di prevenzione e protezione per gli
uffici:

- formazione e sensibilizzazione sulle corrette prassi igieniche;

- adeguate procedure di pulizia degli ambienti, riduzione polvere;

- microclima confortevole (ventilazione, idoneo numero di ricambi d'
aria);

- adeguata manutenzione degli impianti aeraulici e idrici;

- monitoraggi ambientali periodici per controllare la qualità dell'
aria, delle superfici e della polvere".



Il documento INAIL "Il rischio biologico nei luoghi di lavoro - Schede
tecnico-informative" è scaricabile all' indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/110920_INAIL_Rischio_Biologico.pdf

ATTENZIONE: il documento è molto pesante da scaricare (circa 15 MB).



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LA CASSAZIONE SULL' AUTOCERTIFICAZIONE DELLA VALUTAZIONE DEI RISCHI



Da: http://www.puntosicuro.it



Anno 13 - numero 2692 di lunedì 05 settembre 2011



La facoltà per le aziende fino a 10 addetti di ricorrere all'
autocertificazione della valutazione dei rischi non esonera il datore di
lavoro dal predisporre comunque una documentazione sulla valutazione
effettuata sia pure meno analitica.



Commento a cura di Gerardo Porreca.



Corte di Cassazione Penale - Sezione III - Sentenza n. 23968 del 15 giugno
2011

È utile questa sentenza perché fornisce dei chiarimenti, se ancora ce ne
fosse il bisogno, sull' esonero che il legislatore ha voluto assegnare alle
aziende di modesta entità e più precisamente alle aziende che occupano fino
a dieci lavoratori di redigere un documento di valutazione dei rischi
contenente gli elementi specificatamente indicati dal legislatore stesso ed
alle quali ha concesso invece di poter autocertificare la effettuazione
della valutazione dei rischi.

Secondo la Corte suprema autocertificare la effettuazione della valutazione
dei rischi non significa che il datore di lavoro non debba provvedere ad
effettuare la valutazione dei rischi secondo le modalità stabilite dalla
legge, ma che una volta effettuata tale valutazione il datore di lavoro
stesso è tenuto comunque ad elaborare con l' autocertificazione un documento
dal contenuto sia pure meno analitico.

La sentenza in esame è stata emessa sulla base delle disposizioni dettate in
merito dall' abrogato D.Lgs.626/94, ma ciò nulla cambia per quanto riguarda
le indicazioni che si possono trarre dalla sentenza, in quanto le stesse
disposizioni sono state recepite integralmente dal D.Lgs.81/80, contenente
il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, attualmente
in vigore.

A tal proposito la stessa Corte di Cassazione ha tenuto anche a precisare
che sussiste una continuità normativa fra le disposizioni dell' articolo 4
del D.Lgs.626/94 e quelle di cui agli articoli 17, 28 e 29 del D.Lgs.81/80,
motivo per il quale non può essere invocato l' "abolitio criminis".



Il caso.

Il titolare di una ditta di impermeabilizzazione è stato imputato del reato
di cui al D.Lgs.626/94, articolo 4, comma 2, perché, in qualità di datore di
lavoro ha omesso di elaborare un documento di valutazione dei rischi per la
sicurezza e salute dei lavoratori. Tale omissione era stata accertata dal
personale dell' organo di vigilanza nel corso di una visita ispettiva il
quale, durante il sopralluogo in azienda, aveva rinvenuto a lavorare due
operai dipendenti della ditta, della quale il legale rappresentante era l'
imputato, ed aveva contestato allo stesso con apposito verbale di ispezione
la violazione all' allora articolo 4 comma 2 del D.Lgs.626/94 (ora articolo
17 del D.Lgs.81/08) per non aver appunto elaborato il documento di
valutazione dei rischi per la sicurezza dei lavoratori. Il Tribunale ha
dichiarato il datore di lavoro colpevole del reato a lui ascritto e lo ha
condannato alla pena di 1.500 euro di ammenda, oltre al pagamento delle
spese processuali.



Il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione.

Avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale l' imputato ha proposto
ricorso per cassazione motivandolo con la citazione dell' articolo 4, comma
11 del D.Lgs.626/94 secondo il quale "il datore di lavoro delle aziende che
occupano fino a dieci addetti non è soggetto agli obblighi di cui ai commi 2
e 3, ma è tenuto comunque ad autocertificare per iscritto l' avvenuta
effettuazione della valutazione dei rischi". Per cui lo stesso ha sostenuto
che il documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e salute dei
lavoratori fosse obbligatorio e soggetto a ispezione per le sole aziende che
occupino più di dieci addetti, contestando in più che nell' occasione non
sarebbe stata in alcun modo accertata la reale consistenza dell' azienda e
il numero dei dipendenti effettivamente occupati.



La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso ed ha ricordato in
proposito che il comma 11 del citato articolo 4 del D.Lgs.626/94 prevedeva
effettivamente che il datore di lavoro delle aziende che occupassero fino a
dieci addetti non era soggetto agli obblighi di cui ai commi 2 e 3 dello
stesso articolo e che quindi era esonerato, in particolare dal predisporre e
tenere il documento di valutazione dei rischi nel contenuto di cui al
secondo comma, consistente in una relazione sulla valutazione dei rischi per
la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale devono essere
specificati i criteri adottati per la valutazione stessa, l' individuazione
delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione
individuale, in relazione alla valutazione stessa, nonché il programma delle
misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei
livelli di sicurezza.

"Ciò non esonerava anche il datore di lavoro", ha proseguito la Sezione III
"dal predisporre e tenere il documento di valutazione dei rischi nel
contenuto meno analitico di cui al comma 1; documento che doveva comunque
contenere la valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e per la salute
dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti
a rischi particolari, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e
delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione
dei luoghi di lavoro".

La suprema Corte, rammentando quindi che l' obbligo della valutazione dei
rischi e di elaborazione del relativo documento è ora confermato dal
D.Lgs.81/08 con gli articoli 17 e 28 e articolo 29, comma 5, e che tale
decreto prevede parimenti modalità semplificate di adempimento di tale
obbligo per i datori di lavoro che occupino fino a dieci dipendenti, ha
quindi confermata la legittimità della sentenza impugnata concludendo che
"c' è quindi continuità normativa con conseguente esclusione dell' abolitio
criminis, per effetto dell' abrogazione della disposizione recante l'
incolpazione".



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SULL' OBBLIGO DEL DATORE DI LAVORO DI RIDURRE AL MINIMO I RISCHI



Da: http://www.puntosicuro.it



Anno 13 - numero 2697 di lunedì 12 settembre 2011


Il datore di lavoro e' tenuto a migliorare la segnaletica di avvertimento
dei pericoli esistenti nei luoghi di lavoro alla luce delle disposizioni di
legge che impongono l' eliminazione o la riduzione al minimo possibile dei
rischi aziendali.



Corte di Cassazione Penale - Sezione IV - Sentenza n. 1841 del 15 gennaio
2010



Commento a cura di Gerardo Porreca.



Nella sentenza della Corte di Cassazione in esame, relativa ad un infortunio
mortale sul lavoro avvenuto in una azienda, è stata individuata una carenza
di segnaletica e di informazione da parte del datore di lavoro ed è stata
associata la carenza stessa al mancato rispetto delle disposizioni di legge
in materia di sicurezza sul lavoro in base alle quali i rischi sui luoghi di
lavoro devono essere ridotti al minimo possibile, se non proprio eliminati
completamente. Nella circostanza dell' infortunio in esame, in particolare,
secondo la Corte suprema, si sarebbe potuto e si sarebbe dovuto migliorare
le modalità con cui andava segnalata la presenza di un lavoratore nella zona
dove lo stesso stava prestando la propria attività e che poteva diventare
una zona di pericolo per la sua incolumità.



Il caso e le misure di sicurezza adottate.

Il Tribunale ha condannato l' amministratore unico di una società, ritenuto
colpevole quale datore di lavoro dell' azienda del delitto di omicidio
colposo avvenuto in danno di un operaio dipendente, per aver omesso di
adottare efficienti sistemi di sicurezza atti a segnalare in modo inequivoco
la presenza di persone operanti all' interno di una tramoggia di una vasca
di immissione di materiale calcareo e per aver cagionata la morte di detto
operaio, che si era introdotto nel vano inferiore della vasca per
effettuarne lavori di pulizia, in conseguenza di una rovinosa caduta sul suo
corpo di pietre ed altro materiale versato dall' alto dai colleghi di lavoro
attraverso la bocca superiore. Dalle indagini era risultato, come
riscontrato anche dalle testimonianze dei colleghi di lavoro, che il
lavoratore si era attenuto alle procedure previste formalmente nel documento
di sicurezza, elaborato da un consulente esterno alla società, ove era
prescritto che, al fine di effettuare i lavori di pulitura della tramoggia,
l' operaio addetto dovesse entrare dal basso nella vasca ed ivi rimanervi
fino a che non avesse esaurita l' attività programmata.

L' infortunio mortale era stato dal Tribunale collegato eziologicamente ad
un sistema di sicurezza rudimentale ed insufficiente non rispettoso del
principio della massima riduzione dei rischi dettato dal D.Lgs.626/94 ed era
stato addebitato al datore di lavoro in quanto titolare della posizione di
garanzia al quale incombeva per legge l' obbligo di adottare le misure di
sicurezza adeguate e più idonee alla situazione concreta. La possibilità di
adottare nella circostanza delle misure di sicurezza più adeguate a
prevenire un eventuale scarico di materiale all' interno della bocca
superiore della tramoggia, causa dell' infortunio, era stata individuata dal
Tribunale sulla scorta del parere espresso al riguardo dal consulente
tecnico del P.M. che aveva individuata la necessità nella circostanza di
apporre dei segnali luminosi e sonori certamente più idonei ed efficaci di
quanto non fosse il rudimentale sistema adottato consistente nell'
apposizione di due assi di legno sulla grata superiore della tramoggia. La
Corte di Appello alla quale si è rivolto successivamente l' imputato ha
riformata parzialmente la sentenza di primo grado, sostituendo la pena
detentiva inflitta con quella pecuniaria con la revoca del beneficio della
sospensione condizionale della pena.



Il ricorso alla Corte di Cassazione e le motivazioni.

Avverso la decisione della Corte Territoriale il datore di lavoro ha
proposto ricorso per cassazione lamentando che i giudici di secondo grado
non avevano considerato che, con il rilascio con atto scritto di una delega
al "direttore di cava", il datore di lavoro aveva effettuato legittimamente
il definitivo e pieno passaggio delle funzioni in materia di sicurezza a
detto soggetto, qualificato e capace, conseguendo l' esonero da ogni
responsabilità per l' eventuale violazione degli obblighi imposti dalla
legge in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. L' imputato si è
lamentato, altresì, che i giudici della Corte di Appello avevano individuata
l' applicabilità dell' apprestamento di un sistema di segnalazione acustica
e visiva, non sulla base di una concreta dimostrazione tecnico-scientifica,
eventualmente acquisibile per mezzo di un supplemento di perizia, ma
ricorrendo solamente al concetto del fatto "notorio", e cioè sulla base che
è prassi in uso da tempo di utilizzare sistemi di segnalazione attivabili
elettricamente o elettronicamente.

L' imputato ha, altresì, contestata la ritenuta inidoneità del sistema di
prevenzione da lui adottato in quanto sarebbe stata trascurata la
circostanza che lo stesso sistema prevedeva, oltre alla collocazione di due
assi di legno al fine di indicare che erano in corso lavori all' interno
della vasca, anche l' ulteriore presidio consistente nella obbligatoria
partecipazione alle operazioni di due operai, al fine di ottenere un duplice
livello di attenzione, nell' evenienza di occasionali cali di prudenza da
parte di uno di essi. Secondo il datore di lavoro, inoltre, nell' accaduto
si era verificato un comportamento abnorme ed imprevedibile dell'
infortunato allorquando ha omesso di collocare delle assi di legno sulla
tramoggia e non ha atteso l' arrivo del secondo operaio.


Le decisioni della Corte di Cassazione in esito al ricorso.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell' imputato ed ha
condiviso le decisioni assunte dalla Corte di Appello la quale aveva
incentrato la propria attenzione sulla possibilità rilevata dal consulente
del P.M. di ridurre al massimo i rischi di caduta dall' alto di materiale
pietroso con l' adozione, con costi esigui, di sistemi elettronici di
rilevazione della presenza di operai all' interno della tramoggia e di
segnalazione luminosa ed acustica all' esterno, essendo tale tipologia di
sistemi, connotati da caratteristiche tecniche di semplice installazione e
di diffusa e sperimentata applicazione da tempo in vari settori di impiego,
idonea tecnicamente a prevenire, nel modo più efficace, anche eventuali
disattenzioni o imprudenze dei lavoratori addetti, come l' infortunato, alla
pulizia all' interno della tramoggia.

La Corte di Cassazione ha condiviso altresì il principio richiamato dai
giudici di merito secondo il quale "tra i destinatari ture proprio delle
norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro dal
Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, è compreso, primo
tra altri, il datore di lavoro e che tra gli oneri e le responsabilità, a
quest' ultimo incombenti in materia di sicurezza del lavoro, è compreso
quello di non discostarsi dall' obbligo della massima riduzione dei rischi
nell' ambiente di lavoro dettato dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994: a
meno che, da parte del titolare dell' impresa, sia avvenuta, non soltanto la
nomina nel ruolo di garante delle misure di sicurezza di persona qualificata
e capace, ma anche il trasferimento alla stessa di tutti i compiti di natura
tecnica, con le più' ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione anche
in materia di prevenzione degli infortuni, con il conseguente esonero, in
caso di incidente, da responsabilità penale del datore di lavoro", cosa che
nella circostanza non è stato riscontrato in quanto il documento di delega
al "direttore di cava" prodotto dalla difesa non era utile ai fini dell'
esenzione del datore di lavoro da responsabilità, trattandosi di delega
limitata all' esecuzione delle misure di sicurezza e all' attività di
sorveglianza circa il loro rispetto, e non certamente estesa anche all'
osservanza dell' obbligo dell' individuazione dei fattori di rischio e delle
misure di prevenzione da adottare all' interno dell' azienda.

"Vero è che il datore di lavoro", ha proseguito la suprema Corte, "ai sensi
del disposto di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4,
comma 4, lettera a), può designare un responsabile del servizio di
prevenzione e protezione e che i compiti di detto responsabile sono
dettagliatamente elencati nel successivo articolo 9 e, tra essi, rientra l'
obbligo dell' individuazione dei fattori di rischio e delle misure di
prevenzione da adottare. Ma è, tuttavia, indubbio che, nel fare ciò, il
responsabile del servizio opera per conto del datore di lavoro, il quale è
persona che giuridicamente si trova nella posizione di garanzia, poiché l'
obbligo di effettuare la valutazione e di elaborare il documento contenente
le misure di prevenzione e protezione, in collaborazione con il responsabile
del servizio, fa capo al datore di lavoro in base al citato Decreto
Legislativo, articolo 4, commi 1, 2 e 6".

In merito alle funzioni del responsabile del servizio di prevenzione e
protezione la Sezione IV ha ribadito e confermato a tal punto quanto più
volte in passato sostenuto dalla stessa Corte di Cassazione e cioè che "Il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione è, in altri termini,
una sorta di consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi e
delle sue elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro
settore dell' amministrazione dell' azienda, vengono fatti propri dal datore
di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest' ultimo delle
eventuali negligenze del primo è chiamato comunque a rispondere".

Privo di fondamento giuridico è stato inoltre ritenuto dalla suprema Corte
l' assunto del ricorrente secondo il quale la delega affidata al "direttore
di cava" sarebbe valsa giuridicamente anche a sostituire il datore di lavoro
nel compito di decidere se e quali misure di sicurezza dovevano essere
adottate nell' ambito aziendale e, quindi, potesse, di per sé, rendere
esente da responsabilità il datore di lavoro, a parte la circostanza che a
carico dello stesso era in corso un procedimento penale parallelo con il
quale questi è stato chiamato a rispondere di concorso colposo nella
produzione del medesimo evento infortunistico anche se per comportamenti
omissivi del tutto differenti rispetto a quelli accertati e contestati a
carico del datore di lavoro.

In merito alla inadeguatezza del sistema di prevenzione adottato in concreto
per evitare infortuni nel corso degli interventi di pulizia da eseguirsi
all' interno della tramoggia e della necessità di ricorrere a più idonei
sistemi di prevenzione la suprema Corte ha ritenuta persuasiva e congrua la
motivazione esposta dai giudici di merito per dimostrare l' insufficiente
efficacia, ai fini della prevenzione del pericolo per l' incolumità dell'
operaio impegnato in lavori di pulizia all' interno della tramoggia, del
sistema adottato in concreto dal datore di lavoro, considerato che l'
apposizione di due assi di legno sulla grata superiore della tramoggia,
oltre a non recingere di fatto l' intero margine della vasca, costituiva un
ostacolo di scarsa consistenza, potendo le assi essere rimosse da urti
accidentali o da altri agenti esterni, come in effetti è avvenuto.

La soluzione alternativa, proposta dai giudici di merito, del ricorso a
sistemi di segnalazione luminosi ed acustici non è stata, inoltre, ritenuta
dalla suprema Corte, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del
ricorrente, come una sorta di escamotage non suffragato da studi
scientificamente validi posto che detta soluzione è stata, a ragion veduta,
mutuata dal parere tecnico espresso sul punto dal consulente del P.M. ed
"essendo evidente il minore margine di rischio assicurato da un sistema,
immune da condizionamenti esterni, come quello proposto di rilevazione
elettronica della presenza dell' operaio all' interno della vasca e di
segnalazione all' esterno mediante allarmi luminosi od acustici".

"I sistemi di rilevazione della presenza di persone negli ambienti più
disparati", ha quindi proseguito la Sezione IV, "(anche quelli ove si
svolgono attività produttive o, comunque, lavorative) mediante telecamere o
altre apparecchiature attivabili elettricamente o elettronicamente, sono di
uso generalizzato e assicurano, mediante allarmi luminosi od acustici, il
controllo più efficace, sulla scorta dell' 'id quod plerumque accidit' , per
impedire che quella presenza non sfugga all' attenzione altrui, senza subire
interferenze dalle eventuali condotte disattente od imprudenti della stessa
persona soggetta al controllo".

La suprema Corte ha quindi concluso condividendo e ribadendo quanto
richiamato dalla Corte di appello e cioè che sussiste "l' obbligo giuridico,
incombente sul datore di lavoro di ridurre al massimo possibile il rischio
connesso ad aspetti delle attività aziendali foriere di pericolo per la
salute dei lavoratori dipendenti".



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