sabato 18 febbraio 2012

Marea umana a Taranto. Periti accusano Ilva, folla in tribunale. Le indagini partirono da PeaceLink

Ieri una marea umana ha accerchiato in tribunale di Taranto. Come a Torino per l'Eternit, a Taranto per l'inquinamento da diossina e altri cancerogeni sale la mobilitazione. Tre anni fa PeaceLink presentava l'esposto alla Procura della Repubblica evidenziando che le analisi del pecorino - fatte a proprie spese - certificavano concentrazioni di diossina e pcb tre volte sopra i limiti di legge.
*I PERITI ACCUSANO: “L’ILVA FA MALE” FOLLA IN TRIBUNALE A TARANTO *

*Il rapporto parla chiaro. Inchiesta sul titolare Emilio Riva *

*di Maria Luisa Mastrogiovanni, “Il Fatto Quotidiano”, 16 feb. 2012*



Una catena umana a sostenere la magistratura. “Se la speranza ha un nome si chiama Patrizia Todisco”: è uno dei tanti striscioni che ieri davanti al Tribunale di Taranto venivano inneggiati da un migliaio di persone, confluite davanti a palazzo di giustizia per dire all’Italia che “Taranto, Taras, c’è”, ed è contro l’Ilva.

“Dopo Casale Monferrato anche Taranto vuole giustizia”. E’ anche questo il cuore dell’adunanza di ieri (c’era anche Bill Emmott, ex direttore del The Economist, che sta realizzando un documentario sull'Italia), perché dopo la sentenza Eternit che ha riconosciuto colpevoli di disastro doloso e di omissione delle misure antinfortunistiche i responsabili legali dell’azienda, i cittadini di Taranto sperano che sull’Ilva, la più grande acciaieria d’Italia e una delle più grandi al mondo, si crei un movimento d’opinione nazionale.

Ieri in Camera di consiglio davanti al gip Patrizia Todisco si è discussa la perizia di 554 pagine redatta da quattro esperti (Sanna, Monguzzi , Santilli, Felici) che inchioderebbe per la prima volta i vertici dell’acciaieria. Le indagini sono partite nel 2008, dopo che Peacelink fece analizzare alcuni campioni di formaggio di pecora prodotti negli allevamenti a ridosso dello stabilimento. Il formaggio risultò gravemente contaminato da diossina e pcb e la Asl avviò una serie di indagini e campionamenti che portarono all’abbattimento di 2.200 capi di bestiame.

Risultato: indagati i titolari dell’azienda, Emilio Riva e suo figlio Nicola, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento siderurgico, e Angelo Cavallo, responsabile dell'area agglomerato: sono accusati di disastro colposo e doloso, oltre ad una serie di reati ambientali.

Ora, sono arrivati i risultati della perizia, e sono agghiaccianti: nelle risposte ai sei quesiti posti dal gip i periti scrivono che “sì”, attorno allo stabilimento si diffondono polveri, vapori, gas, contenenti sostanze pericolose non solo per la salute degli 11.500 lavoratori, ma anche per il territorio circostante; che “no”, l’Ilva non utilizza alcuna misura “idonea” per evitare che in maniera incontrollata si disperdano nell’ambiente polveri e fumi nocivi alle persone. Infine: i tecnici mettono nero su bianco che i livelli di diossina e di pcb (policlorobifenile, tra le 10 sostanze più cancerogene al mondo) rilevati negli animali abbattuti e nei terreni circostanti sono riconducibili alle emissioni dell’Ilva.

Francesco Perli, infatti, avvocato dell’Ilva, ha già rilevato come i periti nella loro relazione facciano riferimento a dei parametri che, secondo le norme europee, dovranno entrare in vigore entro il 2018. Come dire: basta spostare l’asticella del limite di legge e quella polvere rosa composta da ferro e carbone che ricopre case e terreni del quartiere Tamburi, da nefasta diventa magicamente una manna. Quella polvere rosa, scrivono i periti della Procura, ogni anno è pari a 668 tonnellate che si disperdono nell’atmosfera perché lo stabilimento non dispone di impianti di “aspirazione e trattamento”. Fabio Matacchiera, della onlus “Fondo antidiossina Taranto”, è stato il primo a far analizzare le celebri cozze tarantine “del fondo” del mar Piccolo e sono risultate contaminate da diossine con valori superiori del 70% alla norma: “Sono situazioni che non si possono più tacere. Finora il caso Ilva è stato un buco nero, capace di inghiottire anche la Regione”. Prima di oggi infatti né la Regione Puglia, né il Comune di Taranto si erano costituiti parte civile e per questo gli ambientalisti hanno atteso l’esito della Camera di consiglio al grido di “Vendola quaquaraquà”.

Il direttore dell’Arpa (Agenzia regionale per l’ambiente), Giorgio Assennato negli anni ha fatto eseguire decine e decine di campionamenti sulle emissioni dei camini dello stabilimento, anche dopo che una legge regionale voluta da Vendola ha imposto di rinnovare i filtri. “Però – dice – è difficile trovare la pistola fumante”. Significa che sulle questioni ambientali la causalità della contaminazione è difficile da provare.
Ma i periti parlano di “correlazione preferenziale” tra l’inquinamento dell’Ilva e i livelli di pcb contenuti negli alimenti. E uno dei periti è Maurizio Sanna, che per la procura di Lecce ha seguito tutte le indagini sui reati ambientali, inchiodando la Copersalento , un inceneritore la cui proprietà era da far risalire alla famiglia di Raffaele Fitto. Oggi è chiuso e smantellato dopo le indagini della magistratura e centinaia di animali abbattuti per contaminazione da pcb e diossina. Proprio come per l’Ilva.

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