Broni viaggio dentro l’inferno della Fibronit
Ripulito il piazzale dall’amianto killer, vernici protettive su muri e tetti Bonificati due hangar, resta da svuotare il deposito da macchinari e scarti di Linda Lucini BRONI. Il mostro è lì. Nascosto in 140mila metri quadri. Lo si può avvicinare solo bardati in tuta bianca, calzari e mascherina.
Solamente gli occhi fuori a vedere quel che resta della Fibronit, la fabbrica che per anni è stata il motore produttivo di Broni. Negli anni ’70 dava lavoro a 1200/1300 operai, più l’indotto. Poi ha cominciato a dare morti. Cinquantadue solo l’anno scorso. Uno a settimana. Vite inghiottite dall’amianto killer. E ora a combattere il drago che si nasconde nei capannoni in disuso ci sono nove cavalieri in tuta bianca guidati dal capo cantiere Dario Luzzana. Una crociata anti-amianto che dura dal 2009. La conduce l’ingegner Maria Teresa Bottino della Broni- Stradella. Oltre 5milioni di euro spesi, finora arrivati da Regione e Stato. I cavalieri tengono a bada il mostro a colpi di vernice, due mani di tinteggiatura rossa impregnante e poi ancora due mani di grigio protettivo. Le hanno spennellate ovunque. E ora su tutto spicca il grigio. Muri, tetti, pilastri, terrazze. Vernice rassicurante per la salute pubblica. Grigio deprimente in quel luogo tombale. Non c’è più nulla, ma tutto lì nei tre capannoni della Fibronit ha un che di spettrale. Anche la luce fatica ad entrare. Ogni finestra, ogni spiraglio è stato sbarrato da lastre protettive. Grige anche quelle. Il resto è sospeso in un vuoto lugubre. I gocciolatoi dell’amianto nel mega deposito (gli unici dove ancora si trovano copiose le fibre di amianto) sono lì a far bella mostra della loro attuale inutilità. I fornetti tondi che servivano ad essiccare i pezzi speciali sembrano piccoli giocattoli verdi abbandonati. E poi i quadri lettrici arrugginiti, grandi bocchettoni, cassoni di stoccaggio vuoti e il macchinario che serviva a far scorrere i tubi appena “sfornati”. Tutti arrugginiti e abbandonati. Sul fondo dell’hangar l’ingresso dell’ufficio consegne porta ancora il logo della Fibronit. Tre segni ondulati, come le sue lastre in amianto. Dentro la vetrata che separava le impiegate dalla fabbrica. Tutto è impolverato, cadente e spettralmente intatto. Sembrano mancare solo le impiegate e i contabili.
A vedere i capannoni dismessi, il mostro sembra fare più tristezza che paura. Ma solo perchè il mostro uccide con un veleno 1300 volte più sottile di un capello. Basta un fibra. Si infila nel polmone e resta lì per anni. Poi, dopo un paio di decenni, si scatena l’inferno. E non c’è scampo.
Macchinari abbandonati, resti inerti di lavorazione, polvere a ricoprire gli enormi hangar. Quel che resta di una fabbrica dismessa. Delle tonnellate di lastre ondulate, tubi e canaline in cemento amianto che la Fibronit produceva non ce n’è più una. Finite in Germania, in discariche autorizzate. Il mega deposito dove venivano stoccate è vuoto. «Qui abbiamo bonificato soltanto un corridoio di passaggio per poter aver libero accesso al piazzale», spiegano gli operai. Qui veniva fatta l’irrigazione del cemento-amianto per farlo indurire. I due camion parcheggiati su un lato del troneggiano nel vuoto. Solo qualche pezzo qua e là di grandi tubi prodotti in seguito dalla Ecored, la ditta che riprese la produzione all chiusura della Fibronit. Faceva gli stessi prodotti, ma non utilizzava l’amianto. Peccato che locali e macchinari fossero gli stessi di prima. Pieni di fibre killer, quindi. Ora dove la Ecored sfornava i prodotti entrano solo i cavalieri in tuta bianca. E’ il luogo più pericoloso. Qui, nella terrazza, gli operai hanno trovato ancora cassoni zeppi di amianto, pronto a scorrere al piano di sotto lungo la linea di produzione che sfornava lastre e tubi. «Siamo arrivati alle ultime fasi della bonifica dell’intero capannone Ecored, terrazza compresa», spiega Paolo Manazza, medico dell’Asl. Fuori ci sono due campionatori, uno a sensore ottico e l’altro elettronico, a misurare la quantità di fibre ancora presenti. Buoni gli esiti del l’esame fatto la scorsa settimana, martedì si avranno i nuovi risultati.
Gli operai comunque appena dopo aver lasciato il capannone, devono completamente bonificare i vestiti, lavarsi e tutta l’acqua di scarico delle docce viene raccolta da un apposito impianto. Sull’enorme piazzale interno dove avvenivano le consegne e dove i materiali in amianto venivano stoccati, restano solo tubi innocui della Ecored e 320 sacchi con materiali contaminati dall’amianto raccolti alla Fibronit.
«Non è amianto puro – spiega l’esperto dell’Asl – ma per precauzione vengono chiusi in un primo sacco e poi inscatolati in un altro».
Giovedì un terzo di loro sparirà dal piazzale. Direzione discarica. Un viaggio già fatto da tante altre tonnellate di materiale pericoloso che si trovava nel piazzale e negli hangar. «Ormai siamo alla fine – dice l’assessore all’ambiente Mario Fugazza – L’amianto è stato impachettato, bonificato e sigillato. Ora si deve buttare giù tutto e smaltire le macerie. Ci vorranno almeno una quindicina di milioni di euro. Però adesso si devono decidere a darceli. Noi stiamo già lavorando per il progetto bis. Lo studio Tedesi lo sta già preparando».
14 marzo 2012
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