martedì 22 ottobre 2013

Straziante pagine di una madre che ha perso la figlia per infortunio sul lavoro. Lisa era un'ingegnere ed è morta 3 anni fa lontana oltre 1000 km da casa sua

1 marzo 2013

e urlo, urlo, urlo come una pazza ... perfino i morti, che mi guardano dalle loro gelide fotografie di ceramica sulle tombe, credo siano terrorizzati dal mio quotidiano appuntamento nella loro dimora e si domandino con quale diritto vengo a violare in quel modo il loro diritto alla quiete eterna.
e, forse, anche tu, amore mio,  temi che possa disturbare le anime, sei un po' preoccupata della mia irruenza, del mio non essere capace di un comportamento silente e pacato, del mio metterci l'anima in tutto quello che dico e che faccio, rispondendo a un moto che non so controllare ... come quando assistevo alle tue partite di pallavolo e discutevo con veemenza con il pubblico avversario, o quando inveivo contro gli arbitri, e tu, dal campo di gioco, con lo sguardo e un dito sulla bocca, mi imploravi "mamma, stai zitta" ... questa mamma, così presente, così poco incline al quieto vivere, così insofferente... così uguale a te nei tratti fisici e nell'anima, ma così diversa da te nei suoi comportamenti.
Sono fatta così, lo sai, l'hai sempre detto tu che sono iperbolica, che ho reazioni sempre esagerate, nel bene e nel male. Non posso certo cambiare adesso, ora che ho una ragione più forte per gridare al mondo la mia disperazione, con la violenza di un corpo e di una mente che si ribellano a un sopruso del destino, che va ben oltre la loro possibilità di accettarlo.
E, intanto, continuo a chiedermi, a chiederti, come hai potuto farmi questo ... abbandonarmi così, all'improvviso, rispondendo a chissà quale ordine, di chissà quale padrone e svuotando la mia vita di ogni senso per riempirla di angoscia, di sgomento, di niente.
Sì che ce l'ho il diritto per fare tutto questo ...
ho il diritto di chi non ha perso una cosa qualunque, ma ha perso se stessa e non sa più ritrovarsi nello spazio vitale, ogni giorno più angusto, dentro il quale si muove ...
il diritto di chi è stato privato dei colori dell'arcobaleno e non può più dipingere sogni, speranze, futuro ...
il diritto di chi non potrà mai accarezzare biondi capelli di teneri Amori, con gli occhi più azzurri del più azzurro dei cieli ...
il diritto di un sangue che non scorre più nelle vene, un sangue buono e generoso, tante volte donato, che urla il suo sdegno nel più assordante silenzio, lasciato per terra sul grigio, desolante cemento di un capannone vestito di morte ... un sangue che esce dai muri bianchi di Puglia e lascia il colore su leggi violate, coscienze assopite e increduli
cuori ...
era il tuo sangue, il mio sangue ...

Ho un diritto che non si trova tra le pagine di un Codice, è un diritto che vive, non scritto, tra le pieghe del cuore ...
sei tu il mio diritto, il mio diritto di Amore










28 marzo 2013

sai, amore,
c'è una signora che abita con noi da qualche tempo. Si muove per casa come fosse qui da sempre ... sa dove trovare ciò che le serve, cucina, lava e pulisce, entra ed esce di casa quando vuole, come fosse lei la padrona.
Senza chiedere il permesso, entra in tutte le stanze, compresa la tua, indossa i tuoi abiti e le tue scarpe, occupa il nostro bagno, quello coi pesciolini azzurri che usavi solo tu ... entra anche nei miei pensieri, senza poterli capire ...
E' una donna senza volto e senza contorni, ne sento solo i lamenti ... laceranti, disumani, come di chi ha un dolore che va oltre la comprensione umana. Cammina così velocemente che resta spesso impigliata nelle maniglie delle porte, si lacera i gomiti passando accanto agli stipiti, si ferisce con ogni cosa che tocca, anche la più innocua, non conosce più l'equilibrio, sbatte contro ogni cosa, picchia la testa ovunque, offre mani e caviglie a ogni spigolo vivo ..... anche il cuore non è indenne da queste ferite, ma è altro quello che le procura.

sai amore, questa donna assomiglia tanto alla tua mamma, ma non è vitale e divertente come lei, i suoi occhi sono persi nel vuoto o inondati di lacrime ...
a volte, vorrei che mi parlasse e mi dicesse chi, che cosa, perché le ha fatto tanto mal; perché non sorride mai; perché, a tratti, non vede più niente e comincia a salire un calvario che le toglie le forze; perché resta in piedi fino a tardi, la notte, come aspettasse qualcuno che non vuole arrivare ... la disperazione le ferma il respiro ed è costretta a soffocare i  lamenti che, impietosi,  si depositano sul cuore ...
Questa donna, forse, ha perso l'anima, è questa che va cercando, annaspando a tentoni e lasciando dietro di sé una spirale di angoscia che contagia ogni cosa.
E' forte e fragile, disperata e senza speranza, oppressa da una solitudine che le si è incollata addosso e sta permeando ogni attimo del tempo che non sa più vivere.
Questa donna è una specie di viaggio interrotto, bloccata in una landa deserta tra una stazione e l'altra; sa da dove è partita, ma dubita di poter raggiungere una meta; è un'attesa infinita di un miracolo che possa di nuovo farla vibrare.
E' una passeggiata lenta sulla linea monotona e incolore di un encefalogramma piatto e una corsa frenetica e segmentata sul tracciato di un cuore in tumulto.
Io la osservo, questa donna,  e quando avverto che sta per deragliare, le tendo la mano ... ma lei non la vede, forse non la vuole, persa com'è nell'inseguire il ricordo di un dialogo di sguardi incantati tra una una bambina e la sua mamma che, perdendo ciascuna la propria identità, hanno costruito un legame d'amore, che la vita ha spezzato, ma che l'amore tiene ben saldo.
In questo cammino, attraversa le cose senza vederle, calpesta il suo dolore per sentirlo presente, perché sa che il dolore è la traccia indelebile di quello che ha perso e va inutilmente cercando.
Questa donna abita in me ... io sono la sua ragione ... lei è il mo cuore.
e tu, bimba mia, sei tutto il mio amore.

***









Non serve a niente ...
non serve a niente aprire gli occhi la mattina ... non ti potrò vedere né abbracciare
non serve a niente cercare in me la voglia di fare una qualsiasi cosa ... è solo per te che farei qualsiasi cosa
non serve a niente parlarti come se tu fossi attorno a me o nella famosa stanza accanto ... non sento mai la tua voce che mi risponde
non serve a niente immaginare che sei partita per un lungo viaggio ... mi avresti mandato una fotografia al giorno
non serve a niente sperare che presto, prestissimo torni ... la tua ultima meta non ha ritorno
non serve a niente asciugare le lacrime ... solo tu le potresti fermare
non serve a niente ascoltare il mio cuore, se tu non puoi accarezzarlo con il tuo amore.
Non serve a niente vivere una vita che, senza di te, non serve a niente!

***


Sono un cane perduto senza collare e senza occhiali da sole, e, per chi vive di buio e nel buio, gli occhiali sono più importanti di un collare che possa riportarlo a un incosciente o sbadato padrone.
Brancolo su strade assolate, mentre un bagliore accecante mi fa perdere l'orientamento e mi impedisce di vedere contro chi e contro cosa sto per andare a sbattere, certa che qualunque cosa sia mi farà male.
Ho bisogno di acqua, non perché ho sete, bensì per cercare di sciogliere quella patina di desolazione che mi si è incollata addosso, mi blocca il respiro e mi offusca la vista.
Credo che si senta così un animale abbandonato da un padrone crudele sul bordo di un'autostrada, frastornato, incredulo, inerme.
Ma capita spesso che qualcuno di buon cuore, trovandosi di fronte due occhi smarriti e imploranti, accompagnati da flebili guaiti, si prenda cura di quell'animale, sempre che sia riuscito a scansare i pericoli dei motori in agguato.
E anch'io là, al bordo della strada, con lo sguardo smarrito sul mio corpo ferito, scossa dai gemiti del mio insistente dolore, potrei avere chi si prenda cura di me, ma non è questo che mi serve ... ho bisogno di un viso che potrei, come un cieco, riconoscere al tatto; sono in cerca di un cuore, che era mio per diritto di sangue e conferme di amore; mi manca una voce che ripeta il mio nome; ho perso quel filo di premurosa, costante attenzione, perché niente e nessuno potesse farmi del male.
Ho solo bisogno di quello che avevo ... per questo sto là, in mezzo a una strada, senza occhiali da sole e senza collare, in attesa di quello che non potrò mai riavere.

***
















Dopo una notte insonne, abitata da fantasmi e attraversata da anime vere (qualcuno ha posato lievemente la sua mano sulla mia spalla ... eri tu, amore mio? io l'ho sperato ...), stamattina ho raccolto il cuore in fondo alla scala ... mi ha chiesto di farlo, di non lasciarlo lì, anche lui aveva bisogno di caffè.
L'ho raccattato svogliatamente e, ago e filo alla mano, l'ho ricucito alla meglio, perchè purtroppo devo sopravvivere.
Ed ecco un nuovo giorno.
Quanti nemici in agguato, primi fra tutti i pensieri, ormai inchiodati attorno a una sagoma che un lanciatore di coltelli di provata capacità colpisce, ad uno ad uno, provocando la deflagrazione della mia mente, già sconnessa da altri circuiti neuronali che non siano quelli che, in qualche modo, mi conducono a te.
E poi i suoni, quelli che si sprigionano nell'aria, come i miagolii dei gatti randagi della nostra colonia, l'allegro vociare dei bimbi che giocano nel prato, il ronzio di qualche aereo alto nel cielo, e quelli che restano sospesi in un mondo a parte, le cui porte di accesso sono precluse a chi ancora non ha avuto in dotazione le ali.
Suoni che mi arrivano con violenza, nel più assoluto silenzio, dalle pareti di casa, dalla rassicurante atmosfera di una chiesa, dalle tue parole scritte ovunque, sulla rubrica telefonica, sui fogli appesi in ogni spazio libero, nella tua camera, sulle antine del bagno. dietro le ante dei pensili della cucina e dei tuoi armadi, ciascuno con un pensiero per me o una riflessione per te.
E poi ... poi ci sono i colori, primi fra tutti gli azzurri, che i miei occhi non riescono più a trattenere, perché un azzurro diverso, lasciato da Giotto in qualche angolo di paradiso, perché una pennellata lo depositasse, settecento anni dopo, nei tuoi occhi, li respinge, quasi volesse difendere il suo diritto ad essere l'unico colore amato e protetto da quella mamma di cui talvolta rivendicavi la proprietà, sbottando: "chissenefrega dei tuoi figli web (perché ero la mamy dei ragazzi nella chat di rossifumi, li ascoltavo, raccoglievo le loro confidenze, davo loro consigli), tu sei la mia mamma, mia e di nessun altro" ... eri gelosa e, se te lo facevo notare, mi rispondevi con un perentorio "sì!". In quel momento, il mio cuore prendeva il volo, in un'esplosione di felicità, mentre mi abbracciavi forte.
Volevi davvero tanto bene alla tua mammina, e ti piaceva così, con le sue stranezze, la sua irruenza, le sue fragilità ... perché tu vedevi solo la sua anima e il suo grande amore per te, quello che tu sapevi essere solo tuo, perché nessuno aveva il diritto di insidiarlo.
Ti amo sempre tanto, troppo per riuscire ad andare avanti senza di te.
la tua mammina per sempre

***




               Sono disperata, amore, mi sento male per quanto mi manchi e mi mancherai. Odio la nostra casa perché è senza di te, ma non riesco ad allontanarmi troppo perché questa casa ti ha visto nascere, crescere, giocare, piangere, ridere, studiare, ballare, cucinare, impastare i tuoi famosi biscottini ... io ti vedo mentre fai tutte queste cose e mi si chiude la gola, il cuore si ferma, il pensiero corre là, sempre là. ti vedo salire velocemente una scala a pioli, vedo che posi il tuo zainetto, un'altra scaletta, e poi un un balzo ... ecco, hai raggiunto la superficie dell'edificio, osservi l'esposizione solare, prendi misure e appunti, fai fotografie e poi ... e poi non saprò mai qual è stato il tuo ultimo pensiero, la tua ultima parola, ma so per certo quale sarà la mia ... Amore mio!


Amore mio,
è stato un brusco risveglio quello di stamani, la scia naturale di un brusco momento che ha reso la mia notte un tormento.
Barriere del cuore spalancate, difese della ragione azzerate, pensieri in libertà in una gara a chi salta gli ostacoli più alti ... e, ad ogni salto, un'istantanea del dolore, tanto per non perdere le tracce del filo spinato su cui cammino, che non so quando avrà fine.
Scendo un cucina a farmi il caffè e ... lui è lì, mi guarda e, come ogni cosa che ho attorno e nella mente, mi dice silenziosamente che è inutile rincorrere un miracolo che non potrà mai accadere ... tu non torni più.
La disperazione porta a una tale follia dei sentimenti, che riesce ad alimentare l'assurda speranza di cancellare gli eventi.
E' una follia intermittente, che alterna il sogno impossibile all'inequivocabile realtà.
E a niente serve mantenere intatto l'ambiente ... tutto come allora, come in quell'ultimo giorno nella tua casa ... ogni cosa nello stesso posto in cui tu l'hai vista, quel mattino, prima di aprire la porta per andare incontro a una giornata che avrebbe dovuto essere come tante altre e che, invece, nascondeva un insidia mortale ... un appuntamento col destino che non potevi conoscere e di cui non avresti potuto scorgere la maschera ... un carnefice subdolo e silenzioso, sotto il cielo terso del Salento, fatto di incoscienza, di incuria, di disonestà, nascoste ai tuoi occhi da una apparente regolarità.
Chissà se saresti rimasta a casa, se solo avessi potuto immaginarlo ...
Si dice che siamo noi gli artefici del nostro destino (quante volte l'ho scritto e tradotto in immagini nei miei lavori), ma è così solo per ciò che dipende dalla nostra volontà ... non vale, però, per le fatalità, non vale soprattutto per la morte!
La morte non può essere presa in contropiede, non cede a nessuno il suo unico diritto, quello di fermare la vita ...
E, così, quella mattina, hai varcato la soglia di casa, lasciando inconsapevolmente dietro di te solo il tuo splendente ricordo, e portando con te tutta la tua vita ... lo zainetto con gli strumenti di lavoro, quel lavoro per cui tanto hai studiato e ti sei sacrificata, la borsa azzurra che ti avevo regalato, dove erano protetti i tuoi affetti, il borsone della pallavolo, per l'allenamento a cui saresti mancata, pesante di venti tre anni di amore e fatica per il tuo sport, di tenacia, di sudore, di traguardi vittoriosi e di dolorose sconfitte, di ossa rotte e muscoli strappati, di chilometri e chilometri macinati, di allegria e di amarezze ...
insieme a tutto questo, l'ultimo gesto d'amore tangibile della tua mamma ... quel vaso di vetro col passato di verdura che avevo preparato per te, la sera prima, perché tu non faticassi, al tuo rientro nella notte, per prepararti qualcosa di caldo per la cena.
Quel vaso ... l'ho preso disperata dalla tua macchina sabato 2 ottobre 2010 ... l'ho accarezzato, baciato, stretto al mio cuore, prima di posarlo in cucina, accanto ai fornelli.
Oggi è sabato 2 febbraio 2013, sono passati ventotto mesi da quel sabato ... il tuo passato è ancora lì ... e continua a dirmi, silenziosamente, che tu non puoi tornare.
Il mio immenso amore per te continua a trascinarmi in una dimensione surreale, dove l'unica realtà è la tua assenza ... e mi fa tanto, tanto male.

***











luglio

E mentre la gente si muove, si prepara per il primo appuntamento, d'amore o di lavoro,
si diverte, acquista una casa, si sta imbarcando per una vacanza, si sdraia sulla sabbia davanti al mare, va a ballare, si incontra per un aperitivo o una pizza, si allena in palestra, a piedi o in bicicletta, inizia una partita di pallavolo o una faticosa salita, fa un test di gravidanza, gioisce per un figlio appena nato, porta in gita i bambini, progetta il domani ... io respiro, ma non vivo.
Eri tu il mio primo appuntamento, che faceva battere forte il cuore; eri tu la mia casa, che mi faceva sentire protetta e amata; eri tu la mia vacanza, che dava ristoro al mio corpo
e al mio cuore stanchi per i quotidiani affanni; eri tu il mio tango, che ballavamo all'unisono, muovendo i nostri passi al di sopra di schemi abituali; eri tu il mio aperitivo e
la mia pizza, che mi permettevano, per una sera, di non cucinare; eri tu la sabbia davanti al mare, dove passeggiavo per riempirmi il cuore di azzurro, l'azzurro dei tuoi occhi e della tua anima;
eri tu le mie partite da vincere, con tanta fatica, ma con la soddisfazione di averti regalato una medaglia; eri tu le mie salite da affrontare, con la gioia di arrivare a un traguardo che illuminava il tuo viso; sei stata tu il mio test di gravidanza, con tutti quei salti che non riuscivo a trattenere quando un puntino mi ha annunciato che non ero più "solo io";
eri tu la mia prima e unica figlia, il mio respiro, il mio domani, la mia vita ...
eri tu tutto quello che avevo.
tu eri tutto per me, amore mio.

***



Tu lo sapevi, amore mio,
mi conoscevi bene, lo ripetevi sempre che la tua mamma non avrebbe mai potuto vivere senza di te ... eppure, c'è chi è in grado di interpretare i tuoi attuali desideri, che vanno tutti in direzioni opposte.
Qualcuno ha scritto che io non ti amo perché non ti lascio libera di fare il tuo percorso, che il mio è solo egoismo, disperazione ... qualcun altro mi invita ad avere coraggio, perché è troppo facile gettare la spugna. Qualcosa non mi quadra.
Sarei un'egoista solo perché ho un unico, disperato bisogno, quello di riavere una cosa mi appartiene, che ho fatto io con il mio sangue, il mio amore, il mio impegno, la mia totale dedizione e non sono disposta a trasformare questo bisogno nell'accettazione di un fatto che è, di per sé, un sopruso del destino? Non sono disposta, per natura, a tollerare la più piccola ingiustizia ... figuriamoci la violenza della tua morte!
Dovrei sedare la mia angoscia centellinando attimi di quei ricordi che ti sei portata via col tuo cielo negli occhi, il tuo sorriso, i tuoi lunghi capelli, la tua anima splendente?
L'egoismo è la concezione per cui gli esseri umani sono sempre motivati dai propri interessi legittimi ... tu non eri, per me, un interesse legittimo? E non è legittima la mia disperazione, quella che mi toglie il respiro appena mi sveglio la mattina e mi fa solo venire voglia di non esistere?
L'unico percorso che con forza ti avrei impedito di seguire era quello che si è fermato con te sul filo dell'incoscienza di chi non si è fatto scrupolo di mettere in pericolo la tua vita. Non ce ne sono altri che io ti posso impedire.
E che bisogno ho di essere coraggiosa? Il coraggio serve a lottare per qualcosa, per superare gli ostacoli che intralciano un cammino, un sogno; ne ho avuto tanto di coraggio, ma adesso? non ho più un cammino, hanno calpestato il mio sogno, a cosa dovrebbe servirmi il coraggio? a far contenti quelli che pensano di conoscere quali sono i desideri dell' Aldilà?
Il mio desiderio era quello di poterti sempre tenere vicina al cuore, come quando eri piccina ... non ho comperato né carrozzine né passeggini, ti portavo sempre in braccio, portavo sul cuore la mia felicità.
Il nostro desiderio, semplice e istintivo, era quello di essere sempre sulla stessa lunghezza d'onda, un'onda mossa da un amore che non si può comprare con la carta di credito ... ecco, forse sta proprio qui il busillis ... credere che si possa vivere di un surrogato di Amore.

***



4 maggio in piazza Duomo

lo vedi anche tu, amore mio,
quando l'angoscia sta per travolgermi, sono costretta a scappare e a buttarmi in mezzo alla gente.
Vago per ore, con passo veloce, tra gente, vetrine e frastuono; ogni tanto, mi fermo per riprendere forza con un frullato o un caffè ("te lo offro io, mamma" ... e devo chinarmi a raccogliere il cuore), per fare due chiacchiere con chi mi conosce e vorrebbe aiutarmi ad alleggerire il peso di questo dolore...
poi torno a casa con angosce nuove, con troppi soldi spesi inutilmente, con un buio che mi offusca la mente e mi paralizza il respiro e i pensieri, ma non le lacrime e i sospiri che lascio per strada.
Sono quasi sempre sola nel mio vagare, non sempre perché sono io a volerlo ...
nella mia solitaria via crucis, con una beffarda casualità inciampo in momenti che niente e nessuno potrà cancellare, riportati alla mente da un colore, un profumo, una risata, un sapore.
Dallo scorcio che sbuca da dietro l'angolo di piazza San Babila, mi arriva con un brivido il suono della tua voce: "che bello il nostro duomo" ... e trattengo il respiro perché non mi abbandoni.
Da una vetrina, mi strizzano l'occhio scarpette di bimba "alla bebè", azzurre e rosa, come quelle che ho comprato per te, due paia uguali ... ai tuoi piedini, una di un colore e una dell'altro, in sintonia coi tuoi vestitini, la tua pelle, i tuoi occhi ... "lisa, hai messo le scarpe di colore diverso" osservavano quasi tutti e tu, con un sorriso, spiegavi che non ti eri sbagliata, avevi semplicemente una mamma originale. Tu, però, ci stavi bene in questa originalità, non ti sentivi a disagio, non ti avrei mai costretta a una situazione che potesse metterti in difficoltà, seppur minima.

Piazza Duomo, davanti ai miei occhi, sembra la piazza di Marrakech all'imbrunire: un brulicare di venditori di inutilità e di oggetti improbabili, mendicanti estemporanei e mendicanti di professione, sempre gli stessi da anni, con posto assicurato in un angolo strategico che "guai a chi me lo tocca", artisti di strada e pseudo tali che catalizzano l'attenzione della gente con strane movenze o silenziose immobilità, ritrattisti sconsolati in attesa di volti da tratteggiare. Manca solo il fumo delle carni sui bracieri, la tavolozza variegata delle spezie e dei caftani e la frenesia di una notte con tanto mistero da vivere.
Poi, il cielo si scolora e l'atmosfera si fa più intimista, quando, all'improvviso, ogni rumore è cancellato dalla melodia di un sax che mi scalfisce il cervello.
E' un uomo triste e non più giovane che lo suona tra la freddezza dei passanti. Un uomo che, seduto sul marciapiede accanto alla custodia del suo strumento, divenuta per l'occasione la mano tesa per accogliere la carità della gente, tenta di sciogliere l'indifferenza dei passanti con una foto e un cartello: "Ricordati che la ruota gira." Mi fermo ad osservarlo, percepisco tutta la desolazione che si porta dentro ... che è anche la mia desolazione da quando la mia ruota è girata ... mi pare di sentirti vicina, avresti provato il mio stesso disagio.
Questa immagine e questo suono mi lacerano, mentre una patina di profonda malinconia mi pervade, rendendo ancora più instabile il mio già precario equilibrio.
Lascio due monete sul panno scuro. L'uomo non smette di suonare, ma fa un cenno col capo per ringraziare ... non può sapere  -o forse sì, chissà?- che sto pagando il mio dolore.



16 febbraio

c'è un nemico che aleggia intorno a me e, come un amante, fa una corte serrata al mio cuore, il mio cuore che, giorno dopo giorno, sbiadisce perché oppone resistenza alle sue profferte travestite da amore e devastanti come la punta di diamante che taglia il vetro.
Lo sento ma non lo vedo, è subdolo e spietato, sempre pronto a posare davanti ai miei occhi, alla mia mente, alla mia ragione, se ancora ragione ho, le tessere di un puzzle che non riesco più a comporre, un bisogno viscerale che non posso più soddisfare, un corredo di ricordi che tenta di scalfire.
Si insinua nel mio tempo, intacca la mia volontà, demolisce ogni mia difesa.
E' sempre in agguato, pronto a buttare chiodi, al posto di confetti e fiori, sul viale della vita, davanti ad ogni mio passo perché la vita non cammina più sui tuoi passi ...
Un nemico che inquina l'aria che respiro con la polvere dei miei resti, una polvere che è già presenza viva, prima ancora di essere materia reale.
E' un nemico che non posso combattere, non posso curare con farmaci, non posso affrontare a viso aperto, perché non ha un solo volto, un solo nome.
Lo chiamano dolore ... gli altri lo chiamano così, quelli che, per fortuna, non possono sapere, ma non è questo il suo nome, perché quello che produce è molto peggio e molto di più ...
è qualcosa che ti fa sentire smarrito, frantumato, incapace di reggere l'angoscia che abita dentro di te ... ti fa avvitare su te stesso, legandoti col filo dei tuoi pensieri, come in un mulinello che ti trascina sempre più in fondo, finché ti senti dissolvere in un vuoto inesorabile, dove non incontri nessuno che ti tende una mano, ti offre un sorriso, asciuga le tue lacrime ... perché nessuno è dentro il tuo vuoto, appartiene solo alla tua disperazione.
Non è dolore quello che provo per essere senza di te ... quello che provo lo sappiamo solo io e te.
sempre con il mio amore immenso, mamma


27 gennaio

non so chi ha l'ingrato compito di farmi aprire gli occhi, la mattina (e deve essere davvero ingrato accendere l'interruttore del dolore), ma so per certo cosa apre la finestra della mia mente e si siede sul mio cuore come un macigno: l'angoscia.
I fantasmi dell'abbandono si uniscono in cordata, mi circondano e non mi lasciano scampo ... sta per cominciare un'altra giornata che mi vedrà recitare in un ruolo scomodo, che mai avrei immaginato di dover di interpretare.
Non sono più io ... la persona che abita in me non ha oggi né domani, è persa in un tunnel buio e faticoso e non riesce a scorgere lo spiraglio di una possibile via d'uscita ... anche se tutti le dicono che c'è.
Ma cosa c'è?  dov'è?
Al di là del buio, vedo un mondo estraneo, un puzzle che non riesco a comporre, avverto un unico disperato bisogno, mi annienta un'unica desolante certezza:
sono senza di te ... come posso essere di nuovo io?
Cammino sui miei resti, che non ho alcuna voglia di rimettere insieme, attenta a non calpestare i pensieri, perché quelli sono fatti di te, e a non cancellare i ricordi, perché sono quelli che mi fanno arrivare a sera, per affrontare, domani, una nuova tappa del calvario che mi è stato imposto dal destino.
Avrei bisogno della mia mamma, perché solo l'amore di una mamma potrebbe lenire il dolore devastante di una figlia che ha perso il suo bene più prezioso. Ma la mia mamma non ce l'ho più!
E' rimasta solo la mamma che è in me, una mamma spezzata e fragile, ma con intatto il suo immenso amore per te, che ha un bisogno sempre più disperato di ritrovarti.

11 gennaio

"Cosa c'è, Amore, qualcosa non va? perché hai questa aria triste?" ...
"Non c'è niente, mamma, a te non capita mai di essere un po' triste?"...
"Non senza una ragione" ti rispondevo e accettavo il tuo silenzio, con l'ansia di una mamma, che avrebbe voluto scorgere sempre la felicità negli occhi di sua figlia, ma rispettava le sue malinconie ...
C'è sempre una ragione per essere tristi e, ora più che mai, la mia tristezza assume una consistenza tale da farmi perdere l'equilibrio e il senso di tutto ...

E poi ..... a volte, capita che avresti bisogno di parole amiche ... parole che restano racchiuse nello sguardo di due occhi silenziosi, che accarezzano il tuo dolore ma non lo violano e, insieme a te, vanno indietro nel tempo per fermare l'immagine dell'attimo prima, della sera prima, del giorno prima, dell'ultima volta prima ... per cercare una ragione che non c'è, né mai potrà esserci.
... ecco, capita che in quel momento non c'è nessuno attorno a te e ti senti perduta... allora urli, affondi i respiri nei singhiozzi, non riconosci il suono della tua voce, né le tue parole sconnesse, sempre uguali, che sempre finiscono con "amore mio" ...
ti aggrappi a tutto ... alla porta della sua stanza che non ha più luce, al letto vuoto dove l'hai baciata per l'ultima volta, dove, per l'ultima volta, hai sentito la sua voce "ciao, mamma", allo zaino con cui è partita quel giorno, intatto come quel giorno, alla sua borsa, da cui fanno capolino mollettine colorate, un lucidalabbra, il portafoglio, l'ultimo che le ho regalato, dentro il quale spicca una bustina in plastica che protegge tante piccolissime fotografie; una della mamma, una del papà, del nonno, del suo adorato nipotino, del suo fidanzato, di Tofraco il suo primo gatto, del suo primo grande amore giovanile, nella pausa di un green volley, una frase di Proust, alcuni teneri bigliettini di due sue care amiche ... insomma, gli ingredienti della sua esistenza, non manca niente ...
e, poi, ti metti ai piedi, non prima di averle strette al cuore e baciate a lungo, un paio delle sue Nike, che sono troppo grandi ma le metti lo stesso, per trattenere un po' del suo calore, perché ti aiutino a passeggiare sui ricordi, che hanno tutti il suo sorriso, a calpestare i sogni, che hanno tutti i suoi occhi, a lasciarti alle spalle le speranze, che avevano tutte il colore e l'intensità della sua anima ...
e ritrovarmi qui, nella mia desolante solitudine che lascia solchi sempre più profondi nel mio cuore, che ha perso il ritmo e viaggia sull'onda di un fruscio .... l'eco del suo nome
che vado ripetendo per non lasciarla andare ... Amore!

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