CONVEGNO DI TARANTO DELLA RETE NAZIONALE PER LA SICUREZZA E LA SALUTE SUI POSTI DI LAVORO E TERRITORI DEL 11 GENNAIO 2014.
All'apertura,
il Convegno è stato dedicato all'ultimo operaio morto di tumore
all'Ilva, Stefano Delli Ponti, leggendo un pezzo di una lettera di un
lavoratore dell'Istituto tumori di Milano che l'aveva recentemente
conosciuto. Un lungo applauso ha salutato Stefano e la sua famiglia.
Nell'introduzione
il compagno responsabile per Taranto della Rete nazionale ha detto che
la Rete è nata proprio sulla base delle tragedie delle morti sul lavoro
all'Ilva, ricordando poi le iniziative più significative, sia come
manifestazioni nazionali (a Torino per la Thyssen, a Taranto per l'Ilva,
a Roma, ecc.), sia la presenza attiva della Rete ai processi più
importanti, Eternit, Thyssen, ecc.
Questo Convegno oggi a Taranto
è a fronte della chiusura delle indagini da parte della magistratura e
delle imputazioni alla famiglia Riva e a decine e decine di
responsabili, corresponsabili, e ha lo scopo di organizzare la
partecipazione popolare a questa fase della lotta contro l'Ilva di
padron Riva. Questa città ha bisogno di ottenere giustizia,
risarcimenti, cambiamenti reali.
E' seguito il lungo
intervento dell'Avv. Di Torino, Sergio Bonetto. All'inizio ha parlato
della complessità della vicenda che si apre con questo processo Ilva,
per le potenziali dimensioni del processo (50 imputati + 3 società), per
le violazioni che coprono quasi il 50% di tutto il codice penale, per
la vasta tipologia dei reati, che mostrano un mondo di illegalità
diffusa vissuto per decenni a Taranto. Tutta questa drammatica storia di
morti, inquinamento, danni alle persone, è certo difficile trasformarla
in un processo, ma questo si prepara ad essere il più grande processo,
di rilevanza anche internazionale.
Nel processo Eternit che
vogliamo prendere a riferimento – ha proseguito Bonetto - le proporzioni
erano decisamente più piccole, si trattava di soli 2 imputati e un solo
agente inquinante, un numero individuato di persone vittime, e quindi
un quadro specifico e limitato di reati, la magistratura poi aveva
individuato un'area critica precisa intorno alla fabbrica in cui
l'inquinamento di amianto aveva fatto malati e morti. Ma già per questo
processo vi erano decine di migliaia di atti.
All'Ilva,
l'inquinamento ha mille sfaccettature, non è stata individuata una
precisa e limitata area critica, c'è anche un vasto profilo corruttivo
su tutta la vicenda... Un processo che rischia di incartarsi per le sue
dimensioni.
Quindi occorre un ragionamento serio sul processo e
questo tipo di assemblee servono a questo. Occorre fare informazione,
occorre gente, esperti che ci aiutino.
All'Eternit la sentenza è
stata per disastro doloso, cioè di omissione volontaria di misure di
sicurezza sul lavoro. Non potendo ricostruire la storia di ogni singola
persona, si è affrontato il problema in termini generali. A maggior
ragione all'Ilva non si può affrontare caso per caso.
Paradossalmente
gli imputati vorrebbero invece che si analizzasse caso per caso per
allungare i tempi del processo. Quindi su questo la scelta, la decisione
dei giudici è essenziale, e su questo pesa quello che facciamo noi.
E'
necessario poi il coordinamento delle parti civili. Se arrivano
centinaia di avvocati, ognuno per rappresentare alcune parti civili, si
rischia di affossare il processo. Ognuno non può montarsi la testa. La
strada è coordinarsi – anche tra coloro che non la pensa come noi.
All'Eternit
nonostante ad un certo punto i giudici abbiano contingentato i tempi di
intervento degli avvocati e nonostante la programmazione ravvicinata
delle udienze, ci sono voluti 2 anni.
Quindi, noi dobbiamo incidere sulle modalità di gestione di questo processo.
Altro
aspetto che viene dall'esperienza Eternit. Noi vogliamo che il processo
accolga le parti civili anche di lavoratori e abitanti che non si sono
ancora ammalati o che non si ammaleranno mai, perchè, come all'Eternit,
deve essere contestato il “reato di pericolo”. Lo Stato dice: “nessuno
deve mettere a rischio la vita e la salute degli altri”; quindi non deve
essere punito solo chi provoca malattia e morte, ma anche chi mette a
rischio. Questo principio è stato affermato per la prima volta nel
processo Eternit ed è un'opportunità enorme per Taranto per affrontare
il processo Ilva.
Non si tratta solo di una questione di risarcimento per chi è stato colpito ma del fatto che il rischio non ci sia più.
La
Procura di Taranto ha fatto un buon lavoro con il sequestro dei soldi.
Questo è importante perchè a Torino c'è stata una buona condanna ma i
padroni non escono ancora un centesimo e se ne stanno nascosti in
Svizzera. Il nostro lavoro deve essere indirizzato affinchè i soldi di
Riva siano utilizzati per mettere a norma l'Ilva e bonificare la città
per evitare la continuazione del rischio.
Poi l'avv. Bonetto ha
sollecitato a vigilare. Cercare di impedire – ha detto – coloro che
puntano solo in maniera avida ai risarcimenti, e tra gli avvocati ci
sarà chi solleciterà ad andare in questa direzione; non illudere nessuno
sulla questione dei risarcimenti, non può essere questo il nostro unico
obiettivo ma il risanamento della fabbrica e della città.
All'Eternit
i padroni sono stati condannati a risarcire tutti, lavoratori morti,
malati o sani, familiari, allo stesso modo, con 30mila euro a testa (poi
chi ha patologie dimostrate, documentabili può fare la causa civile per
il risarcimento di tutte le spese, i danni, ecc.). A Casale Monferrato
potenzialmente tutti i 20mila abitanti avevano diritto ai 30mila euro. A
Taranto, con circa 250mila abitanti sarebbe enorme dire questo, ma
l'impostazione generale deve essere questa.
Quindi l'avvocato ha
chiarito anche la complessità e l'impegno necessario da subito per
risolvere gli aspetti tecnici: avere tutti gli atti della Procura (che
saranno migliaia e migliaia), studiarli, schedarli, dividerci il lavoro,
ecc.
Ma soprattutto Bonetto, in conclusione, ha posto l'accento e
ha richiamato l'attenzione sulla assoluta necessità di garantire una
forte presenza fisica alle udienze. Non dobbiamo permettere al Tribunale
di decidere per conto suo a fronte di una nostra scarsa presenza. Anche
qui ha fatto l'esempio delle udienze Eternit in cui ad ogni udienza
erano presenti 150/200 persone, grazie ad un lavoro anche pratico di
organizzazione pure del trasporto da parte delle associazioni dei
familiari. Le presenze servono a fare pressione sull'andamento del
processo.
Dopo questo lungo, articolato intervento
dell'Avv. Bonetto, sono iniziati gli interventi (ne ricordiamo alcuni),
non prima però che il rappresentante della Rete nazionale per la
sicurezza abbia sottolineato con forza che occorre concepire questo
processo come una guerra, dove non ci sono solo i Riva indagati ma tutto
un sistema industriale/politico.
Alcuni interventi
hanno sottolineato che il processo Ilva deve fare giurisprudenza non
solo per il nostro paese ma anche a livello internazionale, e
l'importanza della presenza di massa in questo processo e del
coordinamento delle forze, come fattori determinanti e elementi di
forza.
Attualmente, invece – come ha detto il presidente
dell'Ass. “12 Giugno” che il giorno prima aveva partecipato all'udienza
di un altro importante processo in corso, quello contro le centinaia di
operai Ilva morti per amianto – al Tribunale a questi processi si è in
pochi, e gli avvocati possono tranquillamente offendere i morti e
ammalati come se gli operai si siano voluti ammalare e morire. A Taranto
vi sono solo 200 morti per amianto risarciti dall'Inail mentre ci sono
2000 ammalati.
Poi, denunciando, i tempi lunghissimi di questi
processi, ha ribadito che ci vogliono “corsie preferenziali”,
l'eliminazione della prescrizione per questi reati, ma su questo
l'impegno assunto dal parlamento è rimasto incompiuto, nonostante vi
siano dei disegni di legge. Ha concluso facendo un appello a che con
l'apertura di questo processo contro l'Ilva ci sia quella mobilitazione
che finora non si è riusciti a fare.
Anche altri interventi hanno
denunciato come le Istituzioni sia nazionali che locali si siano
dimenticati di Taranto, mentre il governo sforna l'ennesimo decreto
“salva Riva” e ora”salva Bondi”. Un esponente di “Cittadinanza attiva”
poi entrando nel merito dell'utilizzo dei fondi che si riuscirà a far
pagare ai Riva ha detto che devono essere destinati per la rinascita
della città, del mar piccolo... alternativa alla produzione d'acciaio.
L'operaio
dell'Ilva, Battista, anche in rappresentanza dei lavoratori del
comitato liberi e pensanti, ha denunciato come proprio lo Stato stia
cercando di impedire che Riva paghi, citando la recente sentenza della
Cassazione che ha restituito ai Riva i soldi sequestrati dalla
magistratura di Taranto; anche questo processo che si apre vedrà tanti
avvoltoi pronti a bloccare, speculare. Quindi ha fatto una dura denuncia
di quanto sta accadendo dentro l'Ilva, in termini di continuazione
delle violazioni alla sicurezza e salute; nell'area a caldo invece che
bloccare gli impianti inquinanti c'è un aumento della produzione con
conseguenti recenti incidenti, anche nelle altre aree vi sono impianti
obsoleti che dovrebbero essere immediatamente chiusi. Non si tratta solo
dell'area a caldo ma dovrebbe essere chiuso tutto lo stabilimento. Ora
siamo “sotto controllo dello Stato” per tre anni ma all'Ilva si continua
ad inquinare nello stesso modo e lo Stato è direttamente responsabile
di quanto sta accadendo in questa città. Sulle indagini di “ambiente
svenduto” ha detto che dovevano essere molto più estese: come mai non
c'è un sindacalista, un giornalista indagato? Ma ha anche sottolineato
l'assenza di una forte risposta della gente a fronte dei decreti
salva-Ilva. Poi parlando del processo ha detto che questo sarà molto
difficile, i sindacati, in particolare la Fiom, si costituiranno parte
civile, speculando sui morti.
Sul problema del processo, delle
indagini è reintervenuto l'Avv. Bonetto sollecitando a non dire che “il
problema è un altro”, perchè in questo modo non affrontiamo mai il
problema presente. Ora il processo si fa. C'è una parte della gente che
vuole impegnarsi e contribuire a portare un pezzo di verità processuale.
Noi dobbiamo lavorare affinchè ci si avvicini alla verità storica il
più possibile.
Ora non ci incartiamo sul fatto se l'Ilva deve o
non deve chiudere. Non è questo il tema di questa fase processuale.
Rispetto agli “avvoltoi”, si combattono spiegando innanzitutto alla
gente, agli operai, agli abitanti dei Tamburi. Occorre fiducia nella
gente, gli avvocati da soli non ce la possono fare. Se da questo
processo Riva ne esce che non conta niente già è un buon risultato.
Vediamo questo processo come opportunità per cambiare le cose; non
sappiamo ora che futuro avrà Taranto, ma occorre provarci.
Il
rappresentante dell'Associazione Esposti Amianto e di Medicina
Democratica – venuto con altri da Matera – dopo aver raccontato la loro
esperienza allo stabilimento Enichem di Pisticci, alla multifibre di
Acerra, dove grazie alla denuncia di familiari di operai morti di
amianto (307 su 2000) si è aperta un indagine epidemiologica, ha fatto
una cruda analisi delle conseguenze mortali dell'uso dell'amianto,
denunciando come le forze sociali che dovrebbero tutelare i lavoratori
se ne stanno da parte. Anche da questo emerge la necessità della
creazione di associazioni e di creare “eventi”. Parlando della loro
esperienza, ha raccontato che si sono rivolti ai medici di base perchè
vadano a fondo alle condizioni di vita e di lavoro dei propri pazienti,
non facendolo questi medici sono passibili di denunce. Su questo vanno
sensibilizzati anche i medici di Taranto, chiedere uno studio
epidemiologico sui cittadini dei Tamburi, sorveglianza sanitaria.
Quindi
sulla necessità della partecipazione ha sollecitato a fare “corpo
unico”. Infine, nel fare un confronto tra i dati Ilva prima e dopo Riva,
ha detto che è l'industria di Stato che deve tornare, perchè nel mondo
moderno non possiamo dire che senza industria si può andare avanti.
Caliolo,
moglie di uno degli operai, Mingolla, morto nel 2006 all'Ilva ha fatto
un intervento emozionante, ricordando i momenti difficili vissuti
durante il processo per la morte del marito, ma nello stesso tempo
ricordando il suo percorso e il suo impegno nella Rete nazionale per la
sicurezza, un impegno che le ha dato forza e ha colmato il vuoto che
viene dopo una tragica perdita. Parlando dei processi, ha detto che i
familiari sono soli, non vengono sostenuti, alle udienze, a parte
rappresentanti della Rete e dell'Ass. “12 Giugno”, non c'era nessuno, a
fronte di una politica di avvocati dell'azienda, dell'azione dei
magistrati che uccide una seconda volta. Questa situazione ha portato
anche lei a momenti di crisi, di distacco dall'impegno della Rete, ma
poi ha ripreso con forza. Ha deciso di andare fino in fondo al processo,
benchè tanti le dicessero di abbandonare il processo penale e puntare
solo ai risarcimenti. Concludendo, ha lanciato un forte appello: c'è una
realtà di Taranto che non si rassegna, e la partecipazione è essenziale
per dare messaggi diversi. Non possiamo rassegnarci che mai nulla
cambierà. Non possiamo far finta di niente. Dobbiamo provarci.
A
questo intervento si è legato il rappresentante della Rete per ribadire
che il processo contro Riva e soci è una guerra ed è a questa guerra che
bisogna partecipare, partendo dal fatto che “Taranto non è morta” e
questo è testimoniato dai vari momenti di manifestazione/proteste che vi
sono stati, dal 2 agosto del 2012 ad altre manifestazioni di massa,
anche ad alcune, benchè poche, iniziative di protesta all'Ilva. Non dare
battaglia è come se abbiamo già perso in partenza.
Qui ha
riportato gli esempi in positivo delle vittorie processuali già ottenute
dallo Slai cobas per il sindacato di classe contro Riva, in particolare
nel processo ex Nuova Siet dove Riva ha avuto la più alta condanna,
benchè poi per l'azione anche di corruzione dei giudici di appello buona
parte dei reati siano andati in prescrizione, ma è comunque rimasto il
risarcimento agli operai.
Rispetto alla partecipazione al
processo, ha detto che non basta un appello, occorre trovare le forme
organizzate per far partecipare operai, familiari, cittadini; ha ripreso
l'esperienza positiva dell'Associazione 12 Giugno che per anni ha fatto
diventare i processi degli eventi.
Anche in questo processo del
2014 dimostreremo che non è vero che Taranto è assente. Questo lavoro –
ha detto – è una strada obbligata: non possiamo denunciare tutto e poi
non vincere alcune battaglie. L'Avv. Bonetto è qui perchè abbiamo
bisogno di una esperienza vincente. Nel processo Ilva dobbiamo affermare
un principio di giustizia e di risarcimento. A questo serve
l'associazione di parte civile in forma coordinata. Le tappe dopo questa
assemblea sono per unirsi su questa via.
Il processo a Riva è un
processo storico al sistema capitalista. Per noi, finchè non c'è un
sindacalista in questa inchiesta questo processo non può finire (e qui
ha ricordato il processo in corso per la morte dell'operaio Di Leo che
per la prima volta, frutto della denuncia/testimonianza dello Slai
cobas, sono inquisiti anche 3 RLS); ma ora questo processo deve
cominciare.
Il processo certo non è una manifestazione ma una
forma specifica della battaglia, le cose dette sulla difficoltà della
partecipazione della gente, non devono però diventare per noi un
ostacolo.
La rappresentante dello Slai cobas di Taranto ha
aggiunto che la questione delle parti civili è importante in termini
politici, necessaria anche per contrastare l'azione dello Stato: la
magistratura fa una cosa buona a Taranto ma poi la Cassazione la
smonta... questo “gioco” deve trovare la giusta risposta; la
costituzione di parte civile significa mettere non un passo ma centinaia
di pesanti passi in questa battaglia. Dobbiamo, poi, noi unire al fatto
tecnico-legale e alla presenza fisica alle udienze, la nostra azione
forte di denuncia, di lotta generale contro Riva ma anche contro
governi, Stato, sindacati confederali chiaramente corresponsabili di
aver fatto arrivare a questa situazione; noi dobbiamo cercare di
impedire l'oscenità di sindacati, anche di una Fiom, che si presentano
come parte civile al processo. Per questo nel processo è necessario che
si senta la voce degli operai, la voce della classe che viene sfruttata e
uccisa.
Altro aspetto importante è la questione del
coordinamento delle forze. A Taranto vi sono varie realtà che portano
avanti aspetti di questa battaglia, ma ci sono momenti, come questo del
processo, in cui queste realtà si devono unire, questo costituisce un
arricchimento non un rinunciare alle proprie battaglie. Mettiamo fine ai
protagonismi. Il coordinamento, la formazione di un coordinamento ad
hoc per la costituzione di parte civile (es. a Torino, Legami
d'acciaio), è un messaggio politico, di fiducia, di cambiamento, di fine
dei personalismi anche in fabbrica.
Anche l'Avv. Bonetto ha
ribadito la necessità del coordinamento, perchè, ha detto, tante parti
civili ognuna per conto proprio costituiscono un pericolo per i
difensori, e verrebbe usato dagli avocati degli imputati per ostacolare
l'andamento del processo.
Il Convegno si è concluso ribadendo:
l'avvio
della costituzione di parte civile di operai Ilva, lavoratori degli
appalti, lavoratori delle aziende vicine area Ilva (Cimitero,
Pasquinelli...), abitati dei Tamburi e altri quartieri inquinati;
risarcimento per tutti, sia malati che sani;
coordinamento sulle linee espresse dall'Avv. Bonetto, prima raccogliendo le adesioni e poi formalizzando la forma associata;
l'organizzazione
di parte civile è di massa e gratuita – stabiliremo solo una quota
associativa; all'avvocato/i daremo solo il rimborso spese;
dobbiamo tener conto dei tempi, per presentare le parti civili alla udienza preliminare;
dobbiamo trovare e costruire un gruppo di esperti/tecnici.
Durante
tutto il Convegno si sono compilate le schede (indicate dall'Avv.
Bonetto) per la costituzione di parte civile – raccogliendo già un
centinaio di adesioni, tra operai Ilva, operai cimiteriali, pasquinelli,
abitanti dei tamburi, ecc.
Taranto - 11 gennaio 2014
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