domenica 19 gennaio 2014

Convegno della Rete a Taranto: pubblichiamo il resoconto

CONVEGNO DI TARANTO DELLA RETE NAZIONALE PER LA SICUREZZA E LA SALUTE SUI POSTI DI LAVORO E TERRITORI DEL 11 GENNAIO 2014.

All'apertura, il Convegno è stato dedicato all'ultimo operaio morto di tumore all'Ilva, Stefano Delli Ponti, leggendo un pezzo di una lettera di un lavoratore dell'Istituto tumori di Milano che l'aveva recentemente conosciuto. Un lungo applauso ha salutato Stefano e la sua famiglia.



Nell'introduzione il compagno responsabile per Taranto della Rete nazionale ha detto che la Rete è nata proprio sulla base delle tragedie delle morti sul lavoro all'Ilva, ricordando poi le iniziative più significative, sia come manifestazioni nazionali (a Torino per la Thyssen, a Taranto per l'Ilva, a Roma, ecc.), sia la presenza attiva della Rete ai processi più importanti, Eternit, Thyssen, ecc.

Questo Convegno oggi a Taranto è a fronte della chiusura delle indagini da parte della magistratura e delle imputazioni alla famiglia Riva e a decine e decine di responsabili, corresponsabili, e ha lo scopo di organizzare la partecipazione popolare a questa fase della lotta contro l'Ilva di padron Riva. Questa città ha bisogno di ottenere giustizia, risarcimenti, cambiamenti reali.



E' seguito il lungo intervento dell'Avv. Di Torino, Sergio Bonetto. All'inizio ha parlato della complessità della vicenda che si apre con questo processo Ilva, per le potenziali dimensioni del processo (50 imputati + 3 società), per le violazioni che coprono quasi il 50% di tutto il codice penale, per la vasta tipologia dei reati, che mostrano un mondo di illegalità diffusa vissuto per decenni a Taranto. Tutta questa drammatica storia di morti, inquinamento, danni alle persone, è certo difficile trasformarla in un processo, ma questo si prepara ad essere il più grande processo, di rilevanza anche internazionale.

Nel processo Eternit che vogliamo prendere a riferimento – ha proseguito Bonetto - le proporzioni erano decisamente più piccole, si trattava di soli 2 imputati e un solo agente inquinante, un numero individuato di persone vittime, e quindi un quadro specifico e limitato di reati, la magistratura poi aveva individuato un'area critica precisa intorno alla fabbrica in cui l'inquinamento di amianto aveva fatto malati e morti. Ma già per questo processo vi erano decine di migliaia di atti.

All'Ilva, l'inquinamento ha mille sfaccettature, non è stata individuata una precisa e limitata area critica, c'è anche un vasto profilo corruttivo su tutta la vicenda... Un processo che rischia di incartarsi per le sue dimensioni.

Quindi occorre un ragionamento serio sul processo e questo tipo di assemblee servono a questo. Occorre fare informazione, occorre gente, esperti che ci aiutino.

All'Eternit la sentenza è stata per disastro doloso, cioè di omissione volontaria di misure di sicurezza sul lavoro. Non potendo ricostruire la storia di ogni singola persona, si è affrontato il problema in termini generali. A maggior ragione all'Ilva non si può affrontare caso per caso.

Paradossalmente gli imputati vorrebbero invece che si analizzasse caso per caso per allungare i tempi del processo. Quindi su questo la scelta, la decisione dei giudici è essenziale, e su questo pesa quello che facciamo noi.

E' necessario poi il coordinamento delle parti civili. Se arrivano centinaia di avvocati, ognuno per rappresentare alcune parti civili, si rischia di affossare il processo. Ognuno non può montarsi la testa. La strada è coordinarsi – anche tra coloro che non la pensa come noi.

All'Eternit nonostante ad un certo punto i giudici abbiano contingentato i tempi di intervento degli avvocati e nonostante la programmazione ravvicinata delle udienze, ci sono voluti 2 anni.

Quindi, noi dobbiamo incidere sulle modalità di gestione di questo processo.

Altro aspetto che viene dall'esperienza Eternit. Noi vogliamo che il processo accolga le parti civili anche di lavoratori e abitanti che non si sono ancora ammalati o che non si ammaleranno mai, perchè, come all'Eternit, deve essere contestato il “reato di pericolo”. Lo Stato dice: “nessuno deve mettere a rischio la vita e la salute degli altri”; quindi non deve essere punito solo chi provoca malattia e morte, ma anche chi mette a rischio. Questo principio è stato affermato per la prima volta nel processo Eternit ed è un'opportunità enorme per Taranto per affrontare il processo Ilva.

Non si tratta solo di una questione di risarcimento per chi è stato colpito ma del fatto che il rischio non ci sia più.

La Procura di Taranto ha fatto un buon lavoro con il sequestro dei soldi. Questo è importante perchè a Torino c'è stata una buona condanna ma i padroni non escono ancora un centesimo e se ne stanno nascosti in Svizzera. Il nostro lavoro deve essere indirizzato affinchè i soldi di Riva siano utilizzati per mettere a norma l'Ilva e bonificare la città per evitare la continuazione del rischio.

Poi l'avv. Bonetto ha sollecitato a vigilare. Cercare di impedire – ha detto – coloro che puntano solo in maniera avida ai risarcimenti, e tra gli avvocati ci sarà chi solleciterà ad andare in questa direzione; non illudere nessuno sulla questione dei risarcimenti, non può essere questo il nostro unico obiettivo ma il risanamento della fabbrica e della città.

All'Eternit i padroni sono stati condannati a risarcire tutti, lavoratori morti, malati o sani, familiari, allo stesso modo, con 30mila euro a testa (poi chi ha patologie dimostrate, documentabili può fare la causa civile per il risarcimento di tutte le spese, i danni, ecc.). A Casale Monferrato potenzialmente tutti i 20mila abitanti avevano diritto ai 30mila euro. A Taranto, con circa 250mila abitanti sarebbe enorme dire questo, ma l'impostazione generale deve essere questa.

Quindi l'avvocato ha chiarito anche la complessità e l'impegno necessario da subito per risolvere gli aspetti tecnici: avere tutti gli atti della Procura (che saranno migliaia e migliaia), studiarli, schedarli, dividerci il lavoro, ecc.

Ma soprattutto Bonetto, in conclusione, ha posto l'accento e ha richiamato l'attenzione sulla assoluta necessità di garantire una forte presenza fisica alle udienze. Non dobbiamo permettere al Tribunale di decidere per conto suo a fronte di una nostra scarsa presenza. Anche qui ha fatto l'esempio delle udienze Eternit in cui ad ogni udienza erano presenti 150/200 persone, grazie ad un lavoro anche pratico di organizzazione pure del trasporto da parte delle associazioni dei familiari. Le presenze servono a fare pressione sull'andamento del processo.



Dopo questo lungo, articolato intervento dell'Avv. Bonetto, sono iniziati gli interventi (ne ricordiamo alcuni), non prima però che il rappresentante della Rete nazionale per la sicurezza abbia sottolineato con forza che occorre concepire questo processo come una guerra, dove non ci sono solo i Riva indagati ma tutto un sistema industriale/politico.



Alcuni interventi hanno sottolineato che il processo Ilva deve fare giurisprudenza non solo per il nostro paese ma anche a livello internazionale, e l'importanza della presenza di massa in questo processo e del coordinamento delle forze, come fattori determinanti e elementi di forza.

Attualmente, invece – come ha detto il presidente dell'Ass. “12 Giugno” che il giorno prima aveva partecipato all'udienza di un altro importante processo in corso, quello contro le centinaia di operai Ilva morti per amianto – al Tribunale a questi processi si è in pochi, e gli avvocati possono tranquillamente offendere i morti e ammalati come se gli operai si siano voluti ammalare e morire. A Taranto vi sono solo 200 morti per amianto risarciti dall'Inail mentre ci sono 2000 ammalati.

Poi, denunciando, i tempi lunghissimi di questi processi, ha ribadito che ci vogliono “corsie preferenziali”, l'eliminazione della prescrizione per questi reati, ma su questo l'impegno assunto dal parlamento è rimasto incompiuto, nonostante vi siano dei disegni di legge. Ha concluso facendo un appello a che con l'apertura di questo processo contro l'Ilva ci sia quella mobilitazione che finora non si è riusciti a fare.

Anche altri interventi hanno denunciato come le Istituzioni sia nazionali che locali si siano dimenticati di Taranto, mentre il governo sforna l'ennesimo decreto “salva Riva” e ora”salva Bondi”. Un esponente di “Cittadinanza attiva” poi entrando nel merito dell'utilizzo dei fondi che si riuscirà a far pagare ai Riva ha detto che devono essere destinati per la rinascita della città, del mar piccolo... alternativa alla produzione d'acciaio.

L'operaio dell'Ilva, Battista, anche in rappresentanza dei lavoratori del comitato liberi e pensanti, ha denunciato come proprio lo Stato stia cercando di impedire che Riva paghi, citando la recente sentenza della Cassazione che ha restituito ai Riva i soldi sequestrati dalla magistratura di Taranto; anche questo processo che si apre vedrà tanti avvoltoi pronti a bloccare, speculare. Quindi ha fatto una dura denuncia di quanto sta accadendo dentro l'Ilva, in termini di continuazione delle violazioni alla sicurezza e salute; nell'area a caldo invece che bloccare gli impianti inquinanti c'è un aumento della produzione con conseguenti recenti incidenti, anche nelle altre aree vi sono impianti obsoleti che dovrebbero essere immediatamente chiusi. Non si tratta solo dell'area a caldo ma dovrebbe essere chiuso tutto lo stabilimento. Ora siamo “sotto controllo dello Stato” per tre anni ma all'Ilva si continua ad inquinare nello stesso modo e lo Stato è direttamente responsabile di quanto sta accadendo in questa città. Sulle indagini di “ambiente svenduto” ha detto che dovevano essere molto più estese: come mai non c'è un sindacalista, un giornalista indagato? Ma ha anche sottolineato l'assenza di una forte risposta della gente a fronte dei decreti salva-Ilva. Poi parlando del processo ha detto che questo sarà molto difficile, i sindacati, in particolare la Fiom, si costituiranno parte civile, speculando sui morti.

Sul problema del processo, delle indagini è reintervenuto l'Avv. Bonetto sollecitando a non dire che “il problema è un altro”, perchè in questo modo non affrontiamo mai il problema presente. Ora il processo si fa. C'è una parte della gente che vuole impegnarsi e contribuire a portare un pezzo di verità processuale. Noi dobbiamo lavorare affinchè ci si avvicini alla verità storica il più possibile.

Ora non ci incartiamo sul fatto se l'Ilva deve o non deve chiudere. Non è questo il tema di questa fase processuale. Rispetto agli “avvoltoi”, si combattono spiegando innanzitutto alla gente, agli operai, agli abitanti dei Tamburi. Occorre fiducia nella gente, gli avvocati da soli non ce la possono fare. Se da questo processo Riva ne esce che non conta niente già è un buon risultato. Vediamo questo processo come opportunità per cambiare le cose; non sappiamo ora che futuro avrà Taranto, ma occorre provarci.

Il rappresentante dell'Associazione Esposti Amianto e di Medicina Democratica – venuto con altri da Matera – dopo aver raccontato la loro esperienza allo stabilimento Enichem di Pisticci, alla multifibre di Acerra, dove grazie alla denuncia di familiari di operai morti di amianto (307 su 2000) si è aperta un indagine epidemiologica, ha fatto una cruda analisi delle conseguenze mortali dell'uso dell'amianto, denunciando come le forze sociali che dovrebbero tutelare i lavoratori se ne stanno da parte. Anche da questo emerge la necessità della creazione di associazioni e di creare “eventi”. Parlando della loro esperienza, ha raccontato che si sono rivolti ai medici di base perchè vadano a fondo alle condizioni di vita e di lavoro dei propri pazienti, non facendolo questi medici sono passibili di denunce. Su questo vanno sensibilizzati anche i medici di Taranto, chiedere uno studio epidemiologico sui cittadini dei Tamburi, sorveglianza sanitaria.

Quindi sulla necessità della partecipazione ha sollecitato a fare “corpo unico”. Infine, nel fare un confronto tra i dati Ilva prima e dopo Riva, ha detto che è l'industria di Stato che deve tornare, perchè nel mondo moderno non possiamo dire che senza industria si può andare avanti.

Caliolo, moglie di uno degli operai, Mingolla, morto nel 2006 all'Ilva ha fatto un intervento emozionante,  ricordando i momenti difficili vissuti durante il processo per la morte del marito, ma nello stesso tempo ricordando il suo percorso e il suo impegno nella Rete nazionale per la sicurezza, un impegno che le ha dato forza e ha colmato il vuoto che viene dopo una tragica perdita. Parlando dei processi, ha detto che i familiari sono soli, non vengono sostenuti, alle udienze, a parte rappresentanti della Rete e dell'Ass. “12 Giugno”, non c'era nessuno, a fronte di una politica di avvocati dell'azienda, dell'azione dei magistrati che uccide una seconda volta. Questa situazione ha portato anche lei a momenti di crisi, di distacco dall'impegno della Rete, ma poi ha ripreso con forza. Ha deciso di andare fino in fondo al processo, benchè tanti le dicessero di abbandonare il processo penale e puntare solo ai risarcimenti. Concludendo, ha lanciato un forte appello: c'è una realtà di Taranto che non si rassegna, e la partecipazione è essenziale per dare messaggi diversi. Non possiamo rassegnarci che mai nulla cambierà. Non possiamo far finta di niente. Dobbiamo provarci.

A questo intervento si è legato il rappresentante della Rete per ribadire che il processo contro Riva e soci è una guerra ed è a questa guerra che bisogna partecipare, partendo dal fatto che “Taranto non è morta” e questo è testimoniato dai vari momenti di manifestazione/proteste che vi sono stati, dal 2 agosto del 2012 ad altre manifestazioni di massa, anche ad alcune, benchè poche, iniziative di protesta all'Ilva. Non dare battaglia è come se abbiamo già perso in partenza.

Qui ha riportato gli esempi in positivo delle vittorie processuali già ottenute dallo Slai cobas per il sindacato di classe contro Riva, in particolare nel processo ex Nuova Siet dove Riva ha avuto la più alta condanna, benchè poi per l'azione anche di corruzione dei giudici di appello buona parte dei reati siano andati in prescrizione, ma è comunque rimasto il risarcimento agli operai.

Rispetto alla partecipazione al processo, ha detto che non basta un appello, occorre trovare le forme organizzate per far partecipare operai, familiari, cittadini; ha ripreso l'esperienza positiva dell'Associazione 12 Giugno che per anni ha fatto diventare i processi degli eventi.

Anche in questo processo del 2014 dimostreremo che non è vero che Taranto è assente. Questo lavoro – ha detto – è una strada obbligata: non possiamo denunciare tutto e poi non vincere alcune battaglie. L'Avv. Bonetto è qui perchè abbiamo bisogno di una esperienza vincente. Nel processo Ilva dobbiamo affermare un principio di giustizia e di risarcimento. A questo serve l'associazione di parte civile in forma coordinata. Le tappe dopo questa assemblea sono per unirsi su questa via.

Il processo a Riva è un processo storico al sistema capitalista. Per noi, finchè non c'è un sindacalista in questa inchiesta questo processo non può finire (e qui ha ricordato il processo in corso per la morte dell'operaio Di Leo che per la prima volta, frutto della denuncia/testimonianza dello Slai cobas, sono inquisiti anche 3 RLS); ma ora questo processo deve cominciare.

Il processo certo non è una manifestazione ma una forma specifica della battaglia, le cose dette sulla difficoltà della partecipazione della gente, non devono però diventare per noi un ostacolo.

La rappresentante dello Slai cobas di Taranto ha aggiunto che la questione delle parti civili è importante in termini politici, necessaria anche per contrastare l'azione dello Stato: la magistratura fa una cosa buona a Taranto ma poi la Cassazione la smonta... questo “gioco” deve trovare la giusta risposta; la costituzione di parte civile significa mettere non un passo ma centinaia di pesanti passi in questa battaglia. Dobbiamo, poi, noi unire al fatto tecnico-legale e alla presenza fisica alle udienze, la nostra azione forte di denuncia, di lotta generale contro Riva ma anche contro governi, Stato, sindacati confederali chiaramente corresponsabili di aver fatto arrivare a questa situazione; noi dobbiamo cercare di impedire l'oscenità di sindacati, anche di una Fiom, che si presentano come parte civile al processo. Per questo nel processo è necessario che si senta la voce degli operai, la voce della classe che viene sfruttata e uccisa.

Altro aspetto importante è la questione del coordinamento delle forze. A Taranto vi sono varie realtà che portano avanti aspetti di questa battaglia, ma ci sono momenti, come questo del processo, in cui queste realtà si devono unire, questo costituisce un arricchimento non un rinunciare alle proprie battaglie. Mettiamo fine ai protagonismi. Il coordinamento, la formazione di un coordinamento ad hoc per la costituzione di parte civile (es. a Torino, Legami d'acciaio), è un messaggio politico, di fiducia, di cambiamento, di fine dei personalismi anche in fabbrica.

Anche l'Avv. Bonetto ha ribadito la necessità del coordinamento, perchè, ha detto, tante parti civili ognuna per conto proprio costituiscono un pericolo per i difensori, e verrebbe usato dagli avocati degli imputati per ostacolare l'andamento del processo.



Il Convegno si è concluso ribadendo:

l'avvio della costituzione di parte civile di operai Ilva, lavoratori degli appalti, lavoratori delle aziende vicine area Ilva (Cimitero, Pasquinelli...), abitati dei Tamburi e altri quartieri inquinati;

risarcimento per tutti, sia malati che sani;

coordinamento sulle linee espresse dall'Avv. Bonetto, prima raccogliendo le adesioni e poi formalizzando la forma associata;

l'organizzazione di parte civile è di massa e gratuita – stabiliremo solo una quota associativa; all'avvocato/i daremo solo il rimborso spese;

dobbiamo tener conto dei tempi, per presentare le parti civili alla udienza preliminare;

dobbiamo trovare e costruire un gruppo di esperti/tecnici.



Durante tutto il Convegno si sono compilate le schede (indicate dall'Avv. Bonetto) per la costituzione di parte civile – raccogliendo già un centinaio di adesioni, tra operai Ilva, operai cimiteriali, pasquinelli, abitanti dei tamburi, ecc.

Taranto - 11 gennaio 2014

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