"1.936,80 euro per la vita di mio figlio". Questo è il grido disperato e di sfogo di Paola Armellini, la mamma del giovane operaio morto il 5 marzo durante l'allestimento del palco per il concerto di Laura Pausini. "Ma noi vogliamo la verità e non una misera offerta".
Infatti Paola Armellini signora ha raccontato che la lettera di accompagnamento al rimborso non fa nessun riferimento alla alla morte del figlio. Solo poche parole: "Pratica di infortunio o malattia professionale". E se è vero che l'Inail dà il rimborso solo a moglie e figli (occorre specificare che Matteo non ne aveva), "allora - dichiara la signora - questi soldi cosa sono? Non hanno nemmeno pagato il funerale o il trasporto della salma da Reggio Calabria a Roma". "Dopo tanti mesi mi devono spiegare ancora cosa è successo", ha raccontato Paola Armellini.
La signora non si dà per vinta, anzi, ha deciso che ha così deciso di andare a fondo cominciando con il recupero delle carte del lavoro del figlio. Attraverso questa indagine la Armellini ha scoperto un mondo di lavoratori "sommersi" senza alcuna garanzia,che lavorano senza orari o paghe regolari, né tantomeno contributi perché non hanno un contratto collettivo nazionale o un sindacato che li tuteli e difenda. "Matteo era il cosiddetto rigger (colui che non una speciale imbracatura, si arrampica sulle travi del palco per montarne la struttura, ndr) - ha spegato la madre- e lui stesso ha dovuto pagarsi l'attrezzatura e i corsi professionali specifici". A "reggere il gioco" sono le cooperative, che non assumono, ma lavorano a partita Iva.
Matteo quindi era tra gli inquadrati nella categoria dei freelance ma lavorava come un operaio normale, con turni di lavoro massacranti anche di 16 ore.
"L'unica certezza fino ad adesso - dichiara la signora - è che la vita di mio figlio non vale neanche duemila euro".
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