L'udienza odierna si apre alle ore 9:45 e prevede la passerella di ben quattro testimoni; si tratta della seconda parte dell'audizione del carabiniere Francesco Ammirata, seguita da quelle di: Pietro Mancini, Caterina Di Carlo, e Valeria Giunta.
Avendo il pm Riccardo Ghio esaurito il suo esame, la parola per il confronto con il luogotenente dell'Arma passa agli avvocati delle parti civili e successivamente alle difese.
Ad una domanda dell'avvocato Lanzavecchia, che chiede se la Solvay fornisse acqua propria a privati, il teste risponde: "sì, ciò avveniva per alcune utenze delle strade limitrofe: via Garibaldi, via Mazzini, via Monte Caudina, via Torre, vicolo Stivati, vicolo dell'Oro, via Stortigliona, e via Frugarolo".
Inoltre specifica, e ciò sottolinea ancora una volta l'atteggiamento criminale dell'azienda, che "questo avveniva - fino alla chiusura dei pozzi nel 2008 - in base ad un contratto sottoscritto da Montecatini il 20 marzo 1946 (tacitamente rinnovabile) in cui l'azienda, ed i suoi successori della Ausimont, si impegnava a fornire gratuitamente l'acqua, ma in cambio pretendeva la preventiva rinuncia alla richiesta di risarcimenti per eventuali danni alla salute derivanti dall'uso della stessa".
Sembra utile sottolineare un avvenimento accaduto nel corso dell'anno 2000: l'azienda inviò agli utilizzatori una lettera in cui si raccomandava l'utilizzo esclusivamente irriguo dell'acqua, senza però specificare che la stessa fosse inquinata.
A seguire la parola passa a Pietro Mancini ex lavoratore Solvay - ed anche sindacalista Ugl, e successivamente Sin.Pa. - dal 1997 al 2007, utilizzato dall'azienda nelle seguenti mansioni: dal 1997 al 2000 nel comparto della sicurezza, successivamente (fino al 2002) al laboratorio dell'algofrene ed a seguire al laboratorio di igiene industriale.
Questi aggiunge nuovi elementi per giudicare l'atteggiamento criminale dell'azienda: in primo luogo precisa che le ispezioni degli organi di controllo Arpa e Spresal avvenivano previo accordo con la direzione della Solvay e venivano effettuate soltanto se i tecnici erano scortati da personale dell'azienda.
Ma non si limita a riferire in questo senso, rendendo noti alla Corte altri due episodi avvenuti nel 1997 e nel 2005.
Il primo riguarda la sostituzione dei binari ferroviari interni allo stabilimento: movimentando la terra per procedere all'operazione, venne dissotterrato del terreno di colore rosso; successivamente, anziché rimuoverlo, venne semplicemente reinterrato per nasconderne l'esistenza.
Il secondo concerne un episodio avvenuto dopo una nevicata del 2005: in seguito a queste precipitazioni, si allagarono dei magazzini; quando l'acqua si ritirò, restarono delle incrostazioni di colore giallo, che analizzate risultarono essere residui di bicromato, un materiale talmente tossico che gli fu sconsigliato dai colleghi di entrare nuovamente lì dentro.
Parlandone con l'imputato ingegner Guarracino, al quale richiese spiegazioni, gli venne risposto di farsi gli affari suoi; solo successivamente venne a conoscenza del fatto che la colorazione era dovuta a scarti di lavorazione interrati all'interno del magazzino, e che a causa di questi si verificava il fenomeno - molto diffuso tra i dipendenti - dei nasi forati.
Le ultime due testimonianze della giornata sono quelle di Caterina Di Carlo - dipendente utilizzata nell'ambito della sicurezza e poi dell'igiene industriale, agli ordini dell'imputato Giorgio Canti, a sua volta comandato dall'altro avvelenatore, Giorgio Carimati - e Valeria Giunta, dal 2008 responsabile del laboratorio di igiene industriale.
In ambedue i casi ci troviamo di fronte a testimoni reticenti, che cercano in tutti i modi di rettificare e sminuire le dichiarazioni, riguardanti i propri rapporti con la dirigenza, rilasciate in precedenza alla Procura.
La Di Carlo, con notevole sprezzo del ridicolo (persino la presidente Sandra Casacci si lascia scappare più di un sorriso), arriva persino a negare di essere a conoscenza di alcuni fax - scambiati con la dottoressa Chiara Cataruzza - nei quali risulta evidente la plurima compilazione dei documenti con le risultanze dei carotaggi del terreno di cui aveva parlato in precedenza il teste Ammirata.
La Giunta, che nel periodo coperto dal procedimento si è occupata in modo particolare delle analisi dei pozzi interni allo stabilimento, riempie la sua deposizione di "non so, non ricordo, non era mio compito"; addirittura ha il coraggio di negare che le ispezioni fossero annunciate precedentemente all'arrivo dei tecnici: sostiene, anzi, che a lei, che era l'addetta al disbrigo della faccenda, la comunicazione veniva data soltanto quando i tecnici stavano per effettuare i campionamenti.
Secondo l'opinione di chi scrive, queste due 'signore' dovrebbero essere incriminate per resistenza alla Corte e falsa testimonianza; la decisione la può prendere solo il pm: si spera che proceda presto contro chi nega così pervicacemente l'evidenza.
Alle ore 13:30, esaurita la lista dei testimoni odierni, la Corte sospende la seduta e la rinvia a mercoledì ventidue maggio, quando verrà ascoltata la dottoressa Chiara Cataruzza.
Avendo il pm Riccardo Ghio esaurito il suo esame, la parola per il confronto con il luogotenente dell'Arma passa agli avvocati delle parti civili e successivamente alle difese.
Ad una domanda dell'avvocato Lanzavecchia, che chiede se la Solvay fornisse acqua propria a privati, il teste risponde: "sì, ciò avveniva per alcune utenze delle strade limitrofe: via Garibaldi, via Mazzini, via Monte Caudina, via Torre, vicolo Stivati, vicolo dell'Oro, via Stortigliona, e via Frugarolo".
Inoltre specifica, e ciò sottolinea ancora una volta l'atteggiamento criminale dell'azienda, che "questo avveniva - fino alla chiusura dei pozzi nel 2008 - in base ad un contratto sottoscritto da Montecatini il 20 marzo 1946 (tacitamente rinnovabile) in cui l'azienda, ed i suoi successori della Ausimont, si impegnava a fornire gratuitamente l'acqua, ma in cambio pretendeva la preventiva rinuncia alla richiesta di risarcimenti per eventuali danni alla salute derivanti dall'uso della stessa".
Sembra utile sottolineare un avvenimento accaduto nel corso dell'anno 2000: l'azienda inviò agli utilizzatori una lettera in cui si raccomandava l'utilizzo esclusivamente irriguo dell'acqua, senza però specificare che la stessa fosse inquinata.
A seguire la parola passa a Pietro Mancini ex lavoratore Solvay - ed anche sindacalista Ugl, e successivamente Sin.Pa. - dal 1997 al 2007, utilizzato dall'azienda nelle seguenti mansioni: dal 1997 al 2000 nel comparto della sicurezza, successivamente (fino al 2002) al laboratorio dell'algofrene ed a seguire al laboratorio di igiene industriale.
Questi aggiunge nuovi elementi per giudicare l'atteggiamento criminale dell'azienda: in primo luogo precisa che le ispezioni degli organi di controllo Arpa e Spresal avvenivano previo accordo con la direzione della Solvay e venivano effettuate soltanto se i tecnici erano scortati da personale dell'azienda.
Ma non si limita a riferire in questo senso, rendendo noti alla Corte altri due episodi avvenuti nel 1997 e nel 2005.
Il primo riguarda la sostituzione dei binari ferroviari interni allo stabilimento: movimentando la terra per procedere all'operazione, venne dissotterrato del terreno di colore rosso; successivamente, anziché rimuoverlo, venne semplicemente reinterrato per nasconderne l'esistenza.
Il secondo concerne un episodio avvenuto dopo una nevicata del 2005: in seguito a queste precipitazioni, si allagarono dei magazzini; quando l'acqua si ritirò, restarono delle incrostazioni di colore giallo, che analizzate risultarono essere residui di bicromato, un materiale talmente tossico che gli fu sconsigliato dai colleghi di entrare nuovamente lì dentro.
Parlandone con l'imputato ingegner Guarracino, al quale richiese spiegazioni, gli venne risposto di farsi gli affari suoi; solo successivamente venne a conoscenza del fatto che la colorazione era dovuta a scarti di lavorazione interrati all'interno del magazzino, e che a causa di questi si verificava il fenomeno - molto diffuso tra i dipendenti - dei nasi forati.
Le ultime due testimonianze della giornata sono quelle di Caterina Di Carlo - dipendente utilizzata nell'ambito della sicurezza e poi dell'igiene industriale, agli ordini dell'imputato Giorgio Canti, a sua volta comandato dall'altro avvelenatore, Giorgio Carimati - e Valeria Giunta, dal 2008 responsabile del laboratorio di igiene industriale.
In ambedue i casi ci troviamo di fronte a testimoni reticenti, che cercano in tutti i modi di rettificare e sminuire le dichiarazioni, riguardanti i propri rapporti con la dirigenza, rilasciate in precedenza alla Procura.
La Di Carlo, con notevole sprezzo del ridicolo (persino la presidente Sandra Casacci si lascia scappare più di un sorriso), arriva persino a negare di essere a conoscenza di alcuni fax - scambiati con la dottoressa Chiara Cataruzza - nei quali risulta evidente la plurima compilazione dei documenti con le risultanze dei carotaggi del terreno di cui aveva parlato in precedenza il teste Ammirata.
La Giunta, che nel periodo coperto dal procedimento si è occupata in modo particolare delle analisi dei pozzi interni allo stabilimento, riempie la sua deposizione di "non so, non ricordo, non era mio compito"; addirittura ha il coraggio di negare che le ispezioni fossero annunciate precedentemente all'arrivo dei tecnici: sostiene, anzi, che a lei, che era l'addetta al disbrigo della faccenda, la comunicazione veniva data soltanto quando i tecnici stavano per effettuare i campionamenti.
Secondo l'opinione di chi scrive, queste due 'signore' dovrebbero essere incriminate per resistenza alla Corte e falsa testimonianza; la decisione la può prendere solo il pm: si spera che proceda presto contro chi nega così pervicacemente l'evidenza.
Alle ore 13:30, esaurita la lista dei testimoni odierni, la Corte sospende la seduta e la rinvia a mercoledì ventidue maggio, quando verrà ascoltata la dottoressa Chiara Cataruzza.
Alessandria, 13 maggio 2013
Stefano Ghio - Rete sicurezza Al/Ge
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