venerdì 17 maggio 2013
Quando il lavoro uccide
di Pasquale Notargiacomo
Infortuni sul lavoro, controlli inadeguati. Pochi ispettori e leggi inapplicate.
Un sistema pieno di difetti, contraddizioni e scontri tra poteri. Parla
Beniamino Deidda, uno dei magistrati più esperti nella materia: "Lo Stato ha
praticamente rinunciato alla potestà punitiva". Eppure si tratta di reati
anche gravi, omicidio compreso. Un'azienda può sperare di non essere mai
controllata in tutta la sua esistenza
ROMA
Controlli irrisori, affidati a personale numericamente esiguo. Ritardi
nell'applicazione della normativa, spesso per una convivenza difficile tra
le istituzioni affidatarie della materia. Un apparato repressivo inadeguato
all'entità del fenomeno. Si possono riassumere così, le mancanze principali
del sistema della vigilanza in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. La
competenza in materia spetta, dall'avvento della riforma sanitaria del 1978
(applicata a partire dal 1982), ai servizi di prevenzione delle Asl a cui
sono state affidate le funzioni prima appartenenti agli Ispettorati
provinciali del Lavoro. Il ministero è tornato nuovamente organo di
vigilanza, con una deroga soltanto per il settore dell'edilizia, dal 1997.
Questo passaggio di consegne, che ha instaurato di fatto un sistema duale,
non è avvenuto senza strascichi e ancora oggi non sempre la collaborazione è
delle migliori. "I controlli sono sempre stati percepiti più come un potere
che come un servizio. Per questo il ministero non si è mai rassegnato a
questa perdita di competenze - commenta Beniamino Deidda, già Procuratore
Generale di Firenze e tra i massimi esperti di sicurezza sul lavoro - e ha
sempre cercato di rosicchiare competenze alle Regioni. Così ci troviamo di
fronte a ricorrenti tentazioni del Ministero di creare un corpo di
vigilantes, non saprei come altro chiamarli, staccati dalla prevenzione".
"Comitati pletorici"
Per migliorare la situazione, il D.Lgs.81/08 ha previsto, tra le occasioni
di coordinamento, (all'articolo 5) il "Comitato per l'indirizzo e la
valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle
attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro", a cui
spetta un ruolo di cabina di regia nazionale presso il Ministero della
Salute. A dispetto del nome altisonante la sua attività finora non è stata
così intensa. "Diciamo che non lo vediamo così dinamico." - sottolinea
Oreste Tofani, presidente della Commissione d'inchiesta sugli infortuni del
Senato - che a riguardo, come si dirà più avanti, ha elaborato una sua
proposta. A questo primo organo fa da contraltare la "Commissione Consultiva
permanente per la Salute e la Sicurezza sul lavoro", che si trova invece
presso il Ministero del Lavoro. Anche in questo caso la partenza non è stata
fulminante. Tra i compiti che il Testo Unico del 2008 aveva assegnato a
quest'altra commissione figurava la redazione, entro e non oltre il 31
dicembre 2010, delle procedure standardizzate per la valutazione dei rischi
delle imprese. Un compito il cui completamento effettivo è avvenuto con un
decreto interministeriale del 30 novembre 2012.
Regioni in ritardo
Oltre a queste due strutture nazionali, un'altra delle novità principali del
TU 61/2008 riguardava l'istituzione di Comitati regionali. Un processo che
però non è stato lineare. Anzi, spesso, è partito a macchia di leopardo. Tra
regione e regione, come riportato dall'ultimo rapporto della Conferenza
delle Regioni e delle province autonome, relativo all'anno 2010,
l'insediamento è avvenuto anche ad anni di distanza. Gli ultimi partiti, in
Sardegna a gennaio 2011 e in Calabria a settembre 2011, al momento della
pubblicazione del rapporto non avevano ancora tenuto riunioni né fatto
attività di pianificazione. Mentre, ad esempio, la struttura omologa in
Lombardia risultava attiva dal 20/04/08 e si era già riunita 12 volte. "Sono
comitati pletorici, caratterizzati da forti tensioni e disaccordi e non
producono un programma di prevenzione a cui tutti si attengono" - è il
giudizio netto di Deidda. Difficoltà di cui riferisce anche la Commissione
d'inchiesta del Senato. "Come noto si tratta di una materia concorrente tra
Stato e Regioni. Ma questa dualità non favorisce e crea sicuramente dei
problemi" - è il pensiero del presidente Oreste Tofani (Pdl) - "Abbiamo
regioni che procedono con una certa dinamicità e altre che non hanno lo
stesso ritmo".
Controlli irrisori
Il Patto Stato Regioni ha fissato al 5% la soglia minima delle aziende da
ispezionare. Un obiettivo raggiunto (secondo il rapporto citato) soltanto in
14 regioni, con una percentuale media dell'intero Paese che si attesta al
6,6%. In totale, nel 2010, sono state 162.525 le aziende (sommando tutti i
comparti produttivi) visitate dalle Asl, con un numero di violazioni di
53.939, pari a circa un terzo. Non si può dimenticare che l'intera platea in
Italia conta oltre due milioni di imprese con dipendenti. Una sproporzione
che diventa ancora più evidente in determinati settori: la percentuale di
aziende agricole ispezionate è di appena lo 0,37%, con la punta massima in
Lombardia del 2,67%.
Pochi ispettori
Va da sé che la missione dei 4.730 operatori della Asl (di cui soltanto
2.851 con qualifica di polizia giudiziaria, e quindi in grado di prendere
notizie di reato, applicare le prescrizioni e svolgere, se necessario,
indagini) è quantomeno proibitiva. Pur sommando a questi, per il settore
dell'edilizia, i circa 300 ispettori tecnici del Ministero del Lavoro (gli
altri 3mila hanno soltanto funzioni amministrative) più le 423 unità
dell'Arma dei Carabinieri (che li affiancano in alcune operazioni) la
sproporzione resta evidente. Così come non appaiono motivate le critiche di
chi denuncia una frequente sovrapposizione tra i due organi di vigilanza
(peraltro possibile soltanto in edilizia). "In alcune regioni i colleghi
sono davvero quattro gatti", - ammette Vincenzo Di Nucci, presidente
dell'Aitep (associazione italiana tecnici della prevenzione) e in servizio
presso la Asl Roma G - "Con questi numeri le imprese hanno la quasi certezza
di non ricevere mai un controllo durante la loro intera esistenza". Chi
invece lo riceve ed eventualmente incorre nelle sanzioni, può beneficiare
dell'istituto della prescrizione obbligatoria, prevista dal D.Lgs.758/94: un
atto di polizia giudiziaria per il quale il contravventore può estinguere il
reato adempiendo alle prescrizioni e pagando un quarto dell'ammenda massima.
"E' l'unico caso in cui lo Stato rinuncia alla potestà punitiva." - spiega
Deidda - "Non avviene neanche per il furto di una mela. In questo caso viene
sacrificata in vista del raggiungimento di un bene giuridico nobile: la
salute e la sicurezza dei lavoratori". Uno scambio particolarmente
vantaggioso per il contravventore, che infatti nella quali totalità dei casi
(più del 90%, secondo i dati delle Asl) provvede a mettersi in regola.
Norme non applicate
Resta il fatto che 95 aziende su 100 (nella peggiore delle ipotesi) hanno la
ragionevole speranza di non essere visitate dagli organi di vigilanza. Una
mancanza che finisce per aggravare un'altra distorsione cronica del sistema.
"Nel nostro paese" - spiega Deidda - "la legislazione non è mai stata più
indietro degli altri paesi. Ma un conto è fare buone leggi, un conto è
tradurle in vita vissuta. Soltanto qui da noi si è assistito per quasi
cinquant'anni a una sistematica disapplicazione della medesima norma. I
testi sono rimasti a lungo intonsi". E' il caso dei D.P.R. del 1955/56. La
prima "rivoluzione" è avvenuta con il D.Lgs.626/94 (che ha recepito
le direttive comunitarie in materia) e successivamente con il Testo Unico
D.Lgs.81/08 approvato dal già dimissionario governo Prodi (anche se a
cambiarne l'impianto sono intervenute le modifiche all'apparato
sanzionatorio apportate dal D.Lgs.106/09, per le quali è stata aperta una
procedura d'infrazione europea ai danni dell'Italia).
Magistratura impreparata
Nella mancata efficacia del processo repressivo pesano anche le
responsabilità degli uffici giudiziari. "La magistratura tradizionalmente si
è accostata con una certa indifferenza ai reati in materia della sicurezza
dei lavoratori" - ammette Deidda -. "Ancora oggi stenta ad attrezzarsi: sono
pochi i tribunali con gruppetti specializzati". Il risultato è un quadro
preoccupante, messo in luce anche dal Csm in una ricerca del 2009 sulle 165
Procure e tribunali italiani. In base alle risposte pervenute, solo 18
Procure hanno gruppi specializzati mentre 49 hanno specializzazioni in capo
a un singolo magistrato. Situazione anche peggiore tra i tribunali: solo uno
ha giudici specialisti cui vengono assegnati i processi per infortunio o
malattia professionale. "Io stesso ho fatto un esperimento: chiedere ai
Procuratori di varie zone d'Italia, di dirmi quanti infortuni, quante
decisioni, quante assoluzioni registrassero. La risposta generalizzata è
stata: non siamo in grado di saperlo, perché spesso non siamo in grado di
distinguere a registro generale tra i numeri degli incidenti sul lavoro e
gli altri tipi di lesioni colpose. In quale altro settore accade? Ecco La
magistratura è in queste condizioni". Una situazione che si ripercuote sui
procedimenti: "Mediamente circa il 10% degli infortuni è perseguibile
d'ufficio. Le Procure perseguono appena un quarto di questo 10%.
Personalmente ritengo che ci vorrebbe un gruppo di magistrati specializzati
in ogni parte d'Italia, invece di correre dietro alla Superprocura, come
sento fare da alcuni". Appare necessario anche migliorare l'interazione tra
tutti i soggetti interessati per la gestione delle notizie di reato che
spesso sfuggono agli uffici giudiziari. "In Toscana abbiamo inaugurato un
apposito protocollo con tutti gli attori del settore (percorso simile a
quello seguito in Piemonte, non a caso le due regioni più all'avanguardia su
questo terreno ndr)".
Il DDL Tofani
Tra chi invece sostiene l'istituzione di un ufficio giudiziario centrale per
questo tipo di reati c'è il senatore Tofani. Un'ipotesi vagliata dalla
Commissione d'inchiesta, che ha ascoltato tra gli altri i Procuratori di
Torino Guariniello e Caselli (per la loro esperienza nel processo Thyssen,
ritenuto una svolta fondamentale nella materia). Superprocura a parte, il 21
novembre scorso, il senatore del Pdl ha presentato un ddl per l'istituzione
di un'agenzia Nazionale per la sicurezza sul Lavoro: "Ci vuole un soggetto
che abbia una missione specifica. Al sistema manca un tassello. E noi lo
l'abbiamo immaginato in quest'organo. Pensiamo di trasformare il
Coordinamento nazionale in un'agenzia con il tandem dei ministeri e la
rappresentanza delle regioni". Un tentativo che sembra rientrare nell'ottica
di riavvicinare al livello statale la competenza sulla materia e di cui non
sembra dispiaciuto il ministero del Lavoro. "Lo sdoppiamento attuale fa sì
che dobbiamo avere una serie di strutture di coordinamento che a volte non
funzionano al meglio" - spiega Giuseppe Piegari, responsabile Coordinamento
vigilanza tecnica del Ministero del Lavoro, - "perché farle funzionare non è
semplice. Per il ministero è molto più facile coordinare i nostri ispettori.
Mentre il sistema delle regioni è più difficile da governare: non abbiamo
nemmeno una uniformità da un punto di vista di nomenclatura". Insomma
un'altra puntata della querelle tra Ministero e Regioni.
Proroga nel silenzio
In tutto questo, è passata, invece, sotto silenzio l'ennesima proroga,
decisa nell'ultima Legge di Stabilità (uno degli atti finali del Governo
Monti), per l'autocertificazione della valutazione dei rischi delle imprese
che occupano fino a 10 lavoratori. Una norma che doveva decadere in origine
il 30 giugno 2012, successivamente il 31 dicembre 2012 ed è stata ora
prolungata fino al 30 giugno 2013. Lo strumento, pensato per il tessuto
sociale delle aziende italiane (con il 95% che ha, appunto, meno di 10
dipendenti), era nato per agevolare i datori di lavoro, consentendogli una
procedura più snella per autocertificare le prassi della propria impresa in
materia di sicurezza. Il risultato è stato però un altro. "Nella maggior
parte dei casi, ci trovo scritto: nel mio posto di lavoro ho valutato i
rischi ed è tutto a posto", spiega Di Nucci, "Spesso si compilano in maniera
superficiale, con i consulenti a cui ci si rivolge, che per alcune centinaia
di euro, fanno al massimo le fotocopie di lavori fatti in precedenza".
Un'anomalia che non può essere sottovalutata, visto che si calcola che nel
2010 circa l'80% degli infortuni mortali sia avvenuto proprio nelle aziende
medio piccole.
http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/01/07/news/infortuni_controlli-49858270/
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