Incominciano a venire allo scoperto le prime morti per amianto al Porto di Ravenna . La Compagnia Portuale è citata in giudizio per la morte di un dipendente deceduto per un tumore ai polmoni. Ancora una volta la Compagnia Portuale è responsabile per non avere informato e formato i propri lavoratori, per non avergli fornito dispositivi di protezione. Operai come carne da macello per i profitti dei terminalisti. Dalla Mecnavi a Luca Vertullo.
Riportiamo un articolo di un quotidiano locale che ne dà notizia, che aggiunge, però, le solite volgari insinuazioni a vantaggio dei padroni: "l’uomo era stato un forte fumatore"!
Rete per la sicurezza sul lavoro-Ravenna
visita il blog: http://bastamortesullavoro.blogspot.com/
dal quotidiano La Voce di romagna
27/10/2010 - PAG. 11
Amianto killer in Compagnia Portuale
Facchino morto: a giudizio ex console della cooperativa
RAVENNA - C’erano quei sacchi da spostare a spalla. Alle volte si rompevano, e allora usciva quel minerale fibroso. E così dalla carta si era passati a materiali plastici, più resistenti.
Ma al porto in quegli anni i conti con l’amianto li dovevi comunque fare se lavoravi a contatto con il materiale isolante usato nei cantieri nautici. O se ti trovavi a sgomberare certe stive.
Così era stato anche per A. C., originario di Civitella di Romagna e dipendente della Compagnia
Portuale dal 1963 al 1987. Poi era arrivata la pensione, ma senza troppo tempo per godersela visto che nella primavera del 2004 l’uomo, a 67 anni, era stato stroncato da un tumore ai polmoni. Per quel decesso che secondo la procura è riconducibile a un’esposizione all’amianto durata per 19 anni, è stato chiesto il rinvio a giudizio per l’allora console della Compagnia Portuale, oggi 81enne, e alla guida della più grande cooperativa del porto dal 1967 al 1979. Tutto ciò perché secondo quanto ipotizzato dal pm Cristina D’Aniello - titolare del fascicolo - non sarebbero state osservate le norme cautelari in materia di sicurezza. L’uomo - difeso d’ufficio dall’avvocato Florinda Orlando - dovrà dunque rispondere di omicidio colposo nell’udienza preliminare fissata per inizio dicembre davanti al gup Anna Mori. E in quella sede i parenti del facchino morto - lasciò un figlio di 27 anni - potrebbero decidere di costituirsi in parte civile. Il lavoro La diagnosi era arrivata nell’autunno 2003 nel corso di alcuni accertamenti clinici.
L’inesorabile patologia di A. C. aveva conosciuto il suo epilogo il 27 marzo del 2004. Dopo circa un mese il decesso era stato collegato a una malattia professionale, come tale riconosciuta nel 2007 dall’Inail.
Per capire perché, basta rifarsi alla corposa relazione sul caso della Medicina del Lavoro dell’Ausl nella quale le condizioni di lavoro al porto sono state fissate dai colleghi del defunto. Secondo quanto riferito, tra le merci movimentate in banchina c’era appunto anche l’amianto in sacchi. All’inizio gli involucri erano di carta, a cinque strati. Poi erano stati sostituiti da quelli in pallets ricoperti di plastica. E’ che spesso si rompevano o semplicemente non avevano una tenuta perfetta, e poi toccava ai dipendenti tenere pulito magazzini, piazzali e container. Sia a mano, con palette e scope, che con spazzatrici meccaniche. Ma così si sollevava molta polvere. E negli anni ’60 - sempre secondo la relazione - erano frequenti le movimentazioni di amianto, sebbene i testimoni non siano riusciti a quantificare esattamente il fenomeno. I miglioramenti La condizione al porto sotto il profilo amianto era migliorata a partire dagli anni ’70 anche se i dispositivi di protezione personale - maschere a doppio filtro, tute a perdere, stivali e guanti oltre agli aspiratori - avevano cominciato a farsi vedere solo nell’82-’83. Di fatto, non sapremo mai quanto amianto nel frattempo fosse stato movimentato perché una ricerca realizzata nel ’97 negli archivi delle Dogane in seguito a un caso di mesotelioma (il caratteristico tumore da amianto), ha evidenziato che mancano tutti i dati precedenti al ’77 a causa di spostamenti di sede e traslochi.
In Compagnia Portuale Va dato atto che i primi interventi al porto per amianto furono realizzati nel ’77 -’78 proprio su sollecitazione della Compagnia Portuale la quale aveva coinvolto l’allora
Servizio di Medicina del Lavoro del Comune (oggi dell’Ausl) per dispersioni di minerale. In tutto 4-5 interventi l’anno che si erano risolti con la bonifica dell’area interessata dalla pericolosa polvere. In quelle occasioni gli operatori medici avevano pure suggerito accorgimenti per proteggersi dal rischio.
Però vi fu lo stesso esposizione a inalazione di fibre tra il ’78 e l’82, anche se non è possibile
quantificare il dato. Dopodiché l’esposizione si era ridotta alle stive che avevano trasportato amianto.
Il decesso
Ma davvero la morte dell’operaio è riconducibile all’amianto?
Perché c’è un’abitudine nella vita di A. C. che avrebbe potuto condizionare la sua patologia: per
quasi 50 anni, e fino a pochi anni dalla morte, l’uomo era stato un forte fumatore. Tuttavia c’è che -ancora secondo la relazione - il rischio esposizione amianto è stato per lui di ben 19 anni e il periodo di latenza della malattia è compatibile con tale lasso di tempo. Del resto per l’uomo è stata ipotizzata un’esposizione ad “alta entità” con un primo contatto risalente al lontano 1963. Il periodo di latenza della malattia ipotizzato di conseguenza per l’operaio morto oscilla tra i 22 e i 40 anni. E’ vero che fumava - ha rilevato infine la consulenza - ma quel lavoro al porto era stato concausa del tumore ai polmoni.
L’azienda
Come avrebbero dovuto allora muoversi in Compagnia portuale per evitare che quel suo dipendente si ammalasse?
Quattro per l’accusa erano le cose da fare: attuare le misure d’igiene previste, istruire i lavoratori su rischi e prevenzione; fornire adeguati mezzi di prevenzione ed esigere che i dipendenti rispettassero le norme di settore. Ciò - secondo l’istruttoria - non è avvenuto tra il ’71 e l’82 e limitatamente alle lavorazioni molto polverose. Da qui la richiesta di rinvio a giudizio per l’allora console.
Nessun commento:
Posta un commento