LA STORIAEureco, i parenti dei 4 morti
"Siamo le vittime dimenticate"Uno scoppio, poi il rogo: il 4 novembre 2010 la tragedia di Paderno Dugnano che svelò condizioni di lavoro impossibili. Le famiglie sono sul lastrico: "Vogliamo aiuti e giustizia"di GABRIELE CEREDA
Sole, senza aiuto. Dimenticate come la tragedia che le ha travolte. Sono le famiglie degli operai morti nell'inferno dell'Eureco, l'azienda di stoccaggio di rifiuti pericolosi cancellata da un incendio devastante il 4 novembre dello scorso anno a Paderno Dugnano. Un rogo costato quattro vite e che ha lasciato segni indelebili, non solo sul corpo, ad altri quattro lavoratori. Dietro ai cancelli di via Mazzini 101, nel piazzale dello stabilimento affacciato sulla Milano-Meda, le lancette sono come inchiodate alle 14.57 di quel giorno. Per chi ha vissuto la tragedia, per le loro mogli e i loro figli, il tempo è fermo da un anno. «Tutti ci hanno promesso aiuto, nessuno ci ha teso la mano», racconta dalla cucina della casa materna, in Albania, Majilinda Zequiri, moglie di Harun, 38 anni, uno degli operai albanesi straziati dalle fiamme.
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Chi ha perso il marito ha visto scomparire anche la principale fonte di reddito, chi è sopravvissuto ha perso il lavoro. Per tutti, arrivare alla fine del mese e mettere insieme i soldi per portare in tavola il pane è diventata, raccontano, «un'impresa». Per sostenerli è nato un comitato «ma con quello che raccogliamo riusciamo a malapena a sostenere le spese legali e a garantire l'indispensabile» dice Lorena Tacco, portavoce del gruppo.
Anche il sindaco di Paderno, Marco Alparone, dopo le promesse iniziali è sparito. Colpa della crisi, si è giustificato il primo cittadino che deve fronteggiare altre situazioni di emergenza come quella della Lares Cozzi, con i suoi 120 dipendenti lasciati sull'orlo del baratro da un imprenditore finito in carcere per aver sottratto fondi dalle casse della società. Così, per non scontentare nessuno, ha tenuto i cordoni della borsa ben stretti.
In cambio però le "calderare", cioè le benemerenze cittadine, quest'anno sono finite nelle mani delle vedove, «ma di aiuti concreti nemmeno l'ombra» spiega Fernanda Crisafi, la compagna di Sergio Scapolan, uno dei quattro uccisi dalle ustioni. Era lui, 63 anni, il tecnico della squadra al lavoro in quel momento: doveva guidare gli uomini nelle operazioni di stoccaggio dei rifiuti. È stato lui il primo ad andarsene, in un letto di Sampierdarena a Genova. Stessa sorte per tre suoi colleghi. Lo scoppio continuò ad uccidere anche 90 giorni dopo che erano state spente le fiamme. C'è chi, è il caso di Leonard Shehu, 38 anni, ha fatto in tempo a subire il travaglio di 22 operazioni. La moglie, Margarita, è l'unica ad aver trovato sostegno nelle istituzioni: residente a Milano, della sua situazione si sta interessando l'assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino.
Antonella Riunno, che con Salvatore Catalano era anche custode dell'azienda, è rimasta in mezzo alla strada e non è riuscita nemmeno a sposare l'uomo che amava da 13 anni e dal quale aveva avuto una figlia. Maljinda Zequiri sta racimolando i soldi per tornare in Italia e presentare gli ultimi documenti per riscuotere la pensione del marito: 400 euro al mese. Fernanda Crisafi, moglie di Scapolan, vive con l'angoscia di non poter dare un futuro alla
figlia: «Mio marito era in pensione, lavorava solo per farla studiare. Ora è tutto diverso...» fa in tempo a dire prima di piangere ancora una volta un affetto strappatole via senza che ancora si sia fatta giustizia.
Giustizia. È quello che chiedono le famiglie a poche settimane dall'apertura del processo che vede alla sbarra un unico imputato: Giovanni Merlino, proprietario dell'Eureco, accusato di omicidio colposo plurimo. Le indagini condotte dal sostituto procuratore di Monza, Manuela Massenz, hanno stabilito che lo stoccaggio delle materie pericolose, affidato alla Tnl, cooperativa gestita dallo zio di Zequiri, e con a libro paga solo operai albanesi, non era messa nelle condizioni di poter lavorare in sicurezza. A squarciare il velo sui metodi di lavoro sono state le parole di Erion Nezha, che nel tentativo di salvare i compagni di lavoro è rimasto ustionato a braccia e mani: «Facevamo solo quello che ci era chiesto con la paura di perdere lo stipendio. Non sapevamo di lavorare con sostanze pericolose e infiammabili, lo abbiamo scoperto solo dopo».
Proprio una di quelle sostanze, i "setacci", molecole combustibili inodori stoccate scorrettamente, hanno avviato la sequenza di fuoco. A stabilirlo è la perizia dell'ingegner Massimo Bardazza, I setacci, che servono a togliere l'odore di gpl dalle bombolette spray, non possono essere raccolti in un unico contenitore, ma quel pomeriggio 3000 litri del composto killer si trovavano all'interno di un unico cassone. Lì accanto era in azione un muletto che, dice la perizia, non si è riusciti a spegnere proprio a causa delle esalazioni di quel gas penetrate nel motore. Da qui il surriscaldamento della marmitta e lo scoppio della scintilla fatale. Ora c'è anche la Finanza a indagare: su un giro di fatture false che potrebbe aggravare la posizione dell'unico indagato.
(30 ottobre 2011)
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