newsletter n.98 del 17/11/11 di "Sicurezza sul lavoro ! - Know Your rights !".
In questo numero:
- Thyssenkrupp: depositata la sentenza di condanna dei vertici
aziendali
- Thyssenkrupp: per un lavoro utile, dignitoso e in sicurezza per
tutti
- Umbria Olii: "vogliamo giustizia per i 4 morti"
- Processo Truck Center Molfetta contro ENI
- Cose che accadono agli operai !
- A come . . . amianto: dallo spettacolo una petizione
- Sull' obbligo di documentare informazione e formazione dei
lavoratori
- Regione Piemonte: aggiornata la raccolta di quesiti sul
D.Lgs.81/08
Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste
notizie a diffonderle in tutti i modi.
La diffusione è gradita e necessaria. L' obiettivo è quello di diffondere il
più possibile cultura della sicurezza e consapevolezza dei diritti dei
lavoratori a tale proposito.
L' unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la
fonte:
"Marco Spezia - sp-mail@libero.it"
DIFFONDETE & KNOW YOUR RIGHTS !
Marco Spezia
RETE NAZIONALE PER LA SICUREZZA SUL LAVORO
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THYSSENKRUPP: DEPOSITATA LA SENTENZA DI CONDANNA DEI VERTICI AZIENDALI
Da: http://www.ansa.it/
Thyssen: fu omicidio volontario per scelte sciagurate
Giudici, sette morti per piccolo vantaggio economico
15 novembre, 19:52
di Mauro Barletta
Colpevole di omicidio volontario per la "scelta sciagurata" di "non fare
nulla" in materia di sicurezza, per avere bloccato un investimento nel
tentativo di rispettare "l' interesse economico dell' azienda": ecco perché
Herald Espenhahn, amministratore delegato della Thyssenkrupp, è stato
condannato a 16 anni e sei mesi di reclusione.
Così si legge nella sentenza del processo per i morti causati dall' incendio
che si scatenò il 6 dicembre 2007 nello stabilimento di Torino della
multinazionale dell' acciaio. E' la prima volta che in Italia viene
applicato questo articolo del Codice a una tragedia sul lavoro. La tragedia
di sette operai che, mentre erano in servizio alla linea 5, in piena notte,
cercarono di spegnere uno dei tanti fuocherelli che si attaccavano ai
macchinari ma che all' improvviso furono investiti da una violentissima
vampata: le ustioni erano tali da far pensare, come disse il medico legale
Roberto Testi, che fossero stati "immersi in una nube incandescente".
Certo, ad Espenhahn è stato concesso "il minimo della pena" e gli sono state
riconosciute le attenuanti del buon comportamento processuale e del
risarcimento del danno ai familiari delle vittime. Ma la condanna per
omicidio volontario ("con dolo eventuale") segna ugualmente un punto di
svolta nella giurisprudenza: se la linea della Corte d' Assise di Torino
verrà confermata in appello e in Cassazione, le inchieste e i processi in
materia di sicurezza, di prevenzione e di morti bianche dovranno passare per
una rivoluzione copernicana.
Nelle 465 pagine della sentenza il giudice Paola Dezani divide le
responsabilità dei sei imputati e distingue, in punta di diritto, fra
omicidio colposo "con colpa cosciente" e omicidio volontario "con dolo
eventuale": è la differenza tra chi, alla Thyssenkrupp, era convinto che non
sarebbe successo nulla (come i cinque dirigenti condannati a pene comprese
fra i 10 e i 13 anni e mezzo) e chi, come Espenhahn, ha "accettato il
rischio" di un disastro.
Alla Thyssenkrupp, infatti, sapevano. Sapevano che la filiale di Torino,
ormai prossima alla chiusura, versava in "gravissime carenze strutturali e
organizzative" a fronte degli alti standard di sicurezza degli altri
stabilimenti sparsi fra la Germania e l' Umbria: il personale era ridotto
all' osso, gli estintori erano sempre scarichi, c' erano già stati incendi
suonati come campanelli d' allarme, persino la compagnia assicuratrice aveva
aumentato la franchigia.
Eppure, per "scelta miope", si decise di continuare la produzione come se
niente fosse; e si decise di differire un importante investimento
antincendio sulla linea 5 al trasloco dell' impianto a Terni. L' azienda ne
avrebbe avuto un "contenuto vantaggio economico". Ed è a Espenhahn che i
giudici attribuiscono questa "scelta sciagurata": il quarantacinquenne
tedesco, descritto come un super manager di gran lunga più bravo e
competente dei suoi collaboratori italiani, così attento alla pulizia che si
arrabbiava "se solo vedeva un bicchierino per terra", ha "azzerato" gli
investimenti, "azzerando" anche la "sicurezza, "nell' interesse non suo
personale, ma dell' azienda".
La Corte presieduta dal giudice Maria Iannibelli, nelle motivazioni,
scioglie anche diversi interrogativi rimasti in sospeso. La testimonianza
dell' unico sopravvissuto, Antonio Boccuzzi, oggi deputato PD, è "del tutto
attendibile" nonostante i dubbi della difesa. Il tentativo di condizionare
le testimonianze di alcuni lavoratori è stato "gravissimo" e merita un'
inchiesta della Procura. E i morti non hanno colpe: forse si sono accorti
del focolaio in leggero ritardo rispetto al solito, ma non è vero che
stessero chiacchierando o "guardando la televisione". Quel che c' é di
"anomalo", viste le condizioni di lavoro, è come fossero sempre riusciti, in
precedenza, a "fronteggiare situazioni analoghe".
Il testo completo della sentenza è scaricabile all' indirizzo:
http://dl.dropbox.com/u/4228746/sentenza_thyssen_2011_6ft.it.pdf
(attenzione file di grande formato: 33 MB !)
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THYSSENKRUPP: PER UN LAVORO UTILE, DIGNITOSO E IN SICUREZZA PER TUTTI
Da: http://www.pane-rose.it/
(segnalato da Graziella Menghini di Facebook)
16 Novembre 2011
Inoltriamo questa interessante intervista del Procuratore di Torino Raffaele
Guariniello [vedi dopo] in merito alle motivazioni della sentenza sulla
strage all' acciaieria Thyssenkrupp.
Come afferma il Dott. Guariniello, e non possiamo che essere d' accordo,
"preziosa è stata la partecipazione popolare nell' amministrazione della
giustizia", così come altrettanto lo è stata la mobilitazione popolare
dentro e fuori dall' aula, sostenuta da familiari, operai e cittadini
solidali, decisivi nel creare un meccanismo di identificazione solidale con
la giuria, anch' essa "popolare", e quindi ottenere questo importante
risultato.
Prova che solo con il protagonismo, la mobilitazione e la partecipazione
popolare possiamo affermare i diritti sanciti dalla nostra Costituzione:
questo risulta dalla nostra esperienza diretta, nel processo e per la ancora
irrisolta "questione lavoro" per gli ultimi ex operai Thyssenkrupp ancora in
mobilità.
Per quanto riguarda la ricollocazione lavorativa ancora nulla di fatto
nonostante incontri, telefonate, promesse e rassicurazioni da parte del
Sindaco Fassino e dei suoi collaboratori.
Siamo stanchi di promesse: vogliamo, così come per altre migliaia di persone
nella nostra stessa situazione a Torino, non "elemosine" sociali ma un posto
di lavoro sicuro e dignitoso in una città in cui non mancano certo le
occasioni per creare posti di lavoro: potenziando e prolungando il trasporto
pubblico, la pulizia della città, del verde pubblico e degli alvei di fiumi
e torrenti (e questo vale per tutta l' Italia, dopo le stragi annunciate in
Liguria e in Toscana dei giorni scorsi), prolungando l' orario dei musei,
valorizzando le bellezze artistiche della nostra città, impedendo alle
aziende di chiudere, favorendo piuttosto la riconversione ad altre
produzioni utili e non inquinanti, risanando luoghi ed edifici fatiscenti
dalle nocività per adibirli a scopi abitativi o di utilità sociale, anziché
disfarsene per pochi soldi a scapito dei soliti speculatori.
Il lavoro da fare non manca: è quindi una questione di volontà politica !
Nei prossimi mesi il Comune di Torino deciderà della destinazione d' uso
della ex area di proprietà della multinazionale tedesca (pagata per altro
svariati milioni di euro dal Comune), attraverso la variante 221, che
prevede, tra gli altri: l' insediamento di un deposito della GTT (centinaia
di pullman di fronte al parco della Pellerina, dall' impatto ambientale
decisamente discutibile) e un parco "alla memoria" della strage
Thyssenkrupp, ricordando cioè il lavoro nella sua accezione più negativa.
Meglio sarebbe invece quella di riqualificare l' area e ridare dignità al
lavoro attraverso un piano, per esempio, di re-insediamento di piccole
imprese, piccoli laboratori e botteghe artigiane o di servizi, necessari ai
cittadini e che creino quindi posti di lavoro in sicurezza: il modo migliore
per ricordare Antonio, Bruno, Roberto, Angelo, Rocco, Rosario e Giuseppe.
Un lavoro utile, dignitoso e in sicurezza per tutti.
Torino, 15 novembre 2011
Associazione Legami d' Acciaio onlus
THYSSEN: GUARINIELLO, SENTENZA ECCEZIONALE
Da: http://www.agi.it/
(AGI) Torino, 15 novembre 2011
"La sentenza di oggi è la degna, eccezionale conclusione di uno dei processi
in assoluto più importanti mai celebrati nel nostro Paese": così il
Procuratore aggiunto Raffaele Guariniello commenta le motivazioni della
sentenza Thyssen sull' incendio nello stabilimento di Torino che il 6
dicembre 2007 costò la vita a sette operai.
Per Guariniello, coordinatore dell' inchiesta e pubblico ministero che ha
condotto l' accusa in aula, con i sostituti Laura Longo e Francesca
Traverso, "La sentenza e le sue motivazioni dimostrano cinque fatti
positivi. Primo: la giustizia può dare risposte straordinarie alle istanze
di tutela della dignità dei cittadini; secondo: al centro dell' attenzione è
ormai giunta la politica aziendale della sicurezza: come ci invita a fare la
Corte di Cassazione, dobbiamo entrare nelle stanze dei consigli di
amministrazione, per scoprire le scelte aziendali di fondo che portano agli
infortuni, ai disastri; terzo: è preziosa la partecipazione popolare all'
amministrazione della giustizia; quarto: è indispensabile fare le indagini
con rapidità, per non incorrere nella devastante prescrizione dei reati e, a
questo scopo, è irrinunciabile un' organizzazione specializzata; quinto: è
determinante la scelta fatta dalle nostre leggi, quella di puntare non solo
sulla responsabilità penale degli amministratori, ma anche sulla
responsabilità stessa della società".
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UMBRIA OLII: "VOGLIAMO GIUSTIZIA PER I 4 MORTI"
Da: http://www.articolo21.org
di Redazione (15/11/2011)
Sono Lorena Coletti, mio fratello morì il 25 novembre 2006, nella tragedia
delle Umbria Olii.
Quel giorno morirono altre 3 persone che lavoravano con lui nella ditta
Manili, la quale effettuava manutenzioni in appalto presso la Umbria Olii.
Il lavoro della ditta Manili, consisteva nel montare delle passerelle sui
silos che per l' occasione dovevano essere bonificati, mentre tramite
successive perizie, si è scoperto che questi ultimi contenevano un gas
potenzialmente esplosivo, l' esano.
Quindi i dipendenti della ditta Manili non sapevano il rischio che correvano
nell' effettuare il montaggio delle passerelle e la Umbria Olii non
possedeva il certificato antincendio che oltretutto era scaduto da due anni.
Al momento dell' esplosione, il contenuto dei silos, che ammontava a diverse
tonnellate di olio si è riversato nel fiume Clitunno e nelle strade di
Campello, provocando ingenti danni ambientali.
Nel 2008 iniziò il processo preliminare, durante il quale i legali di Del
Papa [titolare della Umbria Olii] avanzarono diverse istanze, tra cui la
rimessione per poter spostare il "sito" del processo per ostilità ambientale
e addirittura la ricusazione del giudice dell' udienza preliminare,
ritenendolo di parte. Tutte istanze che ovviamente non sono mai state
accolte, cosi come la richiesta di rito abbreviato da parte dell' imputato e
la richiesta di risarcimento di 35 milioni di euro che i familiari e l'
unico superstite si sono visti recapitare.
Al termine del processo preliminare Giorgio Del Papa, amministratore
delegato della Umbria Olii, fu rinviato a giudizio e la data del 24 novembre
del 2009 vagliava l' inizio del processo penale dove l' amministratore
delegato ha, a suo carico, le imputazioni di omicidio colposo plurimo con l'
aggravate della colpa cosciente, disastro ambientale e il mancato rispetto,
anche doloso, di alcune norme sulla sicurezza del lavoro.
Durante le varie udienze, la prima linea difensiva adottata dal legale di
Giorgio Del Papa, vedeva incolpare i dipendenti della ditta Manili che
secondo perizie di parte, avrebbero utilizzato fiamme libere per ancorare le
passerelle ai silos, tesi difensiva che poi è stata abbandonata dalla difesa
stessa.
Il 18 ottobre 2011 nell' aula del tribunale di Spoleto, dove era attesa la
requisitoria del PM Federica Albano, non sono mancati i colpi di scena,
poiché stavolta a far discutere l' accusa è stata la sorpresa dell' avvocato
La Spina che ha presentato un libro scritto da lui stesso, dal titolo "Non
ho colpa".
Un libro dal titolo innocuo ma che contiene il racconto della vicenda
processuale, vista dagli occhi della difesa, e raccontata con la voce di
"Pippo", dove idealmente Giorgio Del Papa viene ritenuto innocente e assolto
dopo profonde analisi e osservazioni nel libro contenute.
Lo stesso giorno nell' aula del tribunale il Procuratore capo Gianfranco
Riggio, ha avallato calcando la mano sulle accuse già formulate nella
requisitoria del PM e ha specificato che la Procura ha negato a Del Papa il
riconoscimento delle attenuanti generiche, vuoi per l' estrema gravità del
fatto vuoi per la personalità dell' imputato che tra l' altro non è immune
da precedenti.
Il 19 ottobre 2011 è il giorno della difesa, nel quale l' avvocato La Spina
ha parlato per ben 5 ore, leggendo anche alcuni passi del libro-arringa che
è finito agli atti del processo.
Come prima cosa l' avvocato ha chiesto per Giorgio Del Papa l' assoluzione
con formula piena, evidenziando addirittura, che i precedenti di cui aveva
parlato il giorno prima il Procuratore Capo Riggio non sarebbero ostativi
per la concessione delle attenuanti generiche.
Durante la requisitoria, il libro-arringa non è stata l' unica sorpresa
della difesa di Del Papa, in quanto l' avvocato dell' imputato ha chiesto,
oserei dire anche in maniera piuttosto inaspettata, al giudice una
superperizia. Ossia, La Spina vuole ricorrere all' articolo 507 del C.P.P.
che consente al giudice, in caso di assoluta eccezionalità, quindi anche a
processo praticamente concluso vista la sentenza imminente, di disporre di
nuovi mezzi di prova.
L' utilità a parere della difesa di questa superperizia, sta nel verificare
la tesi difensiva attuale, che vede attribuire all' unico superstite,
Klaudio Dimiri, l' intera colpa della catastrofe.
Secondo la difesa quindi la colpa dell' unico superstite sta nell' aver
compiuto una manovra errata con la gru, che quel giorno avrebbe sollevato il
silos.
Secondo l' accusa, l' ipotesi è fantasiosa avendo già considerato peso del
silo e del suo contenuto, il peso e l' inclinazione del braccio della gru.
Un' altra cosa che l' avvocato della difesa vuole verificare, tramite
perizia, è l' attendibilità degli esami chimici di laboratorio effettuati
durante le indagini.
Il giudice Avenoso, ha sospeso l' udienza dando come prossima data utile il
15 novembre, non escludendo un eventuale sentenza.
Noi familiari delle vittime, come ha già detto il Procuratore Riggio,
pretendiamo giustizia per questi 4 morti.
Chiediamo al giudice Avenoso la massima celerità nell' espletare la
sentenza.
Lorena Coletti
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PROCESSO TRUCK CENTER MOLFETTA CONTRO ENI
Da: Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro
bastamortesullavoro@gmail.it
lunedì 14 novembre 2011
Comunicato dei familiari delle vittime della Truck Center di Molfetta
Si e aperto oggi, 8 novembre, il processo con rito abbreviato nei confronti
di sette alti dirigenti della società ENI SpA quali responsabili civili per
i noti fatti delittuosi avvenuti il 3 marzo 2008 e che portarono ai decesso
presso la Truck Center di Molfetta di tre giovani operai della ditta stessa,
dell' autista Sciancalepore Biagio e del titolare dell' azienda Altomare
Vincenzo.
Il processo si è aperto con un "j'accuse" molto forte del P.M. dott.
Giuseppe Maralfa che ha condotto le indagini, che si prodigato in una
requisitoria durata ben oltre le tre ore, senza interruzioni, nel corso
della quale, il dott. Maralfa ha ricostruito minuziosamente tutta la vicenda
che poi ebbe tragico epilogo nei cinque decessi, e le pesanti responsabilità
in capo agli odierni imputati.
Il punto focale della requisitoria verteva sulle complesse e articolate
indagini esperite dalla Procura della Repubblica con l' ausilio dei propri
tecnici incaricati, sia in relazione all' impianto ENI SpA di Taranto, sia
in relazione alle complesse comunicazioni di posta elettronica a vario
titolo interscambiate tra gli odierni imputati ed altri soggetti di cui
alcuni risultano essere indagati (ci riferiamo ai responsabili della società
Nuova Solmine SpA), per i quali ultimi il GUP deciderà se procedere a rinvio
a giudizio.
Sono emerse delle circostanze dalle quali si evince documentalmente, secondo
quanto affermato in maniera decisa dai P.M., che "ENI SpA era a conoscenza
sin dal dicembre 2006, che la raffineria ENI di Taranto produceva e vendeva
alla Nuova Solmine SpA zolfo liquido con una percentuale molto elevata di
acido solfidrico al suo interno. ENI SpA era perfettamente a conoscenza
della buona pratica industriale in forza delta quale la percentuale di acido
solfidrico nello zolfo liquido non avrebbe dovuto superare le 10 parti per
milione, quantità già potenzialmente letale per chi ne fosse venuto a
contatto in un ambiente confinato quali erano le cisterne che vengono usate
per il trasporto dello zolfo liquido dalla ENI SpA di Taranto alla Nuova
Solmine SpA di Scarlino".
E' emerso altresì dalle attività di indagine espletate dal Sostituto
Procuratore della Repubblica che l' impianto di degrassaggio allocato presso
gli stabilimenti di Taranto (che doveva servire ad abbattere la
concentrazione di acido solfidrico nello zolfo liquido), era "fuori fase",
ovvero non funzionante.
In buona sostanza, ENI SpA, secondo le parole del P.M., era perfettamente a
conoscenza, da ben oltre un anno prima dal tragico evento delittuoso, che lo
zolfo liquido che produceva e metteva in commercio, conteneva acido
solfidrico almeno 10 volte superiore alla quantità (già di per se
potenzialmente letale) di 10 parti per milione di acido solfidrico.
Pur in presenza di tali conoscenze, secondo quanto perentoriamente affermato
dal P.M., ENI SpA, e chi per essa, non aveva provveduto a redigere una
scheda di sicurezza (per il trasporto del prodotto), conforme ai rischi del
prodotto stesso. Tali "colpose" condotte, consistite nelle omesse
comunicazioni e informazioni, hanno determinato quei concorso causale che ha
portato poi al compimento della tragica vicenda".
Pensanti le condanne richieste dal P.M., estrinsecate nella richiesta di 5
anni di reclusione per ciascuno degli imputati, ridotti, in forza del rito
abbreviato, a 3 anni e 4 mesi, nonché alla condanna dì sanzioni
amministrative per poco meno di un milione di euro a carico dell' ENI SpA.
Le parti civili hanno depositato le loro conclusioni scritte e il processo è
stato aggiornato all' udienza del 29/11/11, alle ore 9, nel corso della
quale si darà la parola ai difensori degli imputati.
A cura Rete nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro - Taranto
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COSE CHE ACCADONO AGLI OPERAI !
Da: www.operaicontro.it
sab, 12 nov @ 11:01
Antonio ha perso un braccio. O, meglio, la mano e l' avambraccio. Ma non
cambia nulla, è la stessa cosa.
Antonio è un operaio. Da anni lavora in una fabbrica metalmeccanica. È un
uomo tranquillo, guida la macchina, va in bicicletta, va a fare la spesa e
torna a casa con le buste piene, gioca con i figli, abbraccia la moglie.
Cose normali, che ora non potrà fare più. O le farà con estrema difficoltà.
Una pressa gli ha schiacciato la mano e l' avambraccio sinistri. Un dolore
fortissimo, una montagna che ti precipita addosso, uno squalo che ti mangia
vivo. È svenuto. Ha avuto una violenta emorragia, ha rischiato di morire.
In ospedale i medici hanno detto all' esterrefatta moglie che dovevano
amputare, il sangue non circolava più. Anche a lei è caduta una montagna
addosso, una montagna di pianto, in un mare di impotenza.
È finita l' allegria, è morta la spensieratezza, per tutti. I figli hanno
capito, hanno pianto gridando. E dando pugni ai muri.
Antonio l' hanno amputato. E rimproverato. Parenti, amici, qualcuno anche
della fabbrica: "Sarebbe bastata un po' d' attenzione e non succedeva nulla
! Ah, la distrazione dove porta !".
La moglie no, i figli nemmeno, i compagni di lavoro più vicini a lui nemmeno
a pensarci. Sapevano che quella pressa operava senza protezione, sapevano
che era stata chiesta, sapevano che era stata negata. Antonio lo aveva
detto, era uno dei tanti problemi sul lavoro.
"Eh, adesso non torni più in fabbrica ! Non tutti i mali vengono per nuocere
!".
Qualcuno l' ha buttata là, un po' credendoci, un po' per rompere la
mestizia. Antonio non tornerà più in fabbrica, ma non è vero che non gli
dispiace, quella era la sua vita. Sta invece precipitando in un gorgo di
dolore, rabbia, amarezza e povertà.
Sono cose che accadono agli operai, in un duro dolore che troppo spesso
rimane chiuso in casa, in famiglia. Certo non succedono ai padroni che
tagliano sui costi della sicurezza, accorciano i tempi delle mansioni e
intensificano lo sfruttamento. Neanche agli avvocati che difendono i
padroni. E neppure ai giudici che li assolvono. E tanto meno ai
sindacalisti, lontani dalla produzione, compiacenti con i padroni e ai
politici che si impegnano per finanziarne gli affari !
Sono cose che capitano agli operai, e a volte capita anche peggio, di
morire. E per chi alza la voce la repressione, la multa, il licenziamento.
E allora che cosa volete che gliene importi agli operai del debito pubblico
che sale, dello spread che aumenta, del pericolo della bancarotta dello
Stato ? Che vada tutto in malora !
Se il capitalismo gli dà solo miseria, dolore, sofferenza e repressione, che
crolli e travolga padroni, avvocati, giudici, sindacalisti e politici.
Antonio non l' aveva mai pensato, almeno non con questa chiarezza. Ma ora lo
ripete ogni giorno. A tutti.
SALUTI OPERAI DALLA PUGLIA
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A COME . . . AMIANTO: DALLO SPETTACOLO UNA PETIZIONE
Da: http://www.articolo21.org
di Redazione (15/11/2011)
Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Gentile Presidente,
alla luce di quanto ho scoperto durante lo studio per scrivere il testo
teatrale A come Amianto, unito ai cittadini che hanno sottoscritto l'
appello che segue si chiede:
- la bonifica immediata dei siti "a rischio dispersione amianto"
come previsto dalla Legge 257 del 1992: ricordiamo che sul territorio
nazionale sono presenti 32 milioni di tonnellate di amianto che vanno
rimosse da scuole (come l' asilo di Villa Gordiani a Roma ecc.), o da
fabbriche dismesse (come la Fibronit di Bari, la Breda e la Falk di Sesto
San Giovanni ecc.), o da palazzi (come quelli in via Feltrinelli a Milano),
o da teatri (quali la Scala di Milano);
- la messa in sicurezza di cave di amianto (come quella di Balangero
in provincia di Torino) e di aree dove l' amianto-tremolite si disperde
nell' aria in maniera naturale come accade a Seluci di Lauria, Castelluccio
Superiore e a Viggianello in provincia di Potenza;
- la scelta di sistemi di smaltimento sicuri e risolutivi dell'
amianto tra le tipologie attualmente disponibili, cioè la discarica e l'
inertizzazione, attraverso appositi forni, con la garanzia dell' assenza di
inquinamento causato da percolazioni in falda, scorrimento superficiale ed
emissione in atmosfera; è inoltre necessario commisurare la grandezza degli
impianti alle quantità di materiale presente nell' area per evitare la
realizzazione di megadiscariche, come quelle in provincia di Cremona e
Brescia, spesso imposte in modo autoritario, in favore d' impianti locali di
più modesta portata e più sicuri;
- garantire la massima trasparenza nell' iter di localizzazione e
realizzazione degli impianti di
smaltimento, la sola che consente reale partecipazione del pubblico: senza,
è impossibile la
realizzazione di forni e discariche;
- che venga emesso il decreto attuativo in grado di sbloccare i 50
milioni di euro approvati e
stanziati dal Governo Prodi che serviranno come Fondo per le vittime dell'
amianto;
- che la Fondazione Teatro alla Scala di Milano faccia richiesta
all' INAIL affinché riconosca i propri lavoratori come "esposti all'
amianto" visto che hanno adoperato attrezzature in cui era presente l'
amianto ed hanno lavorato per anni in luoghi caratterizzati dalla presenza
della fibra killer (tra i tecnici del suddetto Teatro deceduti a causa dell'
amianto vogliamo ricordare il "siparista" Claudio Mantovani);
- visto che il 24 luglio 2008 è stato abbattuto il Velodromo dell'
Eur di Roma, contenente grandi quantitativi di amianto, senza rispettare le
dovute misure di sicurezza chiediamo che il Tribunale di Roma cerchi i
colpevoli e li indaghi per "disastro colposo".
Ulderico Pesce
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SULL' OBBLIGO DI DOCUMENTARE INFORMAZIONE E FORMAZIONE DEI LAVORATORI
Da: http://www.puntosicuro.it
Anno 13 - numero 2735 di lunedì 07 novembre 2011
Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 16087 del 22 aprile 2011.
La formazione ed informazione dei lavoratori vanno impartite
specificatamente e opportunamente documentate. Non è assolutamente
sufficiente che i lavoratori assumano "sul campo" generiche informazioni da
parte di colleghi di lavoro.
Commento a cura di Gerardo Porreca.
E' obbligatorio da parte del datore di lavoro impartire una specifica
formazione ed informazione dei propri lavoratori dipendenti ed è necessario
che le stesse siano opportunamente documentate. Questo è quanto emerge dalla
lettura di questa breve sentenza della Corte di Cassazione la quale ha
altresì ribadito che non è assolutamente sufficiente, per raggiungere tali
scopi, lasciare che gli stessi lavoratori vengano informati "sul campo"
assumendo generiche informazioni da parte di colleghi di lavoro.
IL CASO
Il Tribunale ha dichiarato il datore di lavoro di un' impresa individuale
colpevole del delitto di lesioni colpose gravi commesse, con violazione
delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (articolo 590,
commi 1, 2 e 3 C.P.), in pregiudizio di un dipendente e lo ha condannato
alla pena di cinque mesi di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in
favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio
quanto ai danni biologico e patrimoniale, e liquidando direttamente il danno
morale in euro 11.000,00; somma assegnata a titolo di provvisionale.
L' imputato è stato ritenuto responsabile di aver cagionato al lavoratore,
per colpa generica e specifica, lesioni personali consistite nell'
amputazione del 2 e 3 dito della mano destra, venuta a contatto con la lama
di una sega circolare con la quale il dipendente stava provvedendo a
tagliare alcune assi.
L' infortunio era accaduto in quanto tale attrezzatura, nel mentre il
lavoratore spingeva con la sola mano destra un' asse verso la lama, si era
improvvisamente inclinata verso sinistra per cui si era avuto uno
spostamento dell' asse a seguito del quale la mano destra del lavoratore era
appunto entrata in contatto con la lama che ne aveva reciso due dita.
Il giudice del merito aveva rilevato, nella condotta dell' imputato, precisi
profili di colpa per non avere lo stesso adeguatamente curato la formazione
professionale del dipendente, per non averlo informato sui rischi connessi
alle mansioni allo stesso assegnate e per non avere provveduto a fissare al
suolo la sega circolare per renderla stabile e per ridurre, così, il rischio
di incidenti.
Lo stesso giudice ha sostenuto che l' evento era stato diretta conseguenza
del mancato rispetto da parte dell' imputato di norme cautelari generiche e
specifiche e che la condotta imprudente della vittima non aveva in alcun
senso interrotto il nesso eziologico tra le richiamate inadempienze e l'
evento verificatosi.
La Corte di Appello, su ricorso dell' imputato, ha successivamente
confermata la decisione impugnata.
IL RICORSO E LE DECISIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Avverso la sentenza di condanna della Corte di Appello l' imputato ha
proposto ricorso, per il tramite del difensore, alla Corte di Cassazione
sostenendo che l' infortunio non sarebbe stato causato da un difetto di
formazione o di informazione del lavoratore, in realtà adeguatamente
preparato all' uso della sega circolare, bensì dalla condotta superficiale
ed imprudente dello stesso lavoratore che, benché invitato a porre la
massima attenzione nell' uso della sega e di utilizzare ambedue le mani,
aveva sospinto l' asse da tagliare con la sola mano destra, essendo in tal
guisa rimasto vittima del proprio anomalo comportamento.
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione la quale ha
osservato che i giudici della Corte territoriale avevano legittimamente
riscontrato nella condotta del ricorrente, alla stregua delle prove
acquisite agli atti, precisi profili di colpa, generica e specifica, da cui
è derivato l' infortunio del quale era rimasto vittima il lavoratore.
Gli stessi giudici, richiamando le dichiarazioni rese dalla vittima, hanno
ricordato come la sega circolare, alla quale la stessa era stata addetta,
non fosse stata adeguatamente posizionata e che tale attrezzo era stato il
giorno prima dell' incidente non fissato, bensì solo appoggiato sul terreno,
e dunque in condizioni di non assoluta stabilità, come avrebbe dovuto essere
proprio al fine di evitare spostamenti e scivolamenti, seppur di modesta
entità, che avrebbero messo a rischio l' incolumità dell' operatore.
L' instabilità dell' attrezzatura era stata confermata del resto non solo da
un teste ascoltato che ha sostenuto che la sega era stata solo "appoggiata"
e non "piantata" sul terreno, ma anche da un ispettore del lavoro che nel
suo rapporto ha sostenuto che all' imprudenza della vittima, che al momento
dell' incidente stava trattenendo l' asse da tagliare con una sola mano, si
era affiancata, quale elemento imprevedibile, l' improvvisa inclinazione del
piano sul quale si trovava la sega rotante che aveva provocato il
trascinamento della mano del lavoratore verso l' attrezzo e quindi il
contatto con lo stesso.
La suprema Corte ha quindi messo in evidenza che il lavoratore infortunato
era stato, d' altra parte, assunto da qualche giorno ed era stato addetto
alla sega circolare solo il giorno prima, senza adeguata formazione circa l'
uso dell' attrezzo né informazione circa i rischi connessi con l' utilizzo
dello stesso, circostanza questa che i giudici del merito hanno accertata in
quanto riferita dalla stessa vittima e ribadita dall' ispettore del lavoro
il quale ha sostenuto di non avere rinvenuto documentazione che attestasse
l' attività di formazione svolta nei confronti del lavoratore.
Di qui la specifica contestazione della violazione dell' articolo 22 del
D.Lgs.626/94 il quale impone al datore di lavoro di assicurare al dipendente
una formazione adeguata in materia di sicurezza e di salute con riferimento
alle specifiche mansioni affidate.
Quanto alle osservazioni fatte dall' imputato in merito alle precedenti ed
analoghe esperienze lavorative che l' infortunato aveva avute ed all'
efficacia delle informazioni ricevute sull' uso della sega, sia i giudici
del merito che quelli della Cassazione hanno rilevato "da un lato che nelle
sue precedenti esperienze lavorative la vittima aveva utilizzato attrezzi
diversi da quello adoperato nel caso di specie, attrezzi, peraltro, dotati
di dispositivi di sicurezza non rinvenuti nella sega circolare; dall' altro,
che le sommarie informazioni fornite 'sul campo' dai colleghi di lavoro non
potevano ritenersi idonee a garantire un' adeguata formazione del
lavoratore".
Sentenza 22/4/2011 n. 16087
Udienza Pubblica del 22/12/10
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere
Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere
Dott. D' ISA Claudio - Consigliere
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) C.G. nato il (omissis);
avverso la sentenza n. (omissis) Corte Appello di T., del (omissis); visti
gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in Pubblica Udienza del (omissis) la relazione fatta dal Consigliere
Dott. Giacomo Foti;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Galati che ha concluso
per il rigetto del ricorso.
OSSERVA
1- Con sentenza del (omissis), il giudice monocratico del Tribunale di A.,
sezione distaccata di B., ha dichiarato C.G. colpevole del delitto di
lesioni colpose gravi commesse, con violazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro (articolo 590, commi 1, 2 e 3 C.P.),
in pregiudizio del dipendente B.E., e lo ha condannato alla pena di cinque
mesi di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore della
costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio quanto ai danni
biologico e patrimoniale, e liquidando direttamente il danno morale in euro
11.000,00; somma assegnata a titolo di provvisionale.
Secondo l' accusa, condivisa dal tribunale, il C.G., nella qualità di
responsabile dell' omonima impresa individuale, per colpa generica e
specifica, ha cagionato al lavoratore lesioni personali consistite nell'
amputazione del 2 e 3 dito della mano destra, venuta a contatto con la lama
della sega circolare con la quale il dipendente stava provvedendo a tagliare
alcune assi.
In particolare, era accaduto che detto attrezzo, mentre il B.E. spingeva,
con la sola mano destra, un' asse verso la lama, si era improvvisamente
inclinato verso sinistra; ciò aveva determinato lo spostamento dell' asse,
di talché la mano destra del lavoratore era entrata in contatto con la lama
che ne aveva reciso due dita.
Il giudice del merito ha rilevato, nella condotta dell' imputato, precisi
profili di colpa per non avere lo stesso adeguatamente curato la formazione
professionale del dipendente, per non averlo informato sui rischi connessi
alle mansioni allo stesso assegnate e per non avere provveduto a fissare al
suolo la sega circolare per renderla stabile e ridurre, così, il rischio di
incidenti.
In punto di nesso causale, lo stesso giudice ha sostenuto che l' evento è
stato diretta conseguenza del mancato rispetto, da parte dell' imputato di
norme cautelari generiche e specifiche e che la condotta imprudente della
vittima non ha in alcun senso interrotto il nesso eziologico tra le
richiamate inadempienze e l' evento determinatosi.
Su appello dell' imputato, la Corte d' Appello di T., con sentenza del
(omissis), ha confermato la decisione impugnata.
Avverso tale sentenza propone ricorso, per il tramite del difensore, il C.G
che, con unico motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione
della sentenza impugnata in punto di affermazione della responsabilità
frutto, a suo dire, di travisamento del fatto e delle prove.
L' infortunio, si sostiene nel ricorso, non sarebbe stato causato da un
difetto di formazione o di informazione del lavoratore, in realtà
adeguatamente preparato all' uso della sega circolare, bensì dalla condotta
superficiale ed imprudente dello stesso lavoratore che, benché invitato a
porre la massima attenzione nell' uso della sega e di utilizzare ambedue le
mani, aveva sospinto l' asse da tagliare con la sola mano destra, essendo in
tal guisa rimasto vittima del proprio anomalo comportamento.
2- Il ricorso è infondato.
I giudici del gravame hanno, invero, legittimamente riscontrato nella
condotta dell' odierno ricorrente, alla stregua delle emergenze probatorie
in atti, precisi profili di colpa, generica e specifica, da cui è
causalmente derivato l' infortunio del quale è rimasto vittima B.E. . In
particolare, richiamando le dichiarazioni rese dalla vittima, i giudici del
merito hanno ricordato come la sega circolare, alla quale la stessa era
stata addetta, non fosse stata adeguatamente posizionata. Tale attrezzo
invero, era stato il giorno prima dell' incidente non fissato, bensì solo
appoggiato sul terreno, e dunque in condizioni di non assoluta stabilità,
come avrebbe dovuto essere proprio al fine di evitare spostamenti e
scivolamenti, seppur di modesta entità, che avrebbero messo a rischio l'
incolumità dell' operatore.
L' imprudente e negligente impianto della sega è stato confermato, non solo
dal teste M.O., che, secondo il giudice di primo grado, pur avendo sostenuto
che la sega era stata in maniera stabile poggiata sul terreno, ha in
dibattimento ammesso che la stessa era stata solo "appoggiata", non
"piantata" sul terreno, ma anche dall' ispettore del lavoro C.P. .
Costui ha, invero, sostenuto che all' imprudenza della vittima, che al
momento dell' incidente stava trattenendo l' asse da tagliare con una sola
mano, si era affiancata, quale elemento imprevedibile, l' improvvisa
inclinazione del piano, sul quale si trovava la sega rotante, che aveva
provocato il trascinamento della mano del lavoratore verso l' attrezzo ed il
contatto con lo stesso.
L' imputato, dunque, aveva, per colpa, consentito che il dipendente
utilizzasse la sega senza essersi previamente assicurato dell' esatto
posizionamento della stessa, così da evitare il rischio di pericolosi
spostamenti anche minimi, concretizzatosi nel caso di specie ai danni del
B.E. .
Quest' ultimo, d' altra parte, assunto da qualche giorno, era stato addetto
alla sega circolare solo il giorno prima, senza adeguata formazione circa l'
uso dell' attrezzo né informazione circa i rischi connessi con l' utilizzo
dello stesso. Circostanze che i giudici del merito hanno ritenuto accertate
in quanto riferite dalla stessa vittima e ribadite dall' ispettore C.P., il
quale ha sostenuto di non avere rinvenuto documentazione che attestasse
attività di formazione svolte nei confronti del lavoratore.
Di qui la specifica contestazione della violazione del Decreto Legge n. 626
del 1994, articolo 22 il quale impone al datore di lavoro di assicurare al
dipendente una formazione adeguata in materia di sicurezza e di salute con
riferimento alle specifiche mansioni affidate.
Quanto alle osservazioni proposte, sul punto, dall' imputato circa le
precedenti ed analoghe esperienze lavorative del B.E. ed all' efficacia
delle informazioni ricevute sull' uso della sega, i giudici del merito hanno
rilevato, in termini di assoluta coerenza logica, da un lato, che nelle sue
precedenti esperienze lavorative la vittima aveva utilizzato attrezzi
diversi da quello adoperato nel caso di specie, attrezzi, peraltro, dotati
di dispositivi di sicurezza non rinvenuti nella sega circolare; dall' altro,
che le sommarie informazioni fornite "sul campo" dai colleghi di lavoro non
potevano ritenersi idonee a garantire un' adeguata formazione del
lavoratore.
A fronte di tali emergenze probatorie, le censure proposte si presentano
infondate, oltre che, per alcuni aspetti, generiche e dirette solo ad una
non consentita rilettura dei fatti.
Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato ed il ricorrente
condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
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REGIONE PIEMONTE: AGGIORNATA LA RACCOLTA DI QUESITI SUL D.LGS.81/08
Da: http://www.puntosicuro.it
Anno 13 - numero 2708 di martedì 27 settembre 2011
Una raccolta di quesiti sul D.Lgs.81/08: applicazione, macchine, DPI,
cantieri, segnaletica di sicurezza, movimentazione manuale dei carichi,
videoterminali.
La Direzione Sanità, Prevenzione Sanitaria ambienti di vita e di lavoro
della Regione Piemonte ha aggiornato la raccolta di quesiti sul D.Lgs.81/08,
pervenuti al numero verde regionale per la sicurezza sul lavoro (800 580
001).
Pubblichiamo alcuni dei quesiti e le relative risposte.
NEL MIO LAVORO DI CONSULENTE TROVO SOVENTE DIPENDENTI CHE PRESTANO
VOLONTARIATO NEL 118. PER TALI PERSONE E' VALIDO L' ATTESTATO RELATIVO AL
CORSO CHE HANNO FREQUENTATO PRESSO LE VARIE ASSOCIAZIONI PER LO SVOLGIMENTO
DELLA FUNZIONE DI ADDETTI AL PRIMO SOCCORSO AZIENDALE, COME DA D.LGS.81/08 ?
Occorre verificare che i corsi frequentati per il ruolo di volontario siano
equipollenti ai corsi di formazione previsti dal D.M.388/03.
E' POSSIBILE NONCHE' CORRETTO IN UN COMUNE DELEGARE IL RUOLO DI DATORE DI
LAVORO AL SEGRETARIO GENERALE.
Si deve chiarire se si tratta di delega di funzioni (ex articolo 16 del
D.Lgs.81/08) oppure di individuazione (ex articolo 2, comma 1, lettera b)
del D.Lgs.81/08).
Nel primo caso la delega può essere fatta nei confronti di chiunque, purché
la stessa rispetti i seguenti requisiti:
- che essa risulti da atto scritto recante data certa;
- che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed
esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
- che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione,
gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni
delegate;
- che essa attribuisca al delegato l' autonomia di spesa necessaria
allo svolgimento delle funzioni delegate;
- che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.
Nel secondo caso l' individuazione avviene tra le figure di dirigente al
quale spettano i poteri di gestione (ovvero il funzionario non avente
qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest' ultimo sia preposto ad
un ufficio avente autonomia gestionale) tenendo conto dell' ubicazione e
dell' ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l' attività, e
affidando al soggetto individuato autonomi poteri decisionali e di spesa.
VOLEVO CHIEDERE ALCUNE INFORMAZIONI RIGUARDANTE L' UTILIZZO IN AZIENDA DI UN
CARRELLO ELEVATORE CON MOTORE A COMBUSTIONE INTERNA. NON SONO RIUSCITO A
TROVARE UN RIFERIMENTO NORMATIVO SULL' OBBLIGO A NON UTILIZZARE QUESTA
TIPOLOGIA DI CARRELLO ALL' INTERNO DI UN AZIENDA. ESISTE UNA NORMATIVA IN
MERITO?
Non esiste un divieto assoluto all' utilizzo di attrezzature di lavoro con
motore a combustione interna nei luoghi di lavoro chiusi. Il loro impiego è
consentito stante l' indicazione contenuta all' Allegato VI del D.Lgs.81/08
"Disposizioni concernenti l' uso delle attrezzature di lavoro" al punto 2.4
che indica "Le attrezzature di lavoro mobili dotate di un motore a
combustione possono essere utilizzate nella zona di lavoro soltanto qualora
sia assicurata una quantità sufficiente di aria senza rischi per a sicurezza
e la salute dei lavoratori". Va infine ricordato l' obbligo in capo al
datore di lavoro, oltre che, di valutazione dei rischi e di adozione delle
misure conseguenti di contenimento del rischio stesso anche quello, in
ragione del contenuto indicato al punto 2.1.4 bis dell' allegato IV del
D.Lgs.81/08, di adottare provvedimenti atti ad impedire o a ridurre, per
quanto possibile, lo sviluppo e la diffusione di gas o vapori irrespirabili
o tossici od infiammabili, odori o fumi di qualunque specie prodotti nello
svolgimento dei lavori. L' emissione di gas di scarico nell' ambiente di
lavoro deve essere abbattuta secondo il punto 2.1.4 bis dell' allegato IV
del D.Lgs.81/08.
A BREVE INIZIERANNO LAVORI PER UNA SEMPLICE RISTRUTTURAZIONE INTERNA DI UN
ALLOGGIO IN PROVINCIA DI SAVONA, DOVE LAVORERA' L' IMPRESA EDILE, L'
IDRAULICO (LIBERO PROFESSIONISTA) E L' ELETTRICISTA (LIBERO PROFESSIONISTA)
IL DUBBIO CHE HO E' CHE CI SIA L' OBBLIGATORIETA' DI REDIGERE UN PSC O SOLO
ACCERTARSI DELLA VERIFICA DELLA IDONEITÀ TECNICO-PROFESSIONALE DELLE DITTE E
DEI LAVORATORI. L' ARTICOLO 90 DEL D.LGS.81/08 DICE CHE IL PSC È
OBBLIGATORIO IN PRESENZA DI PIU' IMPRESE , MA IO MI DOMANDO SE IL LAVORATORE
AUTONOMO È EQUIPARATO A "IMPRESA". EVENTUALMENTE PER NON REDIGERE IL PSC, L'
IMPRESA PUÒ NEL SUO POS INGLOBARE ANCHE I 2 ARTIGIANI ?
La dottrina, sin dal D.Lgs.494/96, ha ritenuto che nell' indicare "imprese"
il legislatore abbia voluto indicare imprese articolate con almeno un
lavoratore (e quindi un datore di lavoro) escludendo dal computo i
lavoratori autonomi.
Attualmente il D.Lgs.81/08 richiede "la presenza di più imprese esecutrici"
che sono definite dall' articolo 89 come "impresa che esegue un' opera o
parte di essa impegnando proprie risorse umane e materiali", mentre la
definizione di lavoratore autonomo è quella di "persona fisica la cui
attività professionale contribuisce alla realizzazione dell' opera senza
vincolo di subordinazione".
Nonostante quindi si debba ritenere che il lavoratore autonomo non debba
essere computato tra le imprese si deve registrare una recente sentenza di
segno contrario (Cassazione Sezione IV, Sentenza n. 1770 del 16 gennaio
2009).
Infine se il lavoratore non è autonomo, ma è subordinato all' impresa deve
essere soggetto alla tutela da parte del datore di lavoro e quindi anche
inserito nel POS.
Si fa ancora rilevare che l' allegato XV "Contenuti minimi dei piani di
sicurezza nei cantieri temporanei o mobili" del D.Lgs.81/08, al punto 3.2.1,
lettera a), numero 7), stabilisce che il POS deve contenere, tra l' altro,
l' indicazione dei lavoratori autonomi operanti in cantiere per conto dell'
impresa esecutrice stessa.
LA MANCATA INDIVIDUAZIONE DEL DIRETTORE TECNICO DI CANTIERE O DEL
CAPOCANTIERE POTREBBE ESSERE SANZIONATA DALL' ARTICOLO 159, COMMA 1 DEL
D.LGS.81/08, STANTE CHE I NOMINATIVI DI TALI FIGURE SONO RICHIESTE DALL'
ALLEGATO XV, PARAGRAFO 3.2.1, PUNTO 6 DEL MEDESIMO DECRETO IN QUANTO
CONSIDERATI CONTENUTI MINIMI DEL POS ?
Sì, l' allegato XV definisce i requisiti minimi del POS e, quindi, ex
articolo 159, l' assenza di uno o più elementi dell' allegato XV integra la
violazione punita con l' ammenda da 2.000 a 4.000 euro.
La raccolta di quesiti sul D.Lgs.81/08 a cura della Direzione Sanità,
Prevenzione Sanitaria ambienti di vita e di lavoro della Regione Piemonte è
scaricabile all' indirizzo:
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/110927_Reg_Piemonte_quesiti_81.pdf
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