comunicato stampa
la cassazione ieri ha dato nuovamente ragione allo slai cobas per il sindacato di classe di taranto e ai lavoratori della ex- nuova siet condannando in via definitiva claudio ed emilio riva per truffa ed estorsione ai danni dei lavoratori della nuova siet cancellando l'assurda sentenza di assoluzione in appello, dopo la condanna nel primo grado.
lo slai cobas per il sindacato di classe di taranto dalla cui iniziativa è scaturito il processo e che ha visto la massiccia partecipazione a tutte le fasi dei lavoratori ex-nuova siet esprime il massimo ringraziamento all'avvocato Soggia, che ne a tutelato le parti e ai lavoratori che con pazienza e sacrifici hanno seguito tutta la vicenda
ricostruiamo la vicenda e ricordiamo lo scandaloso atteggiamento dei dirigenti sindacali fim-fiom-uilm che sono stati chiamati a testimoniare a favore di riva e l'attuale segretario nazionale della UILM Palombella lo aveva effettivamente fatto ora si dimostra che Riva si può battere e che i diritti dei lavoratori possono essere tutelati
slai cobas per il sindacato di classe
cobasta @libero.it
tel.347-1102638
30 novembre 2011
i fatti
La Nuova Siet, ex consociata dell'Ilva, ha operato per anni nello stabilimento siderurgico tarantino; sin dal 1971, i lavoratori dell'azienda si sono occupati degli appalti per i trasporti, del trattamento delle scorie liquide, loppe, minerali, calcari, materiali ferrosi, dimostrando grandi capacità tecniche ed organizzative.
L'azienda arrivò ad occupare circa 600 dipendenti con alta specializzazione nei trasporti collegati al ciclo integrato per la produzione dell'acciaio e derivati; alla fine degli anni '90 tuttavia l'Ilva, guidata dalla famiglia Riva, decise di non rinnovare la commessa e di disdire tutti gli appalti con la Nuova Siet, costringendola a cedere tutti i beni aziendali. Dunque l'Ilva assorbì le attività svolte dalla consociata e mise in mobilità tutto il personale; ai lavoratori fu poi proposto di rientrare in azienda sulla base di un nuovo contratto. Molti accettarono, costretti dalla morsa della disoccupazione. In tal modo l'Ilva attinse ai benefici contributivi per il personale in mobilità; conseguentemente i lavoratori tornarono a svolgere la medesima attività, con gli stessi mezzi e procedure, ma non alle stesse condizioni. Infatti risulta che i nuovi contratti non riconoscevano le anzianità né quanto maturato in anni e anni di lavoro dai dipendenti, che peraltro subirono decurtazioni salariali (circa un milione di lire gli operai e due milioni gli impiegati).
Tutto ciò in violazione di ogni accordo sindacale; grazie all'esposto depositato da Slai Cobas, la vicenda fu oggetto di una approfondita indagine da parte della procura di Taranto, che ascoltò i lavoratori, l'ufficio provinciale del lavoro e sequestrò molta documentazione, tra cui un accordo transattivo, che a quanto risulta, sarebbe stato fatto firmare in bianco. Sia le famiglie dei lavoratori che l'INPS si costituirono parte civile per i danni subiti; la magistratura accertò l'ipotesi del ricatto e la violazione dei princìpi sul trasferimento di azienda. Secondo quanto rilevato dal pubblico ministero l'azienda avrebbe agito con animo speculativo, e sarebbe incorsa nei reati di estorsione e di tentata estorsione ai danni dei lavoratori che si sarebbero rifiutati di sottoscrivere il nuovo contratto; il 20 settembre 2007 il giudice di primo grado ha emesso la sentenza di condanna a carico degli imputati. Il presidente Emilio Riva, il figlio Claudio e il capo del personale dell'acciaieria, Italo Biagiotti, sono stati condannati a quattroanni di reclusione per truffa ai danni dell'INPS ed estorsione, mentre il rappresentante della Nuova Siet, Giovanni Perona, è stato condannato ad un anno e due mesi per truffa; secondo la magistratura l'Ilva avrebbe internalizzato illegalmente l'azienda e avrebbe violato le leggi che tutelano i lavoratori
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